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Autore: Sidney Prescott    13/11/2023    0 recensioni
Inghilterra del 1910; il nuovo secolo porta aria di novità e di sogni, ma la gente nonostante tutto continua ad ignorare una verità importante: l’esistenza di un mondo parallelo in cui il soprannaturale la fa da padrone senza alcun freno!
L’associazione Hunter, antichi cacciatori discendenti da nobili famiglie fondatrici, è l’unica barriera tra il mondo umano e quello ultraterreno, il cui compito è proteggere gli uomini da ciò che non conoscono e impedire che un simile fardello venga rivelato, distruggendo l’equilibrio tra sanità mentale e pura follia.
Una delle stirpi fondatrici, il casato Griffith, dovrà lottare con tutte le sue forze per mantenere intatto il confine tra umano e sovrumano, ma ad un carissimo prezzo: la propria famiglia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Chapter 13: Below The Surface.

 

Current Day

 

Bergen,Norway. 

 

Aveva appena smesso di nevicare.

Aprile era un mese molto particolare, specialmente in Norvegia, dove le giornate di sole erano quasi un vago ricordo dopo le abbondanti nevicate che finivano per innevare tutto il paesaggio costiero; cielo e mare erano quasi in simbiosi, un bianco candido quasi accecante.
La città si teneva alla larga da quegli sfondi nevosi, spazzando via i cumuli di ghiaccio che ostruivano le strade e le vie, ma non le campagne e le zone boschive, immerse nella loro quiete, ben lontane da quello stile mondano e caotico che Ostergaard aveva sempre odiato fin da quando era un bambino.
La famiglia Volden, capitanata da suo padre Magnus, non era mai stata incline alla convivenza con tutte le follie moderne della metropoli, preferendo di gran lunga vivere ai margini di quella società corrotta ed infame, nei boschi, dove le uniche creature civili e si, accoglienti, erano gli animali delle foreste. Una volpe dal pelo rossiccio sbucò dalla sua tana ben nascosta sotto il manto soffice di neve, arrivando a farsi strada per quei sentieri di montagna con grande agilità, tra massi scivolosi e buchi nel terreno, nascosti dal ghiaccio e dall’erba, fino a giungere nel bel mezzo del bosco una modesta baita, nascosta, gelosa della sua intimità, fra grossi pini e abeti carichi di pesante neve. Non era sicuramente la dimora più accogliente del mondo, anzi, dava quasi i brividi così sperduta e malandata, ma il padrone di casa era in grado di far cambiare idea in meno di mezzo secondo, sebbene d’esse anch’egli l’impressione di un qualcosa di decaduto, sebbene un tempo fosse d’uno splendore raro ed unico.
La volpe conosceva la strada, era di casa ormai; salì sul porticciolo scricchiolante senza paura, pronta a salutare con un affettuoso versetto l’uomo seduto sulla veranda, quasi come se fosse un giorno di piena estate, avvolto appena in un vecchio ma simbolico scialle scuro, rattoppato chissà quante volte. Ostergaard posò i suoi sfuggenti occhi color ghiaccio sulla bestiolina che si era aggrappata sui suoi pantaloni, sorridendole istintivamente. Le diede un buffetto sul capo, accarezzando il morbido e umido pelo della creatura.
Quella rispose strusciando dolcemente il suo musetto contro il palmo screpolato e segnato dell’uomo, finendo poi per sedersi proprio al suo fianco, ora finalmente nel suo luogo sicuro. 
Il manto rame della volpe era identico al colore dei capelli dell’uomo, anzi, forse appena più scuri, profondamente trascurati in lunghezza, ormai arrivati a sfiorargli le scapole, ma per lui quel genere di cose non avevano mai contato troppo. Prese fra mani una tazza di bollente caffè, amaro e scuro come la pece, sorseggiandolo cautamente; chiuse le palpebre, ascoltando con quella sua innata capacità il suono del vento fra gli alberi, oltre le fronde cariche di neve dei pini e degli abeti, finché non udì anche il tintinnio del suo acchiappasogni appeso proprio davanti alla porta dingresso, fatto di piccoli legni e piume ormai cadute di volatili, sempre lì di passaggio.

Non c’erano buone notizie all’orizzonte.

Un lamento, anzi, quasi più una richiesta d’aiuto, un gemito angosciato, di dolore; persino la creaturina conosceva la strada, sgattaiolando all'interno della baita del tutto indisturbata attraverso la porta semi aperta. L’uomo non tardo di certo nel seguirla nella sua stessa baracca; dall’esterno quel posto sembrava fatiscente e prossimo al crollo a seguito di un’abbondante nevicata, ma nulla era ciò che appariva. Era incredibile come, in un posto simile, si nascondessero simili tesori, libri di ogni genere, rarità, cimeli, profumi d’ogni sorta, provenienti da chissà quali paesi: a primo impatto sarebbe quasi sembrato un bazar arabo, con quei colori carichi, terra bruciata e ottone, ma allo stesso tempo così accoglienti e rassicuranti. Ma alla fine chiunque entrasse in contatto con quell’uomo veniva assorto in una strana pace interiore, inspiegabile per davvero, sebbene calunnie e maldicenze lo avessero canzonato con nomi orribili e dicerie infangati, ma ad Ostergaard i pettegolezzi non avevano mai fatto ne caldo ne freddo.

E poi, mica viveva lontano dalla società per caso.

I lamenti aumentarono man mano che l’uomo si addentrava nella stanza, arrivando in quella che avrebbe dovuto essere la sua camera da letto, ma ormai non lo era più da tempo; o almeno, non più sua. Si appoggiò al vecchissimo baldacchino, osservando non troppo serenamente, con un pesante sospiro, il volto di un giovanissimo uomo madido di sudore fino all'osso, agitato,febbricitante. Delirava senza sosta, continuamente e non sembrava essere intenzionato a smettere.
Quel giovane era nient'altro che Balthasar Drake, i cui marcati tratti orientali non vennero sicuramente nascosti nemmeno dall’aggressiva febbre e dagli incubi; era a letto ormai da settimane, dietro le cure costanti e attente di Volden, il quale prese posto accanto a lui sul materasso. Non lo svegliò; mai interrompere un incubo per quanto orribile potesse essere,  limitandosi solo a tamponare con un freddo panno la fronte del ragazzo dal colorito bronzeo, i capelli neri, umidi, mossi e folti sparsi su tutto il cuscino, umido a suo volta. 

Doveva essere tornato lì, di nuovo, ancora, dopo tutti quegli anni.

Le labbra carnose dell’uomo più giovane erano livide, secche come il deserto, ma riuscirono ugualmente a pronunciare delle parole a molti incomprensibili, ma non ad Ostergaard, che aveva imparato quella lingua, e non senza difficoltà, più di 20 anni prima; gli mise la mano sulla fronte, trovandola rovente.
«Certo che tu, diavolo, sei proprio bravo a cacciarti nei guai, Balthasar….che devo fare con te? Se solo tuo padre fosse qui, glielo chiederei…»
«B-bâbâ? Mâmân? »
«Oh, adesso capisco…»
Il sonno del povero giovane divenne impetuoso, irregolare, più del mare in tempesta, agitando compulsivamente le forti braccia al vento, rischiando persino di colpire in pieno viso l’uomo; non ci riuscì poichè lo fermò prima, bloccando a mezz'aria il suo avambraccio già pronto a prenderlo in faccia. Ostergaard corrucciò lo sguardo, sentendo sotto i suoi polpastrelli i muscoli terribilmente tesi di quell’arto, come se fosse pronto a difendersi, a lottare, da un nemico che purtroppo conosceva molto bene anche lui.
«Nadya? D…dove sei? AIUTAMI!»
«Balthasar…ora basta, ti devi calmare!»
«NADYA!»
Con un urlo disperato e quasi folle, con il cuore prossima ad uscirgli dal petto, il giovane stregone si svegliò di soprassalto dal suo ricorrente incubo, spaventando perfino la povera bestiola che si era accucciata fedelmente ai piedi del letto; grondava sudore da ogni parte, con i grandi occhi turchesi spalancati verso il vuoto, ma sarebbe stato colmato velocemente, visto che il suo viso gelato venne afferrato paternamente dall’uomo dai capelli rame. 
Quest’ultimo roteò gli occhi ghiaccio, allungandogli il panno umido per rinfrescarsi; il giovane lo prese, ma non così in fretta, come se avesse avuto bisogno di un momento di calma per realizzare, ancora una volta, che quella era solo un’ombra, una del suo passato.
«Non…dirmi che è successo di nuovo, non dirmelo!»
«Posso anche non dirtelo, ma sappiamo benissimo che non è così, ragazzo…stavi di nuovo sognando quella notte, vero?»
Il ragazzo non rispose alla domanda, limitandosi a guardare con il suo schivo sguardo verso il viso dell’uomo, facendo spallucce, come se di fatto non ci fosse nulla da dire di concreto; si grattò distrattamente il collo, sgranchendosi avanti e indietro le larghe spalle, con uno sbuffo.
«Ha importanza? Direi di no…solita, vecchia, ridondante, inopportuna storia, niente che un po 'di lavoro non possa cancellare…che ore sono?»
«L’ora che la finisci di raccontare palle...se pensi di incantarmi, Shahrazād, ti sbagli di grosso! Non penserai che questa volta ti lascerò correre via di nuovo in bocca alla morte, per poi rivederti tornare praticamente distrutto, vero? Balthasar? Perché non hai più 15 anni, e permettimi di dire che non hai più l’età per le cazzate avventate!» chiarì senza tentennamenti l’uomo dai tratti nordici, cambiando tono in uno molto più serio e rigoroso, uno che il giovane conosceva bene, a cui rispose con un sospiro pesante. Mise le mani in alto, portando all’indietro quella chioma riccia e scura, lontano dal suo viso, mentre la piccola creaturina dal pelo carota si accucciava teneramente sul suo grembo; il ragazzo abbozzò, sebbene con qualche difficoltà, una sorta di sorriso, grattando il capo della bestiola.
«Mi stavate facendo una veglia? Carino, davvero, ma sto bene, sono solo molto stanco a dire il vero, tutto qui. La febbre si sta abbassando, non è niente di grave Os, quindi risparmiami la predica!
Vero, non ho più 15 anni, e appunto perchè non sono più un moccioso dovresti smetterla di preoccuparti per me, ti verrà un infarto, vecchio mio…»
Balthasar fece per alzarsi dal letto, ma la mano di Ostergaard sulla sua spalla lo rimise esattamente seduto dov’era, senza la benché minima espressione di stupore in viso; lo stregone inarcò un sopracciglio basito, mentre l’altro invece gli mostrò il suo totale disappunto.
«Che c’è adesso?»
«Partiamo dal presupposto, dolcezza, che “vecchio” lo dici a qualcun altro, e poi questo posto non è un ostello, dove torni quando ti fa comodo, quindi portami un minimo di rispetto, e poi sono passati 6 mesi, dove cazzo sei stato in sei mesi?
A raccogliere i datteri per il Ramadan? Oppure a cercare il verbo di Dio? Oh, no, ho un’alternativa migliore!
Che mi dici della visita nelle segrete della Hunter?»
«Come lo hai saputo…guarda, non importa! Non mi interessa nemmeno saperlo, ma non credo di doverti delle spiegazioni, non più, Ostergaard, e scusa se te lo faccio notare, ma sto seguendo le orme di mio padre, alla fine!
E ora scusatemi, voglio farmi un bagno.» concluse il giovane fuggitivo, già fuori dal letto in meno di mezzo secondo, sebbene i muscoli delle sue gambe non rispondessero poi così fedelmente ai suoi comandi, arrivando a sostenersi perfino ad una delle cortine del letto fino a strapparla.
L’altro incrociò le braccia al petto, guardando proprio dritto in viso il ragazzo, con un sopracciglio sarcasticamente alzato.
«Hai finito di dire cagate o…perchè se vuoi ci metto 5 secondi a rimetterti in pista, con un calcio dritto in culo, e se vuoi mi premuro anche ad accompagnarti a scegliere il vestito giusto per quanto riposerai coi piedi in avanti! Sai, io vorrei farmi cremare, o almeno, se proprio devo essere utile fino alla fine, divorato dai lupi; che senso ha conservare i cadaveri in sontuose bare nella speranza di arrestare il processo di decomposizione?
La gente non la voglio vedere nemmeno da viva, figurati che interesse ha mantenerla da morta!
A chi interessa preservare un qualcosa dopo che non è più di alcuna utilità? E soprattutto, che senso ha elevare la morte ad un qualcosa di adulatorio, quando in vita non si è fatto nulla per meritarlo?»
«Ho capito, hai intenzione di farmi impazzire, è questa la tua tattica di merda…»
«Però in 25 anni ha funzionato molto bene, non è così, ragazzo? E onestamente, mi dispiacerebbe buttare via ¼ di secolo perché sei troppo orgoglioso o semplicemente una iconica testa di cazzo, tu che dici?
Balthasar…»
Ostergaard si alzò dal letto fino a raggiungerlo dall’altra parte; non era poi così alto quel ombroso e solitario uomo delle nevi, come Balthasar amava paragonarlo dacché era un bambino, una sorta di eremita saggio, si, ma cocciuto, sarcastico senza dubbio, ma anche buono e generoso. Un misantropo delle nevi, ecco come si poteva descrivere quell’uomo, un tempo, uno lontano, parte di un qualcosa di molto più grande a cui aveva voltato le spalle per un motivo e uno soltanto: lui.
Di nuovo faccia a faccia.
«So cosa ti passa per la testa, davvero, so cosa vuol dire perdere la propria famiglia, ma se continui in questo modo…otterrai solo una cosa!
Raggiungerli…in direttissima. »
Balthasar assottigliò lo sguardo, restando senza parole per quel cinismo tanto diretto. Quello fece spallucce, con le mani rivolte verso l’alto.
«Be cosa ti stavi aspettando? Che ti dicessi il contrario? La Hunter è senza scrupoli, pensi veramente che gli importi della tua vendetta? Ti prego, sono un gruppo di zotici e fanatici che non fa altro che accusare tutto ciò che non sia ordinario di tutta la merda che c’è  nel mondo che, per inciso, loro hanno causato…»
«Ti ricordo che un tempo ci eri dentro con tutte le scarpe! Non ti sembra un tantino ipocrita questo discorso? E non ti sto giudicando, ma non credo che dimenticherei così facilmente una parte simile della mia vita…»
«Non fare lo psicologo con me, ne usciresti devastato, mocciosetto! 
Pensi davvero che potrei mai dimenticare quella fetta della mia esistenza? No, non posso e nemmeno vorrei farlo, non sono il tipo di persona che rinnega se stessa. Solo gli stupidi cancellano il proprio passato, Balthasar, te l’ho insegnato io stesso a mantenere viva la fiamma delle tue origini, ma non ti ho mai detto di alimentarla fino a bruciarti!
Bisogna avere sempre un obiettivo davanti, ma non può essere quello di farsi giustizia da solo, contro un’orda di cacciatori armati…
E, tra parentesi, anche se non sanno nemmeno leggere un libro, sono dannatamente bravi a tagliare teste, quindi ti decapiteranno ancora prima che tu possa pronunciare anche un solo incantesimo!»
«Eppure sono stato loro ospite per un tempo discreto e tu guarda, sono illeso, senza un graffio, evidentemente non sono poi così imbattibili come credi tu…vecchio mio…»
«Ah, davvero? E allora, visto che sei così splendido, come sei scappato? Drake? Eh? Perchè da quando sei tornato non hai fatto parola nemmeno della metà delle cose che ti sono capitate, quindi presumo che o tu l’abbia fatta grossa o ci siano dei complici di cui non so…»
Balthasar lo squadrò malamente, quasi offeso nel privato da una simile insinuazione, scostandosi malamente dalla presa sul suo braccio.
«Non oserai credere che io abbia collaborato con uno di quei killer senza Dio…vero?»
«Io credo che tu sia un brillante stregone ma un pessimo dialogatore a livello umano, perciò non fatico a credere che per una volta tu abbia ceduto, sopraffatto da…non so cosa, e c’è un altro dettaglio: nessuno esce dalle celle di quelle segrete…da solo…quindi o sei stato illuminato dal divino oppure qualcuno ti ha aiutato, ragazzo…quindi inizia a vuotare il sacco prima che ci ritroviamo invasi dalla Hunter fino al collo!»
Lo stregone persiano non era cresciuto sicuramente nella miglior prospettiva di fiducia e di amore verso il prossimo, faticava a fidarsi persino di se stesso; non sarebbe stato affatto da lui fidarsi di uno sconosciuto, un cacciatore per giunta, ma agli occhi dell’eremita niente era impossibile. Anche gli uomini più duri e freddi avevano dei punti deboli e sapevano mostrarsi anche nei momenti meno opportuni.
L’uomo non disse nulla in sua difesa, come se avesse cercato di rimuovere a mani nude quella parte ancora inspiegabile di verità sepolta dentro di sé, che da mesi lo tormentava e teneva inquieto, insieme ai suoi spiriti e demoni, quello di suo padre, sua madre e sua sorella.
Il nome di quel ragazzo gli venne alla mente come un respiro tiepido, tenue, un solletico quasi brioso, una gentile pelle d’oca che non avrebbe dovuto nemmeno manifestarsi, tanto era sbagliato ciò che era accaduto.
Drake si mise una mano sul suo stesso avambraccio, mettendo quasi istintivamente a tacere le sue voci interiori in maniera brusca e perentoria; se quel…quel tipo bizzarro lo aveva lasciato andare, forse, c’era un trucco sotto, un tranello, ma certo!

Doveva…doveva essere così…che altra spiegazione logica poteva esserci altrimenti?

Sentì lontano un delicato “clic” della serratura di quelle gelide e strette manette che si aprivano, come il tatto di quelle mani che gli liberavano i polsi da esse; no, non se l’era sognato!
Quel maledetto idiota lo aveva liberato di sua spontanea volontà e non aveva voluto assolutamente nulla in cambio!

Ma perchè quel dettaglio lo mandava in paranoia da settimane, mesi? Perchè? C’era una falla in quel sistema tanto meccanico e senz'anima.
Una falla con un nome e un cognome che non avrebbe ricordato nemmeno sotto tortura; accettarlo era già abbastanza duro, figurarsi ammetterlo.

Nessuna risposta fu trovata.

Balthasar sfuggì a quel confronto come tante altre volte prima, non meravigliando minimamente Ostergaard; non erano certo risposte quelle che l’ex cacciatore cercava, quanto più certezze e si, magari speranze: sperare era l’unica cosa che gli era consentita nella sua scomoda e nascosta posizione.
Si era tagliato fuori da quel mondo sinistro molti anni prima, troppi anni prima, ma non abbastanza da allontanarsi del tutto da esso poiché ancora una volta era venuto a bussare alla sua porta; una visita sgradita, amara, dal sapore di rancore e rimpianto. Lui però era già morto agli occhi della sua antica famiglia, Balthasar invece era un capitolo nuovo e vegeto che non avrebbe potuto nascondere nemmeno volendo, e forse nemmeno avrebbe dovuto: dopotutto, lui aveva fatto qualunque cosa affinché fosse pronto abbastanza da affrontare qualunque pericolo, ma aveva fatto il possibile anche per schiudere il suo animo chiuso e ferito?
La porta del piccolo bagno si chiuse, i vestiti fradici finirono per terra insieme a tutto il resto, mentre il corpo del ragazzo finiva lentamente sotto la superficie di quella patina d’acqua fredda, quasi un toccasana per distendere i nervi prossimi al collasso definitivo; si portò all’indietro ,quasi a solleticargli le spalle, la criniera scura bagnata, fissando il soffitto di legno: diverso, completamente opposto a quello melmoso e scrostato della sua cella.
Ricordava bene quell’odore sgradevole, un puzzo quasi insopportabile di marciume, muffa, Dio solo sapeva che altro, quasi si era dimenticato di avere dalla sua l’olfatto, se non fosse stato per l’arrivo di quel bizzarro e assurdo ragazzo; aveva un profumo dolce, come l’odore caratteristico dello zucchero filato alle bancarelle del circo, invitante, quasi in simbiosi con il colore dei suoi capelli. Sembrava non essere reale, estraneo a quel mondo grigio, buio, senza luce, era talmente luminoso e stravagante che ancora non riusciva a capire cosa ci facesse lì un simile colibrì.
Fra quei ciuffi argento stavano incastrati i tondi occhiali da vista viola, abbinati a quella camicia semi aperta color mosto, tirata su fino ai gomiti mentre gli avambracci stavano a penzoloni appoggiati alle sbarre di quella gabbia; erano rimasti insieme, li, nel vuoto e nel silenzio, più di una volta, silenzi interrotti dalla diarrea verbale del cacciatore dall’animo troppo curioso per essere un hunter qualunque. Le prime volte lo stregone si era chiesto se fosse semplicemente stupido o annoiato, ma dopo l’ennesima visita ebbe iniziato a ricredersi, e non perchè le speranze di uscire vivo di li stessero drasticamente calando, ma perchè c’era qualcosa di diverso dietro quelle lenti malva.

Balthasar non parlava molto con quasi nessuno, eppure le conversazioni più lunghe della sua vita erano state proprio schiena contro schiena con il suo nemico naturale, divisi solo dai freddi tubi di metallo delle grate. 

Ricordava bene quella conversazione; era stata la loro ultima, dopotutto, prima di quella notte.

«Mi stai forse dicendo che voi streghe non amate i gatti neri? Davvero? Ma allora da dove viene la diceria della sfiga legata al loro passaggio?
E degli specchi allora? E che mi dici della storia della scala?»

«Possibile che voi occidentali vi siate seriamente focalizzati su simili fesserie? Ma chi vi forma a voi? Nostradamus?
Sono solo stupide credenze medievali…credevo foste un tantino più all’avanguardia, specialmente tu che sei tanto sveglio,apparentemente, si intende…» precisò con sarcasmo il persiano, appoggiando la nuca contro la fredda sbarra di metallo alle sue spalle. Il cacciatore, dal canto suo, rispose con una smorfia, ricambiando però un sarcastico riso, accendendosi fra le labbra una sigaretta, sbuffando via una corposa nuvola di fumo.
Balthasar scacciò quella nube con la mano, tossendo appena.
«E fumi pure in servizio? Parli con il prigioniero? Mi spieghi che razza di cacciatore sei tu, Nardi?»
Ivo sollevò lo sguardo verso l’interno della cella, con la coda dell’occhio, rispondendo dopo alcuni secondi, il tempo necessario per poter aspirare nei suoi polmoni quel fumo tossico e pesante. Perfino per lo stregone quei momenti di silenzio parvero innaturali, ormai abituato alla costante e sì, perfino piacevole, parlantina dell’altro. 
«Uno che non voleva esserlo…tanto per cominciare…e poi sei l'unico prigioniero in circolazione, il massimo che può succedere è che l'allarme antincendio ci faccia una bella doccia…e fidati, ne avresti bisogno, puzzi più di una capra…»
«Scusa, cosa? Che hai detto?»
«Che puzzi? Non volevo offenderti, è che la differenza tra te e la capra è…»
«Non parlavo della tua simpatica battuta, saltimbanco da due soldi, che dicevi di non voler essere un cacciatore? »
«Storia vecchia, niente di entusiasmante, begli occhioni!»
«Si da il caso che non credo di uscire di qui a breve, anzi, per come la vedo io è la cosa più bizzarra che quelli come voi abbiano fatto fin’ora!
Voi…non fate prigionieri, lo so benissimo…
Perchè mi state tenendo qui, allora? »
Nardi si grattò una tempia a tutte quelle supposizioni, rispondendo soltanto con un sentito sospiro pensieroso; si mise le mani dietro la testa, allungando le snelle gambe sul pavimento come se fosse stato disteso su una spiaggia. Fece spallucce, dando un delicato colpetto sulla coda della sigaretta.
«Dolcezza mia, stai chiedendo informazioni all’uomo sbagliato, io sono tipo l’ultimo a cui vengono dette le cose, è mio fratello il primo della classe, io sono il somaro a cui si attacca la coda nel didietro. Non fraintendermi, non mi interessa molto cosa la gente pensi di me o del mio ruolo in questa storia di folli, però l’essere sottovalutato,beh, ha i suoi vantaggi e svantaggi, ecco tutto…
Be? Ti sei mangiato la lingua? Me lo avevi detto tu di…»
«Chi hai paura di deludere, Nardi? »
Il cacciatore spalancò gli occhi, voltandosi finalmente, faccia a faccia con lo stregone, appoggiato con i palmi sul suolo polveroso; qualsiasi hunter al posto di Ivo lo avrebbe rimesso in riga con frustata, ma lui?

Nah.

Inarcò un sopracciglio chiaro a quella curiosa insinuazione, assottigliando poi gli occhi verso quelli acqua del ragazzo di pochi anni più grande, spegnendo contro il pavimento la sigaretta ormai divenuta un rovente mozzicone.
«Credo di aver deluso la vita in partenza, andiamo, sono tutto quello che di sbagliato potesse capitare ad un genitore…ad un fratello, ad una squadra.
Insomma, secondo te perché sono qui a farti da balia? Perché sono uno affidabile? Coraggio, Balthasar…non sei sicuramente il primo stronzo e questo non è il tuo primo rodeo…sono uno fuori posto, fine del racconto, che si è ritrovato con un fucile in mano prima di rendersi conto di che cosa avrebbe dovuto farci.»
Drake ascoltò attentamente quelle parole, trovando un’immagine pure troppo ben costruita dietro a quelle lenti colorate, quei modi, quei tatuaggi, quelle vesti sgargianti; si guardò intorno, tornando indietro con la mente fino alla sua infanzia, di cui purtroppo aveva pochissimi ricordi, ma quei pochi rimasti intatti erano ben nitidi nella sua mente.
«Nemmeno io volevo essere dove sono ora…ad essere sincero…
Eh no, prima di una delle tue battute idiote, non solo qui in una cella, incastrato con te a farmi da cane da guardia, ma in queste condizioni. Sai, è vero, non sempre i nostri natali sono di buon auspicio, sembra che sia già tutto deciso ancora prima che tu possa iniziare a camminare…io volevo essere tante cose, finchè non mi hanno portato via la mia famiglia, ma non voglio annoiarti con le mie storie…»
«Si da il caso che nemmeno io abbia piani entusiasmanti per la serata, potrei andare a farmi gli inservienti delle docce in realtà,  ma niente che non abbia già visto, perciò, questa è la tua serata,ragazzone…» sghignazzò con sincerità il minore dei gemelli Nardi, lasciando scendere la montatura d’argento quasi sulla punta del suo naso, con un sorriso bianco, perlato.
Si guardarono entrambe negli occhi per diversi secondi, come se stessero cercando di prevedere o anche solo di capire cosa stesse passando l’uno nella mente dell’altro; lo stregone distolse successivamente lo sguardo, interrompendo la sua riflessione.
«Fratelli maggiori, dico bene? I prescelti…»
Il cacciatore distese le spalle, facendo cadere drammaticamente all’indietro il suo capo,a penzoloni.
«Tsk, sai che importanza può avere? Per cortesia, e chi le vuole tutte quelle responsabilità? Solo per avere cosa in cambio? Una misera pacca sulla spalla e un elogio da questo gruppo di puttanelle leccapiedi? Sono in questa merda da tutta la vita, maghetto, e sinceramente non me n’è mai importato nulla della gloria, della fama dell’eroe o del mito del bravo soldato…
Se mio fratello crede invece che sia la sua strada, beh, tanti auguri per lui, ma non è la mia, col cazzo proprio!»
«Ne sei sicuro, hunter? E allora perché sei ancora qui? Nonostante le proteste, il rancore, l’odio per il sistema, perché non hai ascoltato questo tuo grido e non sei fuggito?
Credimi, io so che cosa vuol dire, nonostante non sia ciò che vuoi, ciò che davvero credi di meritare, avere un legame che nemmeno la cosa più spaventosa del mondo potrà alterare…
Ed è proprio tuo fratello! 
Anzi, ad essere sincero, credo che non sia solo lui il motivo per cui tu sei rimasto…o sbaglio?»
Il persiano sembrò dimostrare una strana, innata, e forse malinconica empatia, una che Ivo non aveva mai ricevuto prima d’ora, una che quasi lo lasciò sconvolto al punto di distogliere lo sguardo, come a fingere di non considerare nemmeno quell’assurda probabilità.
Al collo dello stregone era appesa una piccolissima ma luccicante pietra, un’ametista grezza, molto segnata dal tempo, legata accuratamente da un cordone vecchio di tessuto nero; la sfiorò con le dita lunghe, attorcigliandola fra di esse. Quel gesto non passò inosservato agli occhi di Ivo, togliendosi per la prima volta dal viso i suoi iconici occhiali, appendendoli alla tasca della stessa camicia.
Lo stregone mise sul palmo della mano la vecchia pietra.
«Non è bellissima? »
«Si, si direi di si, anche se non è nelle migliori delle condizioni…»
«Vero, un po 'come noi due,non trovi?» affermò senza esitazione quello, guardandola con un particolare riguardo.
Ivo inarcò un sopracciglio, mordendosi il labbro con il suo solito lato malizioso.
«Ci stai provando, persiano? Perché sto ricevendo segnali contrastanti qui…»
«Se per un istante dimenticassi il tuo ego e il tuo essere superficiale, capiresti di ciò che sto parlando, cacciatore; è vero, questa pietra non è stata conservata nel migliore dei modi, anzi, ha visto giorni terribili, quelli di ogni primogenito della famiglia Drake da generazioni…
Mio padre voleva che restasse fra i tesori della nostra casata, ma mia sorella maggiore, Nadya, credeva che non avesse senso tenere al sicuro il simbolo della nostra stirpe e andare a combattere senza di esso, anche a costo di distruggerlo!
Faceva parte di noi, l’ametista senza stregone non ha alcun valore, come la famiglia senza i suoi membri, un fratello senza l’altro…
Un uomo senza il suo branco, un lupo se preferisci, la cosa non cambia, hunter!
Sarà anche rovinata, datata, prossima al frantumarsi al suono delle spade che stridono tra di loro, ma morirà con me, o con chi verrà dopo di me…ciò che conta è restare assieme ad essa, tutto il resto non ha importanza!
E non è un semplice rendere orgogliosi i propri avi, padre, madre, fratello…ma è l’essersi riscattati personalmente, senza dover più dover nascondere il viso sotto la sabbia…»
«Hai…hai rubato per questo il libro? Per riscattarti? Perchè? Sapevi che l’Hunter ti sarebbe piovuta addosso come un temporale, perché Balthasar? Che scopo hai?»
Il cacciatore si avvicinò istintivamente alle sbarre, sfiorandole quasi per errore, ora fermamente coinvolto da quelle parole, vere e forse corrisposte; lo stregone si morse la guancia, negando seccamente con il capo.
«Se credi che volessi il libro per farvi il culo, sei fuori strada…volevo quel maledetto libro perchè è pericoloso, Nardi, perchè non sono il nemico numero uno della Hunter, credimi!
Io sono solamente un frammento dell’apocalisse che vi piomberà addosso, perchè con tutta la merda che può essere evocata con quel codice…verrete poi a pregarmi in ginocchio affinché ve lo recuperi!
Se solo finisse nelle mani di…»
«Nelle mani di chi, Balthasar?»
Un suono sinistro alla fine del lungo corridoio fece scattare in piedi lo stesso cacciatore, che sentì i passi di alcune delle guardie di vedetta avvicinarsi sempre più velocemente alla cella del suo prigioniero. Ancora prima che potessero essere scoperti, Balthasar afferrò Ivo per il lembo della sua camicia, avvicinandolo bruscamente alle sbarre, vicini il necessario per non essere uditi da orecchie indiscrete e prossime.
Gli occhi turchesi del giovane Drake assunsero una bizzarra e intrigante luce violacea.
«Guardati…dal serpente…lui non deve arrivare a quel libro, a quei segreti, promettilo Ivo!»
«Io…io lo prometto, Balthasar….Balthasar? BALTHASAR?!»

Ma lui…non era più lì dentro, grazie a lui.

La superficie dell'acqua cristallina venne brutalmente infranta dal corpo finito ormai in apnea dello stesso stregone, che si aggrappò quasi terrorizzato ai bordi della bianca vasca di ceramica. Era stato solo un sogno, anzi, un ricordo, uno che non rimembrava da diverso tempo. La piccola ametista luccicò di luce propria sotto le gocce fredde d’acqua sul petto ansimante del giovane Drake, afferrata dalla sua stessa mano con la stessa intensità con cui un cristiano prenderebbe fra le mani giunte un crocifisso. Sospirò, sciacquando il viso con una certa lena, quasi a svegliarsi da quella serie ininterrotta di sogni indesiderati, ma fu più calzante la mira di Ostergaard sulla sua testa, sbattendogli in pieno viso un caldo asciugamano bianco.

«Hey! Ma la privacy?! »
«Scusami, ho dovuto prendere diverse precauzioni da quando hai già cercato di annegarti da solo nella vasca…e poi, non sei il mio tipo, quindi c’è ben poco da vedere…»
Commentò con il suo innato sarcasmo lo stesso eremita, appoggiato di spalle sullo stipite della porta, guardando il ragazzo asciugarsi pigramente la nuca bagnata con morbida tovaglia, per poi bofonchiare un qualche ringraziamento, rigorosamente borbottato a bassa voce.
Os rise a quel comportamento infantile, già prossimo ad uscire dal bagno a gamba tesa, ma prima che potesse farlo un simpatico tarlo aveva già iniziato a tessere una tela assai intrigante nella sua mente, ritornando subito a braccia conserte.

«Allora….»

«Si…?»

«Chi è questo Ivo di cui tanto parli nella vasca? Ah, non ti giudico per questo!»

«Che cos….FUORI DAL MIO BAGNO, SUBITO!»
«Il TUO bagno? Sicuro che sia tuo? Coraggio, inizia a raccontare, abbiamo tutto il giorno davanti a noi! Lo sai…a me piacciono le storie!»

E quando uno come Ostergaard si metteva in testa una cosa, era impossibile fargli cambiare idea; Balthasar sprofondò nuovamente sotto la superficie d’argento.

Sarebbe stata una lunga, lunga giornata.




 

L'ametista è una pietra profondamente legata all'equilibrio. È un simbolo delle scelte ponderate, che richiedono tempo e cura e che, per questo, richiedono equilibrio. Averla sempre vicino significa ricordare a se stessi l'importanza di questa componente necessaria a una vita proficua.

   
 
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