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Autore: _ A r i a    16/11/2023    0 recensioni
[ ghost!au ]
Enji attraversa nuovamente la porta dello studio di Ryou, tornando finalmente a poter osservare Keigo. Forse non si è neppure accorto che è di nuovo in corridoio con lui, perché al momento ha il capo voltato di lato e osserva un punto nel vuoto fuori dalla finestra. Ha un'aria corrucciata, ed Enji lo nota sistemarsi una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio – il gesto che fa sempre quando ha bisogno di riflettere.
«Certo che ne sai di cose su Ryou», valuta Enji, infilando nuovamente le mani nelle tasche. «Voi due siete diventati parecchio intimi...»
Keigo si gira nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso scaltro. «Vuoi sapere se ci sono andato a letto?», gli chiede a bruciapelo, osservandolo con fare malizioso.
Per un momento, Keigo resta a osservare deliziato l'espressione di totale imbarazzo che si dipinge sul volto di Enji.
Poco dopo, però, torna a fissare il corridoio davanti a sé, l'espressione sul suo viso che si fa nuovamente seria. «Ad ogni modo, la risposta è sì», ammette, senza un'inflessione particolare nella voce. «Abbiamo una relazione, da un anno a questa parte.»
Enji sembra piuttosto infastidito dalla cosa. «Ah, beh. Sesso ed elettroshock. Avvincente», commenta, seccato.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, Rei Todoroki, Shōta Aizawa
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Il mattino successivo Aizawa entra in ufficio con le idee più confuse del giorno precedente.
Al termine del viaggio di ritorno era esausto. Ha riaccompagnato Rei a casa, dopodiché se n’è tornato nel proprio appartamento, tuttavia, una volta toccato il materasso, nonostante la stanchezza non è riuscito a chiudere occhio, la mente già al lavoro sulle ricerche da fare una volta arrivato in commissariato, la mattina successiva.
In effetti ci sono fin troppe cose che non tornano in merito all’incidente della notte precedente, ma una parte di lui ha sperato che non fosse così.
Sarebbe bello se le cose fossero semplici – solo che non è mai semplice, la vita.
Quando, alle tre di notte, aveva girato la chiave nella serratura, aveva trovato Nejire ad aspettarlo in cucina.
«Scusa per il ritardo. Ho avuto un’emergenza al lavoro», si era giustificato, sfilandosi la giacca.
La ragazza aveva un’espressione tremendamente assopita, i capelli turchini che le ricadevano ribelli sul volto. «Si figuri», l’aveva rassicurato. «Si è addormentata nel suo letto. Ci ha messo un po’ a prendere sonno, era preoccupata perché non la vedeva tornare.»
Shota aveva annuito, comprensivo. Poco dopo si era affrettato a recuperare il portafogli dalla tasca dei pantaloni, consegnando alla ragazza il suo compenso per l'incarico da babysitter – aggiungendo un piccolo extra per le ore di straordinario e il disturbo. Dopodiché era rimasto ad aspettare, osservando Nejire infilarsi la giacca. I due si erano salutati in silenzio, poi la ragazza aveva aperto la porta, richiudendosela attentamente alle spalle una volta uscita.
Non appena se n’era andata, Shouta aveva attraversato in fretta il corridoio fino a raggiungere la cameretta di Eri.
L’unica luce presente nella stanza era l’abat-jour accesa sul comodino, che rischiarava appena l’ambiente con un delicato alone dorato. In effetti, come gli aveva detto Nejire, Eri era nel letto, i capelli azzurri che facevano a malapena capolino da sotto le trapunte pesanti. Il respiro della bambina era calmo e regolare, e sul viso aveva l’espressione beata di chi dorme un sonno profondo.
Shouta si era inginocchiato ai piedi del letto, accarezzando con cura la fronte della bambina, facendo attenzione a non svegliarla: c’erano tante cose di cui si rammaricava, e una di queste era non essere stato lì presente, quella notte, a vegliare su di lei mentre si addormentava.
Era stato consapevole fin da prima dell’adozione che il suo lavoro non avesse dei veri e propri orari e che, dunque, avrebbe dovuto mettere in conto la possibilità di non tornare in tempo la sera per darle la buonanotte, tuttavia la lista delle cose di cui si sentiva in colpa nei confronti di quella bambina si era allungata notevolmente, di recente, e senza troppi dubbi al primo posto svettava il non essere capace di spiegarle che fine avesse fatto Hizashi.
Perché il punto è che non lo sapeva neppure lui, dannazione.
Shouta aveva osservato il sonno sereno di Eri ancora per qualche minuto, per poi decidersi finalmente ad alzarsi e a lasciare la stanza, attraversando il corridoio e giungendo finalmente in camera sua. Una volta lì, però, non era riuscito a prendere sonno: era rimasto tutta la notte con gli occhi spalancati a fissare il soffitto, disteso nel letto, i pensieri in merito all’incidente di Tomie che si accavallavano a quelli sull’improvvisa e inspiegabile sparizione di Hizashi.
Quella mattina ha accompagnato Eri all’asilo come tutti i giorni, la manina della bambina stretta attorno al suo mignolo – ogni volta Shouta resta intenerito a pensare a quanto siano piccole le dita di Eri. L’ha osservata mentre correva ridendo allegra lungo il cortile della scuola per raggiungere i suoi compagni, si è girata solo una volta per rivolgergli il suo solito sorriso gentile e salutarlo con un piccolo cenno della mano a cui Shouta ha ricambiato, poi è tornata subito a voltarsi in avanti, e Aizawa ha tenuto lo sguardo fisso sullo zainetto a forma di ranocchia sulle sue spalle fino a che non l’ha vista sparire tra la folla. Quando è stato certo che fosse entrata, si è voltato, allontanandosi dai cancelli della scuola e avviandosi verso la macchina per andare in commissariato.
Ora che è finalmente arrivato, sta cercando di fare il punto della situazione sui fatti di ieri. Su una grossa lavagna trasparente ha disposto alcune delle foto che i colleghi hanno scattato la notte precedente per i rilievi, e con un pennarello bianco annota alcune informazioni che gli sembrano necessarie. Shouta sente lo sguardo di Tomie, intrappolata in uno scatto mentre era ancora in vita, fisso su di sé che lo osserva e lo giudica, e si sente quasi in soggezione a causa di questo.
Shouta fa dondolare tra le dita il pennarello, mentre con la mente si perde per l’ennesima volta tra i propri pensieri. La verità è che è certo che, se Hizashi fosse lì in quel momento, gli sarebbe tutto subito più chiaro. Prima di essere il suo compagno di vita, Hizashi è stato – e lo è tuttora – suo amico e suo collega. Insieme hanno risolto una marea di casi, solo che da quando è scomparso Shouta sente di non riuscire più a riflettere bene come un tempo. Ha sempre la testa impegnata in mille domande, non riesce a non chiedersi perché, perché se si conoscono da così tanti anni è svanito nel nulla da un giorno all’altro, senza avvisare, senza dirgli niente, senza nemmeno lasciargli un biglietto in cui gli spiegasse i motivi della sua scelta. È una decisione che Shouta non riesce a capire, né conoscendolo si sarebbe mai aspettato qualcosa del genere da Hizashi. Proprio perché lo conosce, però, è certo che ci sia un motivo dietro a quell’assenza improvvisa, per cui il suo primo impulso è stato quello di non cercarlo e di dargli del tempo, certo che avesse preso la decisione migliore per entrambi. Solo che più i giorni scorrono e più la mancanza e il silenzio si fanno soffocanti, e Shouta non riesce a fare a meno di domandarsi se la decisione che ha preso sia davvero quella giusta.
Shouta è così assorto che finisce per non accorgersi neppure che Emi si è avvicinata a lui.
«La ricerca che mi avevi chiesto», lo informa, porgendogli dei fogli. «Va tutto bene?»
Shouta cerca di rimettere in fretta a fuoco la realtà. «Mh? Sì, sì…», commenta, osservando il frutto delle ricerche di Emi. «Ero solo un po’ soprappensiero, niente di che.»
Mentra Shouta ha lo sguardo fisso sui fogli Emi inclina appena la testa di lato, dubbiosa, senza che lui possa vederla. Tuttavia, decide di non insistere, limitandosi ad allontanarsi.
Nel frattempo, Rei fa il suo ingresso all’interno del commissariato. Indossa la stessa lunga giacca color avorio della notte precedente, mentre i capelli candidi sono sistemati in un’acconciatura raffinata.
Enji la segue, osservandola con apprensione. Era certo che quella mattina si sarebbe recata in commissariato, per cui si è limitato ad andarle appresso, così da poter scoprire qualcosa di più sull’incidente nella migliore delle ipotesi.
Mentre Rei passa, tutti gli agenti seduti alle loro scrivanie sollevano lo sguardo dai pc e la salutano, pieni di ammirazione. Enji osserva la scena, non senza una certa dose di fierezza. Nel corso degli anni sua moglie si è distinta come una dei più brillanti magistrati della città. Ora che sta per partire per Kyoto, è certo che anche lì verrà apprezzata il suo valore.
Rei sorride cordiale e ricambia i saluti che le vengono rivolti, mentre continua a camminare con passo delicato ma sicuro, come se avesse già bene in mente la sua meta – ed Enji è certo che sia esattamente così.
Rei svolta a sinistra ed entra così in una grande stanza, dove Enji individua subito Aizawa, fermo davanti a una grossa lavagna trasparente. Shouta rivolge uno sguardo perplesso in direzione della donna.
«Rei, che ci fai da queste parti?», le chiede, e nella voce Enji non rintraccia alcun genere di ostilità, bensì solo una sincera apprensione. «Credevo che fossi impegnata con il trasloco.»
«Sì, ma prima voglio vederci chiaro in questa storia, ci sono diverse cose che non mi tornano», ammette, passandosi una mano tra i capelli con fare casuale. «Allora, ci sono novità?»
Shouta si stringe brevemente nelle spalle. «Sì. Poco fa sono arrivati i tabulati telefonici della vittima», spiega, porgendo a Rei i fogli che ha in mano. «Stavo dando un’occhiata per cercare di capire se potesse emergere qualcosa di interessante…»
Le dita di Rei si serrano con grazia attorno ai fogli. La donna si sistema pensierosa una ciocca di capelli mentre osserva quei dati, accigliandosi un poco non appena con lo sguardo scivola su un dettaglio curioso.
«Qui c’è scritto che il cellulare di Tomie si è agganciato a due celle in particolare ieri, e in entrambi i casi è rimasta in quel punto per diverso tempo», nota, sollevando lo sguardo dai fogli per cercare gli occhi di Aizawa. «Al primo ripetitore è rimasta collegata per circa venti minuti, mentre al secondo quasi un’ora. Siamo riusciti a risalire a quali posti corrispondono?»
«Sì», le rivela Shouta. «Il primo è quello di un centro studi non troppo distante dal luogo dell’incidente, il secondo invece è un’area di sosta a metà strada tra i due posti.»
«Un centro studi?», domanda Enji, perplesso.
Rei riflette, restando per qualche istante a fissare un punto davanti a sé. «Adesso dobbiamo capire perché si trovasse lì», commenta, assorta.

La luce del giorno è insopportabile.
Keigo continua a tirarsi la trapunta sopra la testa, eppure in qualche modo quell’odioso lucore grigiastro riesce a raggiungerlo lo stesso.
Pensava che restare avvolto in quella sorta di bozzolo che ha formato con le coperte gli sarebbe stato d’aiuto in qualche modo, e la sua speranza era quella che anche i suoi pensieri finissero per diventare più ovattati. Ovviamente, non ha funzionato.
Continua a sentire ininterrottamente da ieri sera una sorta di ronzio nella testa, più o meno da quando ha visto il corpo senza vita di sua madre. Gli sembra di aver trascorso le ultime ore immerso in un frullatore, sono successe troppe cose tutte insieme e non gli viene in mente alcun modo per metterle in ordine.
In  casa c’è un silenzio assordante, ma forse è meglio così. Kaina dev’essere uscita presto quella mattina per andare al lavoro, così adesso è finalmente rimasto da solo dopo quelle ore confuse e frenetiche.
Il che è un bene. Può finalmente mettere ordine nella sua testa. Finora c’è stato solo quel vortice senza senso.
La laurea, la festa con Jin e Himiko, lui che torna in camera stremato quando è ormai tardissimo, Kaina che viene a svegliarlo nel cuore della notte per dirgli che Tomie è morta, lui che osserva il cadavere di sua madre disteso su una barella di metallo, Enji che torna nella sua vita. E poi buio, buio, buio.
Keigo strizza con forza le palpebre, cercando di ignorare la fitta di dolore che gli invade la testa. Sembra ricordarsi solo in quel momento che non ingerisce cibo degno di essere definito tale da almeno due giorni – la mattina precedente non è riuscito a fare colazione per l’ansia in vista della seduta di laurea, e dei festeggiamenti con i ragazzi ricorda solo l’alcol. Tanto meglio, si dice, in effetti il suo stomaco non sembra dell’idea di accettare alcun genere di alimento.
Al primo conato si porta una mano alle labbra, credendo di poter riuscire a gestire la cosa. Al secondo, però, è costretto a lanciare in fretta le coperte dalla parte opposta del letto per poter schizzare in bagno.
Non ci vuole molto prima che si ritrovi chinato a terra sulle piastrelle blu del bagno, piegato in due e dolorante mentre vomita. Nemmeno lui sa esattamente cosa stia rimettendo nel water, visto che in effetti non assume cibo solido da quasi quarantotto ore, ben presto tuttavia si rende conto che quasi certamente quella è la reazione del suo corpo allo stress degli eventi delle ultime ore.
Keigo si passa una mano sulla fronte imperlata di sudore. In quel momento si sente così tremendamente patetico, ed è quasi un sollievo in effetti che in casa non ci sia nessun altro a parte lui.
Si rimette in piedi a fatica, tirando lo sciacquone del water e arrancando a stento fino al lavandino. Si sciacqua le labbra con un po’ di acqua fresca, la stessa che poco dopo lascia scorrere anche sui suoi polsi.
Mentre chiude il rubinetto lancia di sfuggita uno sguardo alla propria immagine riflessa nello specchio. Non che avesse bisogno di una conferma per sapere di avere un aspetto orribile: il volto è terribilmente pallido, lo sguardo è segnato da occhiaie violacee e i capelli sono tutti arruffati.
Beh, si è alzato dal letto pochi minuti prima, ha appena vomitato e la notte precedente ha appreso la notizia della morte di sua madre, forse per una volta è perdonato se non è esattamente nel pieno delle sue forze.
Keigo si lascia sfuggire un sospiro stanco, decidendosi finalmente a lasciare il bagno. Si trascina faticosamente di nuovo fino in camera, lasciandosi cadere in maniera sgraziata sul letto, la faccia che affonda nel cuscino mentre cerca in qualche modo di portare ancora la coperta fin sopra i capelli.
Inspira a fondo col naso, l’odore di pulito della federa che gli invade le narici e in qualche modo riesce a calmarlo. Si ritrova a pensare che sarebbe bello, in effetti, se potesse rimanere lì sotto per sempre, al caldo e al sicuro, lontano dalle sue responsabilità.
Keigo chiude gli occhi, mentre sul suo volto compare un’espressione beata. Sta quasi cominciando a pensare che potrebbe persino addormentarsi di nuovo così.
Almeno finché non sente un tonfo sordo provenire dalla cucina.
In cuor suo, Keigo sa già di cosa si tratta, e una parte di lui preferirebbe di gran lunga continuare a restarsene là sotto alle coperte. Questo, però, non risolverebbe in alcun modo le cose, Keigo lo sa bene.
Alla fine, Keigo si lascia sfuggire uno sbuffo spazientito, scalciando le coperte in fondo al letto e tirandosi di nuovo in piedi, uscendo dalla camera e avviandosi infastidito verso il soggiorno.
Una volta giunto lì trova a terra un mucchio di corrispondenza che non sembra essere mai stata aperta. Keigo scuote brevemente la testa, chinandosi a raccogliere la posta – e cercando di ignorare il capogiro che avverte in quel momento.
«Preferivo quando facevi sfarfallare le luci, sai?», commenta, lasciando cadere nuovamente la posta sul tavolo. «E comunque questa era roba di mia madre, non mia.»
Enji, proprio come la notte precedente, resta per un momento immobile a osservare il ragazzo. Lo trova pallido come uno straccio, e le occhiaie sembrano non volerne sapere di sparire dal suo viso. Nonostante tutto, non riesce a non sentirsi tremendamente preoccupato per lui.
«Stai bene?», si decide finalmente a domandargli, e finisce per essere lui stesso il primo a sorprendersi nel modo in cui la sua voce sia suonata incredibilmente soffice. «Hai un aspetto…»
«Orribile? Sì, lo so, ti ringrazio», commenta Keigo, sarcastico. «Temo che sia per via del fatto che ieri ho visto il corpo morto di mia madre davanti agli occhi, sai?»
Enji si morde le labbra, dandosi mentalmente dell’idiota. «A proposito di stanotte, ci tenevo a dirti che mi dispiace sul serio per quello che è successo», ammette, fissando il ragazzo con sguardo colpevole. «Dev’essere difficile per te…»
Keigo si limita a scuotere brevemente la testa. «Alla fine era solo una persona senza vita», taglia corto, lo sguardo che per un momento vaga in direzione della finestra. «Per anni è stata praticamente un’estranea per me, quindi questa non è che l’ennesima occasione in cui la morte finisce per passarmi accanto.»
Enji annuisce brevemente, per poi cercare di mettere in ordine le idee. «Ho bisogno di vedere l’ultimo posto in cui ha vissuto», ammette, cercando di non suonare troppo rude. «Forse lì potrebbe esserci qualcosa di utile.»
«Mh…» Keigo riflette per qualche istante. «Mia madre e Kaina non abitavano più qui insieme da almeno tre anni, ovvero da quando sono andato via insieme a Ryou. Lei, a differenza di Kaina, non aveva accettato la mia decisione e la cosa ha scatenato anche degli attriti tra di loro. La posta continuava ad arrivare qui perché Kaina le aveva permesso di mantenere l’indirizzo, ma da quello che ho capito si era trasferita in un appartamento a Ueno dato che l’affitto era basso. Già, aveva perso anche il lavoro…»
«Ottimo», commenta Enji, mentre individua tra le parole del ragazzo l’informazione che gli serve. «Dobbiamo andare lì.»
«Adesso…?», domanda Keigo, sorpreso.
«No, quando, tra due mesi?», replica Enji, sarcastico.
Keigo sposta nuovamente lo sguardo in direzione della finestra, lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro. «No, è che… questo pomeriggio c’è il funerale di mia madre», ammette, e per un momento la sua voce suona così lontana…
Enji si sente nuovamente uno stupido. Non pensava che, dopo tre anni, tornare a parlare con Keigo sarebbe stato così difficile. E non c’entra nemmeno quanto è successo quella notte sul tetto, è solo che… di colpo, sembra essere diventato tutto complicato.
«Oh…», mormora soltanto, senza riuscire ad aggiungere nient’altro.
Tra i due, quello a tornare in sé più in fretta sembra essere Keigo. Il ragazzo scuote brevemente la testa, dopodiché prova ad accennare un piccolo sorriso. «Però se vuoi posso darti l’indirizzo», propone, conciliante.

Chiamare il posto a Ueno in cui Tomie ha vissuto negli ultimi tempi appartamento è fin troppo cortese, Enji se ne rende conto dal primo momento in cui si ritrova là dentro.
Le dimensioni degli ambienti sono estremamente ridotte. Di base è un bilocale che, oltre al bagno, comprende una stanza in cui Tomie doveva fare un po’ tutto: cucinare, mangiare, fare ricerche, dormire.
Una delle prime impressioni che Enji finisce per avere è che, viste le condizioni in cui Tomie ha lasciato l’appartamento, decisamente non programmava di non farvi ritorno – motivo in più per poter escludere con maggior decisione il suicidio dalle ipotesi investigative. Sui fornelli ci sono ancora le pentole con cui si è preparata forse uno degli ultimi pasti, e sul tavolo alcune stoviglie da lavare.
Sul divano è abbandonata una coperta dall’aspetto pesante, e l’uomo si trova a provare pena al pensiero che, probabilmente, Tomie si era ridotta a dormire su quei cuscini scomodi.
Non ci sono elementi che stonano in modo particolare, nulla che attiri più di tanto l’attenzione di Enji. Sembra tutto incastonarsi, trovare il proprio aspetto nell’impolverato quadro d’insieme: la credenza con il vasellame, le spugne dalla superficie abrasa nell’acquaio, una lattina di birra lasciata aperta e bevuta per metà vicino al piatto coi residui di cibo.
Eccetto che per un piccolo, curioso dettaglio.
Sul tavolo, infatti, Tomie ha lasciato un faldone dall’aspetto voluminoso. Enji vede che ci sono alcuni fogli che sporgono da sotto la copertina di cartone rigido, solo che sono coperti e non riesce a leggere cosa vi sia scritto sopra.
In realtà questo non è un ostacolo che un fantasma non possa superare. Enji si lascia sfuggire un piccolo sospiro, dopodiché non deve far altro che desiderare che il faldone cada a terra e, l’istante successivo, il fascicolo vola verso il suolo, impattando contro le piastrelle bianche del pavimento e aprendosi, alcuni fogli che subito scivolano fuori.
È in quel momento che Enji si accorge che, oltre ai fogli, il faldone contiene anche una miriade di foto.
Non appena si rende conto di cosa immortalano, sul suo volto compare un’espressione terrorizzata.

È strano trovarsi davanti alla tomba di sua madre.
Probabilmente rientra in quel genere di esperienze che devi affrontare, a un certo punto della vita, ma anche se lo sai cerchi comunque di evitare in tutti i modi di pensarci, perché tanto sei convinto che arriverà il più tardi possibile.
Poi una mattina ti svegli, scopri che lei non c’è più e finisci per vivere in questa specie di realtà paradossale.
Keigo sente di star vivendo quelle ultime ore come una sorta di esperienza extracorporea. È come se fosse un’entità estranea, un po’ come Enji, che osserva quelle scene dall’alto, senza riuscire in alcun modo a lasciare un segno tangibile della propria presenza sul mondo che gli scorre intorno.
La giornata non è delle più terse, e in un certo senso a Keigo quello sembra proprio il clima adatto per un funerale. Il vento freddo che gli pizzica le guance, il cielo plumbeo con le nuvole cariche di pioggia, il rumore di tuoni in lontananza che segna l’avvicinarsi di un temporale.
Dopo il funerale il cimitero si è svuotato piuttosto in fretta. Kaina è rimasta con lui più a lungo di chiunque altro, ma alla fine è dovuta tornare al lavoro. Keigo l’ha sentita stringergli la spalla con fare simpatetico, ma non ha provato alcuna sorta di rancore nel vederla allontanarsi: va bene così, era la cosa giusta da fare.
Adesso che Keigo si sente finalmente solo, per un momento gli sembra perfino di riuscire a provare un po’ di pace, cosa che non avrebbe creduto possibile per almeno qualche altro giorno. All’apparenza l’unico a tenergli compagnia è quel vento gelido che continua a soffiare tra le lapidi.
E anche questo va bene così, davvero. Forse è esattamente ciò che gli ci voleva per mettere un po’ di ordine tra i pensieri, una buona volta per tutte.
S’inginocchia a terra, le dita di una mano che affondano nel terreno freddo e umido. Di nuovo, questa gli sembra la cosa giusta da fare in quel momento, come se fosse un ultimo contatto tra lui e sua madre. L’erba gli bagna i jeans, probabilmente li macchierà anche di verde, ma in quel momento non riesce a curarsene.
Chiude gli occhi, inspirando a fondo. In quel momento sente un’altra folata di vento gelido scuotere il suo corpo, e la sensazione che prova è tremendamente intensa.
Si sente vivo come non gli capitava da anni.
Keigo riapre gli occhi di scatto, mentre le dita serrate a pugno tornano a dischiudersi e il terriccio cade nuovamente verso il suolo. Quello è forse il suo modo di dire addio a Tomie. Se c’è da sentire qualcos’altro, Keigo non riesce a percepirlo.
Cerca di rialzarsi in fretta, scrollando via il fango dalla mano e dai jeans inzaccherati. Gli sfugge un piccolo sospiro, poi, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al sepolcro di sua madre, si decide finalmente a voltargli le spalle, avviandosi verso l’uscita del cimitero.
Per tutto il tempo, Keigo continua ad avvertire l’inquietante sensazione di essere osservato, come se due occhi fossero sempre fissi su di lui. Strano, però, gli sembra di non aver visto nessuno aggirarsi da quelle parti.
È un’impressione piuttosto angosciante, per cui Keigo cerca di affrettarsi lungo il tragitto. Abbandona la stradina di terra ed erba che serpeggia tra le lapidi, e solo nel momento in cui avverte nuovamente il familiare scricchiolio dei sassolini che inondano il viale che conduce all’ingresso del cimitero sotto agli scarponcini si sente un po’ più tranquillo. Si lascia sfuggire un sospiro di sollievo, per poi riprendere a camminare, stavolta più lentamente.
È in quel momento che, però, sente arrivare una voce alle sue spalle.
«Keigo!», lo chiama infatti qualcuno – e Keigo non stenta a riconoscerlo, sa già di chi si tratti prima ancora di voltarsi.
Una parte di lui vorrebbe ignorarlo, solo che sa che non può farlo, nel silenzio del cimitero deserto non può fingere di non averlo sentito. Così alla fine si volta, stringendo nervosamente tra le mani la tracolla della borsa che ha portato con sé, mentre rimane tra i due cipressi vicino a cui si è fermato.
Ovviamente non si è sbagliato, e la voce è – in effetti – quella di Touya. Vede il ragazzo affrettarsi mentre cerca di raggiungerlo, una mano che si agita in segno di saluto nella sua direzione e l’accenno di un sorriso sul volto. Nota anche che, all’apparenza, l’altra mano è stretta attorno al collo del maglione di un ragazzo che si sta letteralmente trascinando appresso.
«Touya?», finisce per domandare Keigo. Per quanto abbia riconosciuto la sua voce, infatti, è comunque sorpreso di vederlo da quelle parti.
Quando lo raggiunge, Touya si decide finalmente ad allentare la presa attorno al maglione dell’altro ragazzo – che pare piuttosto sollevato dalla cosa.
Sotto lo sguardo confuso di Keigo, Touya trae alcuni respiri profondi, cercando di riprendersi dopo la breve corsa. «Ehi», esordisce, mentre continua a sorridergli con fare gentile. «Ho saputo dell’incidente e… ci tenevo a farti le condoglianze.»
Keigo espira piano, e Touya non riesce a non notare come i suoi occhi dorati siano stanchi e segnati dalle occhiaie. «Ti ringrazio», mormora soltanto, forse nel tentativo di sminuire il tumulto che sente dentro di sé.
Più guarda Keigo e più Touya si convince che ci sia qualcosa di strano in lui, e i suoi gesti e le parole non riescono proprio a convincerlo del contrario. Ciononostante, si limita comunque a continuare a sorridergli – alla fine ha appena perso sua madre, è normale che sia quantomeno sconvolto.
Touya sembra ricordarsi solo in quel momento di non essere da solo. Scuote la testa, e Keigo nota che sul volto gli compare un’espressione tremendamente buffa. «Oh, già, quasi dimenticavo», ammette, voltandosi verso la persona al suo fianco. «Non so se lo conosci già, ma volevo presentarti Tenko.»
Keigo si acciglia. È certo che quella non sia la prima volta che vede quel ragazzo: i capelli bianchi e gli occhi rossi hanno un’espressione familiare, così come quell’espressione imbronciata che ha in volto mentre tiene le braccia conserte strette al petto. Probabilmente sta cercando di assumere un aspetto infastidito, eppure Keigo finisce quasi per esserne intenerito.
«Piacere», commenta, allungando una mano nella sua direzione. «È una mia impressione o ci siamo già visti da qualche parte?»
Tenko ricambia debolmente la sua stretta. «Piacere…», mormora, osservandolo con fare dubbioso.
«Probabile», valuta Touya, osservando soddisfatto lo scambio tra i due. «Tenko frequentava il nostro stesso liceo. Ci siamo conosciuti ad una festa organizzata da degli amici in comune.»
Keigo annuisce. Sì, in effetti è possibile che possa averlo incrociato qualche volta, mentre camminava lungo i corridoi della sua vecchia scuola. «E immagino che stiate insieme», commenta, lo sguardo che si sposta in fretta dall’uno all’altro.
Touya sembra quasi essere stato colto in contropiede, ma alla fine sorride. Appoggia la testa sulla spalla di Tenko, e l’altro ragazzo gli circonda la vita con un braccio. «Già», ammette. «Da un po’ di tempo viviamo anche insieme. Andiamo entrambi all’università, ingegneria ambientale io, programmazione lui. Quest’anno abbiamo ottenuto tutti e due la borsa di studio, così a breve ci trasferiremo a Praga.»
Mentre ascolta il suo discorso, Keigo si ritrova a riflettere che, nonostante tutto, è felice che Touya sia riuscito ad andare avanti con la sua vita. Vede Tenko strofinare la punta del naso contro il collo dell’altro ragazzo, e pensa che lo solleva sapere che Touya abbia trovato qualcuno che lo ami davvero.
«Sono felice per voi», commenta, stringendo la tracolla della borsa tra le mani. «Ora scusatemi, ma devo proprio andare…»
Keigo riprende ad allontanarsi in fretta, mentre nell’aria risuona di nuovo l’eco di un tuono. Nonostante tutto, non riesce a smettere di sentirsi osservato.

Mentre torna a casa scoppia un acquazzone tremendo.
Nel momento in cui s’infila nel tunnel coperto che conduce al portone d’ingresso del suo palazzo, Keigo non riesce a non farsi sfuggire un sospiro dalle labbra. Si sfila il cappuccio della felpa dal capo, è fradicio dalla testa ai piedi, non vede l’ora di salire in casa e cambiarsi con dei vestiti asciutti.
I suoi passi riecheggiano lungo il tunnel, gli scarponcini umidi di pioggia lasciano una scia d’impronte bagnate al loro passaggio. La verità è che vedere di nuovo Touya gli ha fatto un effetto strano: alla fine è una persona con cui, nel bene e nel male, ha condiviso una parte della sua vita. Rispetto ad alcuni dei ragazzi che ha conosciuto all’istituto, Keigo sa di potersi ritenere fortunato: le poche persone a conoscenza del suo dono – Kaina e Touya – l’hanno accettato e capito.
Almeno finché non ha incontrato Ryou.
Keigo scuote brevemente la testa, affrettandosi verso l’ingresso. È in quel momento che avverte di non essere solo nel tunnel.
«Sono stato a casa di tua madre.» La voce di Enji vibra attraverso le pareti di cemento, Keigo sente che il fantasma si sta avvicinando rapidamente a lui – e non gli sembra affatto tranquillo. «Sul tavolo c’era un fascicolo.»
«Ah, sì? Ma non mi dire», commenta Keigo con fare disinteressato, infilando le mani nelle tasche della giacca. Affretta il passo, ha un sospetto su ciò che Enji possa aver scoperto e non ha alcuna voglia di parlarne.
«Un fascicolo che conteneva delle foto», insiste Enji, e Keigo riflette che sono poche le volte in cui l’ha sentito così furioso prima d’ora – Enji è irascibile e collerico, sì, ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Nella rabbia la voce rimane bassa, e questo lo rende più temibile. «Delle foto in cui eri sottoposto a delle scariche di elettroshock.»
Stavolta Keigo si ferma. Si trova nei pressi di una delle finestre circolari che offre una vista sul cortile sottostante. Piuttosto che ricambiare lo sguardo di Enji – sa perfettamente che non riuscirebbe a sostenerlo, in quel momento – resta a osservare l’acero che viene funestato dalla pioggia.
In realtà Enji è preoccupato. Lo è da quando ha notato le occhiaie violacee sul volto pallido di Keigo, la notte dell’incidente, e lo è ancora di più adesso che ha visto quelle foto. Vorrebbe solo capire, perché ciò che si è trovato davanti lo ha spaventato a morte, e sa che di sicuro c’è una spiegazione, deve esserci…
«Chi è stato a farti del male?», domanda, e la sua voce suona dolce, tremendamente in apprensione.
Keigo, però, non risponde. Serra la mano attorno alla tracolla della borsa e contrae la mascella, mentre lo sguardo fisso sul cortile s’incupisce.
Quel silenzio, però, è fin troppo eloquente per Enji. Sente una rabbia più accecante salirgli in petto, e stavolta fa fatica a trattenersi. «È stato Ryou?», gli chiede ancora, il tono della voce che s’alza di intensità.
Le sue parole riescono finalmente a scatenare una reazione in Keigo, solo che non è affatto quella che Enji si aspettava. Il ragazzo infatti si volta verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. «E se anche fosse?», domanda sprezzante. «E comunque non ho fatto nulla contro la mia volontà.»
Enji non sembra per nulla rassicurato dalle sue parole. «Keigo, questa non è una cosa qualunque. È una roba seria, e pericolosa», cerca di farlo ragionare, cautamente. «Perché l’hai fatto?»
«Guarda che l’ha fatto con tutti noi», replica Keigo, con fare sardonico. «E comunque ha detto che ci avrebbe aiutato a capire l’origine dei nostri poteri.»
Enji serra con decisione le braccia al petto. «Ah, quindi per te è normale lasciarsi usare come delle cavie da laboratorio?», commenta, seccato.
Keigo si stringe nelle spalle. «Io non sapevo niente dei miei poteri, e pensavo che trattenerti qui mi avrebbe aiutato a capire…», si giustifica, lo sguardo che torna a fuggire oltre il vetro.
«Beh, non mi pare che sia servito a molto», taglia corto Enji, il tono della voce che torna a indurirsi. «Per colpa del tuo gesto egoista mi hai condannato a restare nel mondo dei vivi senza darmi la possibilità di andarmene… ogni giorno vedo la mia famiglia andare avanti senza di me, senza che io possa in qualche modo comunicare con loro…»
«Pensi di essere l’unico a sentirsi solo?» Keigo si volta nuovamente nella sua direzione, e stavolta urla anche lui, la voce che trema e alcune lacrime che per un momento minacciano di cadergli giù dagli occhi. «Come pensi che mi senta io, che vedo un fantasma e non posso parlarne con nessuno per paura del loro giudizio? Almeno dopo che Ryou mi ha portato all’istituto ho conosciuto persone come me, persone che possiedono un dono e possono capire come mi sento. Himiko percepisce le presenze, non può vederle come me ma almeno sa se un fantasma si trova nella sua stessa stanza. Jin ha un’empatia fuori dall’ordinario, sente in maniera nitida lo stato d’animo di chiunque lo circondi. A volte penso che tutto ciò di cui avessi bisogno fosse esattamente questo, ovvero qualcuno in grado di capirmi
Stavolta è Enji a distogliere lo sguardo. La verità è che no, non ha mai preso in considerazione i sentimenti di Keigo in merito a tutta quella storia, e non ha pensato che potesse sentirsi solo quanto lui.
Quando solleva nuovamente lo sguardo, si accorge che Keigo è tornato a fissare in cortile. Il ragazzo ha un’espressione tristissima sul volto, ed Enji non riesce a fare a meno di sentirsi mortificato.
«Rei ha scoperto che il giorno dell’incidente il cellulare di Tomie si è agganciato alla cella telefonica dell’istituto», gli confessa, quasi in un tentativo di farsi perdonare.
Keigo torna a voltarsi verso di lui, e stavolta sembra sinceramente sorpreso. «Io non l’ho vista lì», ammette, ed Enji intuisce dalla sua espressione smarrita e confusa che stia cercando un dettaglio, un singolo appiglio della memoria che possa aiutarlo a rintracciare la presenza di sua madre pochi giorni prima in quel luogo.
«Se Tomie era effettivamente venuta a conoscenza degli esperimenti di Ryou, è probabile che sia venuta fin lì per affrontarlo», commenta Enji, cercando di rimettere insieme i pezzi.
«Pensi che sia stato Ryou…?», domanda Keigo. Enji nota che il ragazzo ha lo sguardo vacuo, e per un momento teme che sia sul punto di svenire.
«Keigo, cos’hai? Ti senti male?», gli chiede subito, in apprensione.
Il ragazzo afferra la soglia in cemento accanto a sé per cercare stabilità. «No, è che… non posso credere di aver buttato tutto questo tempo… non può avermi ingannato per tre anni…», mormora, sconvolto.

L’aria di maggio era calda e soffocante.
L’ultimo pensiero di Keigo, in quei giorni, era lo studio. Eppure, tra Touya e sua madre, il mondo sembrava essersi messo d’accordo pur di spingergli a forza la testa sui libri in vista degli esami di fine anno.
Anche quel pomeriggio, come tutti gli altri negli ultimi tempi, erano entrati all’Owl mentre il sole cocente era ancora alto nel cielo. Keigo aveva ansimato, cercando disperatamente la frescura del condizionatore acceso nel locale.
«Dio, Touya, devi smetterla di costringermi ogni giorno a fare questa traversata infernale», si era lamentato, lasciandosi cadere sulla sedia di uno dei tavolini. «Prima o poi mi ritroverai sciolto sull’asfalto.»
Il suo compagno di studi l’aveva ignorato, posando lo zaino sul tavolino e, dopo averlo aperto, cominciando a estrarre vari libri e quaderni. «Se questa è una delle tue scuse per non studiare sappi che non funzionerà, Keigo», l’aveva ammonito, inflessibile.
A Keigo era sfuggito un lungo lamento, mentre aveva lasciato cadere la testa pesantemente sul tavolo. Tomie, nel frattempo, si era avvicinata a loro, posando sul tavolino del cibo e alcune bevande. «Ah, Touya, è una fortuna che ci sia tu», aveva commentato, sorridendo riconoscente al ragazzo. «Se non fosse per te mio figlio non avrebbe speranze con gli esami finali.»
«Non essere così dura, Tomie», si era sminuito il ragazzo. «In realtà Keigo va piuttosto bene a scuola, ma con matematica la storia è diversa…»
Matematica. Solo sentire quella parola aveva fatto sfuggire a Keigo un altro gemito di protesta. Il ragazzo aveva sollevato la testa – quanto bastava per incontrare con lo sguardo i suoi dolci preferiti, i danesi alla crema. Subito i suoi occhi si erano illuminati, e una mano era scattata in avanti per afferrarne in fretta uno. Se l’era portato alle labbra, prendendone avidamente un morso e lasciandosi invadere dal suo sapore delizioso appena era finito in bocca.
Tomie aveva lasciato una spinta contro la spalla di Keigo, incurante dei mugolii deliziati di suo figlio o delle deboli proteste che, era certa, adesso avrebbe provato a sollevare. «Ingordo», l’aveva rimproverato, osservandolo con biasimo. «Comunque vedi di dare retta a Touya e studiate per questi benedetti esami. Se t’impegni puoi raggiungere un buon risultato, lo sai.»
Tomie aveva rivolto un ultimo sguardo riconoscente in direzione di Touya, per poi affrettarsi a tornare dietro al bancone.
Keigo, dal canto suo, si era appoggiato allo schienale della sedia con aria imbronciata, sbocconcellando il suo dolce e ignorando le briciole che gli cadevano sulla salopette di jeans e sulla t-shirt. Non sopportava l’idea che Touya e sua madre avessero stretto quella tacita alleanza che, ai suoi occhi, appariva soltanto come un modo per metterlo ancora di più in difficoltà. Aveva posato il dolce sul piattino, afferrando il bicchiere di succo all’ace – anche quello era il suo preferito, dannazione – e prendendone un piccolo sorso mentre osservava Touya in cagnesco.
Il ragazzo, come al solito, non sembrava affatto infastidito dalle sue occhiatacce, anzi piuttosto a giudicare dal sorriso sul suo volto si stava divertendo parecchio. Touya aveva scosso brevemente il capo, per poi cominciare a sfogliare il libro alla ricerca degli esercizi che aveva intenzione di proporre a Keigo quel giorno.
«Dai, muoviti, apri il quaderno», lo aveva esortato, recuperando una penna dall’astuccio.
Keigo si era lasciato sfuggire nuovamente un lungo sospiro, ma alla fine aveva assecondato Touya, sollevando la copertina rossa del suo quaderno. Probabilmente quella non era affatto una scena nuova per la clientela del locale.
Keigo l’aveva notato fin dal primo momento in cui era entrato. Anche quel giorno il cliente abituale dell’Owl era lì.
Passava l’intero pomeriggio seduto a uno dei tavolini, leggendo il quotidiano del giorno e sorseggiando caffè amarissimo. Keigo era rimasto subito affascinato da quel tipo, e ormai l’aveva osservato così tante volte da essere certo di conoscere ogni dettaglio di lui: gli occhiali dalla sottile montatura nera che metteva solo per leggere, il fatto che fosse sempre vestito in maniera impeccabile, le dita affusolate che giravano con lentezza ogni singola pagina, il modo elegante in cui si portava la tazzina di caffè alle labbra. C’era qualcosa di magnetico, in quell’uomo dagli occhi rossi e i corti capelli bianchi, al punto che ogni volta Keigo rimaneva incantato a osservarlo per un tempo indefinibile.
Keigo aveva lanciato un’ultima occhiata furtiva al cliente, per poi abbassare di nuovo lo sguardo sul quaderno e trascrivere l’esercizio che Touya gli stava dettando.

Come se non bastasse, oltre allo studio per gli esami in quel periodo si era aggiunto anche l’impegno con il locale.
Gli faceva piacere aiutare sua madre con l’Owl, questo andava detto. Servire cappuccini e tramezzini era decisamente più avvincente che destreggiarsi con le equazioni di secondo grado, almeno per lui.
Quella sera aveva visto Tomie particolarmente stanca, così le aveva proposto di occuparsi lui della chiusura del locale. Lei, nel frattempo, sarebbe potuta andare a casa a riposarsi, e Keigo le aveva assicurato che la cosa non gli pesasse.
Ora che stava abbassando la saracinesca del locale, però, qualche dubbio aveva cominciato a tormentare la sua mente. Forse accettare di restare lì fino a tardi non era stata esattamente una mossa brillante, soprattutto visto che anche quel pomeriggio aveva studiato con Touya e la mattina successiva lo attendeva una giornata di lezioni – e a seguire le ennesime ripetizioni supplementari, già. Ultimamente, in effetti, la sua vita si stava rivelando più stressante del previsto.
In ogni caso, anche quella sera era finita. Adesso non doveva far altro che tornare a casa e ficcarsi sotto le coperte. Al resto ci avrebbe pensato domattina, si era detto.
Quando si era voltato, però, si era ritrovato a sobbalzare. Credeva di essere da solo, e soprattutto non si aspettava che il cliente abituale lo stesse aspettando là fuori – sbagliava o era andato via ore prima?
«Ryou! Mi hai fatto prendere un colpo…», aveva ammesso, portandosi una mano al petto.
L’uomo aveva sorriso. Keigo aveva scoperto il suo nome quando, un pomeriggio, era stato lui a servirgli il solito caffè amaro. La conversazione tra loro era nata in maniera assolutamente spontanea, e a dir la verità Keigo era stato felice di parlare con lui. Ryou non era soltanto una persona interessante da osservare. Anche le sue parole, il modo in cui esprimeva un’opinione o argomentava un discorso, era a dir poco affascinante.
«Perdonami, Keigo, non era mia intenzione spaventarti», aveva confessato, staccandosi col corpo dalla barriera in ferro a cui s’era appoggiato. «In realtà ti stavo aspettando.»
«Aspettavi me? A quest’ora? Perché?», aveva domandato Keigo, confuso.
Ryou si era avvicinato a lui, carezzandogli una guancia con la mano. «Ti andrebbe di venire in un posto insieme a me? Dovrei parlarti di una questione importante…», aveva mormorato, fissandolo intensamente negli occhi.
Keigo aveva sentito il suo volto avvampare di colpo.
Non aveva la più pallida idea del perché avesse accettato. Eppure gli aveva detto di sì, senza battere ciglio.
Probabilmente era per via del magnetismo che quell’uomo emanava. Keigo iniziava a sospettare che, se gliel’avesse chiesto, si sarebbe buttato da una scogliera per lui.
Ryou aveva una berlina sportiva estremamente veloce. Keigo aveva serrato nervosamente le dita attorno alla cintura di sicurezza, terrorizzato mentre la vettura continuava a sfrecciare tra impervi tornanti di montagna.
A un certo punto si erano fermati proprio in prossimità di una curva. Ryou aveva spento il motore ed era sceso dall’auto, e Keigo, dopo un momento d’esitazione, si era limitato a seguirlo.
Da lassù Tokyo appariva in tutto il suo splendore. La città era costellata da una miriade di piccole luci, e a osservare quel panorama dall’alto sembrava che fosse tutto così microscopico, i palazzi, la gente, le preoccupazioni…
«Wow», aveva mormorato Keigo, estasiato. «È bellissimo…»
«Sono felice che ti piaccia», aveva commentato Ryou, avvicinandosi a lui. «In realtà venivo spesso in questo posto con mio fratello.»
Keigo si era voltato verso di lui, sorpreso. «Non sapevo che avessi un fratello…», aveva ammesso, accigliandosi.
Ryou aveva sorriso osservando l’espressione dubbiosa del ragazzo. «È morto tanto tempo fa, ormai», gli aveva confessato, la voce che sembrava essere diventata distante come quella di chi accarezza un vecchio ricordo. «A volte però vorrei che fosse ancora qui…»
Keigo lo aveva osservato con fare guardingo. «A che ti riferisci?», gli aveva domandato, con circospezione.
Ryou aveva continuato a sorridere in direzione di Keigo. «Quando è morto, io… ho visto il suo fantasma», aveva ammesso, quasi sentendosi sollevato nell’averlo detto ad alta voce.
Keigo aveva scosso la testa con decisione. Sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi. Non sapeva come, ma evidentemente doveva essersi sparsa in giro la voce che lui e Tomie potevano vedere i morti, o perlomeno era arrivata alle orecchie sbagliate. Ci mancava solo che la gente cominciasse ad avvicinarsi a lui e a sua madre per trattarli come dei fenomeni da baraccone. Si era avviato nuovamente verso l’auto, ma senza alcuna intenzione di salirvi. «Senti, grazie per la passeggiata, questo posto era davvero bello. Adesso scusami ma devo tornare a casa, non disturbarti a riaccompagnarmi, vado a piedi…», aveva bofonchiato, prendendo a camminare lungo una vecchia stradina polverosa e piena di ciottoli.
«Aspetta, Keigo! È la verità!» Ryou gli era corso appresso, afferrandolo piano per il polso. «È vero, mi sono messo sulle tue tracce e su quelle di tua madre perché ho scoperto che possedete questo dono, ma desideravo trovarvi proprio perché anche io sono come voi! Posso anche parlare con loro, ma riesco a farlo solo se non hanno già attraversato la porta dell’inferno!»
Alla menzione della porta dell’inferno, Keigo si era deciso finalmente a fermarsi. Nessuno, a parte lui e Tomie, era a conoscenza di quella storia. Pertanto, se Ryou gliene aveva parlato, probabilmente la sua storia era vera.
Keigo si era girato con aria dubbiosa in direzione dell’uomo. «Per cui… tuo fratello è rimasto?», aveva domandato, cercando di scoprire cautamente qualcosa di più.
«No», aveva ammesso Ryou, scuotendo brevemente la testa. «L’ho visto con i miei occhi attraversare la porta dell’inferno. Però… non siamo soli, Keigo. Ho scoperto che esiste un posto, qui in Giappone, in cui sono accolte tutte le persone che come noi possiedono un dono. Se tu lo desiderassi, io potrei portarti lì…»
Un posto in cui si trovavano delle persone come lui? Qualcuno che fosse finalmente in grado di capirlo? A Keigo tutto ciò sembrava un sogno. Da quando Enji era piombato nella sua vita, aveva scoperto di essere in grado di fare cose di cui non si sarebbe mai creduto capace. Solo che non sapeva perché ci riuscisse. L’idea di scoprirlo, in effetti, suonava così incredibilmente allettante, nelle sue orecchie…
Keigo aveva scosso brevemente il capo. «Ho bisogno di rifletterci», aveva concluso, lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro. «Adesso puoi riaccompagnarmi a casa, per favore?»
«Certamente», aveva concesso Ryou, in tono benevolo.
L’uomo aveva porto una mano nella sua direzione. Keigo si era limitato ad afferrarla, e Ryou l’aveva condotto verso la macchina.

«Cosa…? No! Perché?!»
«Non posso lasciarti andare, Enji… non finché non avrò capito perché siamo legati.»
«Lasciami andare, Keigo! Lasciami andare!»
Keigo era rimasto lì, in cima a quel tetto e sotto al diluvio, anche dopo che Enji se n’era andato. Aveva osservato attonito il punto in cui lo aveva visto svanire, ancora incredulo per ciò che era riuscito a fare.
Lo aveva trattenuto. Gli aveva impedito di attraversare la porta dell’inferno. Non sapeva neppure di essere in grado di fare una cosa del genere.
Ora che era rimasto lì da solo, non aveva idea di che cosa fare. Si era limitato a lasciare quel palazzo, per poi cominciare a vagare senza meta.
O almeno, all’apparenza vagava senza meta. In realtà, la sua mente sapeva esattamente dove stesse andando.
Aveva attraversato tutta Tokyo a piedi, fino a quando non era giunto nei pressi di una villa lussuosa. Una volta lì, aveva superato in fretta i cancelli all’ingresso, per poi percorrere il viale che conduceva al portone.
Dopo aver sentito il suono del campanello, Ryou era andato quasi subito ad aprire. Quando aveva spalancato la porta d’ingresso, si era ritrovato Keigo fermo lì sulla soglia, fradicio di pioggia dalla testa ai piedi e col volto segnato dalle lacrime.
«Keigo! Cos’è successo?», gli aveva domandato subito, in apprensione.
«L’ho trattenuto… non so come ho fatto… io…», aveva biascicato, confuso.
Prima che Ryou potesse provare a chiedergli qualcos’altro per cercare di capire, Keigo si era spinto in avanti. Aveva afferrato il volto di Ryou con entrambe le mani, posando un bacio dal sapore disperato sulle sue labbra.
In un primo momento, Ryou era rimasto completamente spiazzato. Ben presto, però, aveva fatto scorrere una mano tra i capelli bagnati di Keigo, attirandolo maggiormente a sé e approfondendo il bacio mentre chiudeva la porta.
Keigo aveva abbassato le palpebre, abbandonandosi completamente al tocco delle mani di Ryou. Aveva sentito l’uomo sollevarlo da terra afferrandolo per i fianchi, e si era ritrovato a mugugnare quando si era accorto che l’aveva spinto contro una parete per baciarlo.
La verità era che aveva trattenuto Enji perché lo amava. Se gli avesse lasciato attraversare la porta, avrebbe perso tutti i ricordi che lo legavano a lui.
E Keigo non poteva permetterlo.
«Ti prego, portami con te», aveva ansimato, mentre le labbra di Ryou erano scese a baciargli il collo. «Quel posto di cui mi hai parlato, quello per quelli come noi… ti prego, portami lì…»
Ryou aveva sollevato lo sguardo su di lui, osservandolo benevolo mentre Keigo gli circondava il collo con le braccia. «Certamente, tesoro…», gli aveva assicurato, con dolcezza.
A Keigo era venuto da sorridere. Poco dopo aveva lasciato che Ryou tornasse a baciarlo, posando le labbra sulle sue.

È una lezione particolarmente noiosa.
Jin si è rifugiato in ultima fila, così che nessuno si accorga se schiaccia un pisolino. Ha le braccia incrociate sopra il banco e ci ha nascosto in mezzo la testa, e pensa che quella sarà un’altra giornata tranquillissima.
Almeno finché non sente una borsa venire poggiata pesantemente sul banco e qualcuno sedersi accanto a lui.
Jin solleva lo sguardo di scatto, spaventato. Non appena i suoi occhi incontrano la figura di Keigo, non può che essere sorpreso.
«Keigo? Che ci fai qui?», bisbiglia, per non farsi notare dalla professoressa che sta andando avanti con la sua lezione. «Credevo che saresti rimasto a Tokyo ancora per qualche giorno…»
Keigo scuote brevemente la testa. «Non potevo. C’erano troppi ricordi lì, la situazione si stava facendo insostenibile…», commenta, lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro. «Comunque, hai visto Ryou in giro? Ho bisogno di parlargli di una cosa importante.»
Jin non sembra particolarmente sorpreso da quella domanda, forse perché – come altri studenti – è a conoscenza della loro relazione. «No», ammette, scrollando le spalle. «Da quel che ne so io ha preso un permesso per qualche giorno…»

La porta si chiude cautamente alle sue spalle, i vetri che tintinnano lievemente.
Enji posta lo sguardo in ansia su Keigo, non pensava che ci avrebbe messo così poco. «Allora?», domanda, trepidante.
«Non c’è.» Keigo scrolla brevemente il capo, per poi cominciare a passeggiare sotto il portico d’ingresso dell’istituto. «Da quello che si dice in giro è sparito già da qualche giorno.»
Enji sembra seccato. In effetti è stato uno sciocco, avrebbe dovuto prevedere una mossa del genere da parte di Ryou. «Dovevamo aspettarcelo. Dopo aver ricevuto la notizia di Tomie avrà atteso il momento giusto per tagliare la corda», commenta, rassegnato. «Comunque, adesso che si fa?»
Keigo si volta nella sua direzione, rivolgendogli uno sguardo furbo. «Come che si fa? Entriamo nel suo studio senza farci vedere e cerchiamo di scoprire qualcosa, no?», replica, mentre sul volto gli compare un sorriso complice. «Mi sa che sei un po’ arrugginito, Enji.»

Più facile a dirsi che a farsi.
Lo studio di Ryou si trova nel bel mezzo dell’istituto. Lungo i corridoi è un continuo viavai di studenti e insegnanti, tutti diretti verso l’aula della loro prossima lezione.
Keigo stringe nervosamente tra le dita la tracolla della sua borsa, spostando il capo di lato ogni volta che qualcuno passa nelle vicinanze. La speranza è che nessuno lo noti, o che quantomeno nessuno lo trovi troppo sospetto.
«È qui?» Enji lo fissa tenendo le braccia incrociate al petto, impaziente.
«Sì.» Keigo estrae il cellulare dalla tasca della giacca, avvicinandoselo all’orecchio – fingere di essere impegnato in una conversazione telefonica è l’idea migliore che gli è venuta in mente nella speranza di passare inosservato. «Mi raccomando, cerca di fare in fretta…»
Enji si lascia sfuggire un piccolo grugnito, ma alla fine si decide a oltrepassare la porta dello studio di Ryou.
La prima cosa che nota è che è tutto maniacalmente in ordine: sulla scrivania ci sono solo pochi fogli, tutti impilati in maniera impeccabile. Nella libreria non c’è nemmeno un volume fuori posto, e i cuscini del divano sembrano essere stati rassettati da poco. Se deve trovare qualche elemento interessante, però, non gli sembra di rintracciare lì nessun elemento che rispetti quel criterio.
Enji sbuffa, infilando nervosamente le mani nelle tasche della giacca. La verità è che non gli piace quel posto, non gli piace quella situazione, non gli piace un bel niente. Non ha mai sopportato Ryou, con quell’aspetto da perfetto damerino, gli abiti di alta sartoria, le camicie coi colletti inamidati e la colonia costosa sempre addosso. Lui è sempre stato un tipo più schietto, più diretto, anche per via del suo lavoro.
E comunque, adesso che sa cosa ha fatto a Keigo quel tipo gli piace ancora meno.
Lo sguardo infastidito di Enji continua a saettare da una parte all’altra dello studio senza esito. «Qui non c’è un bel niente», decreta, lanciando una breve occhiata verso la porta.
«Controlla sullo schedario», gli suggerisce Keigo. La cosa assurda è che, anche se non ce l’ha davanti, Enji riesce a immaginarlo perfettamente: lo sguardo evasivo, l’espressione agitata. Per quanto possa negarlo, Enji sa bene quanto certe cose lo mettano a disagio. «Lì dovrebbero esserci delle chiavi.»
Enji sposta lo sguardo alla sua sinistra. In effetti, accanto alla finestra da cui entra luce in abbondanza c’è un vecchio schedario di metallo. Ci si avvicina con delle ampie falcate, scrutandolo con attenzione.
Sopra, come gli ha anticipato Keigo, ci sono effettivamente diversi mazzi di chiavi, contenuti in quello che sembra un piatto di terracotta. «Okay, le ho trovate», annuncia, ma senza essere troppo convinto.
«Cercane una in particolare», continua Keigo – e di nuovo, a Enji sembra di averlo lì davanti a sé per la maniera accurata in cui lo vede nella sua mente, gli occhi che saettano freneticamente da una parte all’altra del corridoio, il modo ansioso in cui finge di mormorare al telefono. «Ha un portachiavi fatto con un cordoncino rosso intrecciato.»
Enji corruga la fronte. Lì ci sono parecchi tipi di chiavi differenti, eppure, per quanto si affanni nella ricerca, non gli sembra di riuscire a rintracciare niente che rispecchi ciò che Keigo gli ha descritto. «Non la vedo», annuncia infine, arrendendosi.
«Merda.» Keigo impreca tra i denti. «È la chiave della sua macchina. Se manca vuol dire che l’ha presa e adesso è chissà dove…»
Enji attraversa nuovamente la porta dello studio di Ryou, tornando finalmente a poter osservare Keigo. Forse non si è neppure accorto che è di nuovo in corridoio con lui, perché al momento ha il capo voltato di lato e osserva un punto nel vuoto fuori dalla finestra. Ha un’aria corrucciata, ed Enji lo nota sistemarsi una ciocca di capelli dorati dietro l’orecchio – il gesto che fa sempre quando ha bisogno di riflettere.
«Certo che ne sai di cose su Ryou», valuta Enji, infilando nuovamente le mani nelle tasche. «Voi due siete diventati parecchio intimi…»
Keigo si gira nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso scaltro. «Vuoi sapere se ci sono andato a letto?», gli chiede a bruciapelo, osservandolo con fare malizioso.
Per un momento, Keigo resta a osservare deliziato l’espressione di totale imbarazzo che si dipinge sul volto di Enji.
Poco dopo, però, torna a fissare il corridoio davanti a sé, l’espressione sul suo viso che si fa nuovamente seria. «Ad ogni modo, la risposta è sì», ammette, senza un’inflessione particolare nella voce. «Abbiamo una relazione, da un anno a questa parte.»
Enji sembra piuttosto infastidito dalla cosa. «Ah, beh. Sesso ed elettroshock. Avvincente», commenta, seccato.
Keigo si volta nuovamente verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. «L’ho baciato per la prima volta poco dopo che sei scomparso. Immagino tu sappia perché», conclude, ed Enji non riesce a non percepire una sorta di fastidio nella sua voce.
Enji socchiude le labbra. Vorrebbe aggiungere qualcosa, ma Keigo l’ha lasciato come al solito a corto di parole.
Poco dopo, prima ancora che possa provare a fermarlo, Keigo scatta in avanti, lasciandoselo alle spalle.

«So dove Ryou tiene di solito la macchina. Seguimi.»
Keigo non aggiunge altro durante il tragitto. Enji continua a riflettere, chiedendosi cos’abbia detto di così sbagliato e se ci sia un modo per cercare di rimediare, tuttavia non riesce a darsi una risposta.
Si sono infilati in una fitta boscaglia, ed Enji osserva Keigo procedere a passo sicuro davanti a sé, come se conoscesse perfettamente quei sentieri che serpeggiano tra i faggi. In particolare c’è una piccola stradina di terra umida, quella che stanno seguendo, che sembra pendere leggermente verso il basso.
Enji nota che sono arrivati davanti a un vecchio cancello di legno. Keigo gli dà una piccola spinta, e quello si spalanca subito.
Le fronde degli alberi sono così basse che a Enji sembra che cerchino di sfiorare il volto di Keigo, di ghermirgli la giacca. Alla loro sinistra c’è un piccolo lago, su cui si riflette timidamente il panorama della zona circostante.
È quasi completamente buio quando arrivano lì dove dovrebbe esserci la rimessa dell’auto di Ryou. Un vento freddo spira tra i rami e fa danzare alcune foglie a terra, mentre se alza lo sguardo verso il cielo a Enji sembra di intravedere una pallida luna.
C’è un vecchio capanno di legno, all’apparenza abbandonato e mai ultimato. Effettivamente là sotto c’è abbastanza posto per una macchina.
Solo che, prevedibilmente, l’auto di Ryou non è lì.
«Non c’è», commenta Keigo, piuttosto deluso. «A quest’ora potrebbe essere ovunque, magari ha perfino lasciato il paese…»
«Non credo. Guarda i segni degli pneumatici a terra», gli fa notare Enji. «Queste tracce sono fresche. Significa che non deve essere andato via da qui da molto.»
Keigo si acciglia, pensieroso. «D’accordo, ma anche se fosse come facciamo a trovarlo?», domanda, portandosi una mano al mento per riflettere – in quel gesto che ormai per Enji è così tipico di Keigo. «Non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere…»
Enji segue solo in parte il discorso di Keigo. Le parole del ragazzo cominciano lentamente a scemare, nel momento in cui si accorge di star avendo una nuova visione.
All’inizio gli sembra che sia esattamente la stessa che ha avuto la notte della morte di Tomie. Vede di nuovo il volto spaventato di Keigo, e poco dopo il ragazzo precipita nel vuoto.
Stavolta, però, c’è un dettaglio in più.
Dopo la scena in cui Keigo cade all’indietro, Enji vede se stesso. Ha a sua volta un’espressione terrorizzata, e sembra guardare in direzione del punto oltre cui Keigo è volato verso il basso.
Cosa significa? Ha visto chi ha buttato giù il ragazzo? Sarà lui a fargli del male?
Poco dopo è la voce di Keigo a riportarlo alla realtà. «Enji, che succede…? Va tutto bene?», lo chiama piano, con cautela.
«Eh?» Enji scuote appena il capo, cercando di ridestarsi. Torna lentamente a mettere a fuoco ciò che lo circonda, il bosco, la rimessa, Keigo. Il ragazzo lo osserva attentamente, ha un’espressione preoccupata in volto.
Enji si lascia sfuggire un sospiro, scrollando le spalle. «Sì, tutto a posto. Ci sono», gli assicura, muovendo un poco le mani nelle tasche della giacca per restare concentrato. «Probabilmente è diretto verso Tokyo. Lì c’è pur sempre casa sua, e finché la polizia non lo indaga formalmente è un buon posto in cui rifugiarsi. Senza contare che è più facile nascondersi in una metropoli, finisci per confonderti in mezzo ai suoi abitanti, e poi c’è pur sempre la possibilità che abbia ancora qualcuno che possa aiutarlo, lì.»
Keigo annuisce, quel ragionamento sembra aver convinto anche lui. Enji nota che pare aver già dimenticato il suo momento d’assenza, e non può che sentirsene sollevato.

«La macchina di tua madre è volata giù da un burrone in circostanze da chiarire. A casa sua c’era un faldone con le prove degli esperimenti che Ryou svolge sugli studenti dell’istituto. Poco prima dell’incidente, il cellulare di Tomie si è agganciato alla cella telefonica del centro studi, il che vuol dire che si trovava lì. Ryou è misteriosamente sparito, nessuno sa dove sia. Noi stiamo tornando a Tokyo per cominciare a cercarlo da lì.»
Mentre parla, Enji continua a tenere lo sguardo fisso sullo specchio. Sente che Keigo lo osserva, e non si perde nemmeno mezzo secondo del suo discorso.
Il ragazzo si sciacqua in fretta i denti. Pulisce lo spazzolino, dopodiché lo ripone nuovamente all’interno dello zaino, assieme al dentifricio.
Keigo si volta in direzione di Enji, mettendosi di nuovo lo zaino in spalla. «Beh, è pur sempre un punto di partenza», commenta, speranzoso. «Okay, adesso faremo meglio a tornare a bordo del bus. L’ultima cosa che voglio è restare bloccato in un’area di servizio del cavolo nel bel mezzo del nulla.»
Keigo si sistema il cappuccio della felpa sul capo, per poi decidersi finalmente a salire di nuovo le scale. Attraversa ancora una volta gli scaffali pieni di cibarie, ma li supera senza esitazioni, dirigendosi spedito verso la porta. Una volta uscito, il vento freddo della notte torna a colpirgli il volto, e in quel momento a Keigo viene da sorridere, mentre si sente vivo come non gli capitava da tempo.
Una volta tornato a bordo del bus, occupa nuovamente un posto in fondo al veicolo, senza togliersi il cappuccio dalla testa – tutte precauzioni, per come la vede lui: loro sono partiti alla ricerca di Ryou, ma per quel che ne sanno potrebbe essere benissimo l’uomo a braccarli.
Quando l’autobus riparte, Keigo prova a schiacciare un pisolino, e mentre dorme affonda la faccia nello zaino che tiene stretto a sé, usandolo come cuscino.
Enji non riesce a fare a meno di osservarlo. Mentre dorme Keigo ha un’aria adorabile, e sul suo volto si è formato l’accenno di un sorriso.
L’autostrada scorre pigramente intorno a loro, la luce dei lampioni che piano piano lascia posto all’alba. Nella mente di Enji si affaccia il ricordo di quella visione: il pensiero di poter fare del male al ragazzo lo tormenta, eppure non riesce a capire come questo possa essere possibile. È rimasto lì perché desidera proteggerlo, dopotutto.
Eppure, non gli ha ancora parlato di ciò che ha visto. Continua a pensare che per ora sia meglio così, Keigo ha già troppe preoccupazioni, è inutile dargliene delle altre prima che non sia chiaro per primo a lui il significato della visione.
Enji allunga istintivamente una mano, carezzando il volto di Keigo. L’autobus procede lento e i passeggeri sono tutti profondamente addormentati, ma se anche qualcuno si fosse voltato ciò che avrebbe visto sarebbe stato un soffio di vento che faceva ondulare i capelli dorati del ragazzo.


fantasmajpg



note
allora, prima di tutto tre cose che mi sono dimenticata di dire nelle note del capitolo scorso.
1. il nome di ryou. perché si chiama così? risposta: non lo so. basically era un nome che mi suonava bene horikoshi mannaggia a te diccelo ogni tanto come si chiamano i pg
2. perché i capelli di tomie sono verde menta se nell'anime si vede che hanno lo stesso colore di quelli di keigo? perché quando ho iniziato a scrivere la long quell'episodio non era ancora andato in onda e mi sono basata unicamente sulle vibes che mi davano i disegni del manga. avrei potuto correggere a posteriori ma alla fine ho preferito lasciare così.
3. l'interazione tra enji e keigo nel primo capitolo. probabilmente sarà sembrata super ooc, soprattutto considerando il rapporto che c'è canonicamente tra i personaggi, però giuro che ha senso! andando avanti con la storia diventerà tutto più chiaro, promesso.
bene, chiarite queste cose possiamo andare avanti. in realtà sul capitolo in sé non ho molto da dire, se non che come avevo annunciato nelle note dello scorso aggiornamento questo è decisameeente più lungo 10k parole tipo? rip. forse c'è una parte che può lasciare un po' confusi, ovvero quella con il cambio repentino di tempo verbale: è voluto, perché trattandosi di ricordi avevo biogno di creare un distacco che facesse capire che erano fatti antecedenti a quelli della storia in sé. è un espediente che ho usato anche più avanti nella ff, spero che non sia troppo disorientante! owo
ah, non so se avete notato ma l'ultima scena di questo capitolo si ricollega ovviamente alla prima di quello precedente. sì, in effetti è una sorta di un enorme flashback considerando che all'interno ci sono degli altri flashback, possiamo definire questi ultimi metaflashback...?
ad ogni modo, per questo capitolo è tutto. spero che la storia vi stia piacendo!
aria   
   
 
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