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Autore: _ A r i a    02/11/2023    0 recensioni
[ ghost!au ]
Enji attraversa nuovamente la porta dello studio di Ryou, tornando finalmente a poter osservare Keigo. Forse non si è neppure accorto che è di nuovo in corridoio con lui, perché al momento ha il capo voltato di lato e osserva un punto nel vuoto fuori dalla finestra. Ha un'aria corrucciata, ed Enji lo nota sistemarsi una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio – il gesto che fa sempre quando ha bisogno di riflettere.
«Certo che ne sai di cose su Ryou», valuta Enji, infilando nuovamente le mani nelle tasche. «Voi due siete diventati parecchio intimi...»
Keigo si gira nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso scaltro. «Vuoi sapere se ci sono andato a letto?», gli chiede a bruciapelo, osservandolo con fare malizioso.
Per un momento, Keigo resta a osservare deliziato l'espressione di totale imbarazzo che si dipinge sul volto di Enji.
Poco dopo, però, torna a fissare il corridoio davanti a sé, l'espressione sul suo viso che si fa nuovamente seria. «Ad ogni modo, la risposta è sì», ammette, senza un'inflessione particolare nella voce. «Abbiamo una relazione, da un anno a questa parte.»
Enji sembra piuttosto infastidito dalla cosa. «Ah, beh. Sesso ed elettroshock. Avvincente», commenta, seccato.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, Rei Todoroki, Shōta Aizawa
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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(im)possibile

Il bus diretto a Tokyo si è fermato per una pausa in un’area di sosta lungo l’autostrada. L’autista ha comunicato che sarebbero rimasti lì per un’ora e poi sarebbero dovuti ripartire.
Keigo è sgusciato fuori dal suo posto solitario in fondo all’autobus ed è entrato nella stazione di servizio senza togliersi il cappuccio da sopra il capo. Ha notato alcuni dei – pochi – passeggeri che condividono il viaggio con lui aggirarsi tra le corsie di dolciumi e power bank per cercare di rendere le ore d’attesa meno gravose ma si è limitato a ignorarli, scendendo invece in fretta le scale che portano ai bagni.
«Aspettami nell’area comune. Vedo di sbrigarmi», commenta senza voltarsi. Un secondo dopo è già scattato in avanti.
Ha lasciato l’istituto in fretta e furia e non ha avuto nemmeno il tempo di darsi una sistemata. Si butta sotto un getto d’acqua calda per una doccia rapida, lava i capelli e poi si cambia alla svelta. Mette una t-shirt sotto alla felpa pulita, ma almeno non sono i maglioni pesanti in cui ormai da mesi si avvolge tra le nevi ghiacciate. Si passa il getto caldo del phon tra i capelli dorati e umidi – sono in disordine come sempre, ma almeno adesso rispetto a prima sembrano un po’ meno un disastro – e infila alla rinfusa i vestiti che si è tolto nello zaino, unico baluardo che è riuscito a recuperare prima di lasciarsi alle spalle gli ultimi tre anni di vita. Tira un sospiro leggero, ma alla fine si decide a tornare verso l’area comune.
La porta dei bagni sbatte alle sue spalle, ma Keigo cerca di non farci caso. Si ferma davanti ai lavandini, posa lo zaino accanto a sé e ne approfitta per guardarsi un momento allo specchio.
Come aveva ipotizzato, ha un aspetto orrendo. Avvicina per un momento una mano al volto, tracciando con le dita il segno violaceo delle occhiaie. I capelli continuano a essere nelle solite pessime condizioni.
Keigo si lascia sfuggire un nuovo sospiro sconsolato. Questa non è la vita che ha condotto fino a settantadue ore prima. Gli sembra di essere tornato indietro di tre anni, e la cosa gli lascia addosso un miscuglio eterogeneo di emozioni: rabbia, paura, felicità.
Per la verità, se adesso qualcuno gli chiedesse come si sente, probabilmente non saprebbe cosa rispondere.
Keigo scuote brevemente la testa, abbassando lo sguardo. Si sciacqua in fretta la faccia con l’acqua gelata, per poi aprire una tasca esterna e tirare fuori spazzolino e dentifricio; dopo aver armeggiato un po’ col tubetto, quando solleva di nuovo il capo, vede che il suo riflesso è comparso nello specchio.
«Ci ho messo tanto?», s’informa, mentre un sorriso beffardo gli compare sul volto. Ha paura, perché dopo tanto tempo gli sembra di provare nuovamente quel sentimento che gli fa battere il cuore in petto veloce come le ali di un colibrì.
«Meno della metà del tempo disponibile», gli comunica, con quella voce che in un istante riempie il bagno e la sua testa – e, oh, come gli era mancata quella sensazione.
Keigo annuisce brevemente.
«Okay. Ricapitoliamo», conclude, prima di infilarsi lo spazzolino in bocca.

Il tempo può scorrere in maniera insopportabilmente lenta quando sei un fantasma.
Enji, ormai, l’ha capito da tempo. Negli ultimi tre anni si è limitato a vegliare con attenzione e costanza sulla sua famiglia. Ha visto i ragazzi crescere, Rei riprendersi lentamente la sua vita e, adesso, ciascuno di loro è ormai pronto ad andare avanti. Da giorni la vecchia casa di Tokyo è invasa da scatoloni in vista dell’imminente trasferimento di Rei a Kyoto. Ha ottenuto un incarico prestigioso, e più Enji la osserva più si convince che non veda l’ora di cominciare a lavorare in quella nuova città.
Anche Natsuo e Fuyumi ora lavorano. Loro resteranno a Tokyo, dove hanno delle carriere già brillantemente avviate.
Infine c’è Shoto, che ha cominciato l’università e sembra aver trovato finalmente la sua strada. Ora che Enji è condannato a quella tortura eterna, in cui è pronto per andare avanti ma non gli è concesso farlo perché qualcuno l’ha trattenuto lì, osservare la sua famiglia è tutto ciò che può ancora permettersi. Inutile dire che sia immensamente fiero di ciascuno di loro.
A Tokyo è una mattina mite di gennaio, nel cielo terso si staglia un sole che rende l’aria tiepida e piacevole. Rei è uscita per una passeggiata in direzione del porto e Shoto è in università, ma quella mattina Enji ha seguito i passi di Fuyumi.
Sua figlia è una maestra in una piccola scuola elementare della capitale. Approfittando del bel tempo, quella mattina ha deciso di accompagnare i suoi alunni nel giardino della scuola per passare lì la ricreazione. Fuyumi osserva con attenzione ciascuno di loro, ed Enji nota che come sempre i suoi occhi sono pieni di dolcezza.
Una bambina col cappottino rosa corre a passo spedito nella sua direzione. «Maestra! Maestra!», la chiama a gran voce, tirandole un lembo della giacca quando finalmente la raggiunge. «Guarda! Momo mi ha strappato via la sciarpa!»
Fuyumi si china subito per essere alla stessa altezza della bambina, rivolgendole il più dolce dei suoi sorrisi. «Davvero? Fammi vedere…», le propone, rassettandole la giacca e posandole nuovamente il cappello di lana in testa, coprendo i corti capelli castani raccolti in due codini ai lati del capo.
La bambina sembra subito rassicurata dai gesti di Fuyumi, al punto da sorriderle felice. La scena è così tenera che, per un momento, anche sul volto di Enji compare un sorriso mentre si limita a osservare, restando a qualche metro di distanza.
Almeno finché non sente una voce giungere alle sue spalle.
«Sapevo che ti avrei trovato qui…»
Enji non ha bisogno di voltarsi per sapere di chi si tratta. Trattiene a stento un ringhio tra i denti, per poi cominciare ad allontanarsi con delle grandi falcate.
L’altra persona, però, non sembra affatto intenzionata a lasciarlo andare. «Vieni sempre a passare le tue giornate qui, non è vero?», gli domanda, seguendolo.
Enji infila nervosamente le mani in tasca. «Che diavolo vuoi, Tomie?», sbotta, voltandosi solo in quel momento in direzione della donna.
Sono passati tre anni, ma Tomie non sembra essere cambiata affatto. Stessi capelli color menta acida, stesso aspetto allampanato, stesso sguardo perso, lontano. Non c’è da sorprendersi che sia una delle poche persone in grado di vedere Enji anche se ormai non fa più parte del mondo dei vivi.
Tomie si stringe nel giaccone pesante che indossa, come se le fosse venuto un brivido di freddo improvviso. «Ho avuto una visione», confessa, lo sguardo che saetta nervoso dall’asfalto del marciapiede alla strada davanti a sé. «Si tratta di Keigo–»
Enji si arresta di colpo, fulminando la donna con lo sguardo. «Per me Keigo è morto tre anni fa», taglia corto, sprezzante.
Tomie sembra in difficoltà sotto quello sguardo solo per mezzo secondo. Sobbalza appena sul posto, ma l’istante successivo si già rimessa alle calcagna di Enji. «Sono preoccupata», insiste, tenace. «Da quando Ryou l’ha portato in quell’istituto tre anni fa non mi ha più rivolto la parola. Ho scoperto delle cose, su quel posto… temo che Keigo possa essere in pericolo, e tu sei l’unico a cui dà ascolto…»
«Allora non hai capito», ringhia Enji, voltandosi nuovamente verso la donna. «Ti ricordo che se sono bloccato qui è solo merito di tuo figlio. Adesso perdonami, Tomie, ma ho l’eternità da buttare tra momenti in cui osservo la vita delle persone a me care senza poter interferire ed altri in cui il tempo scorre ma non so nemmeno come.»
L’istante successivo Enji è già svanito, lasciando Tomie attonita sul marciapiede.

Lo scroscio di applausi nel momento in cui termina di discutere la sua tesi gli infonde l’emozione più forte che abbia provato negli ultimi tre anni.
Keigo osserva con un sorriso raggiante il suo uditorio. Seduti in prima fila ci sono Kaina, Jin e Himiko, che applaudono ed esultano. Sembrano incredibilmente fieri di lui.
E, forse, per una volta in vita sua anche Keigo si sente fiero di sé. Sente di aver messo tutto se stesso in quella tesi, e che non avrebbe potuto scegliere un argomento diverso. Forse era anche il momento giusto, come per piantare un paletto nel percorso della sua vita e dire “ecco, sei passato da qui, adesso devi solo andare avanti”.
Ha terminato i suoi studi alla facoltà di Parapsicologia con una dissertazione che ha come fulcro la presenza di entità sovrannaturali nella vita comune e la loro capacità di influenzare l’esistenza di chi può percepirli. Ovviamente, c’è molto di autobiografico nelle sue parole: non vede Enji da tre anni, ma non ha dimenticato come per lui sia stato in grado di calarsi su un balcone dal piano di sopra, delle innumerevoli volte in cui si è cacciato nei guai, qualcuno ha minacciato di fargli del male o ha rischiato di morire. Sa solo che, in quei momenti, non gli importava di nulla, avrebbe fatto di tutto per lui e, forse, le cose non andrebbero in maniera molto diversa se dovesse incontrarlo di nuovo adesso. Questo, però, è impossibile, Keigo ormai lo sa bene: dopo che lo ha trattenuto contro la sua volontà, Enji l’ha abbandonato su quella terrazza e non l’ha cercato più. Keigo non stenta a dubitare che, ovviamente, Enji continuerà volentieri a evitarlo.
La voce di Ryou lo riporta alla realtà. Keigo sposta i suoi grandi e luminosi occhi dorati su di lui nel momento in cui lo sente alzarsi dalla sedia.
«La commissione ha deciso di assegnare al candidato la votazione di centodieci con lode», comunica, con la solita voce pacata e imperturbabile.
Dall’uditorio si solleva una nuova acclamazione. Jin e Himiko si scambiano uno sguardo sorpreso, per poi voltarsi nuovamente verso Keigo e applaudire ancora.
«Questa era l’ultima discussione per oggi. Adesso, se volete, potete accomodarvi nella stanza qua accanto, dove è stato preparato un piccolo rinfresco», conclude la voce di Ryou.
Keigo lo avverte a malapena. In quel momento, sente il cuore incredibilmente leggero. Vedere i suoi amici così felici per lui applaudirlo in prima fila fa scintillare ancora di più i suoi occhi. Il ragazzo sorride, pieno d’entusiasmo, mentre sente una mano serrarsi attorno al suo braccio.
È Ryou, ovviamente. Si è dileguato in fretta dal gruppo dei suoi colleghi e, adesso, è lì accanto a lui come sempre. «Complimenti. Sei stato bravissimo», gli mormora all’orecchio, prima di scivolare al suo fianco e immergersi nella folla che quel giorno colma l’aula.
Keigo sente il cuore frullare veloce nel petto. Ormai conosce Ryou da anni, eppure quando si trova vicino a lui si sente ancora come se lo incontrasse per la prima volta.
Finalmente Keigo si decide a scendere dal podio. Là sotto trova ad aspettarlo i suoi amici.
Prima che possa accorgersene, Himiko gli posa in testa una corona d’alloro.
«Grande, Keigo! Finalmente ce l’hai fatta anche tu!», esulta Jin, saltellandogli attorno.
Keigo si lascia sfuggire una risatina leggera, le dita che accarezzano le foglie d’alloro. «Ah, grazie, ragazzi», mormora, strizzando gli occhi per la gioia.
«Beh, non credere che sia finita qui», gli fa notare Himiko, abbracciandolo da dietro. «Adesso bisogna festeggiare.»

È una mattina come tante altre per Touya.
Ci sono ancora i piatti della sera prima da lavare nell’acquaio. E quelli della colazione. E di due giorni fa.
Sapeva che andare a vivere da solo avrebbe portato delle responsabilità, tuttavia non ha tenuto conto della propria pigrizia.
Ecco perché ora sono le sei di mattina, tra due ore inizierà la prima lezione di giornata dell’università e lui non ha nemmeno una tazza pulita per il caffè. Beh, quel noioso giorno d’inverno ha proprio deciso di partire in salita.
Almeno finché poco dopo due braccia gli cingono la vita.
Istintivamente Touya permette all’altra persona di aiutarlo a voltarsi, e lascia che poco dopo gli posi un bacio leggero sulle labbra.
Touya sorride, passando una mano tra i capelli arruffati dell’altro. «Già sveglio?», domanda, sorpreso.
«Non credere che non mi avrebbe fatto piacere dormire ancora un po’. Diciamo… per tre giorni di fila», ammette Tenko, senza allontanare il volto da quello di Touya. «Sfortunatamente però stamattina ho lezione anch’io.»
Touya scuote la testa. «Tks, quest’università… prima o poi finirà per ucciderci», commenta ironico, lasciando che Tenko appoggi la testa sulla sua spalla.
Convivere non sarà esattamente la cosa più facile del mondo, valuta tra sé Touya, ma almeno è felice di poter condividere quell’esperienza con Tenko.

Shouta è sveglio da due ore ma tornerebbe già volentieri a dormire.
Sia chiaro, non che non provi gratitudine per il proprio lavoro o altro. Tra i propri meriti e, ahimé, le defezioni di altri colleghi, adesso a occuparsi di quel commissariato è lui.
Quando entra in ufficio ha già un caffè da asporto – bello lungo e denso – in mano, ritirato al bar prima di recarsi lì. Senza di quello, cominciare la giornata sarebbe davvero difficile.
Vede Kan sbucare da una porta laterale e avvicinarsi a lui con veloci falcate e vorrebbe diventare invisibile all’istante. Oh, no, pensa, osservando la pila di fogli tra le mani del collega, non scartoffie di prima mattina.
«Buongiorno, commissario Aizawa», lo saluta, con la solita voce bassa ma energica. «Ho giusto qui alcuni verbali da controllare per lei–»
«Ottimo, me li puoi lasciare sulla scrivania», taglia corto Shouta. L’ultima cosa di cui desidera occuparsi al momento sono degli inutili e noiosissimi verbali.
Una volta entrato nel suo ufficio, Shouta si siede alla scrivania. Aspetta che Kan sia uscito, chiudendo la porta alle proprie spalle con fin troppa forza, per poi estrarre finalmente il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
La chat con Hizashi è silenziosa da almeno un mese, il che è ridicolo. Non conosce persona più chiassosa e loquace del proprio partner, per cui quella scomparsa improvvisa lo insospettisce e non poco.
Sono giorni che pensa a cosa sarebbe meglio fare. Ogni volta pensa per ore a quale sarebbe il messaggio giusto da inviare, riflette, sta lì, compone, salvo poi finire ogni volta per cancellarlo.
Ci prova anche quella mattina, come sempre d’altronde. Ciao, Hizashi, come stai? Ti andrebbe di vederci?
Shouta resta a fissare le lettere sullo schermo per un tempo indefinibile, almeno fino a quando smette anche quel giorno di essere convinto di ciò che ha scritto. Ti andrebbe di vederci? Che razza di domanda è? A che titolo gliela potrebbe porre? Perché sono andati a letto insieme un paio di volte? Perché fino a pochi mesi prima era certo che stessero per intraprendere una relazione?
Come se cambiasse qualcosa, poi. Hizashi è sparito da mesi, loro due non hanno più avuto alcun genere di contatto e, si dice Shouta, forse era esattamente questo ciò che desiderava Hizashi. Sparire dalla circolazione e, di conseguenza, anche dalla sua vita.
Per cui, se davvero il desiderio di Hizashi è quello di sparire, allora perché mai dovrebbe ostinarsi a cercarlo?
Shouta scuote la testa, cancella il messaggio e lascia cadere con pesantezza il telefono sulla scrivania. Sconfortato, recupera uno dei verbali e comincia a leggerlo.

Quando sei un fantasma, il tempo scorre in maniera sorprendentemente buffa, come se si divertisse a farsi beffa di te.
Un attimo prima sei nella casa che per anni hai condiviso con tua moglie e la osservi mentre si aggira tra pile di scatoloni. Le stanze sono ormai vuote, tutti i mobili sono già stati trasferiti a Kyoto tranne un paio di pezzi essenziali – il frigorifero, il materasso.
Un attimo dopo ti trovi nel bel mezzo di una strada buia e deserta, probabilmente in un posto dimenticato dal resto del mondo. È una strada tortuosa, all’apparenza anche piuttosto malridotta, come se nessuno sia più passato di lì da anni.
Deve trovarsi in prossimità della montagna, perché quello che lo circonda è senza dubbio un bosco, e sia a terra che tra le fronde degli abeti persiste ancora della neve.
Enji non ha la più pallida idea del perché si sia ritrovato lì, almeno finché non vede l’auto andare fuori strada.
L’impatto è così violento da stroncare il guardrail a protezione della curva, mentre il veicolo finisce giù per una scarpinata.
Enji osserva attonito per alcuni momenti il punto in cui ha visto l’auto svanire nelle tenebre della notte, come se non riuscisse a realizzare ciò che è appena accaduto.
Poi, finalmente, si decide ad avvicinarsi. Nelle sue condizioni deve solo desiderare di farlo, e l’istante successivo si trova diversi metri più in basso rispetto al suo precedente punto d’osservazione. Lì la boscaglia sembra far posto a una piccola radura, l’erba alta e smeraldina ha accolto il veicolo, che ora giace capovolto e ammaccato, il tettino sul terreno e le ruote rivolte verso il cielo.
La macchina sembra abbandonata lì con la stessa casualità di una cartaccia, il motore ancora rovente. Enji si avvicina, tra finestrini frantumati ridotti ormai a schegge di vetro che si sono amalgamate col terriccio, e osserva la persona seduta al posto di guida.
Finisce per inorridire nel momento in cui si rende conto di sapere esattamente di chi si tratta. In effetti, ci ha parlato per l’ultima volta a malapena dodici ore prima.
«Tomie?», domanda, incredulo, osservando il sangue che cola dalla ferita alla testa della donna.
Enji solleva solo per un attimo il capo, ma tanto gli basta per accorgersi che Tomie è lì.
In piedi, con le scarpe che affondano nell’erba umida.
Impossibile, è la prima cosa che riesce a pensare. L’ho appena vista lì, dentro l’auto…
Poi capisce.
Una luce calda e avvolgente inizia a brillare, poco distante da loro. Enji la conosce bene, sono diverse le volte in cui in passato gli è apparsa davanti, eppure finora non l’ha mai attraversata. L’ultima volta l’ha quasi fatto, non aveva davvero più alcun motivo per restare, eppure Keigo l’ha trattenuto contro il suo volere, costringendolo a quell’eterno vagare in cui è ancora intrappolato.
Tomie procede senza esitazioni verso quella luce – ed Enji la capisce, sa quanto il desiderio di attraversarla possa essere totalizzante.
«Tomie? Tomie, riesci a sentirmi? Riesci a vedermi?», prova a chiamarla Enji, ancora una volta, tuttavia la donna non sembra riuscire a percepirlo in alcun modo.
Tomie è ormai arrivata in prossimità della luce, quando succede qualcosa di strano.
Una visione. Enji ne ha avute altre in passato, quella in cui ha visto Rei venire minacciata e quella in cui, invece, a essere in pericolo era Shoto.
Adesso, però, le cose vanno in maniera diversa.
Enji vede chiaramente il volto terrorizzato di Keigo. L’istante successivo, il ragazzo cade all’indietro, nel vuoto.
Enji percepisce qualcosa di strano, come una sorta di brivido che gli corre lungo la schiena – il che è assurdo, visto che è un fantasma e non può più avvertire sensazioni umane come quella. Cerca, tuttavia, di ridestarsi in fretta.
«Che significa, Tomie? Hai detto che Keigo è in pericolo, di cosa si tratta?», la chiama ancora Enji, disperato. «Aiutami a salvarlo! Tomie! Tomie!»
A nulla servono i tentativi di Enji di attirare l’attenzione della donna. Poco dopo Tomie passa dall’altra parte, senza che lui possa impedirglielo in alcun modo.
La luce si spegne con un ultimo, accecante bagliore finale. Perfino Enji è costretto a chiudere gli occhi. Quando li riapre, Tomie è svanita nel nulla, lasciandolo da solo nel bel mezzo di una radura buia.

È da poco passata mezzanotte quando la porta della camera di Keigo viene aperta lentamente.
Kaina ha chiesto alla signora della portineria un paio di chiavi di riserva non appena ha ricevuto la notizia con una telefonata da parte della polizia.
Keigo è sepolto nel letto con la testa sotto alla trapunta pesante, sembra essere profondamente addormentato. Ha lasciato la luce dell’abat-jour sul comodino accesa, e quel lume fioco rischiara appena la stanza.
Kaina si avvicina con prudenza al letto, sedendosi piano su di esso. Sente lo sguardo della signora che le ha dato le chiavi fisso su di sé, e per quanto la infastidisca e gradirebbe volentieri mandarla a quel paese si costringe a trattenersi per il momento, perché, si dice, ora come ora ha questioni ben più importanti di cui occuparsi.
Posa una mano sulla spalla di Keigo, cercando di non essere troppo brutale mentre lo scuote. Dorme così bene che svegliarlo è quasi un peccato, tuttavia sa che non può fare altrimenti.
«Keigo, avanti, svegliati», lo esorta, paziente.
Per tutta risposta, Keigo si lascia sfuggire un lungo mugolio. È disteso su un fianco, ma dopo che Kaina ha insistito per un po’ finisce per mettersi supino sul materasso.
«Mhh. Che c’è?», chiede, la voce impastata di sonno.
Kaina lo fissa, lo sguardo colmo d’apprensione. «Si tratta di Tomie. Ha avuto un incidente», gli comunica, con voce gentile.
«Un incidente?», domanda ancora Keigo, perplesso, mentre si stropiccia le palpebre con le mani.
«Keigo… Tomie è morta», gli rivela Kaina, senza riuscire a non sentire un peso enorme gravarle sul petto.
Gli occhi dorati di Keigo si aprono incerti sul mondo. Non si sente esattamente nelle proprie condizioni di salute migliori, tuttavia si costringe a mettersi seduto sul letto. Poggia la schiena contro la testiera, gli occhi ancora socchiusi. Sente la testa girare in maniera vorticosa, tuttavia si dice che non è il momento di curarsi di questo.
«Come sarebbe a dire che è morta?», chiede, ma la verità è che quella frase non suona affatto come una domanda. È piatta, impassibile, quasi indifferente. Forse non è neppure sorpreso che sua madre sia morta. Ha passato tutta l’infanzia e l’adolescenza a crederla morta, in più non la sentiva più da letteralmente tre anni. Si erano riavvicinati quando gli aveva confessato di poter parlare a sua volta coi morti, ma prima di allora era stata un’estranea e, da quando Ryou l’ha portato in Hokkaido, era tornata a esserlo. Senza contare che, ormai, ha perso il conto di tutte le volte in cui la morte è venuta a trovarlo, gli è passata accanto senza sfiorarlo ma portandogli via sempre qualcosa di caro. Questa, in fondo, non è che una delle tante. Alla fine, piuttosto che essere sconvolto, Keigo ci è quasi abituato.
Kaina posa di nuovo una mano sulla spalla del ragazzo. Non sa bene come interpretare il silenzio di Keigo, ma immagina che stia cercando di metabolizzare la notizia.
«Te la senti di andare sul luogo dell’incidente?», gli propone la donna, cercando di essere il più delicata possibile.

«Grazie per il passaggio», mormora Rei, stringendo piano tra le mani la propria cintura di sicurezza.
«Figurati.» Shouta tiene lo sguardo dritto sulla strada davanti a sé. «Quando è arrivata la notizia in commissariato ho pensato subito a te. Ero certo che ti interessasse saperlo.»
«È così», ammette Rei, prima di spostare il capo di lato. I suoi occhi si perdono oltre il finestrino, cercando di seguire il paesaggio che si rincorre man mano che procedono lungo quella vecchia strada tortuosa: boscaglia a non finire, oltre ad alcuni cumuli di neve al suolo.
Ha conosciuto quella persona tre anni prima, in occasione delle indagini sulla morte di Enji. Quando Aizawa si è presentato a casa sua, poco dopo la mezzanotte, per informarla di quanto accaduto, Rei gli ha chiesto spontaneamente di poterlo accompagnare sul luogo dell’incidente. Così eccoli lì adesso, nell’abitacolo di un'auto che viaggia veloce nel cuore della notte, tra le tenebre e la neve, i fari che rischiarano appena la strada.
Il viaggio prosegue lasciando i due immersi in un silenzio denso, quasi soffocante. Rei non ha bisogno di chiederglielo, sa già che Shouta – esattamente come lei – è tornato con la mente ai giorni dell’indagine, e forse anche prima, a quel passato ormai andato perduto per sempre. Sarebbe bello se le cose potessero tornare come un tempo, tuttavia Rei ormai sa fin troppo bene che ciò non potrà mai accadere.
Una volta arrivati, Shouta si decide finalmente a rallentare cautamente. Sul posto ci sono già diversi mezzi di soccorso – un’ambulanza, due vetture della polizia – ma, per quello che Rei ha potuto capire, lì non c’è nessuno che abbia veramente bisogno del loro aiuto.
L’auto si ferma, e da essa escono fuori Shouta e Rei.
«Rei?» La voce sorpresa di Enji si perde nel vento, senza che nessuno riesca a udirla.
Sua moglie è davvero l’ultima persona che si aspettava di vedere lì, in quel posto desolato. Indossa un cappotto pesante color avorio, e cerca di tenere più stretto possibile il colletto attorno alla gola, per ripararsi dalle temperature gelide della notte. Lo sguardo vaga cautamente tra i vari elementi della scena, e osservando la sua bellezza delicata a Enji sembra di vedere di nuovo la ragazza che aveva conosciuto anni prima.
Gli occhi di Rei si posano quasi subito sul guardrail divelto. «È là sotto?», s’informa, inclinando appena il volto di lato.
Shouta accende una torcia, sporgendosi oltre il baratro su cui si trovano. «Già», conferma, accigliato. «Certo che ha fatto proprio un bel volo…»
«Come pensi che sia andata?», gli chiede Rei, stringendosi le braccia attorno al corpo.
Shouta spegne la torcia, avvicinandosi nuovamente a lei. «Aveva bevuto troppo? Suicidio? È presto per dirlo», commenta, scrollando appena le spalle.
«Che idiozia», bofonchia Enji. «Non c’è nulla di chiaro nella dinamica di questo incidente.»
Rei scuote la testa con decisione. «Suicidio? E che motivo avrebbe avuto?», gli fa notare, pragmatica. «In più guarda i segni di frenata a terra. Non cercheresti di fermarti se stai provando a buttarti giù da un burrone.»
«Bravissima, Rei», mormora ancora Enji, come se la donna potesse sentirlo.
Shouta si gratta la base del collo, a disagio. «Un animale le ha attraversato la strada e ha cercato di evitarlo? Ci aveva ripensato?», ipotizza, sebbene sembra che stia più che altro brancolando nel buio. «Probabilmente con un paio di controlli ne sapremo qualcosa in più…»
Le parole di Aizawa, tuttavia, finiscono per restare sospese a mezz’aria. Lo sguardo di Rei, Shouta ed Enji si sposta infatti ben presto sulle tre persone che stanno raggiungendo a piedi il luogo dell’incidente.
C’è una ragazza bionda che Enji non ha mai visto prima di allora. Le altre due persone, invece, le riconosce senza troppi sforzi: una di loro è Kaina, la coda di capelli rosa e blu che dondola sopra il capo mentre il corpo è avvolto in un pesante giaccone nero.
E poi c’è lui.
Keigo.
Sono passati tre anni dall’ultima volta in cui Enji l’ha visto. Dopo quella notte in cima al palazzo, in cui il ragazzo l’ha trattenuto sulla terra contro la sua volontà, impedendogli di attraversare la luce, Enji non l’ha più cercato, troppo in collera con lui.
Eppure, ora che se lo ritrova davanti, non può fare a meno di restare a osservarlo.
I capelli dorati e perennemente in disordine sono sempre gli stessi, tuttavia c’è qualcosa di diverso in quel ragazzo – Enji non riesce a comprendere di che cosa si tratti, e questo lo fa innervosire terribilmente. Forse sono le occhiaie violacee sul suo volto, che cozzano in maniera tremenda con la pelle pallida, oppure è quell’aspetto emaciato, che Enji è sicuro non abbia mai avuto. Ha perso qualche chilo, e le guance sembrano un po’ più scavate.
Sembra quasi navigare nella giacca di jeans nera che indossa – quella con l’imbottitura bianca, la stessa di sempre. Tra le mani stringe nervosamente la tracolla di una borsa che ha portato con sé, ma a catturare l’attenzione di Enji, come sempre, sono i suoi occhi.
Gli occhi dorati e splendenti di Keigo, ora sbarrati.
Chi lo osserva dall’esterno probabilmente lo scambia senza troppa cura per un ragazzo terrorizzato che ha appena ricevuto la notizia della morte di sua madre e che ora fissa il vuoto, sconvolto. Enji, tuttavia, sa bene che lo sguardo di Keigo non è per nulla perso.
Sta fissando lui.
«Keigo–», prova a chiamarlo Enji, cauto.
Per tutta risposta, riceve uno sguardo carico d’ira. Se Enji avesse ancora sangue a scorrergli nelle vene, probabilmente adesso lo sentirebbe gelare.
«Keigo», lo chiama stavolta la voce dolce e gentile di Rei, e l’espressione del ragazzo sembra farsi appena meno dura.
«Dov’è?», domanda il ragazzo a bruciapelo, senza smettere di fissare sconvolto Enji nemmeno per un secondo. «Voglio vederla.»
Aizawa esita per un momento, probabilmente sta valutando se lasciargli vedere il cadavere di Tomie in quel momento sia la cosa migliore da fare o meno. Alla fine, però, sembra decidersi per la prima.
«Vieni», concede infine, facendogli strada.
Per tutti i vari rilievi del caso, la polizia ha approntato in fretta un sentiero che scende lungo il burrone fino alla piccola radura sottostante. Shouta accende nuovamente la torcia, andando avanti per primo. Keigo si limita a seguirlo, ma non sembra neppure star facendo caso a dove mette i piedi. È un miracolo che riesca ad arrivare in fondo alla discesa senza inciampare.
Quando mettono finalmente piede nella radura, proseguire diventa più facile. Keigo cammina a passo di marcia, l’erba e il fango che gli inzaccherano gli scarponcini.
Il cadavere è già stato estratto dalla carcassa dell’auto – o perlomeno da ciò che ne rimane. Si trova su una barella di metallo, all’interno di un sacco bianco. Aizawa ci si avvicina, e aspetta che Keigo, Kaina e la ragazza bionda che è con loro lo raggiungano prima di abbassare la zip e svelare il corpo senza vita.
È senza dubbio Ukai Tomie. La pelle diafana ora ha quasi un colore grigiastro, e le palpebre sono abbassate sopra gli occhi – come se stesse dormendo –, tuttavia i capelli color menta sono troppo particolari per non renderla riconoscibile.
Kaina si lascia sfuggire un singhiozzo, mentre la ragazza bionda sembra quasi indifferente. Keigo ha ancora quell’espressione sconvolta sul volto, tuttavia ha abbassato lo sguardo sul cadavere di sua madre solo per un momento, per poi puntarlo nuovamente davanti a sé, dall’altro lato della barella, lì dove si trova Enji.
«Keigo, dobbiamo parlare», lo chiama Enji, fissandolo con attenzione.
Aizawa richiude la zip del sacco, mentre il cadavere di Tomie viene portato via.
«Ho bisogno di restare un momento da solo», comunica Keigo, continuando a fissare un punto nel vuoto in cui per tutti tranne che per lui non c’è proprio un bel nulla.
«Certo», gli concede Kaina, permissiva, prima di lasciargli ancora un’ultima stretta attorno alla spalla, per poi allontanarsi insieme ad Aizawa e alla ragazza bionda.
Keigo aspetta ancora per qualche secondo per accertarsi che se ne siano andati, poi si avvia in fretta verso una macchia di boscaglia. «Dov’è? Dove diavolo è?», domanda, le mani che si muovono nervosamente attorno alla tracolla.
«Se n’è andata. Ho cercato di fermarla ma è stato come se non riuscisse a sentirmi. Mi dispiace, Keigo», confessa, cominciando subito a seguirlo. «Non è stato un incidente, Keigo.»
«Oh, no, non di nuovo», sbotta nervosamente il ragazzo, incamminandosi in fretta nella direzione opposta a quella presa da Kaina e gli altri per essere certo che nessuno lo senta.
«Ascoltami, ragazzino», insiste Enji, perentorio. «Ci sono troppe cose che non tornano, e anche Rei è d’accordo con me sul fatto che…»
«Oh, insomma, basta!», gli urla contro Keigo, fermandosi di botto e voltandosi nella sua direzione. È su un sentiero in salita, gli scarponcini che affondano nella terra umida. «Si può sapere che diavolo vuoi da me? Sparisci per tre anni, poi torni e pretendi che sia di nuovo tutto come prima?»
«Che c’è, ti sei dimenticato che è per colpa tua se sono rimasto bloccato qui?», gli rinfaccia Enji, mentre comincia a innervosirsi.
«Sai perfettamente che l’ho fatto per scoprire quale fosse il legame tra di noi!», replica, trattenendosi a stento dal gridare. «In ogni caso, mia madre è morta in un incidente e non c’è nulla che possa cambiare la realtà dei fatti. Io sono andato avanti con la mia vita, e non ho alcuna intenzione di dare di nuovo retta a te. Oh, e vaffanculo, Enji!»
Il ragazzo riprende a salire lungo il sentiero, sparendo alla vista di Enji prima che il fantasma possa provare di nuovo a fermarlo.

Keigo non riesce a chiudere occhio per tutta la notte.
Se ne sta con la schiena premuta alla testiera del letto, le gambe strette al petto dalle braccia e lo sguardo esausto perso nel vuoto.
Per quanto lui e Tomie non avessero effettivamente più alcun legame, era pur sempre sua madre. Più il tempo passa, e più Keigo continua ad avere la soffocante percezione di essere circondato solamente da morte.
Ha lasciato Tokyo nella speranza di trovare qualcuno come lui, qualcuno capace di vedere i fantasmi di chi non c’è più. Un dono, ma anche una maledizione, no?
Sono circa le quattro di notte quando sente qualcuno bussare alla porta della sua camera del dormitorio. Il rumore delle nocche sul legno sembra riuscire a ridestarlo a malapena, gli occhi che lentamente tornano a mettere a fuoco i contorni della stanza.
Il ragazzo scende dal letto e attraversa silenziosamente la camera. Quando si ritrova davanti alla porta la apre senza prima domandare chi ci sia dall’altra parte, anche perché, a essere onesti, è piuttosto certo di conoscere già la risposta.
Una volta che si ritrova davanti quegli occhi che ormai conosce fin troppo bene, si lascia sfuggire un piccolo sospiro esausto. «Si può sapere dove diavolo eri finito?», domanda, appoggiandosi pesantemente alla porta.
«Quelli del primo anno hanno deciso bene di organizzare una festa nel bel mezzo del dormitorio», ammette Ryou, ancora visibilmente seccato dalla cosa. Ben presto, però, la sua espressione torna ad addolcirsi non appena posa di nuovo lo sguardo sul ragazzo. «Sono corso qui non appena ho saputo. Mi dispiace tantissimo, Keigo.»
Le dita di Keigo si spingono istintivamente in avanti, stringendo la camicia bianca di Ryou. L’uomo interpreta il gesto come un permesso a procedere, così poco dopo si spinge in avanti, chiudendosi la porta alle spalle e cercando le labbra di Keigo con le proprie.
Keigo chiude gli occhi, ricambiando il bacio e correndo a frizionare con le dita i corti capelli bianchi alla base della nuca di Ryou. Ormai ci è abituato da tempo, e sa già quale sarà il prossimo passo: stringe le braccia attorno al collo dell’uomo, dopodiché spicca un piccolo balzo, circondandogli la vita con le gambe.
Ryou attraversa in fretta la stanza, continuando a baciarlo e a tenerlo stretto a sé, almeno finché non raggiunge il letto. Adagia comodamente il corpo di Keigo sul materasso, per poi distendersi su un fianco accanto a lui.
Keigo sente le dita di Ryou scivolare sopra la sua felpa, e la cosa gli fa sfuggire un nuovo sospiro. «Stasera non me la sento…», confessa, desolato.
Ryou non sembra per nulla deluso. Posa un bacio sulla fronte del ragazzo, per poi avvolgere i loro corpi nelle lenzuola. «Non sei costretto a fare nulla che non desideri, lo sai», commenta, circondandogli la vita con le braccia. «Come stai? Non pensavo neppure di trovarti sveglio, sarai distrutto…»
«Non lo so», ammette, sistemando meglio il capo sul cuscino. «Non riesco a chiudere occhio. Pensavo che avrebbe fatto più male, invece sento solo una sorta di enorme vuoto nel petto…»
Ryou gli prende di nuovo il volto tra le mani, posandogli un altro bacio dolcissimo sulle labbra. «Ora sono qui. Possiamo provare a dormire insieme, se vuoi», propone, senza allontanare il volto da quello del ragazzo.
Keigo sembra apprezzare la proposta. Si accoccola volentieri contro il corpo di Ryou, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.

È notte fonda. Touya non riesce a dormire.
Tenko si è addormentato con la testa sul suo petto, e Touya non ha cuore di muoversi, poiché teme che altrimenti potrebbe svegliarlo. Così si limita ad allungare un braccio in direzione della scrivania, recupera il tablet e lo sblocca, aprendo i social e cominciando a scorrere la pagina della sezione home.
Uno dei primi post che incontra è quello di un giornale locale, che riporta la notizia di un incidente stradale in cui ha perso la vita il conducente. Dall’anteprima dell’articolo si vede la foto del veicolo, ormai quasi completamente del tutto accartocciato su se stesso, solo che a Touya sembra comunque di riconoscerlo, così clicca sul link e una nuova schermata si apre.
Touya legge in fretta l’articolo finché i suoi occhi non si fermano sul nome della vittima, Ukai Tomie.
La madre di Keigo.
Touya solleva lo sguardo, restando per un momento a fissare attonito un punto nel vuoto della sua stanza buia.

Keigo arriva a Tokyo solo la mattina successiva.
Kaina apre la porta dell’appartamento, un gesto che Keigo ormai le ha visto fare per anni, e la porta si schiude sul luogo in cui ha trascorso la maggior parte della sua esistenza.
La luce fredda e grigia del mattino illumina il tavolino rotondo del soggiorno, le sedie con lo schienale alto, le tende verdine. Sono tre anni che non mette piede là dentro, eppure gli sembra che non sia cambiato niente.
Kaina chiude la porta a chiave, tuttavia Keigo non resta ad aspettarla: si avvia in fretta verso camera sua – neppure lì è cambiato niente, forse c’è solo molta più polvere di un tempo sulle mensole coi libri.
Keigo lascia cadere a terra lo zaino con i pochi effetti personali che ha portato con sé prima di lasciare l’istituto, per poi buttarsi pesantemente sul letto.
Si rifugia sotto la trapunta pesante. In quel momento ha solo voglia di dormire per molto tempo.



fantasmajpg

note
... and we are so back, gente!
è passato più di un anno da quando ho postato l'epilogo della mia ultima long qui. e finalmente torno, con una storia lunga e impegnativa, che mi ha tenuta occupata per dieci mesi di lavoro (in realtà sette ma vbb) e che finalmente condivido col mondo, anche se non ho ancora capito se fossi pronta a farlo o meno, dopo tutto questo tempo in cui l'ho custodita gelosamente.
va anche detto che a un certo punto non ero convinta che il progetto sarebbe mai riuscito a vedere la fine. sono rimasta bloccata per tipo tre mesi, e ho iniziato a sospettare che questa sarebbe stata l'ennesima storia destinata a restare incagliata nella palude limacciosa delle storie incomplete. però a un certo punto è successo che qualcuno mi ha ricordato che sono una persona fortunata perché sono meno sola di quanto credessi, e diciamo che questa è stata un po' la spinta che mi ha permesso di arrivare alla fine della storia. ci sono due persone in particolare che vorrei ringraziare, e anche se non farò i loro nomi so che capiranno il riferimento.
ma parliamo della storia. è un'au, e sì, c'è un riferimento specifico dietro (se l'avete colto good for you), ma lo lascerò imprecisato anche perché ho cambiato diverse cose rispetto alla versione originale sia nella parte centrale che nel finale. ma non vi posso dire altro uu
per il resto, diciamo che anche se è un primo capitolo che dovrebbe essere introduttivo (ho cercato di presentare un po' tutti i personaggi principali) è piuttosto lungo. non vi preoccupate, i capitoli successivi sono anche peggio.
(se vi state chiedendo chi sia ryou, diciamo che ci sono due risposte possibili. se non siete in pari con il manga: ottimo, fate finta che sia un oc! se siete in pari col manga: okay, forse potreste aver capito di chi si tratta, in caso vi chiederei di evitare spoiler nelle recensioni altrimenti mi linciano. il fatto è che ho letto robe su ao3 e poi mi è tipo imploso il cervello, va bene?)
per il resto che dire. penso che scrivere una storia che avesse la morte tra i temi principali sia stato catartico per me, e forse questo è un altro dei motivi per cui sono così legata a tutta la long. adesso è arrivato il momento di affidarla a chiunque la leggerà, e spero che possa averne cura quanto me.
penso di aver detto tutto, ci vediamo presto con il prossimo capitolo!

aria
   
 
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