Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: fiore di pesco    18/11/2023    3 recensioni
Erika è una donna di trent'anni che nella sua vita ha messo la carriera davanti a qualsiasi altra cosa.
Un giorno, tornando dal posto di lavoro, ha un incidente d'auto e si risveglia su un treno dall'aspetto insolito: è composto da un unico vagone che non ha né un inizio né una fine, ogni cabina ha un aspetto diverso dalle altre, alcune sono illuminate, altre sono spente e dai finestrini non si scorge il paesaggio esterno, bensì un cielo stellato.
I passeggeri le riveleranno chi sono e il triste motivo per il quale motivo si trovano lì... la priorità è fuggire, ma come?
Una storia che unisce scenari reali a soprannaturali, onirici, adatto a chi ama il mistero e l'investigazione.
30 capitoli in totale, aggiornamenti martedì e sabato.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cari lettori, in questo capitolo troverete descrizioni che potrebbero dare fastidio ad un pubblico sensibile. Quindi per cortesia, se volete proseguire nella lettura, fatelo con coscienza che non è nelle mie intenzioni turbare nessuno. Sinceramente, non credo che sia nulla di che, ma dato che il rating è arancione, ho ritenuto di avvisarvi prima della lettura.

Capitolo 17, Errore

“Cristo!” sibilo chiudendo gli occhi e tornando dentro di corsa, urtando Frank che si trovava alle mie spalle.

“Cosa è successo?” chiede Camille.

Frank interviene come se stesse parlando del meteo. “Niente, è disturbata da questo posto. Lasciale un po’ di spazio.”

“Ok…” borbotta Camille e so che deve essere entrata, ma non riesco a guardarla.

L’immagine del suo occhio che pendeva sulla guancia appeso ad un filo rosato mi tormenterà per tutti gli anni o le settimane che mi restano da vivere. Forse anche oltre. E la faccia, penso che gliene manchi almeno la metà, dal lato destro. I capelli annodati e incrostati di materia scura… La nausea è tornata più forte di prima, sento che devo vomitare.

Prima ancora di realizzarlo, sono a carponi e sto liberando lo stomaco sul pavimento.

“Ma cosa fa?” chiede Camille con voce turbata.

“Almeno non è svenuta.” Ridacchia Frank, disgraziato…

“Perché sarebbe dovuta svenire?”

“Perché ha...”

“Ti lascio… qui.” Riesco a buttare fuori tra un conato e l’altro.

“Ok, ok. Non ti avevo detto di andare nella tua cabina? Vacci subito o ti ci trascino.” Le dice caustico e non capisco dove si siano messi e non me la sento di controllare.

“Vecchio cafone...” Borbotta Camille, aggiungendo anche qualcosa che non riesco a comprendere per via del rumore che io stessa faccio. Frank ribatte con una risposta che deve essere parecchio minacciosa, perché Camille si allontana a passo svelto e sento che siamo di nuovo soli.

Provo a tirarmi su continuando a sputare a terra. Ho una terribile sensazione di bruciore al naso e alla gola, come se mi fosse rimasto qualcosa di traverso. Cerco di non pensarci anche se respiro male. Ora è l’ultimo dei miei pensieri.

“Tirati su.” Mi solleva da sotto alle ascelle sballottandomi e mi tengo in piedi malferma.

“Fammi sedere…” bofonchio con una mano sulla bocca e una sullo stomaco per timore di dover vomitare ancora.

“Sì, così passiamo tempo prezioso qui a farti prendere aria. Muoviti e cammina.” Dice spingendomi gentilmente per aggirarlo e uscire dalla cabina, in modo da non dovermi dare mai le spalle. Vorrei ribellarmi ma non mi sento molto lucida. “Vieni nella mia cabina. Dimmi se noti qualsiasi cosa di differente rispetto a quando sei stata qui l’ultima volta.”.

“Perché? Non ricordo molti dettagli…” cerco di spiegargli un po’ a tentoni appoggiandomi al corrimano.

“Fa niente, dimmi ciò che vedi.” Continua a sostenermi. Superiamo la porta di Camille mentre tengo lo sguardo basso.

“Aspetta, Erika!” esclama lei mentre la sento avvicinarsi. Frank però non le dà modo di agire, perché le chiude la porta in faccia.

“No, sta buona lì.”

Qualche improperio molto poco francese filtra dall’uscio chiuso e anche il tonfo di quello che sembrerebbe a tutti gli effetti un calcio o un pugno di frustrazione contro una parete.

“Sei davvero insensibile. È solo una ragazzina.” Borbotto quando lui torna al mio fianco.

“Insensibile? Principessa, io sono qui da prima che tu fossi nei pensieri dei tuoi nonni. Non me ne frega un cazzo di passare per insensibile. Voglio andarmene.” Ringhia più aggressivo di quanto mi aspettassi. “E poi… quella lì non mi piace, ha sempre avuto una puzza strana…” Il tempo trascorso qui deve averlo davvero destabilizzato, nessuno può sentire gli odori, qui…

Finalmente abbiamo raggiunto la sua stanza e quando guardo all’interno resto folgorata dalla prospettiva assurda che mi viene proposta. Credevo che avrei visto il finestrino con le luci al suo interno, immagine che ho stampata a fuoco nella memoria, perché solo io ho una porta da cui uscire, invece non c’è alcun vetro. Una porta metallica, sembra alluminio o acciaio, copre la parete di fondo della cabina. Non è questo che mi preoccupa, quanto il fatto che sia avvolta da sottili radici nere, scure come la materia che compone gli Sluagh. La serrano come se volessero stritolarla.

Muovo qualche passo verso di essa. Tutto il resto è come lo ricordavo, nero e grigio, metallico, comune.

“Cosa vedi?”

“Credo che sia la tua porta.” Deve essersi dimenticato della gentile richiesta che gli ho fatto di non mostrarmi le spalle, perché mi supera e corre a poggiarci le mani sopra, come se dovesse toccare il profilo di un muro in cerca di un appiglio.

Cerco di non focalizzarmi sulla sua testa, per quanto adesso che ho sboccato mi sembra già più tollerabile. Mi avvicino e noto il suo sguardo disperato di fronte a qualcosa che purtroppo non riesce a scorgere. Quando mi nota alla sua sinistra, mi fa spazio controvoglia. Ignoro il suo stato d’animo confuso e tocco la maniglia nera. Cerco di aprire la porta e vedo che essa non è bloccata come se fosse chiusa a chiave, bensì proprio incollata a causa delle radici capillari che la avvolgono. Fa un po’ di gioco. Quando tiro con forza, riesco a intravedere un leggero bagliore di luce verde provenire dai suoi margini, ma le radici si comprimono e torna subito a sigillarsi. In compenso, per lo sforzo mi gira la testa e per poco non cado.

“È bloccata. Non ho abbastanza forza per riuscire ad aprirla.”

“Dimmi dove tirare, deve avere un punto debole. Hai stretto qualcosa, lo vedo.” Sussurra concitato sopra alla mia spalla, prova a toccare la maniglia che stringevo, ma la sua mano la attraversa, come se fosse immateriale. In quel momento, avverto un forte brivido lungo la schiena.

“Sshh!” lo zittisco bruscamente.

Mi fa impressione l’idea di avvicinare il viso a questa superficie irradiata di capillari neri, ma penso che a questo punto dovrò farmi crescere un po’ di pelo sullo stomaco. Appoggio con delicatezza l’orecchio destro alla porta di Frank, tenendo i muscoli tesi, pronta a saltare via qualora le circostanze lo richiedessero.

Sono lamenti… non credo che sia qualcosa di umano, un animale forse… poi, un ringhio cupo e profondo, pari a quello di un cane particolarmente aggressivo.

Mi vengono i brividi sugli avambracci e l’istinto di scrollarmi per togliermeli di dosso. Mi scosto e l’espressione indagatrice di Frank mi accoglie poco dopo. “Cosa hai sentito?”

“Niente…” dico guardando la porta con sospetto. Non so quanto senso abbia informarlo di questo. “Frank, devo andare dalle altre. Sono qui per chiedere delle cose a Camille e non potrò evitarla per sempre. Ti ho promesso che avrei fatto il possibile per tirarti fuori da qui, ma al momento non posso fare altro per te.”

Fa un cenno di assenso con malcontento e si allontana in silenzio, deluso. Dopo averlo visto sparire dietro l’angolo, prendo un bel respiro e mi faccio forza per andare da Camille. Non so come farò a superare il senso di disgusto e ancora mi sento girare la testa e bruciare la gola quando respiro, purtroppo non penso di avere ancora tanto tempo a disposizione.

Pensavo che Frank mi lasciasse sola dopo avergli detto che non potevo fare niente per lui in quel momento, invece per fortuna è rimasto qui nel corridoio ad attendermi con le mani sui fianchi, meditabondo.

“Grazie per avermi aspettato.” Gli sorrido guardando il suo profilo spigoloso, dopo essermi avvicinata alla porta di Camille.

“Dovere.” Brontola togliendo le mani dai fianchi e poggiando la destra sulla maniglia della stanza di Camille. “Preparati.”

“Sì.” Rispondo prendendo fiato e facendomi coraggio, mantenendo lo sguardo basso.

Quando apre la porta, Camille è seduta in fondo. Si alza, ma l’ennesimo battibecco con il mio amico la convince a tornare seduta dove era prima. Cerco di non mettere a fuoco la sua figura e mi siedo sullo stesso lato del suo sedile, a debita distanza. Frank di siede tra di noi.

“Sei riuscita ad andare a Chambèry?” chiede ansiosa Camille.

“Sì…” le dico mentre alzo gli occhi sull’ambiente circostante e spingo lo sguardo verso il fondo della cabina senza inquadrare la sua proprietaria. Come avevo immaginato, anche qui c’è una porta. Sembra in legno rosso carminio lucido, moderna, non ci sono radici nere ad avvolgerle, è completamente libera e mi chiedo se sia in grado di aprirla…

“Cos’è successo?” chiede con più urgenza.

“I tuoi genitori stanno bene, sentono la tua mancanza. Ho parlato con tua madre… Sara. Va spesso sulla tua tomba per parlarti.” Continuo tenendo il capo chino. “Scusa i miei modi, questo posto mi fa stare male. Sono venuta per chiederti delle informazioni.”

“Dove sono sepolta? Vanno in tanti a trovarmi?” la sua voce ha un’inflessione ansiosa che faccio fatica a decifrare, non potendo sostenere la vista della sua faccia. Fa più domande di quante riesca a tenerne a mente in questo stato d’animo, e sinceramente non capisco il perché dell’ultima…

“In un cimitero a Chambéry, uno di quelli vicino a casa vostra, abbastanza grande. Quando ho trovato tua madre, stava cantando una ninna nanna per te.” Provo a guardare leggermente verso di lei, incrociando l’espressione sofferente di Frank. È chiaro che stare qui ad ascoltarci gli stia costando caro, ma pur di evadere dal treno sarebbe disposto a tutto e resiste senza però nascondere quanto fastidio gli diano i nostri discorsi.

Il respiro di Camille ora è udibile, leggermente alterato e a volte trattenuto. Credo che voglia piangere, ma non ci riesce. “Dimmi di più.”

Comincio ad elencare la mia visita in Francia, evitando di dirle di Francine e dei dettagli inutili che non penso possano interessarle. Ricordare quei momenti mi mette un po’ di tranquillità. Parlo lentamente perché mentre una parte di me sta ricordando il mio soggiorno in Francia, l’altra mi sta spronando ad essere sufficientemente coraggiosa da tornare a guardarla in viso tentando di ignorare ciò che ho intravisto prima.

“… quindi ho scoperto che adesso studia lingue a Ginevra. Solo che non riesco a trovarla. Ho cercato in giro, ho chiesto in università ma non mi vogliono dare informazioni su di lei e sono ad un vicolo cieco.”

Mentre parlo, Gesabette fa capolino dall’uscio aperto ed entra delicatamente nella stanza, sedendosi di fronte a me con un sorriso mesto. Non ci ha interrotti ed effettivamente deve essere stata tanto educata da attendere a distanza, al contrario di Camille che non so quanto possa aver ascoltato della conversazione intercorsa poco fa nella mia cabina tra me e Frank.

“Quindi ha lasciato Chambéry… lei non si trovava bene lì. Gran parte per causa mia, anche se il suo desiderio è sempre stato girare il mondo. Non pensavo che avesse il coraggio di andarsene perché è sempre stata timida…”

Sospiro, ricambiando mio malgrado il sorriso di una silenziosa Gesabette, per farle capire che sono contenta di rivederla. “Anche Suzette ora è cresciuta, ormai dovrebbe avere ventun anni, non è più una ragazzina. Sai dove potrebbe essere?”

“Non ho idea…” risponde piano Camille, afflitta.

“Le piaceva lavorare col pubblico? Aveva mai espresso dei desideri riguardo ad un lavoro futuro?” continuo, ignorando la sensazione di disagio che mi dà guardare Gesabette mentre sto parlando con Camille.

“No, non le piacevano le persone. Lei voleva fare la traduttrice di libri, le piaceva tradurre testi e imparare nuove lingue, ma non parlare direttamente con le persone.” Attinge alla memoria Camille, cercando di oltrepassare il profilo di Frank per guardarmi.

Mi focalizzo sui piedi scalzi di Gesabette, fingendo di essere molto concentrata. “D’accordo… un modo per trovarla su internet?”

“Posso darti la sua mail ma non so se la usa ancora. Il cellulare lo ha cambiato dopo… dopo che l’ho dato in giro.”

Non mi soffermo troppo sull’ultima informazione, non sono sicura di voler conoscere tutte le cattiverie che Camille ha commesso. “Sì, la mail va bene. È pur sempre un inizio.” annuisco mentre mi detta una mail breve e chiaramente non professionale, che ripeto più volte a voce e nella mia mente caotica. Stavolta non dovrei avere troppi problemi a ricordare ciò che ho visto qui, tuttavia non penso che la mail sia sufficiente: se fosse inutilizzata, potrebbe essere totalmente inutile perché Suzette non la aprirà da anni.

Speravo che Camille potesse darmi qualche dato in più. I cambiamenti che possono avvenire nella vita di una giovane donna del ventunesimo secolo sono molto più consistenti ed imprevedibili che in passato. Prima le persone erano più statiche, semplici da ritrovare. Adesso viviamo in un mondo tanto dispersivo che ogni individuo è come una goccia indistinguibile nell’oceano. Se avesse la capacità, come me, di trovare qualcuno come ho fatto prima, semplicemente invocando nella mia mente i miei amici…

L’idea che mi è appena balenata in testa mi fa scattare il capo verso sinistra, dritta alla sua porta rossa. Io ho questo potere… forse potrei chiedere di ritrovare Suzette come ho chiesto di trovare i miei amici. Non vedevo Carmen da anni ma l’ho individuata comunque, su quasi mezzo milione di persone a Zurigo. Però non so nemmeno che faccia abbia, questa Suzette…

“Camille, tu hai bene in mente il viso di Suzette. Io purtroppo non potrei riconoscerla nemmeno se ci scontrassimo per strada. Ascolta, ho un’idea che potrebbe non essere molto intelligente, ma qui e ora non riesco ad averne di migliori.” Sospiro e mi giro di tre quarti verso la sua direzione, guardandomi le mani. “Questa informazione dovete averla tutti, in ogni caso. Anche se non ho guardato la camera di Gesabette, sono sicura che anche la sua cabina abbia una porta.”

Gesabette mi osserva confusa. “Sì, tutte le stanze hanno la porta…”

“No, non quella porta.” Incrocio lo sguardo indagatore di Frank, che però resta zitto. “Da quando sono tornata qui, non vedo più i finestrini. Al loro posto ci sono delle porte, diverse per ognuno di voi. Non ho visto la tua” mi volto verso Gesabette per un attimo. “ma al massimo controllerò prima di andare via. Sono certa che la via d’uscita per ognuno di voi sia oltrepassare quel varco. Da ciò che ho visto, i vostri sono chiusi.”

“Puoi farci uscire da qui?” Camille viene verso di me e, per non guardarla in viso, mi concentro sulle sue scarpe. Sono delle converse nere. I pantaloncini spessi sono strappati in più punti e sporchi di terra e sangue. Sempre meglio delle budella di cui parlava Frank, che non voglio assolutamente vedere.

“Credo di sì anche se non sono riuscita ad aprire la porta di Frank prima… posso provare con la tua, ma…” Frank mi sta fulminando, spero che non si faccia la strana idea che mi sia rifiutata di aiutarlo senza una valida ragione. “Penso che non possiate oltrepassarla se non avete risolto i vostri problemi sulla terra. Puoi però indicarmi la strada per trovare Suzette. Anche solo vederla in viso mi potrebbe aiutare.”

“Sì sì, va bene, dimmi cosa devo fare!” la trepidazione che coglie Camille è palpabile.

Mi alzo anche io e faccio ruotare lo sguardo fino a focalizzarmi sulla sua spalla sinistra, è intatta. L’istinto cerca di convincermi a guardarla in viso, come attratto dall’orrido, e spreco molta concentrazione per impedirmelo. Non ho più la nausea, bensì un forte senso di disgusto che non voglio sia troppo manifesto.

“Mettiti di fronte al finestrino.” Le indico la porta che è alle sue spalle e lei si volta veloce e mi ubbidisce. “Più a destra.” Le dico mentre mi avvicino dal lato della maniglia, davanti a cui si trova lei.

Adesso è al mio fianco e freme in movimenti di agitazione mentre io provo a tirare la maniglia ma la porta rossa non si apre. Quella di Frank traballava, sono quasi certa che senza quelle radici nere, si sarebbe aperta… questa sembra incollata.

Apriti, dannazione

Sto per arrendermi quando sento il suo tocco sul mio braccio destro.

Mi sono voltata involontariamente e ho visto il suo profilo sinistro, con un occhio ancora sano anche se iniettato di sangue e il viso coperto di numerosi tagli ed escoriazioni. Lei è stata colpita a destra, io nel mio incidente ho impattato da sinistra. Evidentemente è morta quasi subito, perché immagino che dopo essere stati investiti da un treno si sia ridotti molto peggio di così. Non vedo budella o ossa sporgenti da questa prospettiva, forse mi stavo facendo più problemi di quanti davvero ce ne fossero. Quando però mi mostra il suo viso per intero, ricambiando il mio sguardo, mi pento subito di aver fatto sostare troppo la vista su di lei. Niente da fare, il lato destro è troppo scarnificato per poter ostentare indifferenza.

Mentre sto pensando queste cose, dopo che mi ha toccato il braccio, la maniglia della porta si è abbassata. Questa porta si può aprire! Lo realizzo con sommo stupore togliendo la mano e interrompendo il contatto con Camille.

“Si può aprire.” Dico in un sussurro e alle mie spalle anche gli altri devono averci raggiunte. Tiro leggermente e vedo che si apre verso l’interno. Lo spettacolo che mi si para di fronte, lo avevo già visto. Una vasta distesa nera, su cui tante luci lontane brillano e si muovono come stelle cadenti.

Camille probabilmente non vede niente, perché fa vagare la vista a vuoto. Provo a fare un passo verso l’esterno ma una barriera mi ferma. Non è materiale, è come quando tenti di unire due calamite dallo stesso polo. Qualcosa mi sbarra la strada.

“Portami con te.” Camille torna ad aggrapparsi al mio braccio ed è come se la barriera svanisse perché finalmente il mio piede atterra su una superficie piana che è assolutamente indistinguibile dall’oscurità circostante, mentre l’altro resta ancora all’interno della cabina.

Il rumore della porta principale della cabina che si chiude con violenza alle nostre spalle mi fa sobbalzare e ritiro il piede. Quando mi volto, vedo solo Gesabette. Frank ha lasciato la stanza.

La pittrice sospira e scuote il capo. “Per lui è molto difficile da accettare… non è paziente.”

Dentro di me penso che, visto il suo carattere combattivo, lo sia stato fin troppo. È agli sgoccioli della sopportazione e scoprire per l’ennesima volta che qualcun altro può andarsene da lì e a lui tocca ancora attendere con l’incertezza che effettivamente potrà mai riuscirci, deve essere un duro colpo. La sua porta è bloccata da quelle strane radici e credo che ci sia molto di più oltre a questo, ma dovrò indagare meglio quando tornerò nel mio corpo. Per il momento posso solo aiutare Camille, che è la priorità.

“Gesa, resta qui per favore… torneremo presto.”

“Sì, vi aspetterò.” Dice accomodandosi con un’eleganza che stona fortemente con il suo abbigliamento e il suo aspetto, ma lei non lo immagina.

“Camille, ora devi concentrarti fortemente su Suzette. Dove si trova? Devi trovare Suzette. Ovunque sia, dobbiamo raggiungerla. Continua a ripetertelo in testa.” Le dico ricambiando con decisione la stretta di mano.

“Sì!” annuisce con forza Camille. Dopo averle dato qualche secondo di tempo, provo nuovamente ad appoggiare un piede nell’oscurità. Come tocco il suolo, da dove si è poggiato il mio piede nudo si diffonde una flebile luce a macchia d’olio che lascia il posto ad un pavimento di parquet in rovere a mosaico.

È una camera da letto. Contro la parete a destra un letto matrimoniale, un armadio color noce e una piccola scrivania alla parete opposta ad esso e fuori, noto dalla finestra posta alla destra del letto, è notte. Una lampada tonda da soffitto irradia una luce mediamente calda nella stanza. Qualcuno sta dormendo ancora vestito, sopra al copriletto. È una ragazza, stringe in mano uno smartphone e si è addormentata così, scomposta e con il braccio che stringe il telefono sul petto. Ha i capelli castani, porta gli occhiali, ha i lineamenti dolci e qualche cicatrice da acne in viso. Non posso definirla obesa, forse un po’ in sovrappeso.

“Suzette!” Camille mi strattona verso di lei e la seguo incespicando nel mio lungo abito nero.

Così, questa è Suzette. Le studio il viso per imprimermi i suoi connotati nella testa, mentre Camille mi lascia la mano e si fionda al suo capezzale.

Guardo la stanza per capire dove ci troviamo. Un calendario in francese è appeso alla parete, ritrae dei cuccioli di cane che giocano in un prato, di fianco uno specchio lungo che però non cattura l’immagine né mia, né di Camille. Non ci sono molti elementi, oltre a questo, che fanno pensare alla stanza di una ragazza. Sulla scrivania un portatile chiuso e un’agenda. Nessun adesivo, poster, niente di niente. Sembra essere una persona pratica, non ha lo smalto alle dita delle mani e dei piedi e non è truccata… anche il suo pantaloncino di jeans nero e la t-shirt scura e anonima che indossa mi fanno pensare che non sia particolarmente attenta alla moda.

Sul comodino, un libro thriller dal titolo in inglese, una abat-jours e una sveglia digitale. Camille le sta dicendo qualcosa sottovoce. Non voglio infrangere la sua privacy, quindi continuo la mia ricerca lasciandole un momento di intimità.

Mi avvicino alla finestra aperta per guardare fuori. Siamo forse al terzo o quarto piano, fuori è notte e… è notte. Elaboro questa informazione nella sua completezza solo adesso. Quando mi sono assentata erano le 14:00 o giù di lì… dubito che sia passato tanto tempo da quando mi sono addormentata. Dannazione… mi sa che ci troviamo da un’altra parte del mondo, probabilmente con un altro fuso orario. Cerco informazioni guardando le auto parcheggiate sul bordo della carreggiata e dei cartelli. Riconosco una bandiera svizzera attaccata ad un balcone, le targhe riportano la sigla GE… siamo a Ginevra.

Io sono ancora in un parco con Laika! Devo tornare indietro subito. Ora so che si trova nel Canton Ginevra. Torno al centro della stanza in preda all’ansia e poi mi affaccio di nuovo alla finestra, perché ok, siamo in Svizzera, ma dove?! Un cartello attaccato al muro dell’edificio di rimpetto a questo dice Rue Des Travailleurs… Strada dei Lavoratori, ok! Adesso posso andarmene.

“Camille, devo assolutamente tornare nel mondo reale. Andiamo via.” Le tendo il braccio mentre mi muovo verso la porta.

Lei però non dà segno di avermi sentito. È ancora inginocchiata di fianco all’amica e le sta accarezzando delicatamente il viso con un dito. Resto attonita davanti all’immagine di Camille che le sposta un ciuffo ribelle dalla fronte. Lei può toccarla per davvero, non come me che non sono nemmeno riuscita a sfiorare Carmen. La certezza che sia successo me la dà Suzette, che aggrotta la fronte nel sonno, disturbata.

“Camille, vieni qui.”

Mi ignora al punto che temo non possa sentirmi. Mi avvicino velocemente e le tocco la spalla sinistra. Si volta e mi guarda. Mantengo con sforzo la vista sul suo viso. Sembra inespressivo come fosse davvero un corpo inerte. Sento un cattivo presagio.

“Grazie, Erika, per avermi liberato.” La sua voce è fredda.

“Che ti succede? Dobbiamo tornare sul treno, ti libererò. Ho visto dove abita, appena mi sarò risvegliata andrò subito a parlarle e sarai libera.” Le dico mentre una terribile sensazione mi sta assalendo.

“Non tornerò sul treno.” Dice alzandosi e la mia mano le scivola di dosso.

“Non dire cazzate e riporta subito il culo in quella cabina.” Ringhio stringendo i denti. Lei continua a fissarmi in silenzio, quindi allungo di nuovo la mano per afferrarle il braccio sinistro ma stringo sul vuoto. Non c’è più. Mi guardo intorno. È dall’altra parte del letto, in piedi.

“Grazie, non ho più bisogno di te. Io starò con Suzette.” Ha gli occhi diversi dal solito, non sembra più lei… ma che cosa diavolo le è preso?

“Camille non sei in te, vieni via. Torniamo sul treno, tra poche ore potrai andartene e…”

“No.” Mi interrompe con un tono autoritario che non le avevo mai sentito prima. “Io devo stare con la mia amica. Non la abbandonerò mai più.” Volge quel che resta del suo viso verso la ragazza che si sta agitando nel sonno. “Io e Suzette resteremo insieme. Per sempre.”

Dannazione! Non posso lasciarla qui… “Vieni qui.” Dico rabbiosa mentre supero il letto per braccarla, quando scompare di nuovo. Stavolta però, non riesco più a vederla in giro. Sento il panico gonfiarmi nel ventre. Non posso più attendere e non ho idea di come fare a ritrovarla. Impreco tra i denti mentre torno alla porta rossa, spalancandola per tornare nella cabina.

Quando entro di corsa, uno spettacolo stranissimo mi accoglie. La luce della stanza di Camille balugina ad intermittenza. Gesabette è fuori, nel corridoio, spiando cosa avviene all’interno. La sua espressione è molto preoccupata.

“Erika, corri!” urla facendomi cenno di raggiungerla. Uno scossone del tutto inaspettato mi fa cadere a terra, con le mani avanti. La porta rossa sbatte con forza dietro di me e il suo aspetto cambia, come delle bolle si creano sulla sua superficie, diffondendosi sulla parete circostante. Le vesciche si gonfiano fino a sfaldarsi e dalle crepe gocciola un liquido semidenso, dello stesso rosso della porta, come il sangue fuoriesce da una ferita aperta.

Guardo quello spettacolo come paralizzata, senza alcuna idea chiara su cosa fare. Non reagisco quando mi sento prendere da sotto le ascelle e trascinare via come fossi un sacco di farina.

Solo quando sono totalmente nel corridoio la porta della cabina si chiude di scatto e la luce all’interno di essa si spegne. Mi accorgo adesso che sto ansimando e che mi trovo seduta in grembo a qualcuno. Riconosco la gamba con il pantalone militare e lo stivale nero che sporge da sotto un lembo del mio abito. Il viso torvo di Frank mi dà il benvenuto oltre la mia spalla e capisco che quando mi ha portato via dalla stanza, deve essere caduto e gli sono finita addosso. Cerco di rialzarmi arrabattandomi nel mio vestito e Gesabette mi dà una mano a tirarmi su.

“Che cazzo è successo?”  sbraita Frank, rimettendosi in piedi.

“Io…” farfuglio impanicata guardandomi intorno.

“Dov’è Camille?” chiede Gesabette, intercettando il mio sguardo instabile.

“Io… è voluta restare lì.” Dico rivolta a Frank, che fa un passo verso di me, infastidito.

dove? Metti una frase insieme, per Dio!” latra senza grazia.

Prendo fiato chiudendo gli occhi, quando li riapro sono più determinata. “Abbiamo trovato la sua amica e io cercavo di capire dove si trovasse, lei è andata vicino a Suzette ma non era più la stessa di prima. Dopo avermi lasciato la mano, era completamente fuori di sé. Zitto!” alzo una mano per fermare l’interruzione di Frank, pronto a farmi un altro dei suoi interrogatori supponenti. “Le ho chiesto di tornare indietro, che la avrei liberata come ho fatto con Clara, ma lei aveva un’espressione assente, continuava a ripetere che sarebbe rimasta lì per sempre ed è scomparsa nel nulla. Credo che sia…”

“La stanza!” si intromette Gesabette appena mi fermo. “La stanza ha cominciato a dare forti scossoni, nel finestrino si sono interrotte tutte le luci, anche dentro non era bene illuminato… la porta si è spalancata e io sono scappata via.”

Mi passo le mani tra i capelli. Non riesco a trattenere le lacrime. “È tutta colpa mia, non avrei mai dovuto permetterle di uscire da lì… non so dove sia adesso… come farò a liberarla…?”

Una carezza fatta col dorso delle dita raggiunge la mia guancia bagnata dalle lacrime. È arrivata dall’ultima persona che pensavo fosse capace di gesti del genere. Il sorriso un po’ storto e un po’ consolatore di Frank dovrebbe rincuorarmi e invece scoppio a piangere ancora di più, stupendomi per un attimo di come io sia in grado di piangere anche qui.

“Avevi ragione, meglio non uscire da quella porta se non è il momento.” Mormora Frank ritirando la mano dalla mia guancia.

“Cosa succederà a Camille adesso?” interviene Gesabette come se fosse del tutto ignara di aver interrotto un momento spontaneo e mi riscuoto da quella sensazione che mi causa un certo senso di colpa nei confronti del mio vero compagno, che ora sarà preoccupato per me.

“Devo tornare subito a casa, sono stata qui per oltre dodici ore, nella realtà. Devo andare subito. Non so se potrò tornare qui, ma sappiate che cercherò di recuperare anche Camille.” Con la mano sinistra stringo la spalla di Frank e con la destra prendo quella di Gesabette. “Vi voglio bene, resistete.”

Torniamo insieme alla mia cabina, dove fortunatamente la porta di ottone è ancora lì. Quando la varco, tutto si fa confuso.

 

Je ne sais pas. Appelez une ambulance.”

Un’ambulanza? Sento qualcosa di umido sfiorarmi il viso e i mugolii di un cane. Apro gli occhi con fatica, mi brucia molto la gola e il naso. Un attacco di tosse improvviso mi coglie e cerco di mettermi su un fianco per respirare meglio. Laika comincia ad abbaiare e a saltarmi intorno, contenta.

Êtes -vous ok? Mademoiselle, vous me comprenez? Do you understand me?” è la voce di un ragazzo. Un’altra persona è in piedi lì vicino, con un telefono luminoso in mano.

Oui, sto bene.” Cerco di rispondere. Mi gira forte la testa, sento che mi brucia la faccia.

Chiamo un’ambulanza.” Mi dice in francese.

No, no, grazie. Sto bene.” Faccio per tirarmi su e mi blocco quando mi accorgo di essere ricoperta da quello che penso sia vomito secco. Dannazione, mi sono vomitata addosso mentre dormivo, come è successo sul treno. Provo a pulirmi il viso dalle crosticine secche e dolorose… cerco la bottiglietta d’acqua che avevo portato, ma ricordo adesso che ho buttato via tutta l’acqua per fare uno scambio con la sequoia.

Avete un po’ d’acqua? Un fazzoletto?” chiedo al tipo in tenuta da jogging inginocchiato di fianco a me. Un altro ragazzo di una ventina d’anni è in piedi e mi punta la luce del telefono addosso, nonostante il posto sia già lievemente illuminato, deve essere mattina presto. Mi tasto la tasca posteriore del pantalone, alla ricerca del cellulare.

Mi porgono una borraccia mezza piena e un piccolo asciugamano in stoffa.

Mercì.” rispondo provando a ripulirmi. Dopo essermi lavata almeno la faccia, accendo lo schermo del telefono 5:35 di venerdì 3 agosto, 24 chiamate senza risposta. Sono stata via quasi quindici ore… mi sono sembrate due esagerando.

Scusate…” dico restituendo loro la borraccia vuota e guardando un po’ schifata l’asciugamano. “Posso ripagarvelo.” Dico sovrappensiero, poi mi ricordo che in tasca non ho contanti.

“Nessun problema, può tenerlo. Sicura che non vuole che chiami un’ambulanza?” insiste il ragazzo. Quello in piedi invece ha una faccia scioccata e non mi toglie gli occhi di dosso.

“Sicura, sicura. Ora vado dal mio dottore… sono epilettica, ma adesso è tutto ok. Vado subito a casa a prendere le medicine.” Sorrido al ragazzo inginocchiato di fianco a me, sperando che si beva questa storiella inventata su due piedi. Slego il guinzaglio di Laika dalla mia caviglia e provo a tirarmi su. Mi fa un po’ male la caviglia destra, mi ero quasi dimenticata di averla infortunata.

La accompagno.”

No, no, grazie! Chiamo subito mio marito, sarà preoccupato.” Mi sento malferma sulle gambe e il sedere mi fa un male cane. Laika mi guarda con le orecchie irte, tremante di aspettativa: finalmente andiamo via!

I ragazzi raccolgono il cardigan che avevo lasciato a terra e mi aiutano a tornare sul sentiero. Li ringrazio e poi convengo che sia il caso di tornare subito in hotel a darsi una lavata.

Mentre attendo alla fermata del tram elettrico, guardo il telefono.

Le chiamate perse sono da parte di Lukas per lo più, poi ce ne sono anche tre da parte di Mikaela e una di Marko. Sono stupita, ma la precedenza ce l’ha sicuramente Lukas. Non guardo nemmeno i messaggi, lo richiamo immediatamente.

Risponde dopo appena due squilli. “Erika. Stai bene?” La sua voce è allarmata, sento un rumore bianco di sottofondo. A quest’ora non dovrebbe essere già a lavoro…

“Sì, sto bene. Amore, scusami…”

“Scusami un cazzo! Dove sei, si può sapere?! Perché non rispondi?!”

Devo allontanare lo smartphone dalla guancia perché con le sue urla mi ha quasi perforato un timpano. “Calmati! Sono in hotel, io e Laika stiamo bene, ho solo avuto un piccolo problema… avevo perso il cellulare e…”

“Sono lì tra un’ora.” Dice con un tono inflessibile che mi fa salire l’ansia. Un’ora?!

“Ma dove sei?”

“Sono nel Canton Vaud, sono quasi arrivato. Aspettami lì.”

Un motorino molto poco discreto mi passa davanti e sospiro mentalmente chiudendo gli occhi, sperando che non lo abbia sentito. Sono troppo ottimista…

“Sei in hotel? Come no… Dio, Erika. Se ne hai combinata una delle tue…”

“Io non ho mai combinato niente.” Mi difendo pur consapevole di essere palesemente in torto.

“Non ti lascerò mai più sola, come è vero che esiste la vita dopo la morte. Ti marcherò tanto stretto che quelle ombre di merda potranno solo imparare da me.”

“Non ho…” il beep, che comunica che mi ha appena chiuso il telefono in faccia, mi fa cascare le braccia.

 

Sono arrivata in hotel di corsa, per fortuna sul tram c’erano pochissime persone e in pochi hanno visto in che condizioni ero ridotta. Sono salita in camera e ho messo tutti i vestiti puzzolenti di vomito in un sacchetto di plastica che ho chiuso con il triplo nodo e nascosto nel trolley. Mi sono fatta la doccia in fretta e furia e ho messo il pigiama, cercando di lavare i denti per mascherare quell’odoraccio e un po’ di crema idratante per lenire le bruciature che mi hanno causato i miei stessi succhi gastrici a contatto con la pelle del viso.

Laika pensa solo ai croccantini e per fortuna non mi sta in mezzo ai piedi mentre corro da un capo all’altro della stanza.

Dopo nemmeno mezz’ora da quando sono rientrata, è arrivato Lukas. Non era incazzato, di più.

Mi ha fulminato con lo sguardo e so che avrebbe voluto urlarmene di cotte e di crude, ma per mia fortuna erano ancora le sei e mezza e ha dovuto mantenere basso il tono di voce. Non che questo l’abbia fermato dal cominciare un’arringa accusatoria tanto pesante che ad una certa ho dovuto confessare cosa avevo fatto, sperando che almeno queste informazioni lo distraessero e gli facessero capire l’importanza di ciò che ho scoperto.

Le mie speranze si sono infrante perché, purtroppo, si è infuriato ancora di più.

Un fiume di sensi di colpa su quanto si fosse preoccupato, la lista degli ospedali di Ginevra e l’hotel che aveva contattato, la notte insonne, il fatto che avesse dovuto chiamare il suo responsabile di notte per avvisarlo che ero stata male e che doveva venire ad aiutarmi, rendendolo vittima a sua volta di un predicozzo notturno dal suo (ex)capo, la strada che aveva fatto stanco e preoccupato, prendendo forse una decina di velox da Zurigo a Vaud… e di come abbia messo in pericolo sia la mia vita che quella di Laika, oltre all’accusa non tanto velata che ho cercato di levarmelo di torno appositamente per fargliela alle spalle, incurante del fatto che gli Sluagh avrebbero potuto aggredirmi. Tutto perché non so essere minimamente paziente e che dovrei andare davvero da uno psicologo, per via di un disturbo ossessivo e non per ciò che ho visto.

Dopo circa un’ora e mezza di sfuriata, si è fermato per prendere fiato. Per fortuna che non dorme da due giorni ed è stanco, se no saremmo stati qui fino a lunedì.

“Non ho davvero più parole per discutere con te. Trent’anni buttati nel cesso, Erika.” Si siede sul letto della camera d’hotel, scuotendo la testa con frustrazione.

“Non è come pensi, dovevo per forza capirci di più, perché…” provo ad avvicinarmi a lui.

“Non dire niente. Non provare nemmeno ad infinocchiarmi a parole come fai sempre. Questa volta no, sei stata troppo idiota e hai fatto una cazzata di proporzioni bibliche.” Mi scosta la mano, offeso.

Sbuffo, ormai il peggio è passato. Ora farà l’offeso per qualche ora, forse anche per qualche giorno, poi gli passerà. Passerà si fa per dire, probabilmente me lo rinfaccerà anche dopo il quarantesimo anniversario, ma sarebbe stato molto peggio se avesse deciso di andarsene. Per mia fortuna, è ancora qui.

Mi sdraio sul letto e cerco di riflettere su ciò che è appena accaduto. Anche se ha deciso di darmi le spalle, pure Lukas si sdraia e Laika va finalmente a fargli le feste, imbarazzata dopo averlo visto così alterato.

Mi sento davvero una scema per ciò che ho fatto. Non avrei mai pensato che Camille potesse scappare e diventare uno di quegli spettri di cui parlava Brianna. Era uno scenario che non mi sarei nemmeno immaginata, e invece ho fatto un danno enorme e dovrò rimediare.

Prendo il telefono per vedere dove si trova effettivamente questa Rue Des Travailleurs in cui vive Suzette. Lo smartphone ci tiene a ricordarmi che ho ancora diversi messaggi non letti su Whatsapp e delle chiamate perse.

Marko e Mikaela mi hanno cercato… vado sulla chat di Whatsapp e trovo i loro messaggi. Vedo che Mikaela ne ha mandati 12, ma so che è una di quelle che preme invio dopo appena tre parole, poi dalla anteprima vedo qualche emoji, quindi non penso sia niente di urgente. Marko invece mi preoccupa di più dato che ormai non ho più dubbi: ciò che vedo nella mia testa è davvero ciò che succede nella realtà, anche se non so come sia possibile.

Ciao Erika, scusa se ti disturbo, ho fatto un casino e ho bisogno di parlarti di persona. Per favore contattami quando puoi, è urgente.

Sospiro, triste. Eh sì, so già cosa vuole dirmi, anche se non conosco ancora le dinamiche precise dietro al suo licenziamento… mi dispiace molto per lui, non immaginavo che vivesse una situazione del genere.

Ciao Marko, scusa se non ho risposto subito. Attualmente non mi trovo in città. Sarò di ritorno presto, tra qualche giorno. Ti scriverò appena sarò a casa e parleremo meglio di ciò che è successo. Non ti preoccupare, risolveremo tutto. Buona giornata.

Non credo di avergli mai detto tante parole in una volta, ad eccezione di quando ci scambiavamo le informazioni di lavoro. Stargli vicino mi ha sempre trasmesso una forte sensazione di ansia e fastidio. Tuttavia posso solo immaginare quanto sia stato brutto ricevere quel fulmine a ciel sereno e mi sento anche in colpa perché, se fossi stata più presente, probabilmente non gli sarebbe successo niente. È vero, è un adulto che deve prendere in mano la sua vita, ma non pensavo che avrebbe davvero combinato un disastro in mia assenza…

Mi ha già risposto, a quanto pare non è riuscito a dormire nemmeno lui stanotte.

Grazie, resto in attesa di tue notizie. Spero tu stia bene. A presto.

Apro la chat di Mikaela, riporta la data di ieri alle 15:30.

Ehi Erika, tutto bene? *emoji che sorridono*

Ciao, non volevo disturbarti

Mi sei venuta in mente, prima

E ho pensato di scriverti per sapere se è tutto ok *emoji che ridono*

Quando torni devi raccontarmi, eh

Sono tutti messaggi dello stesso stampo, incredibile quanto sia riuscita a ripetersi in così poche parole. Era proprio strafatta…

Ciao, appena torno ti racconto tutto. Chiedi a tua nonna se è possibile incontrarci la settimana prossima.

Invio il messaggio e vado su Google Maps per vedere quanto dista la via di Suzette dall’hotel. Appena mezz’ora con i mezzi pubblici…

Lukas cambia fianco e stavolta mi guarda con gli occhi gonfi dal sonno arretrato. “Ne stai combinando un’altra?”

“Grazie per la fiducia… sto solo vedendo dove vive Suzette.”

Fa un profondo respiro dalle narici, estenuato. “Ormai l’hai tirata fuori dal treno, non è da considerarsi lo stesso un successo?”

“Amore, tu non hai visto come era ridotta… e poi… lei è riuscita a toccare fisicamente Suzette. Non capisci la gravità della situazione. Non posso lasciare quella ragazza da sola con uno spettro impazzito.” Gli dico mentre guardo quale tram dovrei prendere per raggiungerla.

Lukas osserva lo schermo del mio telefono per qualche secondo prima di mormorare “Sono venuto con la Clio… ci andremo dopo aver fatto qualche ora di sonno. Hai la faccia rossa, cosa ti sei fatta?”

“Dove?” mi alzo per andare in bagno a vedere di cosa parla e vedo che ho il mento davvero un po’ arrossato e i lati della bocca secchi e screpolati. Vomitarmi addosso non è stata un’ottima cosa, penso mentre applico un altro po’ di crema e torno sul letto.

“Rispondi. Cosa ti è successo alla faccia?” sta fingendo un po’ di indifferenza nel tono, ma so che è preoccupato per me. Mi fa sorridere perché anche se è arrabbiato, non riesce a sorvolare sul fatto che io possa essermi fatta male.

“Non è niente…” una sua occhiataccia accusatoria mi fa desistere dal raccontargli l’ennesima palla. “Quando sono tornata sul treno… non avevano più l’aspetto di quando li ho conosciuti. Erano letteralmente cadaveri. Gesabette era quella più normale, Frank non aveva nemmeno la stessa faccia e Camille… lei è stata messa sotto da un treno. Ti lascio immaginare.”

“Che schifo.” Borbotta. “Ma non spiega perché hai la faccia a chiazze.”

“Sei molto sensibile, complimenti.” Lo guardo con la coda dell’occhio, ricordando che poche ore prima ho accusato anche Frank di essere insensibile e realizzo che quello che notavo di affascinante in lui, era ciò che ho sempre visto in Lukas. Sorrido più serena tra me e me, ma quando incrocio di nuovo i suoi occhi capisco che se non gli do una risposta, attaccherà con un’altra filippica. Riesco quasi ad udire gli ingranaggi del suo cervello che ne stanno fabbricando una ad hoc. “Ho vomitato quando ho visto com’era ridotta Camille. Purtroppo ho vomitato anche nella realtà. Ho messo i vestiti sporchi in valigia. Sono rimasta col vomito addosso per qualche ora e voilà!”

La sua espressione disgustata mi fa quasi ridere. Per fortuna non ha pensato cose tipo potevi soffocare nel vomito!, che era la cruda realtà. Sembra un po’ più calmo.

“Adesso che è venuta la nausea anche a me, proviamo a dormire qualche ora prima di andare a caccia di spettri.”

Ciao ragazzi!

L’impulsività a volte fa commettere errori grossolani. Certo, alla nostra Erika adesso sta tremando la terra sotto ai piedi: il suo obiettivo è far scappare dal treno quattro persone dannate entro il primo novembre, e il tempo stringe… pensava che fosse facile dato che, in fondo, con Clara non ha fatto chissà quale sforzo. Purtroppo ha ignorato i consigli di Brianna, prendendo un po’ sottogamba le sue avvertenze.

L’idea di essere sufficientemente forte da combattere gli Sluagh l’ha accecata nel giudizio. Purtroppo è un personaggio un po’ superbo, che inconsciamente ancora crede di poter fare tutto da sola. Le vecchie abitudini sono lente a morire, ma non potevo non darle questo peccato capitale… una persona che non crede nelle proprie capacità, non potrebbe mai affrontare tutto questo. Deve ancora imparare i propri limiti, e questa lezione le sarà sicuramente utile.

Avrete notato che i nostri demoni-ombra non si fanno vedere da un po’. È purtroppo normale, hanno cambiato strategia dopo aver perso quattro dei loro. Erika però è troppo presa dai suoi obiettivi, si tiene questo segreto per sé…

Ancora per poco, perché vi annuncio che, per finire la storia entro la prima settimana di gennaio, a partire da adesso le pubblicazioni saranno duplici: sabato e martedì. La storia è composta da 30 capitoli e quindi siamo a poco più della metà, ma 30 settimane mi sembrano un po' troppe, anche perché adesso arrivano le parti più coinvolgenti e sarebbe noioso attendere fino a marzo 2024 per scoprire come va a finire. Al prossimo capitolo comunque ci sarà la conclusione del Camille-arc e lascerò a voi trarre le conclusioni.

Da questo capitolo in avanti, quando tratterò scene che potrebbero dare fastidio a chi non se la sente di leggere descrizioni un po’ crude, metterò un avviso prima del capitolo. Vi preannuncio già che questa NON è una storia horror, quindi ragazzi non vi preoccupate, non cadrò mai nel cringe.

Grazie a chi ancora legge, segue e commenta!

Vi abbraccio tutti, alla prossima :D

 

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: fiore di pesco