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Autore: AncientDust    19/11/2023    4 recensioni
"Per iniziare, ogni partita necessita che i pezzi vengano disposti sulla scacchiera. I bianchi da un lato, i neri dall’altro. I bianchi muovono per primi."
.
"Spesso si dice che le cose vanno come devono andare. Che seguono un'immateriale volontà superiore. Eppure questa è solo una parte della verità. Una pennellata, un ritocco sporadico nel complesso dipinto dell'universo; un piccolo aggiustamento strategico sulla scacchiera del mondo."
.
Crowley e Aziraphale fanno i conti con le loro scelte, mentre il mondo si prepara al Secondo Avvento.
Tentativo parecchio personale, e decisamente più drammatico, di proseguire la storia da dove si è interrotta, immaginando la trama di un'eventuale terza stagione.
[spoiler seconda stagione / tematiche delicate]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NOTA: Da questo capitolo in poi saranno trattate tematiche che potrebbero urtare la sensibilità religiosa, perciò metto le mani avanti e avverto preventivamente.

Buona lettura.

 

_______________________________

 

Parte V

 

 

 

- Febbraio -

 

Il monastero si stagliava immobile sulla curva della collina, fra alberi dai rami addormentati, sotto il sole pallido di quella mattina invernale.

Era una costruzione modesta, ciò che restava di un piccolo complesso medievale, in gran parte aggiuntato da parti più moderne. Una parentesi fuori dal tempo, nascosta nella campagna fra gli Appennini, a monte di un paesino di una manciata di anime. Quel genere di luogo che ostenta la sua semplicità con tale insistente disinvoltura, da far affiorare quasi del sospetto.

Del resto, il miglior modo di celare qualcosa è tenerla sotto gli occhi di tutti, nella convenzionalità del quotidiano. Come già era successo a Tadfield, giusto qualche anno prima. E se il diavolo si nasconde nei dettagli, di certo lo stesso poteva fare Dio. Bastava solo avere l’intraprendenza per notarli.

La facciata di pietra dell’ingresso principale si faceva sempre più vicina, mentre Aziraphale avanzava, immerso in quelle riflessioni, sul largo sentiero di terra battuta cinto da grovigli di arbusti.

Dall'inizio di quella estenuante ricerca, aveva perso il conto di quante fossero le presunte "sante" che si era trovato a dover esaminare, e di altrettanti finti miracoli, strane coincidenze, false gravidanze o fenomeni inspiegabili. Tutti proverbiali buchi nell’acqua.

Tuttavia, questa era la prima volta in cui la notizia di queste stranezze non aveva viaggiato sull'onda anomala della rete, dilagando ovunque sugli schermi dei dispositivi e nei programmi televisivi, alla consueta velocità impossibile che caratterizzava questo genere di cose.

Si trattava di un fenomeno più anacronistico, contenuto, del genere vecchio stile con cui Aziraphale sentiva di possedere maggiore dimestichezza. E, proprio per questo motivo, meritevole di una genuina diffidenza. Per quanto, forse, sarebbe stato fin troppo banale trovare la Madre designata fra le mura di un posto come quello.

In ogni caso, avrebbe potuto scoprire la verità solo effettuando un’indagine.

Sorrise appena fra sé, mentre il ricordo del viaggio a Edimburgo riemergeva dalla sua memoria, facendo una piccola capriola calda nel suo petto. Gli piacevano quel genere di cose, i misteri; gli rammentavano le avventure dei romanzi che amava leggere. Ma sembravano questioni così lontane da lui adesso, legate ad una spensieratezza che non gli apparteneva quasi più; spenta dalle nuove incombenze e dalle preoccupazioni, dietro una nuova austerità da Arcangelo che gli si era incollata addosso.

Una serenità perduta lungo la strada di quei mesi solitari, come la maggior parte delle sue emozioni.

Proprio come il sollievo, che avrebbe dovuto provare alla prospettiva di aver forse trovato ciò che cercava, e che invece era sostituito da una consistente angoscia, per quello che avrebbe comportato.

Il Secondo Avvento iniziava ad assumere i contorni definiti di un fatto concreto e in compimento, non più solo un’astrazione. Qualcosa di necessario, importante, colmo delle possibilità di speranza in cui lui sentiva di avere fiducia, in cui voleva e doveva credere. Eppure, anche spaventoso; terribile nella sua ineluttabilità.

Perché in fondo sapeva che non tutti in Paradiso avevano abbandonato l’idea della guerra. Un’idea contro la quale si affaticava con tutte le sue forze fin dal primo momento, in nome di quel dovere di protezione che sentiva di avere verso il mondo; ma che non era sicuro di riuscire ad estirpare, malgrado il suo intento di fare la differenza.

Dato che, probabilmente, era l’unico per cui questa differenza avesse una qualche importanza.

E, a volte, la sua fiducia vacillava, anche se non desiderava ammetterlo. Inghiottita in quella opprimente responsabilità, dall’incertezza; schiacciata sotto il peso di paure che si incastravano piano, un pezzetto alla volta, nella sua essenza.

Una in particolare, la più bruciante.

Talmente ingestibile da essere stata relegata in un minuscolo anfratto della sua mente, in bilico sul confine di ciò che ancora non era nemmeno disposto a considerare. Ma che martellava comunque, incessante; che lo prendeva alla gola, ogni volta che trovava un’apertura, anche solo un piccolo cedimento, in quel muro che si era fabbricato per non perdere la ragione.

Il Giudizio.

Quella minaccia a lungo paventata, che ora aleggiava silenziosa su ogni testa, pronta a calare d’improvviso come una ghigliottina. E, nonostante sapesse quanto fosse imprevedibile il procedere degli eventi, non poteva impedirsi di pensare a cosa ne sarebbe stato dei demoni, in quel giorno designato.

A cosa ne sarebbe stato di Crowley.

Continuava a ripetere a sé stesso di affidarsi alla giustezza dei Piani Divini; che lui aveva ottenuto il perdono, la restaurazione al suo status di angelo, sebbene lo avesse rifiutato; e questo doveva pur contare qualcosa. Doveva.

Ma non poteva esserne certo. D’altronde era già accaduto una volta, quando la rovina della Caduta lo aveva trascinato giù, insieme a tutti gli altri.

Spesso Aziraphale lo biasimava per non aver accettato l’offerta del Metatron, per essere stato così testardo; così sciocco, e sconsiderato. E anche egoista, a lasciarlo da solo a gestire l’ingestibile, quando avrebbero potuto essere… insieme.

Ma biasimava di più sé stesso, per non aver insistito, per non essere riuscito a convincerlo, a portarlo via con sé. E, dentro, disperava. Tormentato da quell’ultimo mortificante momento che avevano condiviso; sentendo ancora il suo respiro sulla pelle e la stretta delle sue mani aggrappate al bavero della giacca.

A volte, lo sfiorava il pensiero di tornare indietro. Eppure non aveva più avuto il coraggio di riavvicinarlo, né di rimettere piede a Soho, o nella libreria. Forse perché, nel profondo, sapeva che poi non sarebbe più riuscito ad andarsene, a tornare ai doveri; e non poteva esserci spazio per l’egoismo nel cuore di un angelo, non mentre tutto il creato si trovava in bilico sul precipizio.

Altre volte, rifletteva sul fatto che avrebbe potuto essere lui, alla fine, a decadere. A cedere a quella pressione che lo divorava ogni giorno, alla gelida indifferenza della luce del Paradiso, che gli si insinuava fin dentro le ossa e che apriva nel suo petto voragini di mancanza.

Anche se, ironicamente, questo lo faceva sentire meglio, alla prospettiva che lui e Crowley forse si sarebbero ritrovati di nuovo, alla conclusione di tutto, per quanto nella dannazione.

Rabbrividì, destato dal tocco gelido del vento. Ingoiò quei pensieri come una pietra, a palpebre chiuse, cercando di ricacciarli in un angolo remoto, lontano dalla consapevolezza cosciente, arrancando sul quel sentiero solitario.

Un angelo ha fede, si ripeté.

Un angelo ha fede.

E c’era ancora un compito da svolgere.

Il respiro pesante si condensava in agitate nuvolette di vapore davanti al suo viso, mentre raggiungeva un grigio portone a vetri opachi, che mal si sposava con le porzioni di muro antico. L’intera struttura sembrava avvolta dal più assoluto silenzio, nonostante fosse da poco passato l’orario delle preghiere mattutine in favore di quello della colazione.

Ancora ansante, Aziraphale si lisciò le pieghe dell’abito talare – miracolato per l’occasione – e pigiò il pulsante di un citofono che, come tutto il resto, non produsse che un suono muto.

Attese. Le dita gelate istintivamente andarono a sistemare un farfallino non presente, incontrando invece la rigida striscia del collarino.

Il travestimento era semplice e funzionale, quel tanto che bastava a permettergli di avere il giusto aspetto per indagare indisturbato; per il resto, avrebbe contato su qualche piccolo miracolo. Tuttavia, pensò a malincuore che il nero non era un colore che amava indossare.

Non passò molto prima che sentisse la serratura scattare e il portoncino aprirsi. Ne sbucò una suora minuta, né giovane né anziana, con larghi occhiali da vista, appesi su un corto naso a uncino. Uno sguardo interrogativo dietro le lenti.

Aziraphale si schiarì la voce, esibendo un piccolo sorriso cordiale.

«Ehm… Buongiorno, sorella.» esordì, in un perfetto italiano, mentre accompagnava l’invocazione del miracolo con un leggero gesto della mano, occultata fra le pieghe della veste.

La suora passò dalla confusione allo sbigottimento in un battito di palpebre.

«V-vicario.», balbettò, cercando di riportare alla mente qualcosa che non le apparteneva, «Lei aveva…»

«Avevo avvertito per telefono della mia visita, ricorda?» suggerì cortese Aziraphale. Non gli piaceva manipolare le persone, ma l’urgenza del suo compito aveva reso un minimo necessarie anche quel tipo di misure.

«Ma certo, ma certo.» assentì lei, convinta, facendogli cenno di entrare.

Aziraphale varcò la soglia. Sfregò le mani tra loro nel tentativo di scaldarle, grato della temperatura più confortevole dell’interno. La suora lanciò un’ultima occhiata fuori, prima di chiudere.

«È arrivato a piedi da solo, con questo freddo?»

«Mi piace passeggiare.» ammise.

E quella non era una menzogna. Avendone la possibilità, non perdeva mai l’occasione di evitare un po’ più a lungo i corridoi spogli del Paradiso, in favore di una passeggiata sulla terra; per quanto impietoso potesse essere il clima.

Lei gli rivolse un’espressione apprensiva.

«Venga. Le preparo un caffè, o magari preferisce un infuso caldo? Li facciamo noi, con le erbe che coltiviamo.» spiegò, una punta di candido orgoglio nella voce.

«Un infuso sarebbe meraviglioso.» convenne Aziraphale, sempre più grato. Una fin troppo trascurata parte di lui, già pregustava il tepore dolce della bevanda sulla lingua.

La suora lo guidò attraverso la sala d’ingresso, e poi fuori, lungo un passaggio porticato, i cui archi si aprivano su un piccolo chiostro romanico. Nel centro, un vecchio pozzo di pietra svettava, fra le aiuole macchiate di gramigna sbiadita dall’inverno. Da un lato, i ponteggi metallici di un’impalcatura di sostegno si arrampicavano su una porzione di muro pericolante. Ancora un connubio di antico, moderno e decadenza che, per qualche motivo, Aziraphale non riusciva a trovare gradevole.

Rientrarono quasi subito, attraverso una delle numerose porticine laterali, in uno stretto corridoio semibuio, impregnato dell’odore forte di erbe e mele. Un leggero tramestio giungeva attutito da una delle stanze vicine.

«Le sorelle sono ancora in refettorio, per la colazione.» spiegò la sua accompagnatrice, spingendo la maniglia dell’ennesima porta a vetri. Al di là, si allargava un’ampia cucina dal mobilio essenziale e abbastanza vissuto, eppure mantenuto in un perfetto ordine. Un lungo tavolo ingombrava quasi tutto lo spazio centrale, coperto da una quadrettata tovaglia di plastica; al di sopra, dall’alto del muro bianco, un crocifisso sorvegliava la stanza.

La piccola suora lo invitò a sedersi, mentre colmava d’acqua un bollitore, e Aziraphale non se lo fece ripetere, accomodandosi su una delle sedie intorno al tavolo. Lisciò le pieghe della veste, pensando che quello era il momento giusto per iniziare a capire.

«Sorella, come già le avevo accennato, ehm, sempre per telefono, sono qui per parlare con una ragazza. Una vostra novizia.»

«Oh.» sussurrò lei, arrestando per un istante il suo affaccendarsi, «Ha saputo di quella povera anima.»

Sospirò, abbozzando un segno della croce sul petto. Poi si avvicinò al tavolo, con un piattino colmo di biscotti alle mandorle e un’espressione turbata dietro gli occhiali.

«Pensavo fosse il Monsignore a occuparsene.»

«Me ne occupo anch’io, ora.» la tranquillizzò Aziraphale, occhieggiando i biscotti senza prenderne, «Ho parlato con diverse persone giù in paese, tra cui la sua famiglia. E mi sono state raccontate delle cose, diciamo, piuttosto insolite, anche se solo i genitori sembrano a conoscenza dell’accaduto e della condizione attuale. Mi sbaglio?»

La suora tornò ai fornelli, ancora agitata. «Non è bene che si sappia, ovviamente. Ci è stato chiesto di continuare a tenerla qui, finché…beh…» non terminò la frase. Prelevò invece un barattolo dalla credenza e colmò un infusore con il suo contenuto.

«Povera ragazza. È così devota. Per questo la famiglia ce l’ha affidata. Però la sua mente, sa, è sempre stata instabile. Non vede le cose come tutti gli altri, spesso è… confusa. Ed è così giovane.» sospirò di nuovo, la piccola croce che teneva al collo ora stretta fra le dita, «Ma siamo tutti figli di Dio, dopotutto. Meritiamo di ricevere il perdono per i nostri sbagli.»

Aziraphale assentì a bocca chiusa. Nella sua testa vagò per un istante il ricordo di un perdono amaro di fiele, e di una chioma rossa, che si allontanava sulla strada oltre i vetri di un ingresso.

Si morse il labbro; la mano sinistra, come sempre, che tornava a tormentare nervosa la destra, e l’anello intorno al mignolo.

Lasciò che il silenzio riempisse per un po’ lo spazio della conversazione, mentre osservava la suora versare l’acqua del bollitore in una tazza. E, dall’alto della sua scomoda posizione, la figura sul crocifisso osservava lui, in un giudizio muto e imperscrutabile. Aziraphale pensò a quanto sarebbe stato tutto più semplice, se avesse potuto chiedere a quella figurina intagliata dove avesse intenzione di rinascere.

Si schiarì la voce prima di parlare di nuovo, nel tentativo di mascherare i pensieri dietro un tono pacato.

«Mi scuso per la franchezza, sorella, ma cosa mi sa dire invece del padre del bambino?» chiese, intanto che lei tornava al tavolo porgendogli l’infuso fumante, «Sapete se è della zona, o se la ragazza lo conosceva o meno? Magari qualcuno di cui ha parlato.»

La suora scosse la testa. «Oh no, non si sa chi sia. E, come le ho già detto, lei è confusa, non sa bene quello che dice. Il medico ha detto che certi problemi posso aumentare, quando si è nel suo stato.»

Aziraphale corrugò le sopracciglia, portando la tazza alle labbra. «Ed esattamente, cos’è che dice?»

Prese un sorso bollente, pungente di zenzero sulla lingua. Non era dolce come sperava, ma il calore che scivolava giù per la gola risultava piacevole, dopo tutto quel freddo.

La sua interlocutrice spostò lo sguardo altrove, la mano di nuovo chiusa intorno alla catenina; la bocca stretta in una linea sottile, nella difficoltà di pronunciare qualcosa di scomodo, che uscì infine timido, come un bisbiglio.

«Dice… che è stato un dono di Dio.»

 

***

 

I loro passi echeggiavano nel silenzio del corridoio, mentre superavano una lunga fila di stanze chiuse. Si fermarono solo una volta arrivati in fondo, di fronte all’ultima piccola porta scura.

La suora accostò le nocche al legno e bussò un paio di volte, prima di abbassare la maniglia e affacciarsi all’interno, nello spiraglio appena aperto.

«Eleonora, cara, c’è qui una persona che vorrebbe parlarti.»

I cardini cigolarono quando la porta venne spalancata del tutto, rivelando una stanzetta spoglia, ma abbastanza luminosa e accogliente. Pochi mobili, qualche libro colorato sugli scaffali e un grosso coniglio di peluche, pendente sul ripiano del comò.

Una figurina in bianco, sedeva composta sul bordo di un letto dalla coperta fatta a mano. I capelli che toccavano le spalle, non coperti dal canonico velo, e un rosario stretto fra le dita, davanti al rigonfiamento già abbastanza pronunciato della gravidanza.

Aziraphale indossò la solita espressione cordiale e mosse qualche passo cauto, per mostrarsi senza intimorire. Premura che, tuttavia, non sembrò granché necessaria, quando alla sua vista la ragazza allargò l’espressione in un inatteso sorriso estatico; lo sguardo limpido spalancato nella sua direzione, in contemplazione di qualcosa poco al di sopra della sua testa.

«C’è così tanta luce intorno a te.» cinguettò, in un tono svagato.

Quantomeno insolito, pensò Aziraphale, muovendo un altro passo avanti; le mani allacciate sul petto e un interesse crescente dietro la fronte increspata.

La suora lo precedette. Si avvicinò alla ragazza e le sfiorò la spalla, nel tentativo di richiamare la sua attenzione. «Cara, il Vicario vorrebbe farti qualche domanda.»

Ma lei non si distolse, persa nella sua osservazione misteriosa, a occhi fissi e labbra dischiuse. «Così luminoso…» disse, corrucciando appena l’arco delle sopracciglia, «Non avevo mai visto nessuno così luminoso, prima. Devi essere… un angelo

Aziraphale trasalì, fra le sbarre del suo contegno.

Questo era decisamente insolito. La cosa più simile a un indizio di qualunque altra a cui si fosse avvicinato negli ultimi sette mesi.

Preso da un fremito nuovo, quasi di agitazione, aprì la bocca e la richiuse, esitante, in cerca delle giuste parole da mettere in fila, mentre la suora gli lanciava un’occhiata eloquente da dietro la cornice degli occhiali. La sentì ribadire un mortificato “è confusa, non sa cosa dice”, bisbigliato fra i denti, mentre si allontanava da lei per tornare al suo fianco.

«N-non si preoccupi, sorella, lasci fare a me.» la rassicurò Aziraphale che, superato lo sbigottimento iniziale, cercava di costringersi a recuperare anche il giusto scetticismo, necessario per una buona investigazione.

Avanzò con calma. Spostò un piccolo sgabello vicino al bordo del letto e vi si sedette, in modo da poterle parlare senza incombere dall’alto, come l’avvoltoio che gli sembrava di essere, infagottato in quella cupa talare.

«Sei qui per me.» riprese la ragazza, e non sembrò una domanda, quanto piuttosto un’affermazione.

«Sono qui per te, cara, si.» rispose Aziraphale.

«Sapevo che saresti arrivato. L’ho visto in un sogno.»

«E fai spesso sogni così? Sogni più strani degli altri?»

La ragazza annuì. Confusa o meno, forse poteva non essere così ignara di ciò che diceva, dopotutto.

«Giù in paese, alcune persone mi hanno detto che le hai aiutate, che gli hai parlato cose che poi si sono avverate. Che hai operato dei miracoli

«Ho solo raccontato quello che Dio mi fa vedere.» rispose lei candida, stringendosi nelle spalle e inclinando la testa da un lato, in un atteggiamento fin troppo bambinesco, che discordava notevolmente con la pancia che le sporgeva tra le pieghe del vestito.

«Mi è stato anche detto che sei uscita di nascosto dal monastero, e che hai… infranto il tuo voto

La ragazza sembrò irrigidirsi; scosse piano la testa e strinse il rosario, scorrendone uno a uno i grani tra le dita, lo sguardo sempre più fisso nel vuoto.

Aziraphale sospirò. Si sporse e abbassò ancora di più la voce, tirando fuori il tono più indulgente che la sua natura angelica gli permetteva.

«È così, cara? Sei uscita per incontrarti con qualcuno?» ripeté, «Non c’è nulla di male, davvero, a me puoi dirlo.»

Per la prima volta, la ragazza lo guardò davvero. Le pupille si spostarono, mettendosi a fuoco sulle sue; poi la testa si mosse ancora, da una parte e dall’altra, in un rinnovato e apatico cenno di diniego.

«Io non esco mai.», rispose, stringendo il rosario contro il petto, «Ma Dio mi viene a trovare, qualche volta.»

Aziraphale frugò in quegli occhi alienati, senza scorgere menzogna. Percepiva amore, percepiva la sua fede, eppure c’era anche qualcos’altro; qualcosa di strano, di nascosto, che non riusciva a identificare.

Le offrì un piccolo sorriso premuroso, anche se già poteva sentire angoscia e frenesia iniziare a contorcersi, in lotta, fra le sue costole.

Poteva… Poteva essere lei?

Troppe coincidenze, troppi indizi, troppi dubbi, ma ragionevoli probabilità. E se così era, allora le ricerche erano arrivate alla fine, e l’Avvento era più imminente che mai.

Deglutì saliva che parve sabbia, sentendosi improvvisamente stanco, al pensiero dell’impegno che ancora lo attendeva. Perché la ricerca non era altro che la chiave di violino sul pentagramma, il primo segno su uno spartito bianco ancora da scrivere.

E penna e inchiostro erano fra le sue mani adesso; mani inquiete che tremavano appena, strette intorno alle ginocchia, in quella realtà colma di note stonate.

 

 

 

***

_______________________________

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Salve, salve.

Fuoriesco dalla mia tana buia con questo nuovo capitolo, il primo che entra nel vivo della trama probabilmente, e anche il più difficile che ho scritto fino ad ora. Trovo maggiormente complesso da scrivere Aziraphale rispetto a Crowley, soprattutto per come sto cercando di far evolvere il personaggio. Per fortuna con il prossimo si va di nuovo dal caro demonio e posso (forse) scrivere più serenamente. 

Mi rendo conto che ci sono cose molto confuse e strane in questa storia, ma confido nel fatto che siano ben chiare tutte quelle cose che devono esserlo per ora, e per quanto riguarda le altre si dovrà aspettare che la trama prosegua. Purtroppo (o per fortuna, chi può dirlo) adoro indizi e misteri, e spero, oltre alla confusione, di essere riuscita ad intrigare almeno un po’.

Per il resto, grazie di aver letto e grazie in anticipo per qualunque tipo di feedback, alla prossima! ✨🖤

 

   
 
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