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Autore: Nolowende    20/11/2023    0 recensioni
Tjaryk è ormai prossimo al giorno in cui inizierà a servire la sua terra – non come soldato, né come semplice mago, ma come la più potente delle armi. Perché il suo potere non è frutto del suo sangue, ma un dono degli dei, e tutto ciò che può fare per ripagare l'ordine che lo ha cresciuto è usarlo contro i nemici che li minacciano.
Le parole di un uomo misterioso trovato in una foresta rivelano la verità. Ci sono altri come lui. Una signora del deserto divenuta regina del cielo. Un capitano privato del suo esercito. Una guaritrice disposta a combattere per la salvezza del suo amore.
E soprattutto, gli dei non concedono doni senza motivo.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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L'acqua era più fredda del solito. Kajza rabbrividì, ma continuò a strofinarsi fino a essere certa di essere del tutto pulita. Dopo il vapore con cui era venuta a contatto, quando aveva immerso i suoi guanti e il suo bisturi nella piccola vasca di acqua bollente e liscivia, la sensazione di fastidio era ancora più intensa, quasi dolorosa.

Si lasciò sfuggire un sospiro mentre si avvolgeva nel morbido panno bianco che la attendeva accanto alla tinozza. Se solo fosse stata abbastanza fortunata da essere nata con la magia, sarebbe riuscita a scaldarsi subito.

Doveva continuare a concentrarsi su dettagli insignificanti come quello, o la verità di ciò che stava per accadere l'avrebbe paralizzata.

Si rivestì lentamente, il tessuto nero quasi alieno sotto le sue dita. L'ultima volta che aveva indossato un colore simile era stato alle esequie dei suoi genitori, così tanti anni prima che il ricordo ormai era annebbiato. Non era pronta a vestirsi di nuovo a lutto.

Se fosse stata fortunata, nessuno dei suoi cari le sarebbe stato portato via, e lei avrebbe avuto altri venticinque anni di sollievo.

Ma la fortuna non era spesso dalla sua parte.

Si fece forza e si lasciò la porta alle spalle, incamminandosi sotto la volta di rami intrecciati che conduceva al palazzo centrale. Non poteva permettersi di tardare. Voleva passare le ore che ancora mancavano alla cerimonia insieme a Syrthir, Gwyrdeg e Oidhren, anche solo per dire loro addio. Strinse la mano intorno al ciondolo che portava al collo e cercò di smettere di tremare.

Le avevano spiegato cosa sarebbe successo il giorno del sacrificio quando era bambina, come a tutti i madil di Pawýr, ma una parte di lei non aveva mai creduto veramente che quel momento potesse arrivare. L'ultimo era stato prima che lei nascesse, e, sentendone parlare, le era parso più una leggenda che una minaccia.

Il fatto che lei non corresse nessun pericolo concreto non la consolava. Coloro che amava rischiavano molto più di lei.

Attraverso i rami del soffitto poteva vedere il cielo assumere una sfumatura lilla. Le lanterne si stavano già accendendo di una luce verdognola, e Kajza accelerò il passo. Quando fosse giunta la notte, sarebbe già stato troppo tardi.

Era troppo assorta nei propri pensieri per scorgere la figura che emerse dal sentiero che incrociava quello che lei stava percorrendo. Si scontrarono con forza sufficiente a farla barcollare. Kajza recuperò l'equilibrio e si scostò dagli occhi i capelli arruffati, mormorando una parola di scusa, prima di accorgersi chi fosse l'altra.

Glanhryfel ricambiò freddamente il suo sguardo, lisciandosi con le mani affusolate il pesante abito nero. I fili d'oro intessuti a spirale lungo il bordo del tessuto e intorno alle sue pesanti trecce ramate brillarono muovendosi alla luce delle lanterne. Non le rivolse la parola mentre si voltava e proseguiva nel proprio cammino.

Kajza la seguì con lo sguardo. Normalmente la principessa avrebbe fatto di tutto per evitarla – e lei aveva smesso da tempo di chiedersi il perché – ma quella sera si sarebbero dovute sopportare a vicenda. Se volevano vedere un'ultima volta Oidhren e Syrthir, e soprattutto Gwyrdeg, non avevano altra scelta.

Inspirò e cercò di raggiungerla, anche se ogni passo sembrava impossibile. Le sue gambe tremavano a tal punto da parere sul punto di cedere da un momento all'altro.

Le parve che fossero passate ora prima di scorgere la sua destinazione. Il piazzale antistante la reggia era già affollato, ma Kajza riconobbe subito coloro che cercava, e li raggiunse quasi correndo. Aveva la sensazione che, se non fosse stata abbastanza rapida, li avrebbe visti svanire di fronte ai propri occhi.

Oidhren sorrideva come se non stesse succedendo nulla, ma la sua espressione non bastava a mascherare la paura nel suo sguardo. L'assenza delle familiari macchie di colore sui vestiti e sulle dita non faceva altro che sottolineare quanto fosse anomala la notte che si stava avvicinando. Gwyrdeg stava parlando con la sorella, ma voltò la testa nel sentirla arrivare. Al contrario di Glanhryfel, che pareva determinata a continuare a ignorarla, la salutò con un cenno della mano, ma tenne gli occhi bassi e le labbra serrate. Sembrava più pallido del solito.

Syrthir invece le sorrise e la strinse a sé, ma il bacio che le posò sulle labbra durò più del solito, e fu più ardente. Disperato. Anche quando si staccarono, Kajza rimase aggrappata a lui più a lungo del normale, sfiorando il ciondolo, identico al suo, che lui portava al collo.

“È un piacere rivederti, Kajza” commentò Oidhren con finta allegria. “Se gli dei ci sorridono, questa non sarà l'ultima volta.” Ma i suoi occhi scuri continuavano a scattare inquieti da una parte all'altra della piazza, e lei sentì la presa di Syrthir sulle proprie spalle rafforzarsi.

Non riuscì a rispondergli. Avrebbe voluto provare a rassicurarli, ma era certa che, se avesse tentato di parlare, sarebbe soltanto scoppiata in lacrime.

Non doveva sprecare quel momento, ma l'ombra del lutto era già calata su di loro, e forse non se ne sarebbe pù andata.

Un nuovo sacrificio era necessario. Già alcuni madil, sia presso di loro sia negli altri regni, erano spariti. I mydeleth si stavano spingendo sempre più vicino ai palazzi. Non avevano attaccato, ma erano in tanti ad avere visto, negli ultimi mesi, i loro denti e le loro lame violacee baluginare oltre le barriere di rami e foglie. I Demoni Gemelli si sarebbero vendicati, se loro non avessero pagato.

Esisteva un solo modo di placare la loro brama. Un'unica vita, in cambio della salvezza di tutta Pawýr.

Forse quella volta non sarebbero stati loro a pagare. Il loro regno era già stato responsabile del sacrificio venticinque anni prima. Ma se Atheia avesse gradito il loro ultimo dono, avrebbe potuto decidere di reclamarne un altro. Dal modo in cui Glanhryfel stava fissando Gwyrdeg, Kajza intuì che anche lei stava pensando la stessa cosa.

Syrthir le posò un altro bacio sulla testa, senza lasciarla andare. “Ti amo” le sussurrò, accarezzandole i capelli. Abbandonandosi al calore della sua stretta, lei si chiese quante volte ancora avrebbe avuto la possibilità di udire quelle parole.

Era stato un errore che avessero scelto di aspettare l'estate per sposarsi. Non avevano fatto altro che accrescere le proprie speranze per il futuro, e se nelle ore seguenti se le fossero viste strappare...

“Ti amo anch'io” gli rispose piano. Avrebbe voluto che ciò che provava per lui fosse bastato a proteggerlo.

Per un momento, ebbe la sensazione che la postura di Glanhryfel si fosse fatta ancora più rigida. Forse era stata solo una sua impressione, e in ogni caso in quel momento non le importava di cosa potesse pensare l'altra.

Solo per quelle ore, avrebbe dimenticato ogni cosa fuorché ciò che avrebbe potuto perdere.

Gwyrdeg circondò con un braccio le spalle di Glanhryfel e volse i cupi occhi verdi sui compagni. “Qualunque cosa accada” iniziò – con il tono sicuro del re che sarebbe diventato, se non fosse morto quella notte - “sono felice che voi siate qui, ora.”

Oidhren non rispose. Si limitò a fissare i ciottoli lisci sotto i loro piedi e ravviarsi i capelli, ma dalla piega delle sue labbra Kajza capì quanto vicina fosse la sua apparenza calma a infrangersi. D'istinto, si sciolse dall'abbraccio di Syrthir per raggiungerlo e posargli una mano sulla spalla. Quando lui sollevò lo sguardo su di lei, i suoi occhi erano lucidi.

Avrebbe voluto parlargli, ma non poteva comprendere ciò che stavano passando loro. Sapeva già che non le sarebbe successo nulla. Ma nonostante questo, la morsa gelida del terrore non l'avrebbe lasciata andare. Non fino a quando non avesse avuto la certezza che sarebbero stati bene.

Chiuse gli occhi e pregò gli dei di avere pietà. Non era certa che la stessero ascoltando.

                                                                                        …

L'eco degli zoccoli dei cavalli dei mydeleth, mentre giungevano al galoppo, pareva simile al rombo di un terremoto. In realtà, quest'ultimo sarebbe quasi stato preferibile.

Kajza rimase con la schiena premuta contro le pareti del tunnel, ignorando i rami che le pungevano la pelle. Per quanto una parte di lei desiderasse unirsi a Syrthir, era quasi grata di trovarsi ai margini del piazzale, insieme ad altri madil di prima generazione. Quando le creature fossero arrivate, non le avrebbe viste da vicino, e loro non avrebbero potuto toccarla.

 

La nausea iniziò ad aggredirla mentre il suono si avvicinava. Aveva implorato che quel momento non arrivasse mai, e ora dovette fare appello a tutte le proprie forze per non scappare. Non sarebbe servito a cambiare la realtà, e lei doveva almeno guardare. Guardare e ricordare quale fosse il prezzo per la pace in cui era cresciuta.

I mydeleth apparvero, irrompendo nella piazza come se ne fossero stati i veri padroni.

Il loro arrivo non era stato inatteso, ma la folla indietreggiò tanto violentemente che Kajza riuscì a malapena a evitare di restare schiacciata. Perse l'equilibrio e batté la testa contro uno dei rami, ma non cadde. Lasciandosi sfuggire un gemito, batté le palpebre fino a quando non riuscì a mettere a fuoco l'immagine davanti ai suoi occhi.

Dalla sua posizione, era in grado di vedere bene ciò che stava accadendo al centro del piazzale. Avrebbe preferito non poterlo fare.

Non erano solo le sciabole a fianco dei mydeleth a farli apparire pericolosi, nonostante il maligno lucore del kahen. Non erano nemmeno i muscoli poderosi che guizzavano sotto la pelle viola, pronti al combattimento, né il fatto che, anche senza i loro cavalli, avrebbero torreggiato sulla maggior parte dei presenti. Non quanto i loro sogghigni e lo scintillio dei loro occhi gialli. Lo sguardo di chi stava pregustando la vittoria.

Erano solo in sette, ma Kajza aveva la sensazione che, se avessero dovuto combattere, avrebbero potuto distruggere molte vite prima di soccombere. Erano quasi indistinguibili tra di loro, e perfino i marchi sui loro avambracci nudi – un rombo all'interno del quale si intersecavano due cerchi, sovrastati dalla testa di un drago – erano identici. Una di loro, l'unica donna, stringeva tra le dita artigliate uno stendardo nero su cui era riprodotto, in rosso, lo stesso simbolo. Lo stemma dei Demoni Gemelli.

Rimase a fissarli paralizzata, osando a malapena respirare. Aveva sempre saputo della loro esistenza, ma non si era resa conto di quanto poco la sua casa fosse sicura. Se avessero voluto il loro sangue, Anbren e Atheia avrebbero potuto mandare l'esercito contro di loro, e non ci sarebbe stata possibilità di salvezza.

Persino il re era impallidito ed era indietreggiato di un passo. Kajza non poteva biasimarlo. I mydeleth avevano portato via suo fratello, al tempo dell'ultimo sacrificio, ed era noto a tutti che suo figlio avrebbe potuto seguirne la sorte. Glanhryfel forse sarebbe stata risparmiata più facilmente – dovevano essere passati secoli dall'ultima volta che Atheia aveva preteso che le fosse immolata una donna – ma neanche lei era del tutto al sicuro.

Eppure, quando parlò, la voce del sovrano risuonò chiara e ferma. “Figli di Atheia!” iniziò. Stava stringendo i pugni, come se fosse stato pronto a richiamare il potere degli elementi, ma usare la magia in quel momento avrebbe solo scatenato la furia dei Demoni. “Siate i benvenuti.”

Uno dei mydeleth replicò con un sogghigno. “Glythur di Aden” rispose, anche se, dal suo tono, pareva un insulto più che un saluto. “La nostra ricerca per ora è stata... infruttuosa, ma la nostra signora non dubita che qui troveremo ciò che le serve.”

Glythur non disse nulla, nonostante la tensione che percorreva visibilmente il suo corpo. Kajza premette il proprio corpo contro la parete, inspirando nel tentativo di restare in piedi. Il suo cuore batteva troppo forte per permettere all'aria di raggiungere i suoi polmoni. La sua vista si fece sfocata per un momento, e lei dovette aggrapparsi a uno dei rami fino a quando la consistenza ruvida contro il suo palmo non la riportò alla realtà.

Forse stavano solo cercando di spaventarli. Forse, Atheia non sarebbe stata soddisfatta neanche da ciò che Aden poteva offrirle e i suoi messaggeri avrebbero trovato la prossima vittima in un'altra parte di Pawýr. Avrebbe pregato perché all'anima dell'eletto fosse concessa la pace, ma non avrebbe dovuto piangerlo.

Il sovrano fissò i mydeleth come se volesse attaccarli all'istante, sebbene fosse disarmato come tutti. Poi abbassò lo sguardo e si fece da parte.

Le pupille verticali delle creature si restrinsero mentre iniziavano la loro ispezione, posando lo sguardo su ognuna delle loro potenziali prede. Si interruppero solo poche volte per spostare l'attenzione sul marchio sulle loro braccia, fermandosi come in attesa.

Nel silenzio, ogni respiro, ogni ansito angosciato pareva assordante. A tutti era stato spiegato fin dall'infanzia cosa sarebbe successo, ma aspettare mentre i mydeleth sondavano il loro potere, in cerca del sacrificio, pareva impossibile. Kajza sapeva che avrebbe dovuto protestare, o gridare, o fuggire, ma il suo corpo non volle muoversi.

Nemmeno quando uno dei messaggeri, con un sorriso di trionfo, fece un passo in avanti, afferrando il braccio di Syrthir.

Il tempo parve rallentare fino a fermarsi. Kajza trasalì e tentò di lanciarsi in avanti, maledicendosi per non avere portato con sé il suo bisturi o uno dei suoi strumenti per colpire quell'essere prima che potesse fare del male a colui che amava. Syrthir barcollò quando fu strattonato violentemente, ma non oppose resistenza. Alcune ciocche bionde sfuggirono alla crocchia sulla sua nuca, oscurando la sua espressione, ma lei sapeva che nei suoi occhi avrebbe visto la paura, e avrebbe solo voluto raggiungerlo e giurargli che non lo avrebbe lasciato andare.

Le persone intorno a lei dovevano avere compreso le sue intenzioni, perché una mano, forte e sconosciuta, le afferrò il polso, impedendole di avvicinarsi oltre. Se avesse tentato di fermare il sacrificio, avrebbero dovuto pagare tutti.

“No!” La voce di Gwyrdeg finalmente squarciò il silenzio. Kajza era quasi certa di poter vedere riflessa sul suo viso la propria espressione. “Lui non vi serve... prendete me.” Glythur strinse i denti, ma i mydelth si limitarono a ignorare l'offerta, avvicinando ulteriormente Syrthir e formando una barriera intorno a lui.

Nessuno li stava ostacolando. Kajza sapeva cosa sarebbe successo se ci avesse provato, ma, anche se era a malapena consapevole delle implorazioni che stavano lasciando le sue labbra, non riusciva a fermarsi. Qualcuno doveva impedire ciò che stava accadendo, prima che fosse troppo tardi.

“Padre!” La supplica di Glanhryfel si unì alla sua, e per un attimo Kajza pensò che potesse bastare a spingere il re ad agire. “Ti prego...”

Glythur spostò l'attenzione da Syrthir alla figlia, prima di distogliere lo sguardo.

Kajza riprese a lottare, ma la stretta su di lei non si allentò, e mentre Syrthir si faceva sempre più lontano tutto ciò che riuscì a fare fu scalciare e mordere, senza che coloro che la tenevano ferma la lasciassero andare.

I mydeleth si allontanarono in silenzio, come durante una veglia funebre. Solo quando furono spariti dalla vista dei madil, lasciandosi dietro solo l'eco degli zoccoli dei cavalli e del flebile richiamo di Syrthir, la lasciarono andare. Kajza cadde in ginocchio senza avere il coraggio di rialzarsi, accecata dalle lacrime.

Aveva sempre saputo che ci sarebbe stato un prezzo da pagare per la pace in cui era cresciuta.

Ma non lo aveva compreso veramente fino a quel momento.

                                                                                                      …

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato quando si decise a riaprire gli occhi. La luce che penetrava dalla piccola finestra della sua stanza era grigia e fioca, insufficiente a farle capire l'orario.

Kajza rimase immobile, stringendo spasmodicamente le lenzuola. Non voleva muoversi. Se avesse osato farlo, il tempo avrebbe ricominciato a scorrere.

La sera prima, Oidhren l'aveva sorretta e quasi trascinata fino al suo letto, mormorandole vuote parole di conforto. Lei aveva pianto fino ad addormentarsi ed era sprofondata in un sogno in cui i mydeleth se n'erano andati senza chiedere nulla. Si era quasi convinta che quella fosse la realtà, e che la scomparsa di Syrthir fosse stata un incubo.

Quando si era svegliata il sole era già alto, ma il suo calore non era riuscito a raggiungerla. Aveva richiuso gli occhi e pregato di tornare al sogno. Era riuscita a ottenere solo brevi sprazzi di sonno agitato, ma l'aveva preferito all'idea di alzarsi e affrontare ciò che la aspettava.

Aveva sentito bussare alla porta forse un'ora prima, e non sapeva se fosse stato Oidhren o qualcuno degli altri guaritori fosse venuto a cercarla. Non aveva intenzione di alzarsi per controllare. La nausea le stava trafiggendo lo stomaco.

Si rigirò nel letto, cercando di riaddormentarsi subito, ma il calore delle coperte si stava facendo soffocante. Poteva sentire il pianto tornare ad affiorare, e non voleva combatterlo. Sperava di poter piangere fino a consumarsi. Se solo fosse stata una ninfa, si sarebbe potuta fondere con le proprie lacrime, e forse, in quella forma, non avrebbe provato più nulla.

Era sicura che tutti gli altri sentissero solo sollievo, di fronte alla consapevolezza che i mydeleth non avrebbero più potuto toccarli. Sarebbe dovuta essere onorata nel sapere che, grazie a Syrthir, a tutta Pawýr sarebbero state risparmiate le sofferenze che i Demoni erano in grado di infliggere.

Ma per quella grazia lei aveva dato il futuro che avrebbe potuto avere con la persona che amava, la vita che avrebbero costruito insieme, e aveva perso l'unica famiglia che le restasse.

Lentamente, i muscoli irrigiditi dall'immobilità quasi totale, allungò un braccio verso la cassettiera accanto al suo letto, cercando il ciondolo che le era rimasto. Avrebbe fatto meglio a sbarazzarsene – non le sarebbe servito a nulla, ora, se non a ricordare momenti più felici, e lei non era certa di non volerli dimenticare del tutto.

Era ancora caldo, la superficie intatta sotto i suoi polpastrelli.

La sensazione la riscosse del tutto dal torpore. Lasciò cadere bruscamente il monile, che rimbalzò sul pavimento, ma non si ruppe. Mettendosi seduta, Kajza rimase a guardarlo con gli occhi spalancati.

Lo raccolse con cautela, senza smettere di fissarlo. Sotto la superficie bianca, le venature viola sembravano essersi fatte ancora più evidenti. Sapeva cosa significasse, anche se fino a quel momento non ci aveva creduto davvero.

Lei e Syrthir avevano comprato quei ciondoli da un mercante umano, uno dei maghi dalle terre di Lunyan, il primo dei giorni di Falham, quando avevano deciso ufficialmente di fidanzarsi. L'uomo li aveva assicurati che, anche se si fossero trovati lontani, sarebbero stati certo l'uno dell'incolumità dell'altra, finché la superficie dei gioielli non si fosse spaccata. Nessuno dei due aveva pensato che fosse vero, ma quella sera avevano bevuto ed erano felici, avevano desiderato qualcosa di diverso da una coppia di anelli per mostrare la loro unione, e il colore era piaciuto a entrambi. Syrthir le aveva detto, accarezzandole una guancia con dolcezza, di apprezzare il modo in cui il candore si intonava ai suoi capelli.

E ora quel piccolo, apparentemenete insignificante oggetto era tra le sue mani, ancora integro anche dopo che colui che amava se n'era andato.

Non avrebbe dovuto avere alcun significato, ma per i minuti seguenti lei non riuscì a fare altro che fissarlo ancora. Forse esisteva una possibilità che Syrthir non fosse già morto, anche ora che erano trascorse tante ore.

Lo aveva lasciato andare prima, ma forse ora, senza nessuno a fermarla, avrebbe potuto salvarlo.

Una parte della sua mente continuò a ripeterle che agire avrebbe potuto portare una guerra più terribile di quanto fosse in grado di immaginare. Nel migliore dei casi, sarebbe morta, e Syrthir con lei.

Eppure non riuscì a fermarsi mentre finalmente si alzava e un piano iniziava a prendere forma nella sua mente.

Forse, aveva ancora la possibilità di rimediare al proprio errore.

   
 
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