“Senza
aristocrazia,
lo Stato è un vascello senza timone.”
(Napoleone
Bonaparte)
CAPITOLO 1
LA NASCITA DELLO STATO LIBERO
Come un fulmine a ciel sereno.
Una
tempesta impossibile da fermare.
Prima
ancora che la notizia potesse uscire dai confini di Eirinn per bocca degli
esploratori o delle spie straniere, un esercito di messaggeri a cavallo
percorse come uno sciame di locuste ogni strada, ogni sentiero. E una mattina, con
una coordinazione quasi sconvolgente, sulle bacheche per gli annunci ufficiali
di tutte le maggiori città dell’Impero e delle altre nazioni vicine comparve un
annuncio.
A chiunque legga questo messaggio,
Abitanti
di Erthea.
Vi
parlo a nome degli abitanti della vecchia provincia di Eirinn, dell’Impero di Saedonia.
Con
il favore di Gaia ed il sostegno dei governanti locali abbiamo sconfitto le
forze imperiali di stanza nel Castello e preso il pieno controllo della
provincia.
Tutti
coloro che hanno condiviso i nostri ideali e appoggiato la nostra impresa sono
al nostro fianco, ed ognuno di loro è pronto a fare la sua parte nella nascita
e nello sviluppo della nostra nuova nazione.
Per
questo motivo, annuncio ufficialmente la nascita dello Stato Libero di Ende, il quale a partire da questo giorno agirà come
nazione indipendente e sovrana in accordo con la volontà del suo popolo.
Tutte
le distinzioni di razza e ceto sociale sono state abolite, e coloro che hanno
commesso dei crimini nei confronti della nostra gente e siano caduti nelle
nostre mani, o si siano consegnati spontaneamente, saranno presto sottoposti al
giudizio della legge dinnanzi ad un regolare processo.
Con
il presente proclama intendiamo affermare l’assenza di qualunque volontà aggressiva
nei confronti dei nostri vicini.
Quale
segno di buona volontà, tutti i contratti e gli accordi commerciali
precedentemente vigenti tra le industrie locali e soggetti stranieri, siano
essi referenti a privati cittadini o entità nazionali, saranno immediatamente
ripristinati, fatti salvi quelli che dovranno essere rinegoziati con il nuovo
governo, e i cui tenutari saranno prontamente informati entro il prossimo mese
lunare.
Allo
stesso modo in cui ribadiamo la nostra volontà nell’astenerci a prendere parte
ad un qualunque conflitto di aggressione, afferiamo tuttavia anche la nostra
ferma determinazione a fare tutto quanto è nelle nostre capacità per affrontare
qualsiasi minaccia dovesse levarsi contro di noi.
Abbiamo
preso la spada per affermare il nostro diritto di essere padroni della nostra
patria, delle nostre case e del nostro destino, senza ingerenza alcuna di parte
di nazioni straniere e senza alcuna volontà di consegnare queste terre nelle
mani di un qualunque nemico dell’Impero.
Con
gli auspici di Gaia e la benedizione della Trinità tutta, possa questo giorno
essere ricordato come la nascita di una pacifica e serena collaborazione tra la
nostra patria ed il resto di Erthea.
Il
Primo Ministro e capo di governo dello Stato Libero,
Daemon
Haselworth
Dalla piazza della grande città di Maligrad la notizia passò di bocca in bocca, di casa in
casa, fino ad arrivare nel cuore del palazzo imperiale che dominava la città.
Sua
Altezza Imperiale Arnold Ademar XVI,
centoventicinquesimo sovrano di Saedonia, era
soprannominato dal suo popolo e da tutti i suoi vicini Giudice di Erthea,
perché una sua decisione era capace di cambiare il destino del mondo, tali
erano il potere e l’influenza dell’impero che governava.
A
distanza di cinque secoli, il mito di Saedonia come
nazione che oltre ad aver dominato metà del continente aveva guidato gli umani
alla vittoria sul Signore Oscuro riecheggiava ancora come un tuono, scolpito
nel marmo e dipinto in oro sulle pareti della reggia.
La
sala del trono dove Sua Maestà sedeva, il più delle volte in solitudine immerso
nei propri pensieri, era dominata dalla gigantesca statua d’oro di un leone
rampante che torreggiava alle spalle dello scranno regale, anch’esso scolpito
in modo da raffigurare le fauci spalancate del maestoso felino.
Perché
così come c’era un solo re della foresta, così, si diceva, esisteva un solo re
tra gli uomini.
Nonostante
avesse abbondantemente superato i cinquant’anni Re Ademar
appariva ancora come un uomo nel pieno del suo vigore, forte e risoluto come il
giorno della sua incoronazione.
Come
amava ripetere lui stesso l’età l’aveva reso più saggio, ma mai in vita sua era
stato impulsivo o sprovveduto, non per niente il popolo lo aveva soprannominato
l’Imperatore Stratega.
«Vostra
Maestà.» disse il Barone Flavio Marcello, capo del senato e suo stimato
consigliere, entrando nella stanza con una copia dell’annuncio in mano.
«So
già tutto, amico mio.»
«Questo
è un fatto di una gravità inaudita. Prima d’oggi non era mai successo che dei
ribelli reclamassero il dominio di una parte del nostro impero in modo tanto
sfacciato. Un simile affronto non può assolutamente restare impunito.»
«Contieni
la tua foga, Marcello. Longinus era un incapace, ma
la Quindicesima era una delle nostre legioni migliori, e il Generale Ron un veterano di molte battaglie. Se il proclama e le
voci dicono il vero, i ribelli li avrebbero spazzati via in meno di un mese.
Solo questo fatto direi che suggerisce di tenere un atteggiamento prudente.»
«Comprendo
la vostra preoccupazione Maestà, ma mi sento in dovere di riaffermare la
gravità di questa situazione. Eirinn è da sempre una delle nostre province più
importanti. Nel corso degli anni abbiamo combattuto senza sosta, prima con il
Regno e poi con l’Unione, per conservarne il dominio. Le sue miniere e i suoi
giacimenti sono ciò che tiene in vita il nostro esercito e la nostra economia.
Senza il suo ferro per le armi e il suo argento per le zecche, con cosa
sosterremo la ribellione orientale e il mantenimento della tregua con il
Principato?»
«Forse
non è così grave come tu la dipingi, amico mio. Il proclama non dice forse che
tutti i contratti commerciali saranno rispettati? Potrebbe costarci un po’ di
più, ma non è meglio questo che sacrificare chissà quanti soldati per piegare
un popolo che si è sempre mostrato insofferente al nostro dominio?»
«Questi
non sono tempi facili, Divino Imperatore. I venti di ribellione soffiano
ovunque a Saedonia. Scendere a patti con quei ribelli
sarebbe come ammettere la nostra debolezza. Per non parlare del fatto che
riconoscere l’esistenza di una nazione nata da una rivolta di schiavi potrebbe
dare adito a nuove insurrezioni, proprio in un momento in cui l’Impero ha più
bisogno che mai del lavoro degli schiavi.»
Ademar
girò lo sguardo verso il grande mosaico sulla parete alla sua destra che
rappresentava gli sterminati domini dell’Antico Impero, prima che crisi di
governo, imperatori incapaci e sconfitte militari costringessero i suoi
predecessori a spezzettarlo in tanti stati minori, un lento stillicidio che ora
sembrava essere ricominciato.
«Quando
ho stretto la mano di mio padre mentre moriva, gli ho promesso che avrei
riportato l’Impero alla gloria del passato. E invece, da quando siedo su questo
trono, non ho fatto altro che trascinarmi da una crisi all’altra. E ora, guarda
in che situazione siamo. Connelly si mangia i miei confini, i baroni d’oriente
mi ringhiano contro, e ora un pugno di ribelli si porta via in pochi giorni una
delle nostre province più importanti. E in tutto ciò non posso neanche sperare
in chi verrà dopo di me, dal momento che il mio unico figlio è un completo
idiota. Che sia dunque il mio destino di essere ricordato come l’ultimo
imperatore ad aver guidato Saedonia?»
«Non
dovete parlare così, Maestà. Ho servito due imperatori prima di voi, e vi prego
di credermi se vi dico che voi svettate come un gigante a confronto di vostro
nonno e vostro padre. Loro sono stati grandi, ma voi avete tutto per esserlo
ancora di più, e l’avete dimostrato in più occasioni.»
«Le
tue parole mi lusingano Marcello, ma sappiamo bene tutti e due che la tua
opinione non ha molti sostenitori in senato. Non sono state forse le mie
riforme a provocare la rivolta dei Baroni, o la mia volontà di porre fine alla
guerra con Connelly che ha consegnato al principato la città di Tagrea?»
«Ma
il popolo vi ama, Maestà. Loro lo sanno che è merito vostro se per la prima
volta da cinquant’anni l’Impero è in pace con tutti i suoi vicini.»
«Già,
ma a quale prezzo? Saedonia in questo momento è un
leone ferito, che ruggisce e si dimena per fingere di essere ancora forte come
un tempo.»
«E
se vogliamo che quel leone torni a governare sul mondo, è necessario che dia
prova una volta per tutte della sua forza. Per questo mi sento in dovere di
consigliarvi di risolvere al più presto questa crisi. Anche perché al momento
non possiamo sapere come reagirà l’Unione. Medici non è tipo da agire in
maniera impulsiva, ma i membri del suo consiglio appartengono quasi tutti alla
fazione interventista, e certamente non si lasceranno scappare l’occasione di
poter mettere le mani su Eirinn e le sue risorse.»
In
quel momento un servitore aprì la porta della sala annunciando l’arrivo del
Capitano Montgomery, che chiedeva con insistenza di essere ricevuta.
«Non
ha perso tempo.» sorrise divertito il sovrano. «Falla passare.»
L’attendente
non fece neanche in tempo a spostarsi, e con il passo sicuro di un nobile e il
portamento fiero di un soldato la giovane Aria si presentò al cospetto
dell’Imperatore, inginocchiandosi rispettosamente una volta giunta ai piedi del
trono. Con lei al suo fianco, come sempre, il suo fidato attendente, un
uomo-uccello alto e magro più o meno della sua stessa età, le cui ali color
terra, per quanto arruffate e spiumate, brillavano ancora di una luce
particolare.
In
pochi si sarebbero permessi di introdurre un mostro alla presenza del sovrano,
ma Aria era troppo orgogliosa di Zypax e troppo
affezionata a lui per rinunciare alla sua compagnia.
«È
passato un po’ di tempo, mia cara.»
«Vostra
Altezza, suppongo non vi sia bisogno che io vi dica il motivo per cui sono
qui.»
«Naturalmente.
Io e il Barone ne stavamo parlando proprio adesso.»
«Datemi
l’ordine, e io vi do la mia parola che sconfiggerò i ribelli. Muovendoci adesso
potremo arrivare ai confini della provincia giusto in tempo per quando i
valichi montani saranno liberi dalla neve.»
«Cos’è
tutta questa tracotanza?» disse irritato Marcello. «Nessuno ti ha nominata
comandante di qualsivoglia spedizione. E comunque che ci fa qui questo animale?
Solo perché appartieni alla famiglia reale di Eirinn non significa che puoi
fare quello che vuoi.»
«Quelle
terre una volta appartenevano alla mia famiglia.» rispose la ragazza lanciando
un’occhiata obliqua al vecchio senatore. «Le conosco meglio di chiunque altro.
E per quanto riguarda Zypax, è al mio servizio da
prima che iniziassi a frequentare l’accademia. Non c’è al mondo guerriero più
abile e devoto di lui. Mi ha salvato la vita in innumerevoli occasioni, e come
me ha versato sangue per la gloria e la prosperità dell’Impero. Ritengo col
dovuto rispetto che abbia diritto di stare alla presenza di Sua Maestà tanto
quanto voi.»
«Adesso
calmatevi tutti e due.» disse bonariamente il sovrano alzando il braccio
«Ammiro la tua determinazione Aria, e sono sicura che sarai in pensiero per tuo
padre e tuo fratello.»
«È
così, Vostra Maestà. Mio padre come sapete al momento non gode di buona salute,
e mio fratello Victor malgrado il suo impegno potrebbe non essere in grado di
gestire questa crisi da solo.»
«Forse
non è il caso di essere così pessimisti. Come stavo dicendo anche al mio
scorbutico amico Marcello, i ribelli non sembrano intenzionati a portare la
loro lotta al di fuori dei confini della provincia.»
«Come
sicuramente sapete, il reunionismo è forte in tutti i
domini del vecchio Granducato. Data la situazione, non posso escludere che
qualcuno dei consiglieri di mio fratello riesca a convincerlo a dichiarare
guerra ai ribelli nel tentativo di restituire ai Montgomery il controllo anche
della parte occidentale del nostro antico territorio.»
«Sarebbe
un tradimento in piena regola!» tuonò Marcello. «Quei territori sono stati
regolarmente ceduti all’Impero dai vostri antenati come forma di compensazione
per i debiti che il Granducato aveva accumulato con la famiglia reale. L’Eirinn
Occidentale appartiene a noi!»
«Ne
sono consapevole, e lo è anche mio padre. Se lui fosse nel pieno delle sue
forze non mi preoccuperei. Ma Victor è impulsivo e malconsigliato, soprattutto
da nostro zio Philippe.»
«Non
era stato esiliato?» chiese l’Imperatore
«Victor
ha annullato la sentenza che nostro nonno gli aveva inflitto. È stato uno dei
suoi primi atti da quando ha assunto le funzioni di governante dopo
l’aggravarsi della malattia di nostro padre. Ora comanda l’esercito granducale
assieme al Generale Lefde.»
L’Imperatore
rimase in silenzio per alcuni istanti, passandosi sulla mano sul viso e
sfregandosi la punta della barba ingrigita dall’età.
«Alla
luce di quello che mi dici capisco la tua inquietudine, ma purtroppo al momento
non posso fare niente per te. In questo momento buona parte del nostro esercito
è impegnato a combattere contro i Baroni ribelli, e le poche legioni che
rimangono sono obbligate dalle circostanze a presidiare i luoghi in cui si
trovano attualmente.»
«In
questo caso, vi prego di permettermi almeno di recarmi all’est per dare il mio
contributo. Se i ribelli dovessero essere sconfitti, a quel punto le legioni
impegnate nella guerra potrebbero essere ridestinate al sud per riconquistare
la provincia perduta.»
«Stiamo
combattendo con Severus e gli altri baroni da più di
dieci anni senza ottenere risultati, e questa ragazzina pensa di poter vincere
la guerra in pochi mesi? Quanta arroganza!»
«Basta,
Marcello. Sembri molto sicura di te, giovane Montgomery. In questo caso,
considerati messa alla prova. Ti nomino comandante in terza dell’esercito
orientale.»
«Ma,
Maestà…!?»
«Se
con il tuo contributo riusciremo finalmente a sconfiggere i ribelli non solo
prometto di ridestinare parte di quelle truppe alla riconquista di Eirinn, ma
prenderò anche in considerazione l’idea di nominarti comandante della
spedizione.»
«Vi
ringrazio infinitamente, e prometto che non tradirò la Vostra fiducia. Vi
porterò io stessa la testa del Barone Severus.»
Quindi,
fatto un ultimo inchino, la giovane lasciò la stanza assieme al suo servitore.
Marcello aveva i nervi a fior di pelle, ma quando la rabbia si fu un po’
calmata non poté fare a meno di apprezzare l’astuzia con cui l’Imperatore aveva
apparentemente gestito la questione.
«Molto
saggio, Vostra Maestà. Inviando quella scalmanata all’est vi siete assicurato
che non commetta qualcuna delle sue proverbiali sciocchezze, senza contare che
qualora dovesse fallire nel suo compito la poca considerazione di cui gode
nell’esercito si sgretolerà una volta per tutte.»
«Dicono
che l’età renda più saggi amico mio, ma a quanto vedo questo concetto non si
applica a te.»
«Maestà?»
«Tu
la sottovaluti, Marcello. Tutti voi la sottovalutate. Si è diplomata
all’Accademia Militare con un anno di anticipo, e alla scuola ufficiali ha
messo in riga i suoi stessi professori. Nemmeno Adrian, il figlio di Longinus, era stato capace di tanto. Ricordo ancora quando
suo padre mi supplicò letteralmente di fare uno strappo alla legge così da
permetterle di ereditare il controllo del Granducato al posto di suo fratello.»
«È
chiaro che la tenete in altissima considerazione. Dunque perché avete rifiutato
la richiesta?»
«Perché
c’è solo una cosa peggiore di un idiota su un trono. Un genio su un trono.»
rispose il sovrano con una strana luce negli occhi, e stringendo un po’ più
forte la mano attorno allo scettro imperiale. «Fai preparare un piedistallo e
un piatto d’argento.»
«Per
quale motivo?»
«Per
quando quella ragazza mi porterà la testa di Severus.»
Non era facile essere un elfo ad
Erthea.
In
un mondo che amava la legge, l’ordine e i confini non c’era posto per un popolo
di raminghi nomadi, in perenne spostamento e sempre pronti a piantare le loro
tende ovunque vi fossero foreste vergini per cacciare o ricchi pascoli per i
loro cavalli.
Le
vaste terre che occupavano –un’inezia se rapportato a quelle che i loro
antenati attraversavano da un capo all’altro quando gli umani ancora vivevano
nelle case di paglia– erano state il prezzo che Saedonia
e la Volkova avevano dovuto pagare per ottenere il
loro supporto durante le Guerre Sacre. Il loro contributo di abili arcieri,
cavallerizzi ed esploratori era stato determinante nell’arrestare
l'apparentemente inarrestabile avanzata verso est delle armate del Signore
Oscuro, e consapevoli di ciò non avevano fatto sconti nel momento di avanzare
le proprie richieste.
Non
erano sicuramente i domini sterminati dei loro avi, ma almeno da quel momento
in poi avevano potuto tornare ad essere sé stessi, preservando i loro riti e le
loro culture.
Ma
anche se un elfo poteva dirsi libero in quelle terre, bastava mettere piede in
qualunque altra nazione per essere nuovamente guardati con diffidenza e
soggetti ad ogni sorta di pregiudizio, in modo meno sprezzante ma di sicuro non
troppo diverso dai mostri.
Così
se ne stavano per conto loro cacciando, coltivando e spendendo serenamente la
loro lunga vita, lontani dalle questioni degli umani, divisi in tantissime
tribù che raramente si incontravano persino tra di loro, se non in occasione
dei raduni annuali nelle terre sacre o per dirimere dispute dinnanzi al
Consiglio degli Anziani.
Ovviamente
non tutti i clan erano uguali, anche se a quelli più grandi e potenti piaceva
pensare e dire il contrario.
Capitava
così che quando si trattava di nominare un rappresentante, un esploratore o una
spia per qualche incarico pericoloso alcuni clan erano più sfavoriti di altri
nella scelta.
«Si
può sapere dov’è finita Natuli?» sbottò il Grande
Capo Sawané della tribù Nara «Ho ordinato di
richiamarla dalla caccia giorni fa.»
«Abbiamo
mandato esploratori in tutti i suoi abituali territori di caccia, ma nessuno è
riuscito a trovarla. Così ieri ho detto ai miei migliori guerrieri di andare a
cercarla nella foresta della morte.»
«Dai,
non scherziamo.» disse un altro dei capifamiglia. «Nessuno sarebbe così pazzo
da avventurarsi da solo lì dentro.»
«Ti
sei scordato che stiamo parlando di Natuli?»
Proprio
in quel momento un trittico di conigli demoniaci, animaletti capaci di sbranare
un lupo in pochi secondi, piombò all’interno della tenda sollevando una nube di
polvere; tutti i presenti scattarono in piedi per la paura, solo per accorgersi
dopo qualche attimo che erano già morti stecchiti, legati per le zampe
posteriori e pronti per lo spiedo.
«Allora?
Si può sapere cosa c’è di così urgente per venirmi a disturbare durante la
caccia?»
Che
Natuli fosse tanto bella quanto suscettibile era una
cosa nota a tutti, non solo nella sua tribù, ma il suo rivolgersi in modo tanto
irrispettoso persino agli alti rappresentanti della sua gente faceva andare ogni
volta su tutte le furie i capifamiglia, e più in generale chiunque fosse
costretto ad avere a che fare con lei.
Sawané
fu l’unico a non scomporsi, forse perché era l’unico che ormai si fosse
rassegnato ad accettare quella testa calda così com’era.
«Lasciateci
soli.» ordinò, venendo subito obbedito
«Ebbene?
Spero davvero che sia una cosa importante. Stavo dietro a quel tarkana da tre giorni, e ormai l’avevo quasi preso.»
«Anche
se sono tuo padre, vorrei che tu ricordassi che resto pur sempre il capo di questa
tribù. Pertanto mi aspetto che…»
«Che
mi rivolga a te con il dovuto rispetto, e bla, bla, bla. La conosco questa
filastrocca. Avanti, fuori la voce, così poi posso andare a farmi un bagno.»
«Immagino
che perfino tu avrai sentito cosa è successo a Saedonia.
Il Consiglio degli Anziani è molto preoccupato dalla comparsa di questa specie
di nazione di mostri. Secondo alcuni potrebbe essere presagio della comparsa di
un nuovo Signore Oscuro.»
«Quei
vecchi bacucchi pensano di vivere ancora all’epoca delle Guerre Sacre. Succede
qualcosa appena fuori dal normale, e subito gridano al cataclisma imminente.»
«Sii
più rispettosa, figlia mia. Il Consiglio più di chiunque altro ha a cuore il
benessere del nostro popolo.»
«Se
fosse così non ci costringerebbero a passare quasi metà dell’anno in questa
fossa mefitica a due passi dalla Foresta della Morte, lasciando alle loro tribù
i pascoli migliori. Non sono altro che un branco di arraffoni che pensano solo
a sé stessi.»
«Ora
stai esagerando! Non ti permetto di parlare in questo modo del Consiglio!»
«Non
ti scaldare, che poi ti fa male alla salute. Quanti anni hai, seicento? Al tuo
posto starei attento a questi scatti d’ira.»
«Se
davvero ci tieni alla mia salute, allora una volta tanto cerca di comportarti
come si conviene ad un futuro capotribù. Ormai hai quasi duecento anni, è ora
che tu la smetta di fare la matta nelle foreste, o di far scappare tutti i tuoi
pretendenti.»
«Ecco,
lo sapevo.» disse la ragazza gonfiando le guance. «Mai una volta che si possa
evitare l’argomento.»
«Ma
davvero non ti vergogni di quello che fai, razza di figlia degenere? Il povero Damian cammina ancora zoppo! Che ti è saltato in mente di
farlo combattere contro una tigre nera?»
«Ha
detto lui che mi avrebbe seguito ovunque fossi andata, io l’avevo avvertito.»
Il
vecchio capo fece un paio di respiri profondi, ringraziando gli dèi che nessuno lo avesse visto dare di matto per
l’ennesima volta; non c’era niente da fare, per quanto cercasse ogni volta di
darsi un contegno e rimanere calmo, parlare con sua figlia riusciva sempre a
farlo uscire di testa.
«Ad
ogni modo, per tornare al discorso di prima, il Consiglio ha deciso di inviare
qualcuno nella nuova nazione per tenere d’occhio i ribelli e fare rapporto.
L’incarico come puoi immaginare è stato affidato alla nostra tribù.»
«E
tu hai deciso di inviare me. Lo sai che non sono tagliata per queste cose.
Politica, diplomazia e discrezione non sono esattamente il mio forte. Anzi,
diciamo pure che le detesto.»
«Non
ha importanza. A quanto si dice in giro questo Haselworth non fa distinzioni
tra umani e non-umani nello scegliersi i collaboratori. Per quanto non
propriamente adatte ad una principessa tu possiedi molte qualità che potrebbero
fargli comodo. Basterà che tu ti metta in mostra, cosa che invece ti riesce
molto bene.»
Natuli
sbruffò contrariata, prendendo ad avvolgersi attorno al dito una ciocca dei
lunghi capelli argentei.
«L’hai
detto tu stessa figlia mia. La nostra è una piccola tribù. Dobbiamo cogliere
ogni occasione possibile per accrescere il nostro prestigio. E forse un giorno,
quando prenderai il mio posto, i Nara potranno finalmente porsi sullo stesso
piano delle Cinque Grandi Tribù, e ottenere un proprio posto nei vasti
altipiani dell’ovest.»
«Tu
sogni, papà. L’ordine delle cose non si può alterare. Lo so io, lo sai tu, e
presto lo capirà anche questo Daemon.»
«Natuli…»
«D’accordo,
d’accordo. Lo farò. Quando dovrei partire?»
«Il
prima possibile. Abbiamo già inviato un messaggio ai nostri agenti a Faria. Raggiungerai i territori controllati dai ribelli
attraverso il confine del Granducato, passando dalla fortezza di Grote Muren.»
«Allora
sarà il caso che vada a fare i bagagli. Accidenti, che rottura.»
Gli abitanti di Connelly amavano i
giochi, e non c’era città piccola o grande in cui non ci fosse un’arena.
E
quella di Rosada, il secondo maggior porto
commerciale della nazione, era una delle più grandi, con un intero settore
riservato esclusivamente ai moltissimi mercanti e funzionari stranieri che ogni
giorno di ogni mese dell’anno visitavano la città per vendere e comprare.
«Vecchio
Yusuf!»
«Said,
ragazzo mio!»
«È
passato molto tempo. Sono felice di trovarvi in buona salute.»
«Per
i capelli di Gaia, guarda come sei cresciuto. Sembra solo ieri che eri un
ragazzino scalmanato che correva a destra e a sinistra per il bazar di Khariya, e guardati adesso.»
«Voi
esagerate, maestro. Non sono così importante e ricco. Non certo quanto voi,
almeno.»
«Attento
ragazzo, la modestia spesso non paga negli affari.»
«Comunque,
ammetto di essere un po’ confuso. Quando vi ho scritto proponendovi di
incontrarci per un saluto non avrei mai pensato che avreste scelto in un posto
simile.»
«Sei
a Connelly, ragazzo mio. Qui tutto, che si tratti di affari, guerra o proposte
di matrimonio, si discute non nella stanza di un palazzo, ma sulle gradinate di
un’arena. In realtà non amo molto questo posto e ci vengo molto poco, ma per il
mio discepolo preferito questo ed altro. Quindi forza, accomodati. Ho fatto
riservare i posti migliori. La battaglia inizia tra pochi minuti, intanto
serviti pure. Ci sono carne, vino, birra e frutta. E se vuoi qualcos’altro,
devi solo alzare una mano e chiedere agli inservienti.»
«Vi
trattate sempre molto bene a quanto vedo.»
«Non
mi lamento. Ma ora parlami un po’ di te. Ho sentito dire che ti occupi di
tessuti.»
«È
così. Tratto soprattutto seta di ragno delle caverne.»
«Bestie
pericolose. Tra gli avventurieri, la produzione e i trasporti ti costerà una
fortuna.»
«Abbastanza,
ma i guadagni compensano abbondantemente le spese. Ho trovato un gruppo di
avventurieri in gamba e una covata di ragni che produce un filo di ottima
qualità. Non posso ovviamente dirvi dove, sapete com’è. La concorrenza.»
Il
vecchio mercante esplose in una risata compiaciuta.
«Tranquillo,
ti capisco e ti approvo. Siamo mercanti tutti e due, dopotutto. Quindi sei qui
per trattare una vendita? Quando sei arrivato da Torian?»
«Due
giorni fa, ma non resterò molto a lungo. Giusto il tempo di concludere l’affare
e intendo ripartire subito, stavolta via terra.»
«Vorrei
tanto che i miei affari fossero floridi quanto i tuoi.»
«Avete
problemi?»
«Puoi
dirlo forte. Fin da quando mio nonno era un bambino, le rotte commerciali via
terra erano l’unico modo in cui questi barbari occidentali potevano rifornirsi
di merci provenienti dall’oriente, ma ora la situazione è completamente
cambiata.»
«Vi
riferite all’accordo che la Principessa ha stabilito con gli Jormen?»
«Quella
ragazzina testarda. Nessuno avrebbe scommesso un soldo su di lei. Invece nel
giro di due anni ha raggiunto l’armistizio con l’Impero e messo fine alle
scorrerie dei pirati nel mare del sud, e tutto questo senza mobilitare un solo
soldato. Come hai scoperto tu stesso le rotte marine ora sono molto più sicure
e veloci di quelle terrestri. E così ora io mi ritrovo a guadagnare la metà di
quello che facevo solo qualche anno fa.»
«Ho
parecchi amici nel settore dei traporti via mare. Potrei mettere una buona
parola per voi.»
«Ti
ringrazio figliolo, ma la verità è che questo mondo non fa più per me. Sono
vecchio. Il mio modo di fare affari ormai è superato, ed è tempo di fare spazio
a giovani intraprendenti e volenterosi come te. Ora sto pensando di investire
le mie ricchezze altrove, magari in quella nuova nazione di cui parlano tutti.»
«Vi
riferite allo Stato Libero?»
«Quando
ne ho sentito parlare per la prima volta non ci volevo credere. Con tutte le
leggi tese a garantire all’Impero il monopolio sui minerali e la pessima
gestione Eirinn era un pessimo posto per fare affari, ma il nuovo sovrano
sembra avere le idee molto chiare. Ha privatizzato le miniere e aperto agli
investitori stranieri. Ora chiunque può investire nella nazione, a condizione
di offrire le dovute garanzie di solvibilità. Pensa che garantiscono un
interesse del quattro percento annuo sui capitali investiti nei settori
agricoli e silvicoli, e addirittura del sette percento sulle quote di
partecipazione delle miniere.»
«Siete
certo che si tratti di un investimento sicuro? Sono una provincia ribelle. In
teoria potrebbero vedersi piombare addosso l’esercito imperiale in qualunque
momento.»
«È
quello che pensavo anch’io, fino a quando non ho scoperto che persino i
mercanti imperiali hanno iniziato a fare investimenti laggiù. Inoltre ho saputo
che c’è chi-sappiamo-noi a fungere da intermediario tra gli investitori e il sovrano
stesso. Con lui come garante, possiamo essere certi che i nostri interessi non
saranno mai messi in pericolo, indipendentemente da quello che dovesse capitare
allo Stato Libero.»
Il
giovane Said sorrise: «In questo caso, suppongo che d’ora in poi saremo soci in
affari.»
«Come?»
«Ricordate
che ho detto che devo ripartire via terra? In realtà è lì che sto andando. È
stato proprio chi sappiamo noi a contattarmi proponendomi di entrare in affari
con lo Stato Libero.»
«E
che cosa se ne fanno quei barbari della seta pregiata?»
«Non
cercano la seta, ma i carapaci dei ragni. Sono molto resistenti e costano poco,
quindi sono perfetti per costruire armature efficaci, leggere e a basso costo.»
«Che
idea bizzarra. A chi sarà venuta?»
«Credo
al nuovo ministro degli interni. Forse ne avete sentito parlare, è quell’Adrian
Longinus che ha fatto parlare di sé quando studiava
all’accademia militare.»
«Il
figlio del vecchio governatore!?»
«Proprio
lui. Al servizio dello stesso uomo che ha ucciso suo padre.»
«Se
è così, credo che possiamo stare tranquilli. Una volta l’ho conosciuto. Quello
non scommette mai sul cavallo sbagliato.»
«In
questo caso, che ne dite di fare un accordo? Io commercio esclusivamente via
mare, ma lo Stato Libero non si può certo raggiungere con le navi. Sto per
stringere un accordo con un mio conoscente dell’Unione che possiede un
magazzino a Michkarn dove intendo stoccare la merce,
ma poi sarà necessario trasportarla al nord seguendo le rotte via terra. Se
volete, potete occuparvene voi. Mi sentirei molto più sicuro ad affidare il mio
investimento a voi piuttosto che ad uno sconosciuto.»
«Parli
seriamente!?» disse il vecchio con gli occhi lucidi e l’espressione attonita.
«Assolutamente.
Sarà un modo per ringraziarvi per tutto quello che mi avete insegnato.»
Una
stretta di mano, un bacio sulla guancia, un brindisi, e l’accordo era fatto.
«Grazie,
ragazzo. Non lo dimenticherò.»
«Grazie
a voi, maestro. Sarà un piacere fare affari con voi.»
In
quel momento il boato della folla preannunciò l’arrivo nell’arena dei
contendenti che avrebbero preso parte all’evento più atteso della giornata, una
grande battaglia tutti contro tutti che avrebbe visto scontrarsi tra di loro
dieci tra i combattenti più forti della città.
Ovviamente
si trattava esclusivamente di mostri, tra i quali un gigantesco minotauro, un nerboruto orco, una sensuale lamia, un letale
leopardo e persino una piccola yeti.
«Volete
fare una scommessa?» disse un allibratore avvicinandosi ai due mercanti.
«L’orco lo paghiamo tre volte la puntata.»
«Una
quota interessante.» disse Yusuf. «Ci sto. E tu ragazzo?»
«A
quanto lo date lo yeti?»
«Figliolo,
sei già diventato così ricco che i soldi ti fanno schifo?»
«Sul
serio, lo yeti quanto lo pagate?»
«Lo
yeti lo diamo a dieci. Al tuo posto darei retta al tuo vecchio.»
«Allora
scommetto duemila goldie sullo yeti.»
Sia
l’allibratore che Yusuf tentarono di far cambiare idea a Said, che però si
mostrò irremovibile.
«Forse
dovrei riconsiderare la tua offerta, ragazzo. Simili azzardi possono portare un
mercante alla rovina.»
Il
principe-vescovo lasciò cadere il fazzoletto dando inizio alla sfida, e con una
certa sorpresa da parte di molti degli spettatori tutti i combattenti, invece
di dare vita ad una serie di duelli uno contro uno, si coalizzarono istantaneamente
contro un unico avversario, ovvero proprio la piccola yeti.
Questa
non si scompose, e sembrava che solo il fissare i suoi avversari fosse
abbastanza per farli esitare, malgrado fosse l’unica tra di loro a non brandire
alcun genere di arma.
La
lamia aprì le danze con un rapido assalto, ma la yeti schivò saltando e con un
singolo pugno in testa la mise subito a nanna tra le esclamazioni della folla.
A
quel punto gli altri attaccarono tutti insieme, ma quella furia scatenata era
talmente agile e sfuggente da riuscire ad evitare tutti i loro attacchi
saltando come un grillo da una parte all’altra, con una tale precisione che i
suoi avversari in alcuni casi finirono per colpirsi tra di loro.
Alla
fine rimasero solo l’orco e il minotauro, il primo
armato con una clava e il secondo con un’ascia bipenne.
Essendo
incontri in cui non era previsto che qualcuno ci rimettesse la vita le armi
erano spuntate, ma quei due bestioni erano così forti che ogni loro colpo
andato a vuoto incrinava il terreno sollevando nuvole di polvere.
Quasi
che stesse prendendo in giro i suoi avversari la yeti continuò a schivare i
loro attacchi senza reagire, fino a quando, una volta sicura che entrambi si
fossero stancati a dovere, passò all’azione. Prima schivò l’ascia del minotauro, quindi usandola come un trampolino decollò come
un uccello, piombando dell’orco e mettendolo al tappeto con un colpo a piedi
uniti dritto sul muso; mentre il suo avversario doveva ancora cadere a terra
usò il suo pancione come un tappeto elastico, arrivando veloce come una saetta
addosso al minotauro e colpendolo con un pugno così
forte da fargli saltare un dente.
La
folla esplose in un urlo di acclamazione mentre la piccola yeti alzava le
braccia al cielo in segno di vittoria, gridando e saltellando come una bambina
all’uscita da scuola.
«Che
mi venga un colpo, come facevi a saperlo che quello scricciolo avrebbe vinto?»
«Bastava
notare come gli altri lottatori la guardavano. Era chiaro che avevano paura di
lei. Siete stato voi ad insegnarmi che bisogna sempre tenere d’occhio lo stato
d’animo di chi si ha davanti. E poi…»
«E
poi?»
«Mai
fidarsi delle quote degli allibratori.»
Connelly era una nazione che da sempre
preferiva la politica e la diplomazia alla guerra, ma anche lì c’erano gli
orfani.
E
anche se a differenza di quanto succedeva in altre nazioni gli orfanotrofi erano
finanziati dallo Stato era difficile fare fronte a tutte le spese senza il
sostegno di qualche mecenate o nobile caritatevole.
Ma
il piccolo orfanotrofio attiguo al tempio minore Gaia Misericordiosa di Rosada non aveva bisogno né degli uni né degli altri,
perché aveva già chi da molto tempo si prendeva cura dei suoi ospiti.
Nel
momento in cui Sapi aveva capito di poter guadagnare
un sacco di soldi divertendosi nell’arena si era immediatamente gettata anima e
corpo nei combattimenti, diventando in poco tempo la stella più famosa di tutta
la regione.
Sorella
Esther, che si era presa cura di lei fin dal giorno in cui l’avevano portata
all’orfanotrofio, aveva tentato per un po’ di tenerla lontana da quel mondo
così pericoloso per una ragazzina così giovane, salvo poi smettere di
preoccuparsi nel momento in cui aveva capito che per Sapi
battersi nell’arena era come passare il pomeriggio al parco giochi.
«Sorella
Esther, sorella Esther! Guardate, ho vinto ancora!»
«Sei
stata bravissima Sapi. Però mi avevi promesso che ti
saresti riposata. Ormai combatti quasi tutti i giorni.»
«Non
vi preoccupate, non mi stanco mica. Anzi, è così divertente. E poi così posso
sdebitarmi per tutto quello che avete fatto per me.»
Nel
sentire la calda mano della chierica che le accarezzava la testa i peli di Sapi divennero dritti per l’emozione. Poteva essere
cresciuta, ma dentro restava la stessa bambina di sempre.
«Ogni
volta che riguardo resto senza parole. Ricordo ancora il giorno in cui sei
arrivata qui da noi. Eri una bambina sola e spaventata, e ci hai messo dei mesi
anche solo per rivolgere la parola a me o a qualcuno dei tuoi compagni. E
invece guardati adesso.»
Mentre
Sapi recuperava le energie divorando dei biscotti
appena sfornati sorella Esther recuperò un piccolo forziere da uno scomparto
segreto nel muro della cucina, che una volta aperto si rivelò essere pieno fin
quasi all’orlo di monete d’oro.
«Allora?»
chiese speranzosa la yeti. «Ci siamo riuscite?»
«Direi
proprio di sì. Con tutti questi soldi riusciremo a tirare avanti per un bel
po’, e ora ne abbiamo abbastanza da poter aprire quel piccolo negozio di cui
abbiamo tanto parlato. Grazie ad esso, finalmente saremo in grado di mandare
avanti l’orfanotrofio con le nostre sole forze.»
Sapi
sembrava quella di sempre, ma ormai sorella Esther la conosceva abbastanza bene
da capire quando la sua protetta preferita aveva qualcosa che la turbava.
«Devi
dirmi qualcosa, tesoro?»
«Voi
e le altre sorelle siete sempre state molto buone con me, e vi devo moltissimo.
È anche per questo che ho voluto raccogliere tutti questi soldi per voi. Ora
però sento di dover andare via.»
«Vuoi
tornare dal ragazzo che ti ha salvata, vero?»
«Gli
avevo promesso che lo avrei aiutato quando avesse avuto bisogno di me, e ora
quel momento è arrivato. Dopo quello che ha fatto avrà tanti nemici, ma ora io
posso proteggerlo. Però, andare via da qui…»
Ancora
una volta sorella Esther le mise dolcemente una mano sulla testa, facendo
diventare rosse le sue candide guance.
«Sapevamo
tutti che non poteva durare per sempre. Ormai sei diventata grande Sapi, e devi fare quello che ti dice il cuore. Ma sappi che
dovunque tu andrai, noi saremo sempre qui ad aspettarti.»
Per
fortuna con gli anni Sapi aveva imparato a
controllare la sua forza, altrimenti avrebbe finito per stritolare sorella
Esther con il suo abbraccio.
«Grazie,
sorella.»
«Ci mancherai, Sapi. Buona
fortuna.»
Note dell’Autore
Salve
a tutti!
Dopo
un mese, come promesso, eccomi qui con il Terzo Volume della mia light novel con protagonista Napoleone Bonaparte.
È
stato un mese molto impegnativo, e anche se non ho avuto molto tempo in qualche
modo sono riuscito a rimanere entro la tabella di marcia completando il volume
prima del suo rilascio qui su EFP.
La
storia da questo punto in poi procederà in modo molto spedita, almeno rispetto
a quanto visto finora, in un susseguirsi di “saghe” che vedranno di volta
Daemon confrontarsi con vari avversari e vicissitudini che si troveranno loro
malgrado sulla sua strada verso il successo.
Ancora
una volta la pubblicazione seguirà la sua andatura classica, con un capitolo
ogni due settimane.
Buona
lettura a tutti!^_^
Cj Spencer