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Autore: Cj Spencer    26/11/2023    0 recensioni
Terzo volume de "Napoleon of Another World!"
La Rivoluzione ha vinto, e Daemon ha ottenuto il controllo del suo primo territorio reclamando per sé la provincia imperiale di Eirinn, ribattezzata Stato Libero di Ende.
Ma questo è solo il primo passo verso la ricostruzione del suo Impero.
E sulla sua strada verso l'unificazione dell'intera Erthea prima dell'arrivo del Re dei Demoni si pone già il primo avversario: Victor Montgomery, signore del vicino Granducato di Eirinn, che spera di sfruttare la situazione per riprendere il controllo delle terre che secoli prima furono tolte alla sua patria dall'Impero.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Senza aristocrazia,

lo Stato è un vascello senza timone.”

(Napoleone Bonaparte)

CAPITOLO 1

LA NASCITA DELLO STATO LIBERO

 

 

Come un fulmine a ciel sereno.

Una tempesta impossibile da fermare.

Prima ancora che la notizia potesse uscire dai confini di Eirinn per bocca degli esploratori o delle spie straniere, un esercito di messaggeri a cavallo percorse come uno sciame di locuste ogni strada, ogni sentiero. E una mattina, con una coordinazione quasi sconvolgente, sulle bacheche per gli annunci ufficiali di tutte le maggiori città dell’Impero e delle altre nazioni vicine comparve un annuncio.

 

A chiunque legga questo messaggio,

Abitanti di Erthea.

Vi parlo a nome degli abitanti della vecchia provincia di Eirinn, dell’Impero di Saedonia.

Con il favore di Gaia ed il sostegno dei governanti locali abbiamo sconfitto le forze imperiali di stanza nel Castello e preso il pieno controllo della provincia.

Tutti coloro che hanno condiviso i nostri ideali e appoggiato la nostra impresa sono al nostro fianco, ed ognuno di loro è pronto a fare la sua parte nella nascita e nello sviluppo della nostra nuova nazione.

Per questo motivo, annuncio ufficialmente la nascita dello Stato Libero di Ende, il quale a partire da questo giorno agirà come nazione indipendente e sovrana in accordo con la volontà del suo popolo.

Tutte le distinzioni di razza e ceto sociale sono state abolite, e coloro che hanno commesso dei crimini nei confronti della nostra gente e siano caduti nelle nostre mani, o si siano consegnati spontaneamente, saranno presto sottoposti al giudizio della legge dinnanzi ad un regolare processo.

Con il presente proclama intendiamo affermare l’assenza di qualunque volontà aggressiva nei confronti dei nostri vicini.

Quale segno di buona volontà, tutti i contratti e gli accordi commerciali precedentemente vigenti tra le industrie locali e soggetti stranieri, siano essi referenti a privati cittadini o entità nazionali, saranno immediatamente ripristinati, fatti salvi quelli che dovranno essere rinegoziati con il nuovo governo, e i cui tenutari saranno prontamente informati entro il prossimo mese lunare.

Allo stesso modo in cui ribadiamo la nostra volontà nell’astenerci a prendere parte ad un qualunque conflitto di aggressione, afferiamo tuttavia anche la nostra ferma determinazione a fare tutto quanto è nelle nostre capacità per affrontare qualsiasi minaccia dovesse levarsi contro di noi.

Abbiamo preso la spada per affermare il nostro diritto di essere padroni della nostra patria, delle nostre case e del nostro destino, senza ingerenza alcuna di parte di nazioni straniere e senza alcuna volontà di consegnare queste terre nelle mani di un qualunque nemico dell’Impero.

Con gli auspici di Gaia e la benedizione della Trinità tutta, possa questo giorno essere ricordato come la nascita di una pacifica e serena collaborazione tra la nostra patria ed il resto di Erthea.

Il Primo Ministro e capo di governo dello Stato Libero,

 

Daemon Haselworth

 

Dalla piazza della grande città di Maligrad la notizia passò di bocca in bocca, di casa in casa, fino ad arrivare nel cuore del palazzo imperiale che dominava la città.

Sua Altezza Imperiale Arnold Ademar XVI, centoventicinquesimo sovrano di Saedonia, era soprannominato dal suo popolo e da tutti i suoi vicini Giudice di Erthea, perché una sua decisione era capace di cambiare il destino del mondo, tali erano il potere e l’influenza dell’impero che governava.

A distanza di cinque secoli, il mito di Saedonia come nazione che oltre ad aver dominato metà del continente aveva guidato gli umani alla vittoria sul Signore Oscuro riecheggiava ancora come un tuono, scolpito nel marmo e dipinto in oro sulle pareti della reggia.

La sala del trono dove Sua Maestà sedeva, il più delle volte in solitudine immerso nei propri pensieri, era dominata dalla gigantesca statua d’oro di un leone rampante che torreggiava alle spalle dello scranno regale, anch’esso scolpito in modo da raffigurare le fauci spalancate del maestoso felino.

Perché così come c’era un solo re della foresta, così, si diceva, esisteva un solo re tra gli uomini.

Nonostante avesse abbondantemente superato i cinquant’anni Re Ademar appariva ancora come un uomo nel pieno del suo vigore, forte e risoluto come il giorno della sua incoronazione.

Come amava ripetere lui stesso l’età l’aveva reso più saggio, ma mai in vita sua era stato impulsivo o sprovveduto, non per niente il popolo lo aveva soprannominato l’Imperatore Stratega.

«Vostra Maestà.» disse il Barone Flavio Marcello, capo del senato e suo stimato consigliere, entrando nella stanza con una copia dell’annuncio in mano.

«So già tutto, amico mio.»

«Questo è un fatto di una gravità inaudita. Prima d’oggi non era mai successo che dei ribelli reclamassero il dominio di una parte del nostro impero in modo tanto sfacciato. Un simile affronto non può assolutamente restare impunito.»

«Contieni la tua foga, Marcello. Longinus era un incapace, ma la Quindicesima era una delle nostre legioni migliori, e il Generale Ron un veterano di molte battaglie. Se il proclama e le voci dicono il vero, i ribelli li avrebbero spazzati via in meno di un mese. Solo questo fatto direi che suggerisce di tenere un atteggiamento prudente.»

«Comprendo la vostra preoccupazione Maestà, ma mi sento in dovere di riaffermare la gravità di questa situazione. Eirinn è da sempre una delle nostre province più importanti. Nel corso degli anni abbiamo combattuto senza sosta, prima con il Regno e poi con l’Unione, per conservarne il dominio. Le sue miniere e i suoi giacimenti sono ciò che tiene in vita il nostro esercito e la nostra economia. Senza il suo ferro per le armi e il suo argento per le zecche, con cosa sosterremo la ribellione orientale e il mantenimento della tregua con il Principato?»

«Forse non è così grave come tu la dipingi, amico mio. Il proclama non dice forse che tutti i contratti commerciali saranno rispettati? Potrebbe costarci un po’ di più, ma non è meglio questo che sacrificare chissà quanti soldati per piegare un popolo che si è sempre mostrato insofferente al nostro dominio?»

«Questi non sono tempi facili, Divino Imperatore. I venti di ribellione soffiano ovunque a Saedonia. Scendere a patti con quei ribelli sarebbe come ammettere la nostra debolezza. Per non parlare del fatto che riconoscere l’esistenza di una nazione nata da una rivolta di schiavi potrebbe dare adito a nuove insurrezioni, proprio in un momento in cui l’Impero ha più bisogno che mai del lavoro degli schiavi.»

Ademar girò lo sguardo verso il grande mosaico sulla parete alla sua destra che rappresentava gli sterminati domini dell’Antico Impero, prima che crisi di governo, imperatori incapaci e sconfitte militari costringessero i suoi predecessori a spezzettarlo in tanti stati minori, un lento stillicidio che ora sembrava essere ricominciato.

«Quando ho stretto la mano di mio padre mentre moriva, gli ho promesso che avrei riportato l’Impero alla gloria del passato. E invece, da quando siedo su questo trono, non ho fatto altro che trascinarmi da una crisi all’altra. E ora, guarda in che situazione siamo. Connelly si mangia i miei confini, i baroni d’oriente mi ringhiano contro, e ora un pugno di ribelli si porta via in pochi giorni una delle nostre province più importanti. E in tutto ciò non posso neanche sperare in chi verrà dopo di me, dal momento che il mio unico figlio è un completo idiota. Che sia dunque il mio destino di essere ricordato come l’ultimo imperatore ad aver guidato Saedonia

«Non dovete parlare così, Maestà. Ho servito due imperatori prima di voi, e vi prego di credermi se vi dico che voi svettate come un gigante a confronto di vostro nonno e vostro padre. Loro sono stati grandi, ma voi avete tutto per esserlo ancora di più, e l’avete dimostrato in più occasioni.»

«Le tue parole mi lusingano Marcello, ma sappiamo bene tutti e due che la tua opinione non ha molti sostenitori in senato. Non sono state forse le mie riforme a provocare la rivolta dei Baroni, o la mia volontà di porre fine alla guerra con Connelly che ha consegnato al principato la città di Tagrea

«Ma il popolo vi ama, Maestà. Loro lo sanno che è merito vostro se per la prima volta da cinquant’anni l’Impero è in pace con tutti i suoi vicini.»

«Già, ma a quale prezzo? Saedonia in questo momento è un leone ferito, che ruggisce e si dimena per fingere di essere ancora forte come un tempo.»

«E se vogliamo che quel leone torni a governare sul mondo, è necessario che dia prova una volta per tutte della sua forza. Per questo mi sento in dovere di consigliarvi di risolvere al più presto questa crisi. Anche perché al momento non possiamo sapere come reagirà l’Unione. Medici non è tipo da agire in maniera impulsiva, ma i membri del suo consiglio appartengono quasi tutti alla fazione interventista, e certamente non si lasceranno scappare l’occasione di poter mettere le mani su Eirinn e le sue risorse.»

In quel momento un servitore aprì la porta della sala annunciando l’arrivo del Capitano Montgomery, che chiedeva con insistenza di essere ricevuta.

«Non ha perso tempo.» sorrise divertito il sovrano. «Falla passare.»

L’attendente non fece neanche in tempo a spostarsi, e con il passo sicuro di un nobile e il portamento fiero di un soldato la giovane Aria si presentò al cospetto dell’Imperatore, inginocchiandosi rispettosamente una volta giunta ai piedi del trono. Con lei al suo fianco, come sempre, il suo fidato attendente, un uomo-uccello alto e magro più o meno della sua stessa età, le cui ali color terra, per quanto arruffate e spiumate, brillavano ancora di una luce particolare.

In pochi si sarebbero permessi di introdurre un mostro alla presenza del sovrano, ma Aria era troppo orgogliosa di Zypax e troppo affezionata a lui per rinunciare alla sua compagnia.

«È passato un po’ di tempo, mia cara.»

«Vostra Altezza, suppongo non vi sia bisogno che io vi dica il motivo per cui sono qui.»

«Naturalmente. Io e il Barone ne stavamo parlando proprio adesso.»

«Datemi l’ordine, e io vi do la mia parola che sconfiggerò i ribelli. Muovendoci adesso potremo arrivare ai confini della provincia giusto in tempo per quando i valichi montani saranno liberi dalla neve.»

«Cos’è tutta questa tracotanza?» disse irritato Marcello. «Nessuno ti ha nominata comandante di qualsivoglia spedizione. E comunque che ci fa qui questo animale? Solo perché appartieni alla famiglia reale di Eirinn non significa che puoi fare quello che vuoi.»

«Quelle terre una volta appartenevano alla mia famiglia.» rispose la ragazza lanciando un’occhiata obliqua al vecchio senatore. «Le conosco meglio di chiunque altro. E per quanto riguarda Zypax, è al mio servizio da prima che iniziassi a frequentare l’accademia. Non c’è al mondo guerriero più abile e devoto di lui. Mi ha salvato la vita in innumerevoli occasioni, e come me ha versato sangue per la gloria e la prosperità dell’Impero. Ritengo col dovuto rispetto che abbia diritto di stare alla presenza di Sua Maestà tanto quanto voi.»

«Adesso calmatevi tutti e due.» disse bonariamente il sovrano alzando il braccio «Ammiro la tua determinazione Aria, e sono sicura che sarai in pensiero per tuo padre e tuo fratello.»

«È così, Vostra Maestà. Mio padre come sapete al momento non gode di buona salute, e mio fratello Victor malgrado il suo impegno potrebbe non essere in grado di gestire questa crisi da solo.»

«Forse non è il caso di essere così pessimisti. Come stavo dicendo anche al mio scorbutico amico Marcello, i ribelli non sembrano intenzionati a portare la loro lotta al di fuori dei confini della provincia.»

«Come sicuramente sapete, il reunionismo è forte in tutti i domini del vecchio Granducato. Data la situazione, non posso escludere che qualcuno dei consiglieri di mio fratello riesca a convincerlo a dichiarare guerra ai ribelli nel tentativo di restituire ai Montgomery il controllo anche della parte occidentale del nostro antico territorio.»

«Sarebbe un tradimento in piena regola!» tuonò Marcello. «Quei territori sono stati regolarmente ceduti all’Impero dai vostri antenati come forma di compensazione per i debiti che il Granducato aveva accumulato con la famiglia reale. L’Eirinn Occidentale appartiene a noi!»

«Ne sono consapevole, e lo è anche mio padre. Se lui fosse nel pieno delle sue forze non mi preoccuperei. Ma Victor è impulsivo e malconsigliato, soprattutto da nostro zio Philippe.»

«Non era stato esiliato?» chiese l’Imperatore

«Victor ha annullato la sentenza che nostro nonno gli aveva inflitto. È stato uno dei suoi primi atti da quando ha assunto le funzioni di governante dopo l’aggravarsi della malattia di nostro padre. Ora comanda l’esercito granducale assieme al Generale Lefde

L’Imperatore rimase in silenzio per alcuni istanti, passandosi sulla mano sul viso e sfregandosi la punta della barba ingrigita dall’età.

«Alla luce di quello che mi dici capisco la tua inquietudine, ma purtroppo al momento non posso fare niente per te. In questo momento buona parte del nostro esercito è impegnato a combattere contro i Baroni ribelli, e le poche legioni che rimangono sono obbligate dalle circostanze a presidiare i luoghi in cui si trovano attualmente.»

«In questo caso, vi prego di permettermi almeno di recarmi all’est per dare il mio contributo. Se i ribelli dovessero essere sconfitti, a quel punto le legioni impegnate nella guerra potrebbero essere ridestinate al sud per riconquistare la provincia perduta.»

«Stiamo combattendo con Severus e gli altri baroni da più di dieci anni senza ottenere risultati, e questa ragazzina pensa di poter vincere la guerra in pochi mesi? Quanta arroganza!»

«Basta, Marcello. Sembri molto sicura di te, giovane Montgomery. In questo caso, considerati messa alla prova. Ti nomino comandante in terza dell’esercito orientale.»

«Ma, Maestà…!?»

«Se con il tuo contributo riusciremo finalmente a sconfiggere i ribelli non solo prometto di ridestinare parte di quelle truppe alla riconquista di Eirinn, ma prenderò anche in considerazione l’idea di nominarti comandante della spedizione.»

«Vi ringrazio infinitamente, e prometto che non tradirò la Vostra fiducia. Vi porterò io stessa la testa del Barone Severus

Quindi, fatto un ultimo inchino, la giovane lasciò la stanza assieme al suo servitore. Marcello aveva i nervi a fior di pelle, ma quando la rabbia si fu un po’ calmata non poté fare a meno di apprezzare l’astuzia con cui l’Imperatore aveva apparentemente gestito la questione.

«Molto saggio, Vostra Maestà. Inviando quella scalmanata all’est vi siete assicurato che non commetta qualcuna delle sue proverbiali sciocchezze, senza contare che qualora dovesse fallire nel suo compito la poca considerazione di cui gode nell’esercito si sgretolerà una volta per tutte.»

«Dicono che l’età renda più saggi amico mio, ma a quanto vedo questo concetto non si applica a te.»

«Maestà?»

«Tu la sottovaluti, Marcello. Tutti voi la sottovalutate. Si è diplomata all’Accademia Militare con un anno di anticipo, e alla scuola ufficiali ha messo in riga i suoi stessi professori. Nemmeno Adrian, il figlio di Longinus, era stato capace di tanto. Ricordo ancora quando suo padre mi supplicò letteralmente di fare uno strappo alla legge così da permetterle di ereditare il controllo del Granducato al posto di suo fratello.»

«È chiaro che la tenete in altissima considerazione. Dunque perché avete rifiutato la richiesta?»

«Perché c’è solo una cosa peggiore di un idiota su un trono. Un genio su un trono.» rispose il sovrano con una strana luce negli occhi, e stringendo un po’ più forte la mano attorno allo scettro imperiale. «Fai preparare un piedistallo e un piatto d’argento.»

«Per quale motivo?»

«Per quando quella ragazza mi porterà la testa di Severus

 

Non era facile essere un elfo ad Erthea.

In un mondo che amava la legge, l’ordine e i confini non c’era posto per un popolo di raminghi nomadi, in perenne spostamento e sempre pronti a piantare le loro tende ovunque vi fossero foreste vergini per cacciare o ricchi pascoli per i loro cavalli.

Le vaste terre che occupavano –un’inezia se rapportato a quelle che i loro antenati attraversavano da un capo all’altro quando gli umani ancora vivevano nelle case di paglia– erano state il prezzo che Saedonia e la Volkova avevano dovuto pagare per ottenere il loro supporto durante le Guerre Sacre. Il loro contributo di abili arcieri, cavallerizzi ed esploratori era stato determinante nell’arrestare l'apparentemente inarrestabile avanzata verso est delle armate del Signore Oscuro, e consapevoli di ciò non avevano fatto sconti nel momento di avanzare le proprie richieste.

Non erano sicuramente i domini sterminati dei loro avi, ma almeno da quel momento in poi avevano potuto tornare ad essere sé stessi, preservando i loro riti e le loro culture.

Ma anche se un elfo poteva dirsi libero in quelle terre, bastava mettere piede in qualunque altra nazione per essere nuovamente guardati con diffidenza e soggetti ad ogni sorta di pregiudizio, in modo meno sprezzante ma di sicuro non troppo diverso dai mostri.

Così se ne stavano per conto loro cacciando, coltivando e spendendo serenamente la loro lunga vita, lontani dalle questioni degli umani, divisi in tantissime tribù che raramente si incontravano persino tra di loro, se non in occasione dei raduni annuali nelle terre sacre o per dirimere dispute dinnanzi al Consiglio degli Anziani.

Ovviamente non tutti i clan erano uguali, anche se a quelli più grandi e potenti piaceva pensare e dire il contrario.

Capitava così che quando si trattava di nominare un rappresentante, un esploratore o una spia per qualche incarico pericoloso alcuni clan erano più sfavoriti di altri nella scelta.

«Si può sapere dov’è finita Natuli?» sbottò il Grande Capo Sawané della tribù Nara «Ho ordinato di richiamarla dalla caccia giorni fa.»

«Abbiamo mandato esploratori in tutti i suoi abituali territori di caccia, ma nessuno è riuscito a trovarla. Così ieri ho detto ai miei migliori guerrieri di andare a cercarla nella foresta della morte.»

«Dai, non scherziamo.» disse un altro dei capifamiglia. «Nessuno sarebbe così pazzo da avventurarsi da solo lì dentro.»

«Ti sei scordato che stiamo parlando di Natuli

Proprio in quel momento un trittico di conigli demoniaci, animaletti capaci di sbranare un lupo in pochi secondi, piombò all’interno della tenda sollevando una nube di polvere; tutti i presenti scattarono in piedi per la paura, solo per accorgersi dopo qualche attimo che erano già morti stecchiti, legati per le zampe posteriori e pronti per lo spiedo.

«Allora? Si può sapere cosa c’è di così urgente per venirmi a disturbare durante la caccia?»

Che Natuli fosse tanto bella quanto suscettibile era una cosa nota a tutti, non solo nella sua tribù, ma il suo rivolgersi in modo tanto irrispettoso persino agli alti rappresentanti della sua gente faceva andare ogni volta su tutte le furie i capifamiglia, e più in generale chiunque fosse costretto ad avere a che fare con lei.

Sawané fu l’unico a non scomporsi, forse perché era l’unico che ormai si fosse rassegnato ad accettare quella testa calda così com’era.

«Lasciateci soli.» ordinò, venendo subito obbedito

«Ebbene? Spero davvero che sia una cosa importante. Stavo dietro a quel tarkana da tre giorni, e ormai l’avevo quasi preso.»

«Anche se sono tuo padre, vorrei che tu ricordassi che resto pur sempre il capo di questa tribù. Pertanto mi aspetto che…»

«Che mi rivolga a te con il dovuto rispetto, e bla, bla, bla. La conosco questa filastrocca. Avanti, fuori la voce, così poi posso andare a farmi un bagno.»

«Immagino che perfino tu avrai sentito cosa è successo a Saedonia. Il Consiglio degli Anziani è molto preoccupato dalla comparsa di questa specie di nazione di mostri. Secondo alcuni potrebbe essere presagio della comparsa di un nuovo Signore Oscuro.»

«Quei vecchi bacucchi pensano di vivere ancora all’epoca delle Guerre Sacre. Succede qualcosa appena fuori dal normale, e subito gridano al cataclisma imminente.»

«Sii più rispettosa, figlia mia. Il Consiglio più di chiunque altro ha a cuore il benessere del nostro popolo.»

«Se fosse così non ci costringerebbero a passare quasi metà dell’anno in questa fossa mefitica a due passi dalla Foresta della Morte, lasciando alle loro tribù i pascoli migliori. Non sono altro che un branco di arraffoni che pensano solo a sé stessi.»

«Ora stai esagerando! Non ti permetto di parlare in questo modo del Consiglio!»

«Non ti scaldare, che poi ti fa male alla salute. Quanti anni hai, seicento? Al tuo posto starei attento a questi scatti d’ira.»

«Se davvero ci tieni alla mia salute, allora una volta tanto cerca di comportarti come si conviene ad un futuro capotribù. Ormai hai quasi duecento anni, è ora che tu la smetta di fare la matta nelle foreste, o di far scappare tutti i tuoi pretendenti.»

«Ecco, lo sapevo.» disse la ragazza gonfiando le guance. «Mai una volta che si possa evitare l’argomento.»

«Ma davvero non ti vergogni di quello che fai, razza di figlia degenere? Il povero Damian cammina ancora zoppo! Che ti è saltato in mente di farlo combattere contro una tigre nera?»

«Ha detto lui che mi avrebbe seguito ovunque fossi andata, io l’avevo avvertito.»

Il vecchio capo fece un paio di respiri profondi, ringraziando gli dèi che nessuno lo avesse visto dare di matto per l’ennesima volta; non c’era niente da fare, per quanto cercasse ogni volta di darsi un contegno e rimanere calmo, parlare con sua figlia riusciva sempre a farlo uscire di testa.

«Ad ogni modo, per tornare al discorso di prima, il Consiglio ha deciso di inviare qualcuno nella nuova nazione per tenere d’occhio i ribelli e fare rapporto. L’incarico come puoi immaginare è stato affidato alla nostra tribù.»

«E tu hai deciso di inviare me. Lo sai che non sono tagliata per queste cose. Politica, diplomazia e discrezione non sono esattamente il mio forte. Anzi, diciamo pure che le detesto.»

«Non ha importanza. A quanto si dice in giro questo Haselworth non fa distinzioni tra umani e non-umani nello scegliersi i collaboratori. Per quanto non propriamente adatte ad una principessa tu possiedi molte qualità che potrebbero fargli comodo. Basterà che tu ti metta in mostra, cosa che invece ti riesce molto bene.»

Natuli sbruffò contrariata, prendendo ad avvolgersi attorno al dito una ciocca dei lunghi capelli argentei.

«L’hai detto tu stessa figlia mia. La nostra è una piccola tribù. Dobbiamo cogliere ogni occasione possibile per accrescere il nostro prestigio. E forse un giorno, quando prenderai il mio posto, i Nara potranno finalmente porsi sullo stesso piano delle Cinque Grandi Tribù, e ottenere un proprio posto nei vasti altipiani dell’ovest.»

«Tu sogni, papà. L’ordine delle cose non si può alterare. Lo so io, lo sai tu, e presto lo capirà anche questo Daemon.»

«Natuli…»

«D’accordo, d’accordo. Lo farò. Quando dovrei partire?»

«Il prima possibile. Abbiamo già inviato un messaggio ai nostri agenti a Faria. Raggiungerai i territori controllati dai ribelli attraverso il confine del Granducato, passando dalla fortezza di Grote Muren

«Allora sarà il caso che vada a fare i bagagli. Accidenti, che rottura.»

 

Gli abitanti di Connelly amavano i giochi, e non c’era città piccola o grande in cui non ci fosse un’arena.

E quella di Rosada, il secondo maggior porto commerciale della nazione, era una delle più grandi, con un intero settore riservato esclusivamente ai moltissimi mercanti e funzionari stranieri che ogni giorno di ogni mese dell’anno visitavano la città per vendere e comprare.

«Vecchio Yusuf!»

«Said, ragazzo mio!»

«È passato molto tempo. Sono felice di trovarvi in buona salute.»

«Per i capelli di Gaia, guarda come sei cresciuto. Sembra solo ieri che eri un ragazzino scalmanato che correva a destra e a sinistra per il bazar di Khariya, e guardati adesso.»

«Voi esagerate, maestro. Non sono così importante e ricco. Non certo quanto voi, almeno.»

«Attento ragazzo, la modestia spesso non paga negli affari.»

«Comunque, ammetto di essere un po’ confuso. Quando vi ho scritto proponendovi di incontrarci per un saluto non avrei mai pensato che avreste scelto in un posto simile.»

«Sei a Connelly, ragazzo mio. Qui tutto, che si tratti di affari, guerra o proposte di matrimonio, si discute non nella stanza di un palazzo, ma sulle gradinate di un’arena. In realtà non amo molto questo posto e ci vengo molto poco, ma per il mio discepolo preferito questo ed altro. Quindi forza, accomodati. Ho fatto riservare i posti migliori. La battaglia inizia tra pochi minuti, intanto serviti pure. Ci sono carne, vino, birra e frutta. E se vuoi qualcos’altro, devi solo alzare una mano e chiedere agli inservienti.»

«Vi trattate sempre molto bene a quanto vedo.»

«Non mi lamento. Ma ora parlami un po’ di te. Ho sentito dire che ti occupi di tessuti.»

«È così. Tratto soprattutto seta di ragno delle caverne.»

«Bestie pericolose. Tra gli avventurieri, la produzione e i trasporti ti costerà una fortuna.»

«Abbastanza, ma i guadagni compensano abbondantemente le spese. Ho trovato un gruppo di avventurieri in gamba e una covata di ragni che produce un filo di ottima qualità. Non posso ovviamente dirvi dove, sapete com’è. La concorrenza.»

Il vecchio mercante esplose in una risata compiaciuta.

«Tranquillo, ti capisco e ti approvo. Siamo mercanti tutti e due, dopotutto. Quindi sei qui per trattare una vendita? Quando sei arrivato da Torian

«Due giorni fa, ma non resterò molto a lungo. Giusto il tempo di concludere l’affare e intendo ripartire subito, stavolta via terra.»

«Vorrei tanto che i miei affari fossero floridi quanto i tuoi.»

«Avete problemi?»

«Puoi dirlo forte. Fin da quando mio nonno era un bambino, le rotte commerciali via terra erano l’unico modo in cui questi barbari occidentali potevano rifornirsi di merci provenienti dall’oriente, ma ora la situazione è completamente cambiata.»

«Vi riferite all’accordo che la Principessa ha stabilito con gli Jormen

«Quella ragazzina testarda. Nessuno avrebbe scommesso un soldo su di lei. Invece nel giro di due anni ha raggiunto l’armistizio con l’Impero e messo fine alle scorrerie dei pirati nel mare del sud, e tutto questo senza mobilitare un solo soldato. Come hai scoperto tu stesso le rotte marine ora sono molto più sicure e veloci di quelle terrestri. E così ora io mi ritrovo a guadagnare la metà di quello che facevo solo qualche anno fa.»

«Ho parecchi amici nel settore dei traporti via mare. Potrei mettere una buona parola per voi.»

«Ti ringrazio figliolo, ma la verità è che questo mondo non fa più per me. Sono vecchio. Il mio modo di fare affari ormai è superato, ed è tempo di fare spazio a giovani intraprendenti e volenterosi come te. Ora sto pensando di investire le mie ricchezze altrove, magari in quella nuova nazione di cui parlano tutti.»

«Vi riferite allo Stato Libero?»

«Quando ne ho sentito parlare per la prima volta non ci volevo credere. Con tutte le leggi tese a garantire all’Impero il monopolio sui minerali e la pessima gestione Eirinn era un pessimo posto per fare affari, ma il nuovo sovrano sembra avere le idee molto chiare. Ha privatizzato le miniere e aperto agli investitori stranieri. Ora chiunque può investire nella nazione, a condizione di offrire le dovute garanzie di solvibilità. Pensa che garantiscono un interesse del quattro percento annuo sui capitali investiti nei settori agricoli e silvicoli, e addirittura del sette percento sulle quote di partecipazione delle miniere.»

«Siete certo che si tratti di un investimento sicuro? Sono una provincia ribelle. In teoria potrebbero vedersi piombare addosso l’esercito imperiale in qualunque momento.»

«È quello che pensavo anch’io, fino a quando non ho scoperto che persino i mercanti imperiali hanno iniziato a fare investimenti laggiù. Inoltre ho saputo che c’è chi-sappiamo-noi a fungere da intermediario tra gli investitori e il sovrano stesso. Con lui come garante, possiamo essere certi che i nostri interessi non saranno mai messi in pericolo, indipendentemente da quello che dovesse capitare allo Stato Libero.»

Il giovane Said sorrise: «In questo caso, suppongo che d’ora in poi saremo soci in affari.»

«Come?»

«Ricordate che ho detto che devo ripartire via terra? In realtà è lì che sto andando. È stato proprio chi sappiamo noi a contattarmi proponendomi di entrare in affari con lo Stato Libero.»

«E che cosa se ne fanno quei barbari della seta pregiata?»

«Non cercano la seta, ma i carapaci dei ragni. Sono molto resistenti e costano poco, quindi sono perfetti per costruire armature efficaci, leggere e a basso costo.»

«Che idea bizzarra. A chi sarà venuta?»

«Credo al nuovo ministro degli interni. Forse ne avete sentito parlare, è quell’Adrian Longinus che ha fatto parlare di sé quando studiava all’accademia militare.»

«Il figlio del vecchio governatore!?»

«Proprio lui. Al servizio dello stesso uomo che ha ucciso suo padre.»

«Se è così, credo che possiamo stare tranquilli. Una volta l’ho conosciuto. Quello non scommette mai sul cavallo sbagliato.»

«In questo caso, che ne dite di fare un accordo? Io commercio esclusivamente via mare, ma lo Stato Libero non si può certo raggiungere con le navi. Sto per stringere un accordo con un mio conoscente dell’Unione che possiede un magazzino a Michkarn dove intendo stoccare la merce, ma poi sarà necessario trasportarla al nord seguendo le rotte via terra. Se volete, potete occuparvene voi. Mi sentirei molto più sicuro ad affidare il mio investimento a voi piuttosto che ad uno sconosciuto.»

«Parli seriamente!?» disse il vecchio con gli occhi lucidi e l’espressione attonita.

«Assolutamente. Sarà un modo per ringraziarvi per tutto quello che mi avete insegnato.»

Una stretta di mano, un bacio sulla guancia, un brindisi, e l’accordo era fatto.

«Grazie, ragazzo. Non lo dimenticherò.»

«Grazie a voi, maestro. Sarà un piacere fare affari con voi.»

In quel momento il boato della folla preannunciò l’arrivo nell’arena dei contendenti che avrebbero preso parte all’evento più atteso della giornata, una grande battaglia tutti contro tutti che avrebbe visto scontrarsi tra di loro dieci tra i combattenti più forti della città.

Ovviamente si trattava esclusivamente di mostri, tra i quali un gigantesco minotauro, un nerboruto orco, una sensuale lamia, un letale leopardo e persino una piccola yeti.

«Volete fare una scommessa?» disse un allibratore avvicinandosi ai due mercanti. «L’orco lo paghiamo tre volte la puntata.»

«Una quota interessante.» disse Yusuf. «Ci sto. E tu ragazzo?»

«A quanto lo date lo yeti?»

«Figliolo, sei già diventato così ricco che i soldi ti fanno schifo?»

«Sul serio, lo yeti quanto lo pagate?»

«Lo yeti lo diamo a dieci. Al tuo posto darei retta al tuo vecchio.»

«Allora scommetto duemila goldie sullo yeti.»

Sia l’allibratore che Yusuf tentarono di far cambiare idea a Said, che però si mostrò irremovibile.

«Forse dovrei riconsiderare la tua offerta, ragazzo. Simili azzardi possono portare un mercante alla rovina.»

Il principe-vescovo lasciò cadere il fazzoletto dando inizio alla sfida, e con una certa sorpresa da parte di molti degli spettatori tutti i combattenti, invece di dare vita ad una serie di duelli uno contro uno, si coalizzarono istantaneamente contro un unico avversario, ovvero proprio la piccola yeti.

Questa non si scompose, e sembrava che solo il fissare i suoi avversari fosse abbastanza per farli esitare, malgrado fosse l’unica tra di loro a non brandire alcun genere di arma.

La lamia aprì le danze con un rapido assalto, ma la yeti schivò saltando e con un singolo pugno in testa la mise subito a nanna tra le esclamazioni della folla.

A quel punto gli altri attaccarono tutti insieme, ma quella furia scatenata era talmente agile e sfuggente da riuscire ad evitare tutti i loro attacchi saltando come un grillo da una parte all’altra, con una tale precisione che i suoi avversari in alcuni casi finirono per colpirsi tra di loro.

Alla fine rimasero solo l’orco e il minotauro, il primo armato con una clava e il secondo con un’ascia bipenne.

Essendo incontri in cui non era previsto che qualcuno ci rimettesse la vita le armi erano spuntate, ma quei due bestioni erano così forti che ogni loro colpo andato a vuoto incrinava il terreno sollevando nuvole di polvere.

Quasi che stesse prendendo in giro i suoi avversari la yeti continuò a schivare i loro attacchi senza reagire, fino a quando, una volta sicura che entrambi si fossero stancati a dovere, passò all’azione. Prima schivò l’ascia del minotauro, quindi usandola come un trampolino decollò come un uccello, piombando dell’orco e mettendolo al tappeto con un colpo a piedi uniti dritto sul muso; mentre il suo avversario doveva ancora cadere a terra usò il suo pancione come un tappeto elastico, arrivando veloce come una saetta addosso al minotauro e colpendolo con un pugno così forte da fargli saltare un dente.

La folla esplose in un urlo di acclamazione mentre la piccola yeti alzava le braccia al cielo in segno di vittoria, gridando e saltellando come una bambina all’uscita da scuola.

«Che mi venga un colpo, come facevi a saperlo che quello scricciolo avrebbe vinto?»

«Bastava notare come gli altri lottatori la guardavano. Era chiaro che avevano paura di lei. Siete stato voi ad insegnarmi che bisogna sempre tenere d’occhio lo stato d’animo di chi si ha davanti. E poi…»

«E poi?»

«Mai fidarsi delle quote degli allibratori.»

 

Connelly era una nazione che da sempre preferiva la politica e la diplomazia alla guerra, ma anche lì c’erano gli orfani.

E anche se a differenza di quanto succedeva in altre nazioni gli orfanotrofi erano finanziati dallo Stato era difficile fare fronte a tutte le spese senza il sostegno di qualche mecenate o nobile caritatevole.

Ma il piccolo orfanotrofio attiguo al tempio minore Gaia Misericordiosa di Rosada non aveva bisogno né degli uni né degli altri, perché aveva già chi da molto tempo si prendeva cura dei suoi ospiti.

Nel momento in cui Sapi aveva capito di poter guadagnare un sacco di soldi divertendosi nell’arena si era immediatamente gettata anima e corpo nei combattimenti, diventando in poco tempo la stella più famosa di tutta la regione.

Sorella Esther, che si era presa cura di lei fin dal giorno in cui l’avevano portata all’orfanotrofio, aveva tentato per un po’ di tenerla lontana da quel mondo così pericoloso per una ragazzina così giovane, salvo poi smettere di preoccuparsi nel momento in cui aveva capito che per Sapi battersi nell’arena era come passare il pomeriggio al parco giochi.

«Sorella Esther, sorella Esther! Guardate, ho vinto ancora!»

«Sei stata bravissima Sapi. Però mi avevi promesso che ti saresti riposata. Ormai combatti quasi tutti i giorni.»

«Non vi preoccupate, non mi stanco mica. Anzi, è così divertente. E poi così posso sdebitarmi per tutto quello che avete fatto per me.»

Nel sentire la calda mano della chierica che le accarezzava la testa i peli di Sapi divennero dritti per l’emozione. Poteva essere cresciuta, ma dentro restava la stessa bambina di sempre.

«Ogni volta che riguardo resto senza parole. Ricordo ancora il giorno in cui sei arrivata qui da noi. Eri una bambina sola e spaventata, e ci hai messo dei mesi anche solo per rivolgere la parola a me o a qualcuno dei tuoi compagni. E invece guardati adesso.»

Mentre Sapi recuperava le energie divorando dei biscotti appena sfornati sorella Esther recuperò un piccolo forziere da uno scomparto segreto nel muro della cucina, che una volta aperto si rivelò essere pieno fin quasi all’orlo di monete d’oro.

«Allora?» chiese speranzosa la yeti. «Ci siamo riuscite?»

«Direi proprio di sì. Con tutti questi soldi riusciremo a tirare avanti per un bel po’, e ora ne abbiamo abbastanza da poter aprire quel piccolo negozio di cui abbiamo tanto parlato. Grazie ad esso, finalmente saremo in grado di mandare avanti l’orfanotrofio con le nostre sole forze.»

Sapi sembrava quella di sempre, ma ormai sorella Esther la conosceva abbastanza bene da capire quando la sua protetta preferita aveva qualcosa che la turbava.

«Devi dirmi qualcosa, tesoro?»

«Voi e le altre sorelle siete sempre state molto buone con me, e vi devo moltissimo. È anche per questo che ho voluto raccogliere tutti questi soldi per voi. Ora però sento di dover andare via.»

«Vuoi tornare dal ragazzo che ti ha salvata, vero?»

«Gli avevo promesso che lo avrei aiutato quando avesse avuto bisogno di me, e ora quel momento è arrivato. Dopo quello che ha fatto avrà tanti nemici, ma ora io posso proteggerlo. Però, andare via da qui…»

Ancora una volta sorella Esther le mise dolcemente una mano sulla testa, facendo diventare rosse le sue candide guance.

«Sapevamo tutti che non poteva durare per sempre. Ormai sei diventata grande Sapi, e devi fare quello che ti dice il cuore. Ma sappi che dovunque tu andrai, noi saremo sempre qui ad aspettarti.»

Per fortuna con gli anni Sapi aveva imparato a controllare la sua forza, altrimenti avrebbe finito per stritolare sorella Esther con il suo abbraccio.

«Grazie, sorella.»

«Ci mancherai, Sapi. Buona fortuna.»

 

Note dell’Autore

Salve a tutti!

Dopo un mese, come promesso, eccomi qui con il Terzo Volume della mia light novel con protagonista Napoleone Bonaparte.

È stato un mese molto impegnativo, e anche se non ho avuto molto tempo in qualche modo sono riuscito a rimanere entro la tabella di marcia completando il volume prima del suo rilascio qui su EFP.

La storia da questo punto in poi procederà in modo molto spedita, almeno rispetto a quanto visto finora, in un susseguirsi di “saghe” che vedranno di volta Daemon confrontarsi con vari avversari e vicissitudini che si troveranno loro malgrado sulla sua strada verso il successo.

Ancora una volta la pubblicazione seguirà la sua andatura classica, con un capitolo ogni due settimane.

Buona lettura a tutti!^_^

Cj Spencer

   
 
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