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Autore: NowhereBoy    01/12/2023    1 recensioni
Ennis è un giovane ragazzo gay, appena trasferito a Napoli da Chicago, per scappare da un passato non troppo remoto. Ha comprato un appartamento ad un prezzo decisamente basso, e ben presto ne scoprirà la ragione.
La casa, infatti, è infestata da cinque spiriti eccentrici. Riuscirà Ennis a convivere con loro e con i ‘suoi’ fantasmi?
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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NOTE AUTORE:
Buongiorno a tutti. Scusate il forte ritardo nella pubblicazione, problemi personali. D’ora in avanti cercherò di essere più puntuale. Fatemi sapere cosa ne pensate. 
Vi auguro una buona lettura :) 
Un bacione

2.
Quando Ennis riprese i sensi, fuori era ancora buio, con la pioggia che scrosciava incessante. La testa gli doleva incredibilmente, forse per la botta della caduta o forse per lo svenimento. Non ricordava molto bene cosa fosse accaduto, e cercò di mettersi a sedere. Fu un’impresa molto più complessa di quanto immaginava. 

Poi, come un flash, ricordò la donna. E scattò a guardarsi intorno, circospetto, mentre il cuore accelerava il battito. Tuttavia, in quella cucina c’era soltanto lui. 
I fornelli erano stati spenti, anche se non ricordava di averlo fatto. La sedia era scostata dal tavolo e la finestra socchiusa. Piccoli dettagli, certo. Eppure appariva tutto così normale, che per un momento credette di essere semplicemente impazzito, complice la lontananza da casa e tutti i dolori dell’ultimo periodo. 
You’re just tired, It’s the jet lag (sei solo stanco. È il jet lag) si disse. Dopotutto, non potevano essere davvero… spiriti. No, probabilmente era stato soltanto un brutto scherzo di Gervais, o suggestione. 
Il barattolo di ketchup era ancora sul bancone della cucina. Un moto di disgusto gli accartocciò lo stomaco, così lo prese e lo ripose in frigo. Non aveva più voglia di mangiare. Quindi andò a farsi una lunga doccia, si mise il pigiama ed andò direttamente a letto. A tutto il resto, ci avrebbe pensato l’indomani. 

Ennis era sempre stato una persona mattiniera, di quelle che si svegliano col sole pur avendo fatto le ore piccole. Invece, era quasi ora di pranzo quando si destò, completamente intontito. Gettò un’occhiata intorno, riuscendo a focalizzare appena i mobili. Faticò a ricordare perfino dove si trovasse, in quale Stato, in quale città, come se si fosse svegliato da una potente sbronza. 
Indossò le pantofole pelose ai piedi del letto, ed andò ad affacciarsi alla finestra. Il sole era alto, seppur coperto da poche nuvole, ma Napoli era ancora bagnata dalla pioggia delle nottata, mentre si popolava di viandanti, negozi aperti e abitanti affacciati alle finestre delle loro case. 
Il suo dirimpettaio era un vecchio. Indossava una vestaglia aperta su una canotta bianca e un paio di pantaloni lunghi. Aveva in mano una tazzina di caffè. I loro sguardi si incrociarono ed il vecchio si corrucciò. Parve quasi confuso. Si guardò prima intorno, poi tornò a guardare Ennis. Infine, alzò una mano in segno di saluto. Ennis, dal canto suo, ricambiò stranito. Quando abitava a Chicago, aveva a malapena fatto amicizia con i suoi vicini di piano, figurarsi con quelli che abitavano nel palazzo di fronte. Il vecchio, allora, si affrettò a rientrare in casa e chiuse il balcone. 
Ennis pensò che fosse tutto abbastanza strano, ma non diede molto peso alla questione. Rientrò anche lui, con lo stomaco che brontolava, ma vagamente di buon umore. L’apparizione di quella donna la sera precedente sembrava incredibilmente lontana, come un sogno dai contorni sfumati. Non era importante. 
Si diresse spedito verso la cucina, passando davanti il salotto. Non notò la porta aperta.
Poi: «Buongiorno!» sentì provenire dal salotto. 
«Good Morning!» rispose, sorridente. 
Accennò ad entrare in cucina, quando si paralizzò di colpo. Il cuore accelerò nuovamente i suoi battiti e i pensieri tornarono ad affollarsi nella mente, mentre un brivido correva lungo la schiena. 

Ennis, quando era bambino, credeva ai fantasmi. A sei anni, aveva conosciuto al parchetto dietro casa sua una bambina dalle lunghe trecce rosse e un foulard al collo. Si chiamava Rosette, e aveva all’incirca la sua età. Si vedevano spesso nel tardo pomeriggio, quando il parco era ormai vuoto, perché “mi stanno tutti antipatici, non mi parlano mai” diceva lei. E lui non si era posto molte domande. 
Una volta nonno Wilu lo aveva accompagnato per conoscere questa bambina di cui parlava in continuazione. Ennis era emozionato, adorava passare del tempo con suo nonno, anche se tutti i suoi amici lo ritenevano strano, perché era cresciuto nella Riserva.
«You'll love Rosette! She always has braids too, like you. But she has bows (Rosette ti piacerà un sacco! Ha sempre le trecce anche lei, come te. Ma lei ha i fiocchetti)»
Nonno Wilu gli aveva sorriso e scompigliato i capelli. 
Arrivati al parco, Rosette era alle altalene. 
«Here she is (Eccola!)» aveva esclamato, correndole incontro. 
È stato Wilu il primo a comprendere che suo nipote avesse proprio quella sensibilità, quel dono, così comune nel suo popolo. E più tardi, quello stesso giorno, lo avrebbe spiegato anche al piccolo Ennis. Ma il nonno non ha mai nominato la parola fantasmi. Per lui, erano gli spiriti antichi, pertanto non bisognava avere paura di loro. 
Con entusiasmo, avevano parlato con i suoi genitori. E con entusiasmo, Ennis aveva passato i successivi dieci anni in terapia da uno psicologo, a suo parere non molto bravo. Allora pian piano il bambino, divenuto adolescente, aveva smesso di parlare con i fantasmi, provando ad ignorarli. E una volta uomo, aveva semplicemente smesso di vederli. 

Ennis si sentiva ansioso. Anzi, quasi impaurito. Tuttavia, non era certo in maniera assoluta a cosa attribuire questo suo status, se più al pensiero stesso di star ricominciando a vedere i fantasmi, cosa che credeva superata da tempo, o quanto più all’idea di dover ricominciare la terapia in un paese dove non conosceva nemmeno la lingua.
Fatto sta, che si trovava seduto su una poltrona scomoda, una coperta poggiata sulle spalle e una tazza di té in mano, a fissare quelli che era assolutamente certo fossero quattro spiriti, e non occupanti abusivi. Lo sguardo correva in maniera alternata su di loro: la donna, due uomini e un ragazzino sui dodici anni. 
La donna sedeva composta ad un angolo del divano, con i piedi intrecciati e le gambe spostate di lato, coperte dalla lunga camicia del giorno prima. Alla luce del sole, Ennis si accorse del rossetto che contornava le labbra, e che fosse giovane. Probabilmente erano coetanei. Era davvero molto bella, pur con il naso leggermente arcuato. 
Disse: «Lei non mi piace per niente.» increspando le labbra. Sembrava si sforzasse di mantenere un cipiglio nervoso che non le si addiceva affatto. 
In piedi, accanto a lei, c’era un uomo a poggiarle una mano sulla spalla. Sarà stato poco più grande di lei. Appariva del tutto rispettabile, con i capelli scuri, corti, pettinati all’indietro e un bel paio di baffi radi che non gli donavano affatto. Indossava una camicia chiara e un gilet doppiopetto marrone tenuto aperto, dal cui taschino spuntava la catenella dell'orologio. Il torace era completamente cosparso da almeno sei fori di proiettile. Si rivolse alla donna chiamandola Marilena. 
«Marile’, non ti ci mettere pure tu, mo. Non offendere il nostro ospite.» 
Ennis, allora, alzò un dito come a chiedere il permesso di parlare. «Sorry, I… I’m not a guest. This is my home. (Scusate, io… io non sono un’ospite. Questa è casa mia.)»
L’uomo ignorò ciò che l’americano avesse appena detto, pur tornando a guardarlo negli occhi, sorridendo. Gli disse: «La prego di perdonare mia moglie. Non è una persona cattiva, ma dimentica spesso la nostra situazione. Io sono l’avvocato Giovanni Donati, lei mia moglie Marilena. Questo giovanotto è nostro figlio Salvatore.»
Il ragazzino seduto all’altro capo del divano lo salutò alzando un braccio. Aveva occhi scuri vivaci e una zazzera di capelli ricci a malapena pettinati all’indietro. Indossava una maglietta a mezze maniche e un paio di calzoncini verdi lunghi sino alle ginocchia, i polpacci coperti da un alto paio di calze bianche. Non aveva segni di proiettile, ma sul collo erano chiari e distinguibili segni di dita che palesavano le cause della sua morte. 
«Buongiorno.» 
Ennis fece un cenno con la testa di saluto, per poi prendere un lungo sorso dalla tazza. 
Marilena, dal canto suo, fece il verso a suo marito, indispettita. Ennis l’avrebbe trovata piuttosto divertente, in altre circostanze. Poi, come a ricordarsi di essere osservata, regalò all’americano il sorriso più falso che potesse trovare. «Le offrirei qualcosa da mangiare, ma lei ha invaso la mia dispensa di oscenità.»
«Oh cielo, donna Marilena. Quest’uomo sarà stato mandato per cercare di risolvere la nostra situazione. Mostriamo un minimo di gratitudine. Perdonami l’insolenza, Gianni.» Ad intervenire, questa volta, era stato il secondo uomo, appoggiato alla parete accanto alla finestra, dalla quale entrava la forte luce di mezzogiorno, pur non proiettando ombre di alcun tipo sugli interlocutori. Era uomo di mezza età, quasi del tutto calvo, che indossava una camicia dalla stampa discutibile e un paio di occhialetti rettangolari. La lente sinistra era rotta, mostrando il foro di un proiettile nell’occhio. «Io sono il dottor Franco Marino. Eleonora le avrà sicuramente parlato di me.»
«È il nostro vicino» spiegò Gianni. «Lei è americano, giusto?»
Ennis annuì. 
«Certo, quando Eleonora ci ha detto che avrebbe mandato un americano a cercarci, ci aspettavamo… qualcosa di diverso.»
«Però è una cosa buona, vero padre? Intendo, che siano arrivati gli americani.» intervenne Salvatore. 
«Certo.» rispose Gianni. «Avete fatto in fretta. Mi era giunta notizia che appena un paio di settimane fa foste arrivati in sicilia.» Ennis si corrucciò appena, ma non osò parlare. Poi l’avvocato continuò. «Dunque? Avete buone notizie?»
E i quattro spiriti restarono a fissare Ennis in silenzio, in attesa, il quale sorseggiava il suo tè completamente assorto nei suoi pensieri. Fu solo dopo svariati minuti, che Ennis si rese conto che gli spiriti attendevano da lui una risposta. Allora si ricompose, sistemandosi meglio sulla sedia e stringendo la tazza calda tra le dita. Poi si grattò il capo. 
Infine disse: «Who the fuck is Eleonora? (Chi cazzo è Eleonora?)»
«Ma come “chi è?”. Aspettiamo sue notizie da mesi! Aveva detto che dovevamo nasconderci in casa e che avrebbe mandato qualcuno a cercarci.» sbottò Marilena. 
«Non vi manda Eleonora?» continuò a domandare, invece, il dottor Marino, in tono piuttosto preoccupato.
«I don't really know who Eleonora is. I'm just an interpreter. (Non so davvero chi sia Eleonora. Sono solo un interprete)» spiegò Ennis. «And I found the listing of this house through real estate. It has nothing to do with you, sorry. (E ho trovato l'annuncio di questa casa tramite agenzia immobiliare. Non ha niente a che fare con voi, scusate.)» 
Salvatore, deluso, si accasciò sul divano, mentre il dottor Marino si cacciava una mano sul viso, strofinandosi gli occhi. Marilena intrecciò le dita alla mano che il marito strinse sulla sua spalla, pur tentando di mantenere un’espressione composta in viso. 
«Sta dicendo che… lei non può fare niente per la nostra situazione?» domandò Gianni, incerto, anche se con un briciolo di speranza nello sguardo. 
Ennis scosse appena il capo, lentamente. Sinceramente, non aveva idea di come poter liberare quei fantasmi. Forse Eleonora era un’inquilina precedente che, come lui, riusciva a parlare con gli spiriti e aveva promesso loro di aiutarli. 
«Would my permission to leave be enough? For example, "I set you free," or something like that? (basterebbe il mio permesso di andare via? Per esempio, "io vi libero", o qualcosa del genere?)» 
La donna accennò una risata. Poi parlò con voce incredibilmente dolce «Se fosse bastata una cosa così, ce ne saremmo andati da tempo, non crede? Ci hanno provato a mandarci via. Nessuno ci è riuscito. Credevamo che lei potesse aiutarci.»
Ennis fece spallucce. Pensò che fosse una situazione terribile per lui. E che fosse palese che quegli spiriti non se ne sarebbero andati tanto presto. 
Poggiò, allora, la tazza ormai vuota sul pavimento. Dopodiché si accartocciò su se stesso, portandosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso sulle cosce. Come avrebbe potuto convivere con una situazione del genere? Cosa avrebbe potuto fare? Chiamare il suo analista era fuori discussione. Era quasi sicuro che lo odiasse. Contattare Gervais si sarebbe rivelato solo un modo per prenderlo in giro. E lui aveva bisogno di essere preso sul serio. 
Chi altri conosceva, a Napoli? Nessuno. Non poteva di certo parlarne con i colleghi, quando avrebbe iniziato. Sarebbe immediatamente stato additato come quello strano
Shit, pensò. At least it doesn't look like these spirits want to kill me (Almeno non sembra che questi spiriti vogliano uccidermi). Magra consolazione. 
Tirò su col naso, quindi drizzò la testa. 
Gli spiriti erano svaniti nel nulla. 
Con circospezione, si guardò intorno in cerca di qualche traccia. Come se potessero essersi nascosti da qualche parte. Quindi, corse in camera da letto, si cambiò al volo con i panni presi direttamente dalla valigia, ed uscì più in fretta che poté. In cerca di cosa, ancora non lo sapeva. 

Ritornò in casa solo a notte fonda, dopo un lungo pomeriggio a passeggio per Napoli e una serata di chiacchiere con Gervais e un paio di suoi amici, Rino e Dario. Era stanco, ma allo stesso tempo in allerta al pensiero degli spiriti che lo attendevano in quelle quattro mura. 
Tuttavia, quando entrò nell'appartamento, gli sembrò di essere solo. Non un solo rumore, non un solo fiato. Leggermente più tranquillo, allora, si diresse verso il bagno per prepararsi per dormire.
Una volta sotto le coperte, pensò all’incontro con i fantasmi nella mattinata. Un’apparizione poteva essere suggestione, ma due? Davvero tutti quegli anni di terapia erano stati vani? E se semplicemente la sua mente avesse deciso di fare passi indietro, perché gli mancava casa? Forse in quel modo, il suo inconscio gli stava comunicando che aveva fatto una pessima scelta a lasciare l’America. Il desiderio di mettere più chilometri possibili tra lui e Martin aveva avuto la meglio, ma probabilmente era stato affrettato. Dopotutto, si erano lasciati solo da un mesetto. 
Certo, il divano di Michael era scomodo, ma in fin dei conti, così tanto?
Fu mentre era perso nei suoi pensieri, sospeso tra il sonno e la veglia, che sentì il materasso del letto matrimoniale cigolare sotto il peso di un corpo che si era seduto al suo fianco. Per un attimo, sorrise, ignorando il fatto che non fosse Martin. Quando rientrava da lavoro a notte fonda, Martin era solito sdraiarsi al suo fianco e abbracciarlo di schiena, carezzandogli il braccio e baciandolo dietro il collo. Era una sensazione di piacevole calore, che, in fondo, gli mancava. 
Tuttavia, nessun braccio era corso ad accarezzarlo. Piuttosto, una fastidiosa voce aveva preso a sussurrare. 
«Pss» fece. Ma Ennis ignorò il suono, forse credendo fosse il suono fastidioso di una mosca, mentre un groppo di nostalgia si formava alla base della gola. «Pss… oh! Americano!»
Quindi, Ennis si destò immediatamente. Una mosca, o Martin, non lo avrebbero mai chiamato in quel modo. Con circospezione, si voltò. E sobbalzò alla vista del ragazzino, seduto a gambe incrociate che lo fissava. 
«Shit!» quasi urlò, sedendosi velocemente e appoggiandosi contro la trabacca del letto. 
«No, non urlare! Gli altri si arrabbiano con me se sanno che sono qui.» sussurrò Salvatore, agitando le mani in aria.
«And why did you come to wake me up? (E perché sei venuto a svegliarmi?)» si ritrovò a sussurrare anche lui. 
Lo spirito fece spallucce, mordendosi il labbro. Sembrava profondamente interdetto. Ennis, che in fin dei conti aveva un animo gentile, sospirò, rassegnandosi all’idea che non avrebbe dormito quella notte. Così, mentre si sistemava seduto, lo incoraggiò a parlare. 
«É che… non lo so… non ho una buona sensazione…» bisbigliò, cominciando a contorcersi le dita. «Mi domando se… se tu sia venuto per l’uomo in soffitta.»
A quelle parole il sangue nelle vene di Ennis gelò. Cosa intendeva quel ragazzino con l’uomo in soffitta? Che fosse un demone? Un altro spirito? Non riuscì a fare in tempo a chiederlo che in un battito di ciglia e un cigolio del materasso, il ragazzino era nuovamente sparito, lasciando Ennis a fissare con occhi sbarrati il punto in cui prima si trovava. 
Ora era certo che non avrebbe più dormito. Probabilmente non lo avrebbe fatto mai più. 

ANGOLO DELL'AUTORE BIS:
Mi domandavo, voi cosa fareste nella situazione di Ennis? 

 
   
 
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