L’inverno della nostra vita, la primavera di Panem
Altri colpi di tosse scossero il suo corpo, facendolo sussultare violentemente. Si portò una mano alla bocca, spruzzi di saliva gli sfuggirono dalle labbra. Non appena si fu ripreso, afferrò un fazzoletto di seta posato sul comodino, alla sua sinistra, e vi spuntò un grumo di catarro.Maledisse ad alta voce quella dannata malattia che lo stava lentamente consumando. Ci mancava solo l’ennesima, maledetta epidemia, come se tutto il resto non fosse già abbastanza.
Beh, ad ogni modo, se a ucciderlo non fosse stato quel virus sconosciuto che si era diffuso da poche settimane in tutto il Tredici, ci avrebbe pensato l’età a portarlo nell’oltretomba. Era anche per questo che stava morendo: il distretto, con i suoi mezzi e personale limitati, non poteva occuparsi degli anziani, preferendo curare solo i più giovani. Era crudele, ma necessario, vista la situazione precaria in cui versavano, e Marcus era d’accordo con questa decisione della Coin. Non gli importava più nulla di morire adesso che aveva raggiunto la veneranda età di ottantadue anni.
Altri colpi di tosse, altre imprecazioni, e poi una voce. Una voce vecchia e arrochita, esattamente come la sua, ma decisamente più gioviale.
“Che cosa sono queste brutte parole Marcus? Prendertela con il virus non cambia molto, sai?” Esordì il dottor Plinth, chiudendosi la porta della stanza alle spalle.
Indossava il solito camice bianco, le maniche tirate su fino ai gomiti. Il suo volto era rugoso, i capelli ormai del tutto grigi, ma i suoi occhi castani non erano cambiati, brillavano esattamente come quando aveva diciotto anni.
Teneva tra le mani un piccolo vassoio con un bicchiere d’acqua, pane, formaggio e una mela.
“Non ho fame.” Disse Marcus, prima ancora che l’altro gli porgesse il pasto.
Seianus fece quel suo solito broncio infantile, ma il compagno lo ignorò: dopo più di sessant’anni insieme, aveva imparato a non farsi manipolare.
Dopo qualche altra insistenza, Seianus ci rinunciò e posò il vassoio sul comodino, sbuffando sonoramente. Si diresse verso l’armadio, dove ripose il proprio camice, appendendolo con grande cura alla gruccia. Doveva aver finito il suo turno.
“Dovresti mangiare.” Lo rimproverò chiudendo le ante. “Ti vedo ogni giorno sempre più pallido.”
“Tanto in uno di questi giorni passerò all’altro mondo, lo sai bene.” Fu la secca risposta di Marcus. “Il cibo lascialo a chi ne ha più bisogno di me.”
Seianus si sedette sul bordo del letto, e rispose a voce un po’ troppo alta, forse per coprirne il leggero tremolio: “Non dovresti voler morire proprio adesso che è successa una cosa fantastica!”
“Che cosa?”
“Non lo sai?”
“Sapere cosa?” Ribattè Marcus, un po’ seccato.
Seianus sorrise, e lo guardò negli occhi, per godersi la sua reazione. “Quest’anno gli Hunger Games hanno avuto due vincitori. Del Distretto 12.”
“Stai scherzando?!” Ed ecco che arrivarono altri colpi di tosse, dato che si era raddrizzato di colpo a quella rivelazione. Due vincitori? Ma era davvero possibile?
“È vero! Pare che fossero innamorati. Alla fine dei Giochi, erano rimasti solo loro due e volevano suicidarsi con delle bacche. Però, piuttosto che non avere nessun vincitore, gli strateghi li hanno fermati in tempo. E indovina? Dopo questo fatto, c’è aria di rivolta nei distretti.”
“Allora vuol dire che…”
“Il Tredici sta cominciando a muoversi. Alma Coin ha intenzione di portare qui la ragazza del Dodici appena se ne presenterà l’occasione. Dice di volerne fare il simbolo della rivolta.” Nonostante l’evidente entusiasmo di Seianus a questo epocale cambiamento, l’ultima frase fu detta con una certa stizza.
Durante gli anni, l’idealismo del medico non era andato perduto, ma si era piuttosto attenuato; e capiva benissimo che le intenzioni della loro presidente, Alma Coin, erano tutt’altro che pure, nonostante lei fosse, in teoria, dalla parte dei “buoni”. D’altronde, lui la conosceva bene: era stata sua paziente sin da bambina, e Seianus l’aveva vista crescere diventando fredda e razionale esattamente come il padre. Non certo la rivoluzionaria dagli ideali onesti e irremovibili che i cuori come quello di Seianus si aspettavano.
“Dopodiché comincerà l’offensiva.” Concluse Seianus.
Marcus annuì, più felice che mai: quindi l’ora della rivolta era finalmente giunta? Tutti i ribelli, tutti i tributi caduti avrebbero infine ottenuto la pace tanto agognata?
Avrebbe potuto tornare al Due e… E cosa? Tanto la sua famiglia doveva essere morta da un pezzo, così come i suoi amici. Il Due era cambiato dai tempi in cui ci viveva lui: le persone, l’ambiente… Tutto. Probabilmente era rimasta sua sorella, Fulvia. Chissà, forse aveva avuto dei figli.
Gli sarebbe piaciuto conoscerli. Ma poi? Di cosa avrebbero parlato? Lui non li conosceva, loro non conoscevano lui. E se questi ipotetici nipoti fossero stati sorteggiati per gli Hunger Games, percorrendo il destino dello zio? E se fossero morti?
Marcus sorrise amaramente. Comunque fosse, era inutile farsi tanti problemi. Tanto al Due non ci sarebbe mai tornato, lo sapeva. La morte era vicina, la sentiva strisciare verso di sé, accarezzare il suo corpo, cominciare lentamente a trascinarlo nell’Aldilà.
Lo sapeva perché conosceva quella sensazione, non l’aveva mai dimenticata. Anche dopo sessantaquattro anni era impossibile non ricordare i colpi di bastone che si abbattevano sulla schiena, sul viso, sulle braccia. I polsi legati da una ruvida corda, il corpo sanguinante appeso ad una trave. Il colpo di una scure sulla schiena. La sensazione della morte che si faceva sempre più vicina, che gli solleticava la nuca con il suo gelido respiro.
Solo che questa volta Seianus non poteva più salvarlo.
“Comunque pare che il Presidente Snow sia furioso, e che abbia deciso di tenere costantemente sotto controllo quei due ragazzi, in particolare la ragazza.” La voce del compagno interruppe i suoi pensieri.
Marcus ebbe, come al solito, un senso di straniamento quando sentì uscire “Presidente Snow” dalle labbra dell’uomo. Non sapeva dire esattamente quando da “Corio” si era passati a “Presidente Snow”, sapeva solo che ciò era accaduto ormai tanto tempo prima, e avrebbe dovuto farci l’abitudine.
Ma non era così: il ricordo della voce di Seianus che chiamava il nome “Corio” con affetto non era mai stato cancellato e, seppur Marcus avesse pensato tante volte di chiedere all’altro cosa pensasse del suo vecchio amico adesso, non l’aveva mai fatto. Sarebbe stato crudele.
Afferrò il bicchiere dal vassoio vicino a sé, concedendosi almeno un po’ d’acqua. Mentre beveva gli venne da sorridere, pensando a una cosa. “Strano che sia ancora il Distretto 12 a scombussolargli i piani, non credi?”
A Seianus sfuggì una risata. “Già.”
Per un po’ nessuno parlò, il silenzio era interrotto solo dai colpi di tosse di Marcus, che si facevano sempre più frequenti. Seianus non commentava, forse sforzandosi di ignorarli, ma il moro vedeva che l’altro lo guardava di sottecchi ogni volta che veniva scosso da quegli attacchi irrefrenabili.
Fu quando notò una piccola lacrima scorrere lungo la guancia dell’altro uomo, che Marcus decise di dire ciò che fino ad allora non aveva avuto il coraggio di confidargli.
“Seianus.”
“Mh?” L’altro si asciugò velocemente la lacrima, prima di voltarsi, nella speranza che il compagno non l’avesse notato. Marcus gli concesse questa illusione, e non commentò.
“Io vorrei tanto rivedere il Distretto 2, la nostra casa. Ma non posso.”
“Non dire così… Certo che-”
“Non è vero.” Lo interruppe Marcus. “Guarda come sono ridotto, lo sai anche tu che durerò al massimo pochi giorni. Adesso ascolta: sopravvivi, ti prego. Sopravvivi, voglio che tu veda la nuova Panem, la Panem che abbiamo sempre sognato. Io so che i ribelli ce la faranno questa volta, lo sento. E quando potrai raggiungere il Distretto 2… Pensa a me. Pensami e io sarò lì con te, a casa. Questa è l’ultima cosa che ti chiedo.”
Seianus lo fissò per qualche istante, gli occhi lucidi sbarrati, le mani strette lungo i fianchi. Poi, avanzò lentamente verso di lui, e lo avvolse con le sue braccia, le stesse braccia che l’avevano confortato un numero infinito di volte, nel corso di tutti quegli anni, ma che, da quando la malattia l’aveva colpito, non si erano più posate su di lui.
“Potrei contagiarti.” Fu la debole protesta di Marcus.
“Non ti preoccupare. Ormai credo di essere immune a certe cose.” Lo sentì sorridere contro la propria spalla, e ricambiò il suo abbraccio.
Marcus Lane si spense qualche giorno dopo, nel letto che aveva occupato per oltre sessant’anni; accanto a lui la persona che più amava gli stringeva la mano, cercando di infondergli sicurezza in quell’ultimo viaggio.
“M-Marcus…” Singhiozzò Seianus, portandosi le loro mani intrecciate alle labbra e posandovi un bacio delicato.
Marcus avrebbe voluto dirgli di non piangere, che sarebbe andato tutto bene, ma non ne ebbe la forza.
Mentre percepiva le sue ultime energie abbandonarlo per sempre, portò lo sguardo su Seianus, sull’uomo che aveva amato per tutta la sua vita. Guardò il suo volto vecchio, stanco, come il suo, eppure, ai suoi occhi, ancora bellissimo.
Grazie, avrebbe voluto dirgli. Grazie per tutto. Grazie per essere stato al mio fianco, grazie per non avermi mai abbandonato, grazie per avermi salvato la vita, grazie per tutte le volte che mi hai curato. Grazie per le tue parole di conforto nei momenti difficili, grazie per i baci, grazie per gli abbracci, grazie per le chiacchierate a tarda notte, grazie per avermi sempre ascoltato. Grazie per altre mille cose che adesso non mi vengono in mente, perché hai fatto così tanto per me che nemmeno sono in grado di elencare tutto.
Grazie, grazie, grazie.
Alla fine non seppe se riuscì effettivamente a dire quel “grazie” ad alta voce, perché ormai le palpebre si stavano facendo pesanti e uno strano torpore stava avvolgendo il suo corpo.
Quando il dolce viso di Seianus, rigato dalle lacrime, si oscurò del tutto, seppe che era finita.
Era strano: da giovane pensava che quando avrebbe dovuto lasciare questo mondo, lo avrebbe fatto pieno di tristezza, risentimento e rancore, per tutte le cose che non era riuscito a fare, per tutto quello che aveva dovuto passare, per l’amarezza verso un mondo ingiusto.
Eppure, quando si congedò per sempre da questa vita, lo fece con il sorriso. Il sorriso di chi sa che, nonostante il gelo e la crudezza di un inverno appena trascorso, una nuova primavera sta per aver inizio.