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Autore: quenya    19/12/2023    2 recensioni
Una bufera di neve fuori stagione sta per abbattersi su Nerima quando Ukyo trova, nel suo cortile, un maialino nero letteralmente piovuto dal cielo. Sarà l’inizio di una bizzarra convivenza tra due anime solitarie che piano piano usciranno dal torpore della rassegnazione in cui erano cadute…per scoprire, in modo inaspettato, di non essere più sole.
Una storia interamente dedicata alla coppia Ryoga e Ukyo, che ho amato per tutta la vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8

 

 

 

La mattina giunse con un leggero chiarore e un silenzio ovattato, tanto che Ukyo si svegliò più tardi del solito. Si mise a sedere di scatto, convinta di aver fatto tardi e che i clienti la stessero aspettando di sotto infuriati ed affamati; quando, però, realizzò di non avere alcun obbligo, si lasciò ricadere tra le coperte con un sospiro di beatitudine. Poi ricordò meglio tutto quello che era successo il giorno prima e, aprendo un occhio, vide un porcellino che la stava osservando con un’aria confusa, tra il perplesso e l’agitato, da un angolo del futon. Più esattamente, la stava guardando come se fosse impazzita.

“Buongiorno, P-chan… uh… Ryoga… vabbè, tu”, rise, di buon umore dopo una lunga dormita ristoratrice. “Non farci caso, è che non sono abituata a svegliarmi tardi durante la settimana. Saranno secoli che non mi prendo qualche giorno di vacanza!”.

Si alzò, stiracchiandosi con soddisfazione e con la coda dell’occhio vide P-chan girarsi di scatto nella direzione opposta. Doveva essere diventato un comportamento quasi istintivo per lui, ma comunque faceva onore alla sua correttezza. Si avvicinò alla finestra per alzare le tapparelle e quando lo fece - non senza difficoltà visto il ghiaccio accumulato - non riuscì a trattenere un’esclamazione di meraviglia. Stava ancora nevicando ma il cielo era più chiaro rispetto al giorno prima e il vento era infine cessato, lasciando cadere la neve in lenti e grandi fiocchi in uno scenario che sembrava quasi irreale, come in una di quelle palle di vetro con un paesaggio innevato che si vendevano sotto Natale.

“Ooh, non ho mai visto della neve così alta in vita mia! Nemmeno quando ero piccola e giravamo con la bancarella ambulante!”, esclamò, appoggiando le mani al vetro, come una bambina. Presa dall’entusiasmo si girò e prese al volo il maialino, che la stava guardando da sotto in su. “Guarda, P-chan, guarda quanta ce n'è! Scommetto che sarà almeno un metro!”.

P-chan osservò con occhio esperto l’altezza dei cumuli e concordò con la stima della ragazza, rabbrividendo all’idea del complicato risveglio che gli sarebbe toccato se fosse stato lì fuori, nella sua tenda. Con una nevicata del genere l’intelaiatura si sarebbe di certo piegata sotto il peso e lui avrebbe dovuto trascorrere tutta la notte sveglio a sostenerla, cercando allo stesso tempo di evitare di perdere qualche dito per congelamento. Ne aveva passata qualcuna di notti così e non ci teneva proprio a ripetere l’esperienza.

Di nuovo, fu invaso da un moto di gratitudine per aver evitato, almeno per una volta, il suo solito, sfortunato destino e, in un raro momento di istinto, si allungò per dare una piccola, affettuosa testatina al mento di Ukyo sopra di lui.

La ragazza sussultò, sorpresa, poi sembrò interpretare nel modo giusto quel piccolo gesto come un ringraziamento, perché sorrise e gli diede un bacino sulla fronte, facendolo arrossire come un pomodoro.

Stavolta Ukyo rise più forte e lui si agitò tra le sue braccia, cercando di sfuggire a quella situazione che lo stava facendo sentire troppo a disagio. La chef non sembrava al momento ricordare che lui non fosse soltanto un animaletto da compagnia ma, a pensarci bene, non poteva darle torto: una cosa del genere poteva aver bisogno di tempo prima di essere elaborata e, dopotutto, era accaduto solo il giorno prima.

Un pensiero simile dovette attraversare anche la mente di lei, perché subito dopo lo lasciò andare.

“Ah, scusami Ryoga. A volte è difficile ricordarsi che ci sei tu dietro questo adorabile maialino”, gli disse con un sorriso. “Non è colpa mia se sei così carino in questa forma…”, aggiunse poi, dandogli per gioco una tiratina leggera ad un orecchio. P-chan sbuffò, seccato, e lei realizzò che al ragazzo non doveva fare piacere essere considerato in quel modo, anzi, con tutta probabilità, doveva essere uno dei motivi per cui lo aveva sempre tenuto nascosto.

Però non è male nemmeno nell’altra, pensò ad un tratto, mentre prendeva i vestiti da indossare quel giorno dall'armadio. Si bloccò ancora una volta, colta di sorpresa da quell'estemporaneo pensiero - le stava capitando un po' troppo spesso negli ultimi giorni - per poi scacciarlo con foga dalla sua testa.

Un quarto d'ora dopo uscì dal bagno, vestita di tutto punto nella sua consueta divisa violetta da chef.

"Ok, il bagno è tutto tuo. Ti ho lasciato l'acqua della doccia aperta e tutto l'occorrente per lavarti", gli disse, aprendogli di poco la porta per non fare sfuggire tutto il calore accumulato.

Poco tempo dopo, però, mentre aveva appena finito di mettere via il futon, la voce profonda di Ryoga si fece sentire.

"Uhm… Ukyo? Potresti…", fece una pausa così lunga che lei tese l'orecchio, per capire cosa stesse succedendo. "...portarmi… uh… i miei vestiti?".

Ukyo si colpì sulla fronte con una mano. Ma certo, che stupida! Si era del tutto dimenticata di quel piccolo particolare quando aveva deciso in modo impulsivo di farlo dormire assieme a lei, in pratica sequestrandolo senza alcun consenso. Corse di sotto dove per fortuna trovò subito, accanto al sacco a pelo, gli abiti piegati pronti per il giorno dopo. Meno male che è un tipo ordinato, pensò con sollievo. Sarebbe stato davvero imbarazzante mettere le mani nel suo zaino e nelle sue cose personali.

Tuttavia, quando fece per passarglieli, si ritrovò ad affrontare la seconda seccatura della giornata nel giro di dieci minuti: la soglia di quel bagno era sempre stata difettosa e tendeva a gonfiarsi se c'era troppo vapore. Di solito non succedeva, ma con due docce di seguito era piuttosto comprensibile che quel problema si fosse ripresentato.

"Dannazione, ci mancava pure questa…", mugugnò, cercando di aprirla. "Ryoga! La porta è bloccata! Ora provo a forzarla quindi stai indietro".

"Vuoi che ci penso io?".

"NO! Non toccare NULLA! Mi serve ancora!", rispose subito, con già negli occhi la devastazione che sarebbe potuta seguire se solo lui avesse provato ad esercitare pressione con la sua spaventosa forza.

Seguirono svariati minuti di infruttuosi e imbarazzanti tentativi poi, infine, il legno cedette di scatto, facendola quasi schiantare sul pavimento del bagno.

“Ooh, finalmente! Scusa ma questa dannata…”, iniziò alzando gli occhi.

E si dimenticò di colpo quello che stava dicendo.

Davanti a lei, circondato da nuvole di vapore, c'era Ryoga coperto solo da uno striminzito asciugamano, legato in modo precario sui fianchi.

A quanto pare i vestiti di ricambio e il malfunzionamento della porta non erano le sole cose che aveva dimenticato, in modo clamoroso, quella mattina… aveva anche omesso di fornirgli un telo da bagno di una misura adeguata.

Ancora una volta non riuscì a trovare la forza di distogliere gli occhi. Al contrario del giorno prima, quando aveva solo sentito di sfuggita quella muscolatura contro di sé, la piena visione frontale le consentì di notare molti più particolari: dall'ampiezza delle spalle alla compattezza dei pettorali, dai pronunciati bicipiti, agli addominali che sfumavano verso il basso in una netta linea, solo in parte coperta dall'asciugamano… ogni singolo, vigoroso dettaglio anatomico appariva quasi scolpito nel marmo e sembrava fremere sotto la pelle umida.

Com'era naturale, si era già accorta che lui fosse diverso, perché era chiaro come il sole che non ci fosse paragone, per altezza e corporatura, al ragazzo che aveva incontrato per la prima volta tanti anni orsono. Tuttavia, solo in quel momento riuscì davvero a capire quanto il tempo e i costanti allenamenti avessero modificato il suo fisico, facendolo maturare e rendendolo in tutto e per tutto quello di un uomo.

La fisionomia di quelle spalle larghe e di quelle braccia poderose evocava una sensazione di potenza eppure, allo stesso tempo, la vita sottile e i fianchi stretti gli davano un aspetto snello e slanciato, del tutto privo della pesantezza che di solito avrebbe associato ad una simile montagna di muscoli.

Quegli stessi che fremettero, davanti al suo sguardo quasi ipnotizzato, quando Ryoga alzò un braccio per grattarsi il mento, di certo a disagio per l'attento esame che gli stava facendo. Gli occhi di Ukyo seguirono di riflesso quel movimento osservando il loro gioco sotto la pelle e lei si accorse, solo in quel momento, che la notte gli aveva lasciato un leggero velo di barba sulla mascella.

La bocca le si asciugò del tutto.

Quel particolare, mai visto o notato prima, unito a tutto il resto, fu troppo da sopportare per il suo animo agitato: con un gesto fulmineo, Ukyo si girò, afferrò i vestiti e, in pratica, glieli buttò in faccia, richiudendo la porta di slancio, con buona pace della soglia difettosa.

Si appoggiò dall’altro lato del battente, con le mani al viso, cercando in tutti i modi di calmare il battito del proprio cuore. Per ovvi motivi quel traditore non ne voleva sapere di placarsi, visto che quella visione di strepitosa prestanza maschile le aveva rimescolato sangue e ormoni con una violenza tale da farle mancare il respiro e rischiare un serio collasso circolatorio.

Maledizione… chi se lo aspettava che Ryoga potesse diventare così dannatamente sexy?, pensò mentre scendeva di sotto con le guance ancora in fiamme e lo stomaco in subbuglio. Aveva urgente bisogno di distrarsi, così, per sbollire l’imbarazzo e non pensarci troppo, decise di iniziare a preparare la colazione.

Dopo un po’ scese anche lui e quando Ukyo si girò a salutarlo si accorse con stupore che stava indossando una maglietta a maniche lunghe bicolore, nera su spalle e braccia e verde scuro sul torace. Sorpresa da quel cambio di look e ben felice di aver trovato un argomento per evitare qualsiasi penoso riferimento a quello che era appena successo, alzò un sopracciglio.

"Buongiorno. Che è successo alla tua solita casacca?".

Ryoga si grattò la testa, imbarazzato e con le orecchie ancora un po' rosse per l’episodio di prima. Pareva proprio che non ci fosse limite alle figuracce che il destino gli stava riservando in quei giorni. Era abituato ad essere sfortunato, ma una simile incidenza di episodi, uno più mortificante dell’altro, rasentava quasi il ridicolo. Notò che Ukyo stava facendo finta di nulla, evitando il suo sguardo, e decise di fare altrettanto.

"Uh… era così lisa che ho dovuto buttarla", rispose, schiarendosi la voce e sedendosi al bancone. Senza contare il fatto che ormai mi stava tanto stretta da potersi strappare al primo movimento più ampio, aggiunse nella sua testa, ripensando alla dolorosa ma necessaria decisione di eliminare il suo amato indumento.

"Beh, direi che era ora", tagliò corto lei, sincera e diretta come sempre. “Il verde non è malaccio, su di te. Sempre meglio di quel tremendo color senape”.

“Era giallo ocra, prego”, mugugnò in risposta, osservando la ciotola di zuppa di miso che gli era stata messa davanti, seguita da pesce grigliato, verdure sottaceto e riso. “Grazie per la colazione, Ukyo”.

La chef roteò gli occhi, sbuffando. “Ryoga, io sfamo gente per lavoro e vocazione… non c’è bisogno che mi ringrazi ogni volta. Preparare per uno o per due per me è indifferente”.

Il ragazzo non disse nulla, non troppo convinto. Era sicuro che se fosse capitato per caso nel ristorante di Shampoo, anziché nel suo, la cinesina lo avrebbe tenuto incatenato in cortile a spaccare legna tutto il tempo con forse, e dico forse, qualche ciotola di ramen in cambio. Anzi, a giudicare da quello che diceva Mousse, era molto probabile che non fosse nemmeno tutti i giorni. Ukyo faceva passare la sua ospitalità come una cosa scontata, ma la gentilezza dietro quei gesti gli sembrava sempre più evidente e soprattutto rivelatoria di un carattere molto più altruista di quello che voleva far credere al resto del mondo. Il che gli fece ricordare che era necessario anche un altro tipo di ringraziamento.

“E… uhm… grazie anche per esserti preoccupata per me, ieri sera”.

Lei rimase per un momento a bocca aperta, con un pezzo di salmone tra le bacchette, poi lo riposò di scatto sul piatto con un gesto nervoso, guardando da un’altra parte. Evitare il suo sguardo era una cosa che faceva sempre quando era a disagio, notò all’improvviso.

“Ah… hmpf, è stato solo perché non avevo alcuna voglia di averti sulla coscienza”, gli rispose alla fine, riprendendo a mangiare. “E poi una volta che ho deciso di ospitarti sotto questo tetto, sei diventato una mia responsabilità: sei un ospite e l’ospite è sacro. Così mi ha insegnato mio padre”.

Ryoga alzò un sopracciglio, colpito e ammirato da quello sfoggio di valori tradizionali. L’onore e il rispetto erano dei concetti estremamente importanti per lui, una guida sotto la quale aveva impostato la sua intera esistenza e vederli espressi in modo così deciso dalla ragazza che gli stava di fronte gli fece davvero molto piacere. Anche se, in fondo, doveva ammettere di non esserne poi così sorpreso: Ukyo era testarda, ossessiva e molto abile nello sfruttare le situazioni a suo vantaggio, ma si era sempre comportata in modo onorevole nella sua annosa lotta con le rivali per l’attenzione di Ranma. Il fatto che fosse stata la prima a congratularsi con Akane per il fidanzamento ne era stata la riprova più grande e lo aveva confermato ancora di più diventandone addirittura la migliore amica. Aveva accettato la sconfitta con dignità ed onore… una cosa che persino lui non era ancora riuscito a fare.

“Ok, allora fammi dimostrare di essere un ospite degno di rispetto e dammi quei piatti”, le rispose, rimboccandosi le maniche.

Una volta finito di mettere via tutto, stavolta senza incidenti, si ritrovarono nella condizione di non saper bene come trascorrere quella giornata. Fuori, il vento aveva ricominciato a soffiare e il cielo si era di nuovo scurito, come preannunciato dalle previsioni: sarebbe stato inutile spalare la neve accumulata fino a quel momento visto che ne era prevista altrettanta, quindi uscire all’esterno era fuori questione.

“Hmm… ok, cosa possiamo fare?”, chiese Ukyo, battendo con aria pensosa con un unghia sul piano da lavoro.

“Non ne ho idea”.

“Sai giocare a carte?”.

“No”.

Seguì una pausa di silenzio, poi stavolta toccò a Ryoga suggerire qualcosa.

“Sai giocare a scacchi? O a dama?”.

“Non ho la scacchiera”.

Altra pausa.

“Di solito cosa fai nel tempo libero?”, chiese Ukyo con un sospiro.

“Mi alleno. Quando non posso farlo in genere leggo. Tu?”.

“Più o meno la stessa cosa: o mi alleno, oppure esco a fare la spesa o shopping con Akane. Quando sono a casa a volte guardo una serie tv o tengo la contabilità”.

“Ah”, rispose il ragazzo, riflettendoci un attimo. “E se io leggo un libro e tu tieni la contabilità?”.

L’altra lo guardò, con aria annoiata ed anche un po’ spazientita.

“Sì, ma che strazio!”.

Silenzio.

“Di allenarsi non se ne parla, immagino”, sbuffò la chef, incrociando le braccia.

Lui scosse la testa. “Non c’è abbastanza spazio. Al massimo possiamo fare qualche piegamento e forse qualche kata”, rispose, guardandosi intorno.

Altro silenzio.

“Possiamo… vederci un film?”, tentò di proporre Ryoga.

Contemplarono l’orologio: erano le dieci meno un quarto.

“Magari più tardi”, sospirò Ukyo, stirando le braccia sopra la testa. Lo sguardo si posò sulle grate del soffitto e, di colpo, ebbe una illuminazione. “Ehi, visto che sei bravo nella manutenzione, cosa ne dici di darmi una mano a fare qualche lavoretto di casa?”.

“Ci sto”.

“Ottimo! Dovrei avere una lista, da qualche parte…”, rispose lei, frugando in un cassetto.

Presi dal sacro fuoco delle pulizie la mattinata passò in fretta e riuscirono a renderla anche piuttosto produttiva: grazie all’abilità di Ryoga nello spostare i mobili, Ukyo riuscì a pulire a fondo parti della cucina che non aveva mai raggiunto se non in casi eccezionali. Cambiarono anche i filtri della cappa di aspirazione, pulirono le grate di areazione e sostituirono varie lampadine che erano diventate troppo fioche. Alla fine, mentre stava avvitando l’ultimo faretto, Ukyo alzò gli occhi verso delle mensole poste in alto e si ricordò di aver lasciato lì a maturare un vaso di salsa per okonomiyaki che ormai doveva essere pronta.

Quando si fece passare la scala e arrivò all’altezza giusta, però, si accorse che davanti c’era una pila di vecchi tegami. Erano parecchio impolverati e visto che aveva appena finito di tirare a lucido la cucina, non voleva tirarli giù e dover ricominciare tutto da capo; li spostò quindi con attenzione uno ad uno su uno spazio più piccolo lì accanto, cercando di tenerli in equilibrio e allo stesso tempo di raggiungere il vaso.

“Ukyo, che stai facendo? Non sporgerti dalla scala in quel modo, è pericoloso”.

“Aspetta… ci sono quasi…”, rispose lei, tendendosi al massimo per raggiungere quel maledetto contenitore di coccio.

“Guarda che, se ti rompi qualcosa, non ti porto in braccio sotto la neve in ospedale”.

“Ooh, quanto sei catastrofico! Ti ricordo che il mio senso dell’equilibrio non è mica bacato come quello di Akane!”.

Ryoga aprì la bocca per difendere in automatico il suo primo amore, ma poi gli tornarono alla memoria tutte le volte che aveva cercato di aiutarla in qualche strampalato torneo di arti marziali alternative: Akane era forte, veloce e resistente ma, in effetti, l’agilità non era proprio una delle sue virtù.

"Beh, comunque l'equilibrio non ti farà arrivare a qualunque cosa tu stia cercando di raggiungere. Ti mancano almeno dieci centimetri di braccio", le fece notare.

"Ryoga, lo sai dove te li puoi infilare quei dieci centimetri di…".

La rispostaccia rimase sospesa a metà perché, nella foga di replicare per le rime, Ukyo aveva perso il controllo sulla pila di pentole che rischiarono di caderle addosso. Si riprese al volo, recuperando il precario equilibrio, ma quando guardò verso il basso, dove Ryoga le stava reggendo la scala, trovò sul suo volto un'espressione che diceva a chiare lettere ‘Lo vedi?’.

Sbuffando rimise a posto tutto e scese. “Riecco quell’atteggiamento da principino arrogante… sei davvero fastidioso, lo sai?”, mugugnò facendosi da parte. Quando il ragazzo la guardò con aria interrogativa, sbuffò di nuovo. “Eddai, lo so benissimo che non vedi l’ora di farlo tu. Cosa diamine stai aspettando? Quell’affare non si tira giù da solo”.

Nascondendo un sorriso per la soddisfazione di averle fatto ammettere di aver bisogno del suo aiuto, Ryoga salì sulla scala, sollevò con una mano la pila di recipienti metallici e afferrò senza problemi il famoso vaso.

“Ok, ora passamelo. LENTAMENTE!”.

Quando lui abbassò lo sguardo per fare quanto richiesto, però, successe l’ennesimo imprevisto. Con la caldaia tornata a funzionare a pieno ritmo, la temperatura interna era risalita fino a sfiorare livelli quasi tropicali e la ragazza aveva così eliminato vari strati di indumenti. Per sua fortuna lo scollatissimo top del giorno prima era stato sostituito dalla ben più castigata divisa da chef ma ciò non toglieva che, visto dalla posizione sopraelevata in cui si trovava in quel momento, lo scollo lasciasse intravedere molta più pelle di quanto non fosse lecito mostrare, compreso un conturbante scorcio della vallata in mezzo ai seni. Distratto da quella visione, Ryoga fece un istintivo passo indietro, mancò in maniera clamorosa il gradino e cadde all’indietro portandosi appresso vaso e tegami.

“NO! LA MIA SALSA!”.

Nel disperato tentativo di proteggere il suo prezioso condimento, Ukyo si lanciò su di lui, cercando di afferrare al volo il recipiente ma, inciampando in una gamba di Ryoga, finì per cadere anche lei e si ritrovarono a terra tutti e due in un indistinto groviglio di arti, mentre la montagna di pentole gli cadeva addosso con un rumore fragoroso.

Una volta terminato il fracasso, Ukyo aprì un occhio, aspettandosi di ritrovarsi coperta di salsa per okonomiyaki a contare i lividi e bernoccoli che le sarebbero venuti in seguito all’impatto. Invece scoprì, con immensa sorpresa, di essere spalmata su Ryoga e che lui stava tenendo in una mano il pesante vaso di coccio, integro e perfetto, mentre con l’altra mano e il braccio le aveva coperto il viso e la testa, schermandola da qualunque collisione.

Un destino che, al contrario, sembrava non essere riuscito ad evitare per se stesso, a giudicare dal pesante wok che gli stava ancora roteando accanto e al segno di impatto sulla sua fronte.

La testaccia dura di Ryoga, tuttavia, aveva resistito ad urti ben più impegnativi e, complice il fatto che i suoi fulminei riflessi avevano protetto sia lei che la sua amata salsa, Ukyo si rilassò tra le sue braccia, cedendo alla stranissima voglia che aveva di prolungare quel contatto.

Quando le aveva protetto la testa con un braccio, l’aveva d’istinto schiacciata contro di sé pressandole il viso tra il collo e la spalla e lei scoprì che quella posizione era piuttosto confortevole. In un angolo del suo cervello si rese conto che avrebbe dovuto protestare per quella prossimità e allontanarsi di scatto, ma la verità era che non ne aveva la minima voglia: era come se il proprio corpo si fosse con naturalezza adattato al suo, in un perfetto gioco di incastri, assecondando una istintiva reazione a quella vicinanza.

“Bei maestri di arti marziali che siamo, ad inciampare in questo modo… così imparo a parlare male di Akane-chan!”, ridacchiò, senza muoversi di un millimetro.

“Ugh… poi mi devi spiegare che diavolo ci fai con tutta questa vecchia ferraglia”, mugugnò lui, portandosi una mano alla fronte e massaggiandosi la parte contusa. “Stai bene?”.

Quella semplice domanda, in apparenza banale, tolse il fiato ad Ukyo. Era stupido e, forse, solo il frutto della sua suggestione, ma le sembrò che esprimesse una preoccupazione nei suoi confronti, una premurosa sollecitudine che andava ben oltre la risposta istintiva ad una caduta.

La memoria le tornò al sogno di quella notte, quando si era sentita sicura e protetta tra braccia maschili che avevano lo stesso calore, lo stesso identico speziato profumo che la stava avvolgendo adesso, un misto di zenzero, bergamotto e odore maschile che ormai associava, a livello inconscio, a quella sensazione di benessere.

E in un lampo, ogni cosa andò all’improvviso al suo posto.

Non era stato Ranma a confortarla quella notte… e cosa ancora più importante, non era stato un sogno: era stato Ryoga. Ora che sapeva della trasformazione, ogni cosa acquistava sempre più senso. Ricordava in modo vago di non essersi sentita bene e il ragazzo doveva essersene accorto: in qualche modo, doveva essere riuscito a riprendere la forma umana e le aveva dato una medicina, perché lei non ricordava proprio di averlo fatto. Non c’era altra spiegazione per quella miracolosa guarigione dall’influenza nel giro di una notte. Poi, doveva averla riscaldata con il calore del suo corpo, cullandola in un sonno ristoratore e scatenando, così, la sensazione di gioia e serenità che aveva in seguito confuso con un sogno, associandolo - com'era naturale per lei - a Ranma.

Le implicazioni le fecero girare la testa, facendola avvampare.

“SEI STATO TU?”, boccheggiò, alzandosi di scatto su un gomito e guardandolo con occhi sbarrati.

“Eh? Di che parli? Hai sbattuto la testa per caso?”, rispose il ragazzo, mettendosi seduto sul pavimento e appoggiando, con cautela, il vaso di coccio di lato.

“Due notti fa… ho avuto i brividi di freddo e TU mi hai riscaldato! Sei entrato nel mio letto!”, lo accusò, ritraendosi in una posizione sulle ginocchia, come per allontanarsi il più possibile da lui.

Un’espressione di panico passò nei suoi occhi ma Ryoga non cercò nemmeno di negare.

“Uhm… mi dispiace?”, le disse, grattandosi la testa con fare imbarazzato.

“RAZZA DI MANIACO CHE NON SEI ALTRO!”, urlò Ukyo, afferrando alla cieca tutti i tegami che riuscì a trovare lì intorno e tirandoglieli in testa uno per uno come una furia.

“OW! Non c’era altro modo! Hai avuto un attacco di febbre… non potevo mica lasciarti così!”, tentò di giustificarsi l'altro.

“Potevi tenere le mani a posto!”.

“L’HO FATTO! Sei tu che ad un certo punto ti sei avvinghiata a me come un boa constrictor!”.

Dopo un secondo, in cui rimase senza fiato per quell'oltraggiosa insinuazione, la furia di Ukyo raggiunse l'apice.

“Che COSA? Prova a ripeterlo, brutto maiale! Di nome e pure di fatto!”, strillò, sempre più rossa, colpendolo più volte con lo stesso wok di prima, ormai da buttare.

“Ehi, vacci piano con le offese! Se non fosse stato per me staresti ancora male!”, si difese lui, facendosi scudo con un braccio.

Quella frase, in effetti vera, ebbe il potere di placare in modo marginale la sua ira. Seppur intenso, un attacco di febbre non rappresentava di certo un pericolo di vita e Ryoga avrebbe potuto benissimo scegliere di non intervenire: invece l’aveva fatto, mettendo a repentaglio il suo più grande e sofferto segreto pur di aiutarla.

Perché lui era fatto così: testardo e rancoroso, ma buono fino al midollo.

Ukyo non era mai stata una sentimentale. O meglio, nel privato del suo animo lo era, ma la vita che aveva condotto fino a quel momento l’aveva costretta a nasconderlo sotto strati e strati di duro pragmatismo e a sacrificarlo sull’altare di una imprescindibile indipendenza. La sua ostinazione nel voler vivere da sola aveva portato come conseguenza il fatto che nessuno si fosse mai preso cura di lei fino a quel momento e i pochi che ci avevano provato erano sempre stati del tutto inefficaci.

Non come invece era riuscito a fare Ryoga in quei due giorni di convivenza.

Il suo modo di sostenerla, non solo dal punto di vista materiale ma anche in maniera profondamente empatica, era stato così spontaneo e istintivo da superare ogni sua resistenza. E questo le rare volte in cui lei stessa era riuscita a rendersene conto, perché Ryoga aveva anche l’inspiegabile capacità di proteggerla senza che nemmeno se ne accorgesse, come era successo poco prima. Era una cosa che la stava facendo impazzire, perché la faceva infuriare e allo stesso tempo la commuoveva nel profondo. Per quanto contrario alla sua natura e molto strano per lei, infatti, non poteva negare di sentirsi riconoscente e forse, forse, anche un pizzico lusingata dai suoi sforzi, che fossero coscienti o meno.

“Hmpf. E va bene, ti perdono”, sbuffò alla fine, incrociando le braccia e sollevando il naso per aria con femminile sdegno. “Ma solo perché mi hai risparmiato un’altra giornata di raffreddore. E guai a te se ci riprovi!”.

“Non mi azzarderei mai”, le rispose Ryoga sfregandosi i numerosi bernoccoli, ancora incredulo per averla passata tutto sommato liscia in quel modo.

“Forza, mettiamo a posto tutto questo casino… uff, ora mi tocca pure lavare di nuovo per terra. Anzi, lo farai tu, visto che è colpa tua!”, gli disse, girandosi a dargli un’altra botta in testa, per buona misura.

“Ehi! Che fine ha fatto il discorso che l’ospite è sacro?”, borbottò lui, che nel frattempo stava già raccogliendo le padelle sparse per il pavimento.

“Non ci provare, bello… l’ospite è sacro solo fino a quando non combina disastri”, sentenziò Ukyo, passandogli la ramazza.

 

  
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