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Autore: LubaLuft    28/12/2023    2 recensioni
È la prima “Kagehina” che scrivo… perciò siate clementi! È estate, e Vega e Altair si cercano nelle profondità dello spazio. Qualcun altro si cerca e, forse, finalmente si trova…
Soundtrack gentilmente fornito da The Smiths!
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Yachi Hitoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanabata

 

La festa di Tanabata era entrata nel vivo, i tamburi battevano, i canti si levavano, centinaia di persone passeggiavano lungo le strade di Sendai, sotto i coloratissimi tanzaku, grondanti di preghiere e desideri di carta.

Al parco Nishi, era tutto pronto per lo spettacolo pirotecnico.

Hitoka Yachi aveva le guance in fiamme, una mano posata sul cuore e tremava come una foglia, le ginocchia ossute che si toccavano. 

Nell’altra mano reggeva un ghiacciolo alla fragola, che si stava silenziosamente squagliando e gocciolando in una piccola pozza rosa fra le pietre, sul sentiero che costeggiava gli stand della fiera.

Piantato saldamente alle sue spalle, il tronco di un albero le impediva di arretrare e allo stesso tempo la sorreggeva. Davanti a lei, vicinissimo, c’era Shoyo Hinata, a testa bassa, le mani chiuse a pugno, le spalle contratte. 

Tremava anche lui.

I respiri erano affrettati, e mentre Shoyo non riusciva a dire più nulla di sensato, Hitoka balbettava invece a ruota libera.

“Tu… tu… io… non so che… che cosa dire!…”

Shoyo ora scuoteva la testa. Anche lui aveva le guance in fiamme.

“È… è… incredibile e… ho le palpitazioni! Uff… calmati Hitoka…! Shoyo… ciò che mi hai appena detto… lo provi davvero?”

“Sì!”  Shoyo sbottò alzando di scatto il viso e guardando il cielo stellato di Sendai, il cielo caldo di Tanabata. 

“Sì !!” urlò di nuovo, un grido liberatorio quasi, nella confusione della folla che sciamava da uno stand all’altro della fiera, in cerca di souvenir, attrazioni e di qualcosa di buono da mangiare.

Hitoka si coprì il viso con le mani.

“Che emozione! Tu… innamorato…!”

“Sì…” e ora quel , che poco prima aveva risuonato forte e chiaro, si era trasformato in una specie di lamento. Allungò anche lui un braccio per appoggiarsi al tronco dell’albero, con il risultato che ora il viso di Hitoka era a un passo dal suo.

Rimasero così per qualche istante, poi Shoyo sembrò lentamente ritornare in sé. 

“Hitoka, scusami se ti ho sconvolta...”

Hitoka allungò le mani verso di lui per schernirsi e il risultato fu che le sue dita gli si piazzarono proprio sul petto. Ebbe così modo di registrare il suo battito impazzito e di entrare ancora di più in ansia: quei colpi scomposti che gli rimbombavano tra le costole erano preoccupanti! Che cosa doveva fare, chiamare il coach Ukai? I senpai? C’era un defibrillatore da qualche  parte? Lei era la futura manager della squadra e la vita del prezioso numero 10 del Karasuno era nelle sue mani!

Non pensò a nulla di meglio che a sollevare una mano per accarezzargli una guancia, nel tentativo di infondergli la tranquillità necessaria a calmare anche lei.

“Shoyo, va tutto bene…!”

Ma Shoyo non riusciva a calmarsi. La storia di Vega e Altair gli era entrata nel cuore e lo aveva fatto definitivamente deflagrare, come una piccola polveriera.

Quando, poco prima, il professor Takeda aveva raccontato a lui e ai suoi compagni di squadra, con dovizia di particolari e piglio letterario, la leggenda dei due amanti sfortunati, la maggior parte di loro l’aveva bollata come una storiella triste - solo Tanaka aveva pianto, lanciando inequivocabili occhiate a Kiyoko, e Ukai si era acceso, nervoso, ben due sigarette di fila. 

Shoyo, invece, aveva visualizzato… il campo. 

La rete gli era apparsa come una specie di cielo e vi aveva visto impressi sopra l’immagine sua e di Tobio Kageyama, sospesi a mezz’aria come quelle due stelle, condannate a incontrarsi… solo durante una veloce a filo di nastro!

Non ne poteva più. 

Non riusciva più a vivere una vita normale, con lui che gli lanciava dei palloni perfetti, con la giusta rotazione, ai quali lui poi imprimeva una carezza rabbiosa. 

Finché aveva potuto, si era tenuto tutto dentro: durante gli allenamenti, le loro stupide corse per arrivare primi in palestra, i litigi sotto rete perché lui aveva anticipato l’alzata - no! piuttosto era stato lui, cretino, a saltare in ritardo! - i rientri a casa solitari dopo gli allenamenti, perché alla fine rimanevano sempre loro due, per un’altra alzata, un altro salto, un altro punto messo a segno a una velocità impossibile.

Si salutavano sempre allo stesso incrocio, il re del campo con una smorfia, lui - l’esca perfetta - con un ci vediamo nel quale vibrava già tutta la felicità del giorno dopo: un’altra corsa, un’altra rincorsa, quelle mani ballerine dal tocco perfetto che gli offrivano la palla, e lui a riceverla come un dono prezioso.

Tutto questo aveva avuto un’accelerazione improvvisa, come soltanto a quella età poteva accadere. Gli ormoni, forse, o semplicemente la loro surreale amicizia senza pacche sulla spalla, senza belle parole, senza complicità futili, fatta solo di aria fra le mani e sotto i piedi, fatta di secondi, di una simbiosi profonda come quella che lega fra di loro gli atomi.

Dov’era Tobio era anche lui, in una porzione di spazio-tempo riservata solo a loro.

Quella sera Hitoka, con la sua dolcezza infinita, aveva commesso l’errore di chiedergli perché avesse quello sguardo rapito, gli occhi liquidi e quasi febbricitanti e Shoyo aveva risposto, con la disarmante semplicità dei suoi quindici anni, perché sono innamorato di Tobio.

Hitoka non aveva semplicemente registrato quella notizia, l’aveva assimilata e per una sorta di osmosi aveva sentito il cuore del suo amico battere dentro il suo.

Era mortalmente felice per lui e ora, dopo quel urlato verso lo spazio profondo, fece quello che mai si sarebbe immaginata di fare, nella folla di Tanabata, sotto Altair e Vega che si incontravano: lo abbracciò.

Nel frattempo, Asahi Azumane si era affacciato verso il parco per prendere una boccata d’aria e, visibilmente colpito e commosso da quel quadretto di primini innamorati, attirò l’attenzione di tutti i suoi compagni.

Il Karasuno, gioiosamente disperso fra le bancarelle della fiera, si riunì allora sotto il dito indice dell’Asso e ammirò la giovane coppia che Tanabata, con la sua irresistibile magia, aveva appena formato.

Fu questo lo spettacolo che si impresse sulle retine di Tobio Kageyama, che smise di colpo di masticare il suo onigiri e mandò giù il boccone praticamente intero.

Tobio si era fatto, nel tempo, una certa idea di lui e Shoyo. In primo luogo, si era convinto che avessero entrambi lo stesso grado di idiozia, che li avrebbe condannati a una vita di esami di riparazione, e di follia, che avrebbe consentito loro di continuare a imbastire veloci bislacche e di inventarsi altri colpi improbabili, oltre a scatenare mega litigate durante le partite – qualità indiscutibili, insomma che li avrebbero destinati a essere una specie di coppia di fatto, indissolubile.

E invece la loro coppia era tutto fuorché indissolubile, e ora lo vedeva con i propri occhi.

Tanto per cominciare, Shoyo e Hitoka erano alti uguali. Appoggiati a quell’albero, trasmettevano un senso di misura, proporzione, armonia. 

Anche il resto della squadra mostrava di apprezzare quel quadretto, mentre nel cuore di Tobio si sollevava uno tsunami di ghiaccio, nonostante i 30 gradi di Sendai.

Quando Shoyo e Hitoka si accorsero di essere oggetto di tanto stupore e meraviglia, si trasformarono in due torce umane e tentarono di dire loro che no, non era come stavano immaginando, per niente! Ma Nishinoya e Tanaka dichiararono subito, a gran voce, tutta la loro felicità e gli altri si aggiunsero al coro - tranne Kei Tsukishima che, visibilmente infastidito, si era messo intanto le sue cuffie wireless per non sentire tutto quel chiasso.

All’improvviso, uno schiocco secco li fece sussultare tutti: lo spettacolo pirotecnico era iniziato.

I giovani corvi, per nulla intimoriti e con le bocche a forma di O, si lasciarono catturare dalla tempesta di luce, con l’eccezione di tre di loro: Shoyo che sembrava ancora fuori di sé, Hitoka che si allungava verso il suo orecchio per dirgli chissà che cosa e Tobio, accanto a loro, che li guardava furioso dall’alto del suo metro e ottantaquattro.

Fu un attimo: mentre Hitoka gli sussurrava all’orecchio diglielo!, Shoyo sollevò il viso e incontrò gli occhi del ragazzo di cui era innamorato, occhi sottili, tremendi, che mai lo avevano guardato in quel modo… assassino.

Che cosa gli aveva fatto? Era forse per via della corsa che aveva vinto poco prima, quando avevano lasciato il resto del gruppo all’ingresso del parco Nishi ed erano scattati da soli verso gli stand della fiera? O forse perché gli aveva soffiato l’ultimo nikuman. No!! Era di sicuro per via del succo di frutta con il quale gli aveva inavvertitamente annaffiato le sneakers nuove di pacca.

Strano però, in quei casi poteva essere sufficiente quel suo cretino detto a voce alta, la sua bella voce già profonda rispetto alla sua, che sembrava invece quella di un corvo spiumato. La voce che lo incatenava a pensieri confusi e fisici.

Mentre Shoyo, sulla punta delle dita, contava le possibili ragioni di quella furia silenziosa, i fuochi terminarono. Tobio si era intanto sistemato la tracolla della sua borsa, dandogli le spalle, e dopo aver sibilato un vi saluto, si incamminò verso l’uscita.

Sul sentiero che tagliava il parco, i corvi si allontanavano intanto verso il punto più congestionato della festa, dove stava per iniziare il concerto di Taiko.

Shoyo li seguiva a distanza completamente ammutolito.

“Devi raggiungerlo!” Esclamò Hitoka, che gli camminava accanto.

“Ma deve essere arrabbiato con me per qualche ragione, che cosa gli dico!”
“Digli che cosa provi, A PAROLE TUE!... Ehi, ho un’idea! Tu intanto vai… su, VAI!”

“Credi davvero che sia una buona idea?” Rispose Shoyo sconsolato. Improvvisamente sentiva fino in fondo tutta l’assurdità di quel sentimento a cui aveva finalmente dato voce. Pensava che poi si sarebbe sentito meglio e invece… 

“Shoyo, che cosa fai quando sei in campo con Tobio?”

E Shoyo comprese, al volo. Mi fido, pensò. Mi fido della sua testa, delle sue mani. Di come mi raggiunge con la palla, di ciò che prova quando faccio punto.

Fu un istante e partì di corsa, come se Tobio lo stesse aspettando sotto rete per mettere a segno un tempo zero, nel quale le loro mani si sarebbero incontrate sulla superficie dura della palla, esattamente come le due stelle titolari di quella festa estiva che sicuramente, nello spazio profondo, in quel momento, se la stavano ridendo alle sue spalle.

Corse il più velocemente possibile, risospinto dal grosso della folla che andava invece verso il concerto. E poi lo vide, in piedi, appoggiato all’ultimo albero del viale, le braccia incrociate e il viso basso. 

Shoyo si fermò, con il cuore che straripava di emozioni: fra quelle più forti, la paura per quanto stava per fare, la gioia di averlo raggiunto, la tristezza per un probabile rifiuto.

E poi una disperata voglia di sentire le sue braccia attorno al suo corpo, e la sua bella mano sulla nuca, ma gli sarebbe bastato anche un sonoro schiaffo assestato sulla guancia, a chiudere definitivamente la porta a quella follia.

Tutto purché, gli restasse un marchio sulla sua pelle.

“Shoyo!!..”

Hitoka intanto lo aveva raggiunto, senza più fiato e con un oggetto fra le mani che nel buio di quell’angolo di parco non gli riusciva bene di distinguere.

Erano… le cuffie di Tsukishima!

“Ma…”

“Le ho chieste in prestito a Kei…insieme al suo lettore mp3.”

“Per farci cosa?”

“Beh, se non trovi le parole… puoi provare con la musica. Kei…” e lì Hitoka si appoggiò un dito sulle labbra e fece una faccia confusa “… mi ha detto di consigliarti la canzone numero 5 di questa playlist.”

E gli indicò il lettore mp3.

“Lo hai detto a Tsukishima??”

“Ma no!!.. Non gli ho detto nulla! Ha fatto tutto lui. Ora che ci penso, ha mormorato qualcosa tipo tanto da solo non ci arriva…”

Shoyo allungò le mani lentamente e prese cuffie e lettore. Che diavolo aveva voluto insinuare quell'irritante pertica bionda?

Quel gesto diede intanto a Hitoka la certezza che poteva tornare indietro e lasciarli lì a giocare da soli la loro partita.

Se ne andò correndo, così come era arrivata.

Shoyo rimase da solo, con le cuffie in mano e il terrore che lo faceva sudare freddo.

Dannazione! Come faccio a mettergliele alle orecchie?? È più alto di me! Devo saltargli addosso? 

“Kageyama…!!” riuscì a esclamare alla fine.

Tobio si voltò verso di lui. Dallo sguardo di poco prima era sparita la lama tagliente e ora riusciva a leggergli dentro qualcosa che poteva somigliare a una rabbia triste.

“Che diavolo vuoi?”

Shoyo allungò le cuffie verso di lui e Tobio, in silenzio, si abbassò, lasciando che fosse lui a mettergliele sulle orecchie. Una sensazione incredibile quella di sfiorargli i capelli con le dita.

Fece partire la canzone: 

 

"The boy with the thorn in his side

Behind the hatred, there lies

A murderous desire for love

 

(Il ragazzo con la spina nel fianco

Dietro il rancore si nasconde 

Un desiderio d’amore assassino)

 

How can they look into my eyes

And still they don't believe me?

How can they hear me say those words

Still they don't believe me?

 

(Come possono guardarmi negli occhi e non credermi?

Come possono sentirmi dire queste parole e ancora non credermi?)

 

And if they don't believe me now

Will they ever believe me?

 

(E se  non mi credono ora

Mi crederanno mai?)

 

Tobio sentì la musica trapassargli i timpani e finirgli dritta nel cuore. Erano entrambi due ignoranti patentati, sicuro, ma nell’ultimo trimestre lui almeno si era messo a studiare l’inglese con più impegno.

Gli rivolse un sorriso beffardo.

“Almeno capisci che cosa sta cantando, cretino?

“Tu lo capisci, vero?”

“Io capisco ciò che vedo con i miei occhi. Ciò che ho visto prima, per esempio .”

Shoyo si fermò a pensare. Gli si parò davanti l’immagine di Kei Tsukishima che gli diceva tanto da solo non ci arrivi.

“Non è che io abbia capito bene che cosa tu abbia capito!... Ma forse hai capito male!” Esclamò allora Shoyo stringendo i pugni.

“Sei un caso disperato. Facciamola semplice: che cosa vuoi che io capisca, Shoyo Hinata?” 

Shoyo tentò di articolare un pensiero e di tradurlo in parole ma ora Tobio, tolte le cuffie, si stava piegando lentamente su di lui. La rabbia triste era sparita e aveva lasciato spazio a uno sguardo diverso, mai visto prima di quel momento su quel viso duro, perennemente imbronciato.

Chiudi gli occhi, Shoyo, aspetta con pazienza, la palla arriverà dritta sulla tua mano.

“Vorrei che tu capissi che io…”

“Che tu…”

“Che tu ed io…”

E Shoyo chiuse gli occhi, lasciando l’unica possibile risposta nascosta nel silenzio.

Così, al buio, dietro l’ultimo albero del viale, Vega e Altair si scambiavano il loro primo bacio.


(Fine)


 

 

 

 








 
   
 
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