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Autore: ThatXX    29/12/2023    3 recensioni
– Cosa dovrei fare adesso? – chiese lei con un filo di voce. Assurdo. Aveva appena domandato a un folle assassino, all’uomo la cui spada aveva trafitto il ragazzo col quale aveva fatto l’amore, a colui che l’aveva salvata sparandole un colpo in testa, ‘dio che razza di follia, che cosa avrebbe dovuto fare da quel momento in avanti. Si chiese se non potesse andare peggio di così.
– Cambia cognome, allontanati da qui e non ti avvicinare mai più all’Istituto né a quei ragazzi. Se ho fatto credere loro di averti uccisa è stato solo perché tuo padre desiderava questo –.
[Continuo di Crisantemo]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Continuava a cantarsi quella canzone nella testa. Se l’era ripetuta tra una commissione e l’altra, mentre serviva i clienti o batteva gli scontrini alla cassa.
Aveva trovato lavoro in un negozio di fiori non lontano dal quartiere in cui si trovava la villa di famiglia di Satoru. Purtroppo per lei, tornare a lavorare nel negozio di Kaori era fuori discussione. Per quel che ne sapeva, Ayame aveva perso la vita in un incidente d’auto e non poteva essere altrimenti.
 
A Mito, invece, era preso quasi un infarto quando aveva saputo dalla stessa Ayame cos’era successo. Dopo dieci giorni dal trasferimento nella villa di Satoru, Ayame aveva convinto lo stregone a metterla in contatto con Mito e il suo primissimo messaggio era stato un racconto verboso, farcito di scuse e giustificazioni, che ripercorreva la storia della sua vita sin dal giorno dell’incidente al Tempio Astrale. Dopo quel messaggio era scattata subito una telefonata furibonda che alla fine si era risolta con il perdono di Mito e la sua totale comprensione, meno che per la sciagurata scelta di Ayame di donarsi così presto a Satoru. Quella non l’aveva proprio mandata giù.
 
Si erano promesse di incontrarsi appena Mito fosse tornata a Tokyo, fuori per questioni di famiglia, e anche adesso che Ayame era con lei a godersi la compagnia in una caffetteria del centro continuava instancabilmente a pensare a quella canzone. Si affacciava all’improvviso nei suoi pensieri assieme all’ultima frase che Satoru le aveva detto: “sotto questo cielo mi viene ancora più voglia di baciarti”. A fine canzone l’aveva salutata con un bacio sulla fronte ed era andato via senza dire una parola, ma stranamente sereno in viso. Forse, il pensiero che sarebbe potuto scattare qualcosa aveva riacceso in lui qualche speranza.
 
- Lei è Hanae? Accidenti, è la fotocopia di Suguru! – commentò Mito osservando una foto sul cellulare di Ayame, entusiasta ma non troppo di vedere finalmente il frutto del loro amore, tristemente conscia di come fosse andata a finire tra i due.
 
- Già, lo è. A volte faccio ancora fatica a guardarla -. Riemersero le lacrime agli occhi ma solo per un istante: il tempo di imporsi di non cedere più. – Avrei voluto darle il nome Himawari, il fiore che ho sempre associato a Suguru, ma vista la somiglianza credo di aver fatto bene a ripensarci. Sarebbe stato molto peggio, altrimenti -.
 
- Tu e tuoi fiori: sempre inseparabili. Non sei cambiata per niente, Aya -. Mito le restituì il cellulare. – Con Satoru invece come va? State insieme? -.
 
Ayame rispose con una smorfia e arrossì leggermente. – Ma che cavolo dici?! No! -.
 
- Non dirmi che quell’idiota se la fa sotto – commentò ironicamente Mito.
 
L’espressione di Ayame si fece mesta tutt’a un tratto e guardò in basso per nascondere l’imbarazzo all’amica. – Non sarebbe giusto – replicò con voce afona, pentita.
 
– Per te, per Satoru o per Suguru? -. L’altra scosse la testa come a voler dire che non lo sapeva e Mito riprese il discorso.
 
– Hai detto che è stato Suguru a raccontare a Satoru di te, giusto? Quindi immagino che il suo ultimo desiderio fosse di farvi ritrovare. Quanto a te… - Mito sospirò. – Sei sempre stata troppo severa con te stessa, persino quando ti piaceva Satoru. “È troppo per una come me”, dicevi. Sì, troppo idiota, semmai – lo canzonò, quindi tornò seria. – Il punto è che non hai mai pensato di meritarti ciò che ti piaceva di lui ed è per questo che preferivi concentrarti su quello che non ti piaceva. Per me quell’individuo resterà un idiota a vita, lo sai, ma… mi scoccia ammetterlo, con te era una persona diversa. Non voleva rendersene conto, te l’ho già detto che è un idiota, no? Ma la verità è che Satoru ti vuole bene, Aya. Ti ha sempre voluto bene. Cavolo, non avrei mai creduto di prendere le sue parti! – e rise ironicamente.
 
Ayame notò l’amica frugare nella borsa appesa alla sedia, poi la vide tirare fuori un vecchio cellulare. Lo depose sul tavolo e lo spinse delicatamente verso Ayame. – Quando ti credevamo morta, Satoru lo ha dato a me. Non so se lo riconosci… -.
 
- È il mio cellulare – s’intromise Ayame con aria sorpresa.
 
- Mi ha detto di tenerlo nel caso qualcuno ti avesse chiamata ma ho il sospetto che me l’abbia fatto tenere perché sperava che fossi sopravvissuta e che ti fosse venuto in mente di chiamare il tuo stesso numero di telefono. Per un po’ l’ho sperato anche io. Ha continuato a pagare l’abbonamento per tenere il numero attivo e io ho continuato a tenere il telefono acceso – spiegò; le tremava appena la voce. – Dopo un po’ abbiamo entrambi smesso di credere che fossi ancora viva ma per qualche strana ragione non abbiamo smesso di prenderci cura di quel telefono, lui pagando l’abbonamento ogni mese e io rifiutandomi di spegnere il cellulare -. Prese una pausa per seguire con lo sguardo la mano incerta di Ayame afferrare il telefono. Lo aprì.
 
- 3105 – dichiarò Mito all’improvviso. – Sono i giorni trascorsi da quando te ne sei andata a quando sei tornata. E sono anche i messaggi che Satoru ti ha mandato ogni giorno durante questi nove anni -.
 
Scriveva solo: mi manchi. Ayame scorreva quei messaggi uno ad uno mentre gli occhi le si inspessivano di lacrime, così lucidi che Mito poteva quasi leggere quei messaggi direttamente dal suo sguardo. Si portò una mano alla bocca e soffocò un singhiozzo. Gli angoli delle labbra tremavano a dimostrare quanto si stesse impegnando nella lotta contro una clamorosa crisi di pianto; in gola tratteneva un grido tanto grosso da spezzarle il fiato.
 
La morte di Suguru aveva costretto il ritorno di Satoru a ridursi a qualcosa di marginale e inconveniente. La contentezza e il sollievo di averlo nuovamente accanto, assieme a una eco di rinnovato, benché sottile, sentimento per lui, avevano fatto la loro comparsa più tardi e comunque non erano stati in grado di rimediare al dolore della perdita. Le due settimane di lontananza da Satoru le avevano fatto capire qualcosa, niente di così indubitabile da poterle concedere il beneficio di una definizione, e quel qualcosa si era tradotto in una presenza fissa di Satoru nella sua testa.
 
- Sono stata un’egoista – piagnucolò piano affinché nessuno, a parte Mito, la sentisse.
 
L’amica intervenne con tempestiva freddezza. – Non dire stupidaggini. Ti sei dovuta allontanare per il bene di tutti voi. Lui ti aveva ferita. E, diciamocelo, avevi una cotta segreta anche per Suguru -.
 
- Sì, lo so, ma se non avessi fatto l’orgogliosa… - Ayame tentò di ribattere ma Mito la interruppe.
 
- Niente ma, Aya! Stai forse dicendo che la tua storia con Suguru è stata uno sbaglio?! – la voce salì di qualche tono.
 
- No, non è così! – singhiozzò lei. – Ma Satoru non si meritava quello che gli ho fatto! Gli ho mentito, mi sono innamorata del suo migliore amico e ho dato alla luce sua figlia. Pensavo… - strinse i denti e si asciugò le lacrime con la manica del maglioncino. – Pensavo di avere il diritto di superare i miei sentimenti per Satoru. Pensavo che mi avesse dimenticata e invece lui… lui… - le parole si persero, spezzate per via del pianto.
 
- Credi che Satoru sia così scemo da rimanere al tuo fianco sapendo di essere stato ferito di proposito? Dai, Aya, lo sai anche tu che non è vero. È da questo momento in avanti che puoi scegliere. Cosa provi? Cosa vuoi da Satoru? E non dirmi che i tuoi sentimenti sono ingiusti perché sei la sola qui che si sta autoinfliggendo una punizione immeritata -.
 
- Voglio baciarlo – rispose Ayame di getto, singhiozzando sonoramente. Qualcuno seduto alle sue spalle si girò per controllare che fosse tutto a posto e Mito gli fece cenno di non preoccuparsi.
 
- Allora va’ da lui e bacialo – la incoraggiò con ovvietà. - Va’ da quell’idiota e prenditelo. Hai già perso troppe persone, Aya -.
 
E il resto si svolse a una velocità impressionante. Ayame scattò in piedi alzandosi fragorosamente dalla sedia, si asciugò in fretta le lacrime dal viso e porse un insolito inchino a Mito come segno di riconoscenza. – Ti chiamo più tardi, d’accordo? -. Indossò velocemente il cappotto.
 
Lei aggrottò le sopracciglia. – Ehi, non credere che voglia sapere i dettagli dei vostri sbaciucchiamenti! – scherzò e Ayame scoppiò a ridere smettendo per un attimo di disperarsi.
 
Alla fine, corse via lasciando la sua parte del conto sul tavolo. Salì in auto e nel frattempo prese il cellulare per chiamare Satoru. Lui rispose dopo un paio di squilli.
 
- Pronto? -.
 
- Satoru, dove sei? – chiese mettendo il vivavoce e girando la chiave per far partire l’auto.
 
- Sono all’Istituto, perché? -. Il tono agitato di Ayame lo mise in allarme. – Che ti prende? È successo qualcosa ad Hanae? -.
 
- Non è successo niente, ma devo vederti subito. Possiamo incontrarci? -.
 
- D’accordo – rispose lui perplesso. – Vuoi che ti aspetti fuori dall’Istituto? -.
 
- Va bene. Sarò lì tra dieci minuti -.
 
 


 

Correva giù per la discesa con le guance pallide di freddo e gli occhi arrossati; una corsa febbrile, pericolosa, e che dava da pensare che potesse finire faccia a terra da un momento all’altro. Aveva parcheggiato l’auto di fronte all’entrata sbagliata e aveva deciso di farsi il resto del tragitto di corsa.
Un inspiegabile, brutto presentimento aveva trovato spazio per manifestarsi sulla fronte di Satoru, corrugata e rigida. Aveva anche la sensazione che gli si fosse chiuso lo stomaco.
Aprì la bocca per dire qualcosa ma Ayame lo travolse, letteralmente. Si lanciò tra le sue braccia e lo strinse con forza a sé. A Satoru mancò l’equilibrio per un istante.
 
- Scusami – mugugnò. Tra il pianto singhiozzante e la faccia compressa contro il suo sterno, fu quasi un miracolo capire le parole di Ayame. – Scusami, Satoru – si ripeté.
 
Lui reagì sorridendo nervosamente. – Perché ti stai scusando? E perché piangi? – chiese intenerito e insieme confuso, quindi le posò una mano sulla testa.
 
Tremava contro di lui. Avvertiva i singhiozzi riecheggiare nel torace e questo non faceva che incalzare il battito del suo cuore. Attese che la crisi di pianto passasse e sugli ultimi fiacchi singhiozzi di Ayame fece un secondo tentativo.
 
- Vuoi dirmi perché piangi? -. Il petto vibrò al timido scuotersi della testa di Ayame. – Allora… vuoi dirmi perché ti stavi scusando? -. Questa volta la ragazza negò energicamente e Satoru rinunciò.
 
Sentì che la presa di Ayame si allentava. Le braccia si spostarono verso le spalle di Satoru, così in là in altezza che fu costretta a sollevarsi sulle punte dei piedi. Lui le passò un braccio attorno alla schiena per sorreggerla, poi la benda sugli occhi salì a mo’ di fascia per capelli, con le dita sottili di Ayame che l’accompagnavano.
 
Le si fece giorno. Era già giorno al di sopra delle loro teste, anche se una foschia scintillante ricopriva il cielo di un azzurro invernale, sbiadito, ma a guardare quegli occhi aveva la sensazione che il sole le sorgesse dentro. Satoru sbatté le ciglia più volte, perplesso.
 
Lo sguardo di Ayame si mosse indeciso. Passò dagli occhi di Satoru alla bocca ricurva in un morbido sorriso e il coraggio l’abbandonò nell’istante in cui comprese di trovarsi a un niente dalle sue labbra, all’inequivocabile distanza di bacio, dove se ne avvertiva già il sapore. Ci andò decisa, occhi sbarrati e fiato sospeso, e lo baciò. La saliva di Satoru era calda e zuccherina; una sensazione dolce, molto simile a quando da bambina amava farsi sciogliere la meringa in bocca.
 
Satoru la cinse maggiormente, ricorse anche all’altro braccio per stringersela contro, e ricambiò il bacio affondando le labbra in quelle vellutate di lei. Non aveva capito niente, e avrebbe continuato a non capire niente se il prezzo di quel segreto erano i baci improvvisi di Ayame. La baciò forte, ma senza farle male, profondamente, a volersi rifare di tutti quei baci mancati, con il cuore che martellava nelle orecchie ovattando qualunque rumore di fondo. Non sentì neppure la voce del suo allievo che lo chiamava.
 
- Prof? -. Al terzo tentativo, con Ayame che cominciava a fare una piccola resistenza, la sola ad aver sentito quel richiamo già la prima volta, Satoru se ne accorse e le loro labbra si separarono con uno schiocco di sorpresa. Per un istante lui la guardò come se fosse appena riemerso, ma non completamente, da un lungo sogno, poi lanciò un’occhiata alle spalle e si tolse la benda.
 
- Ah, sei tu Okkotsu – proferì con una sottile irritazione celata dietro il tono svagato. L’altro gli lesse l’espressione sul volto e capì presto di aver interrotto uno dei migliori momenti della giornata, e forse persino della vita, del suo insegnante. Dovevano aver litigato di nuovo, ipotizzava, col prof era facile perdere le staffe, ed essersi riappacificati dopo chissà quanti giorni di musi lunghi ed evitamenti forzati. Doveva senz’altro essere andata così.
 
Yuta si sporse appena oltre la figura slanciata del professore per scorgere il volto di sua moglie avvampare dall’imbarazzo. Subito distolse lo sguardo. – Pensavamo le fosse successo qualcosa e… - farfugliò. Gli era parsa una buona giustificazione quando l’aveva proposta ai suoi compagni di corso ma ora aveva afferrato appieno perché lo avessero beffeggiato anziché prenderlo sul serio. Satoru lo smascherò al primo secondo.
 
- Volevi conoscere mia moglie? – chiese: la voce indulgente per non fargli pesare quella sua curiosità adolescenziale. La naturalezza con cui Satoru aveva articolato quella parola, moglie, accese letteralmente un fuoco sul viso di Ayame.
 
- Be’… -. Lo sguardo del giovane girovagò nel nulla; le guance si tinsero di un rosa purpureo.
 
Satoru tese una mano verso Ayame, invito silenzioso a venire avanti e affiancarlo, e lei gli andò vicino ma con passo molle, quasi che le ginocchia fossero sul punto di cedere. Quel bacio l’aveva prosciugata delle forze. Sperava solo di lasciarsi andare sul divano di casa in una nube inebriante di spensieratezza.
 
Le cinse la vita e per lei fu come prendere la scossa. – Okkotsu, lei è mia moglie Ayame – annunciò, al che guardò la ragazza con un tale sorriso sghembo da farle venire un’improvvisa voglia di mollargli un bel ceffone, ma niente di serio. – Moglie… - scherzò per rompere il ghiaccio. – Lui è Okkotsu Yuta -. Dalla sua espressione trionfante si capiva che avesse colto quell’intenzione direttamente dalla faccia spiazzata di Ayame.
 
Satoru si chinò verso l’orecchio di lei. – Per quello schiaffo, spiacente ma dovrai aspettare – bisbigliò e di rimando Ayame pensò che il suo alito avesse di punto in bianco assunto la stessa potenza stordente di un forte alcolico. Le lasciò un bacio a fior di labbra, colpevole di non sapersi contenere nemmeno in presenza del suo studente.
 
Lei lo spinse via di riflesso e lui la guardò con un sorriso sciocco, lo schiaffo ancora virtualmente stampato in faccia, poi rise divertito della timidezza con cui Ayame continuava incontrollabilmente ad arrossire. Eccome se te le do! minacciava il suo sguardo impermalito.
 
La ragazza si ricompose. – Vi chiedo scusa se ho interrotto la vostra lezione -. Ayame rivolse un breve inchino al giovane stregone.
 
Yuta agitò le mani davanti a sé e sorrise impacciato. – Ma no! La colpa è mia per non aver saputo controllare la curiosità -.
 
- Okkotsu ci teneva tanto a conoscerti – spiegò Satoru compiaciuto e Yuta si vide arrivare da Ayame un sorriso di riconoscenza.
 
Lei prese per un momento il telefono dalla tasca del cappotto e gettò uno sguardo all’ora. – Purtroppo, ho altre commissioni da fare e non posso trattenermi. Ma se ti fa piacere, un giorno di questi posso… -.
 
- Sì! Mi farebbe piacere! -. L’eccessivo entusiasmo di Okkotsu la interruppe.
 
Ayame rise graziosamente. – Va bene allora – e diresse lo sguardo su Satoru. – Posso? -.
 
Una risata asciutta scaturì dalle labbra dello stregone. – Certo che puoi. Ho già fatto registrare la tua energia malefica. Altrimenti, come farai a venire a trovare il tuo fantastico maritino quando ne sentirai la mancanza? – la provocò, ma non ottenne che un verso di rimprovero.
 
- Satoru! -.

 
 ***
 
 
 
Era andata via con un invito a cena. Lì per lì aveva provato un leggero panico, neanche fosse stata invitata da un perfetto sconosciuto, ma Satoru ci era andato molto vicino a somigliargli. Forse, in passato non aveva avuto tempo a sufficienza per conoscere certi suoi lati, o forse li aveva fatti suoi crescendo. Ma Satoru era così e lo era sempre stato: una sorpresa.
 
- Ha detto che cucinerà lui?! –. Un’esclamazione di stupore che per poco non le ruppe un timpano.
 
- Chiudi la bocca o ti cadrà la mascella! – la canzonò Ayame osservando l’amica esterrefatta riflessa nello specchio. Mito teneva Hanae in braccio mentre la piccola giocava con la versione plastificata della foto di suo padre, una copia che Satoru aveva fatto fare esclusivamente per lei.
 
La piazzò davanti agli occhi di Mito per mostrargliela e con quel tono consapevolmente assertivo dei bambini della sua età pronunciò: - Papà – e subito dopo – Guru -.
 
- Conoscevo il tuo papà. Detto tra noi era anche un gran figo – confessò Mito, poi rise.
 
- Insomma, Mito! – l’ammonì Ayame, occupata a disfare per la terza volta la treccia che avrebbe raccolto i suoi lunghissimi capelli neri, ammesso che le fosse riuscita bene. – Stavamo parlando di Satoru, ricordi? -.
 
L’altra tornò sull’argomento. – Insomma… ti ha invitata nel suo appartamento -.
 
- Cosa vorresti insinuare? -. Dallo specchio Ayame le scoccò un’occhiata scettica.
 
Mito fece spallucce. – Dico solo che sarete da soli, nel suo appartamento e senza che la dolce bimba qui presente interrompa qualcosa… -. Nel frattempo, Ayame rinunciò alla treccia e scaricò la frustrazione con un sonoro sbuffo. – Hai più fatto sesso con qualcuno dopo Suguru? -.
 
- No – rispose tiepidamente dividendo l’attenzione tra l’amica e la propria immagine allo specchio, intenta a spazzolarsi i capelli. – E comunque non ho alcuna intenzione di bruciare le tappe. Ci siamo solo baciati -.
 
- Non pensi di aver bruciato le tappe da un bel pezzo con lui? Mi pare tu abbia già conosciuto il suo…-.
 
Ayame la fissò esterrefatta. – Mito! Ma che cavolo ti prende oggi?! -.
 
- Che c’è? Sono solo contenta! Finalmente dopo tutti i casini che hai passato nella vita puoi essere felice. Una felicità stabile – sottolineò. - Senza offesa per papà Guru -. Hanae le fece subito il verso.
 
- Pensi che Satoru sia l’uomo giusto per me? -.
 
– Vuoi forse che ti ricordi cosa hai pensato quando lo hai visto per la prima volta? Sei stata tu a confessarmelo… -.
 
Ayame scosse piano la testa. Se lo ricordava eccome, quel giorno. E quando aveva sollevato gli occhi al cielo, richiamata da quel suo tono sgarbato, arrogante e antipatico, aveva istintivamente avuto un solo e unico pensiero: è il mio principe.




 
Salve a tutti! Cosa dire? Finalmente (?)
Questo capitolo è abbastanza leggero ma mi sono divertita a scrivere di Satoru che punzecchia Ayame. 
Chi come me pensa che Mito sia un nome e una garanzia? xD
Scherzi a parte, spero vi piaccia. Non mi dilungo con le chiacchiere d'autrice perchè ho un mal di testa infinito come la tecnica di Gojo.
Alla prossima! E grazie a chi leggerà e commenterà! ^^

 
   
 
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