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Autore: Star_Rover    01/01/2024    4 recensioni
Jari e Verner sono uniti fin dall’infanzia da un legame che nel tempo è diventato sempre più intenso e profondo. Nell’inverno del 1915 però i cambiamenti sociali e politici che sconvolgono la Finlandia finiscono per coinvolgerli, così i ragazzi sono costretti a separarsi per seguire strade diverse.
Nel 1918 i destini dei due giovani tornano a incrociarsi sullo sfondo di una sanguinosa guerra civile.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXXIII. Helsinki
 

La casa della famiglia che aveva ospitato lui e i suoi compagni gli ricordava quella del dottor Koskinen. Una bella villa borghese, con un ampio giardino e la stalla per i cavalli.  
Kris percorse il sentiero a passo lento, ascoltando la neve che scricchiolava sotto agli scarponi. L’odore della legna bagnata gli ricordò i giorni perduti della sua adolescenza.
Il suo sguardo si soffermò sulla staccionata.
«Kris! Sbrigati! Che cosa stai aspettando?»
Le sue labbra si incurvarono in un mesto sorriso, tante volte aveva scavalcato una recinzione come quella per far visita a Kaija.
Saltava nelle neve fresca, e lei era lì, ad aspettarlo davanti alla finestra.
Una volta, nell’inverno del 1915, era scivolato sul ghiaccio, e lei aveva riso. Non si era nemmeno accorto di essere ricoperto di neve fin sopra ai capelli, era rimasto a terra, lasciandosi contagiare dalla sua allegra risata.
Dopo averlo aiutato a rialzarsi, Kaija l’aveva accompagnato in casa perché potesse asciugarsi davanti al camino.
Erano soli, il dottor Koskinen lavorava nel suo studio, mentre Jari era già partito per l’università.
A quel tempo Kaija aveva sedici anni, era una ragazzina sveglia e intelligente, ma a volte si lasciava sopraffare dalle emozioni, con il carattere volubile e l’immaturità di un’adolescente.
Kris aveva scoperto di essere innamorato di lei quell’estate, quando nei lunghi pomeriggi al lago, si era accorto che la sua amica d’infanzia era diventata una splendida giovane donna.
«Che cos’hai? Sei arrabbiata con me?» aveva chiesto, notando un certo distacco nel suo atteggiamento.
Lei aveva sospirato con rassegnazione.
«Avevi promesso che saresti rimasto con me, mi hai mentito»
«Perché dici così? Sono sempre stato sincero nei tuoi confronti»
Lei non aveva voluto ascoltarlo.
«Prima o poi te ne andrai anche tu, come tutti quanti»
Egli l’aveva rassicurata: «non ho intenzione di andare da nessuna parte»
«Lo dici solo per farmi piacere, ma cambierai idea presto»
Kris aveva pensato che fosse davvero carina con quell’aria imbronciata.
«E dove dovrei andare?»
«Tutti lasciano il villaggio per andare in città»
Kris aveva sorriso: «se andrò via da qui, allora ti porterò con me»
Kaija l’aveva guardato con i suoi grandi occhi castani.
«Mi porterai a Helsinki?»
«Certo. Andremo nei locali e nei teatri. Tu in abito da sera e io in giacca e cravatta!»
Lei aveva scosso la testa: «non ti ci vedo proprio vestito in quel modo!»
«Perché no?»
«Be’, quelli sono abiti per uomini di classe, mentre tu…»
«Io…? Non sono abbastanza bello?»
Kaija si era avvicinata, studiando con attenzione il suo viso.
«Mi piacciono i tuoi occhi, hai uno sguardo gentile»
Kris aveva sussultato quando lei gli aveva sfiorato la guancia con una carezza.
«Il problema è che sei davvero goffo! Saresti ridicolo in abiti eleganti!» aveva aggiunto ritirando la mano.
Egli non poté contraddirla, sarebbe stato uno spettacolo grottesco.
«Tu invece saresti splendida come sempre»
Kaija aveva assunto un’espressione pensierosa.
«Non muoverti da qui!» aveva esclamato poco dopo, rialzandosi con tutta fretta.
«Ei…dove stai andando?»
Lei era corsa su per le scale.
«Aspetta, è una sorpresa!»
Kris si era rassegnato, quella ragazza riusciva sempre ad averla vinta con lui.
Il giovane aveva atteso come gli era stato ordinato, ma dopo aver ravvivato per due volte il fuoco aveva iniziato a spazientirsi.
«Ci vorrà ancora molto? Guarda che tra poco me ne vado!»
«Ho quasi finito! Ecco, adesso scendo!»
Quando lei era ricomparsi in cima alle scale, Kris aveva avvertito un colpo al cuore. Kaija indossava un lungo abito color crema, ricamato e decorato in oro. Sembrava davvero una principessa.
Lei si era voltata mostrando la schiena nuda, sulla quale ricadevano i lacci del vestito.
«Non riesco a chiuderlo da sola, mi aiuti?»
Kris aveva stretto i nodi con le mani tremanti.
«È troppo stretto?»
«No, va bene. Grazie»
Kaija si era voltata verso di lui sistemandosi i lunghi capelli castani.
Egli era rimasto incantato da quella visione. Per un momento il suo sguardo si era soffermato sulla scollatura, per poi allontanarsi pudicamente.
«Allora? Cosa ne pensi? Ti piaccio così?» aveva domandato esibendosi in una mezza giravolta.
«Sì, certo. Sei bellissima»
Kaija non gli aveva creduto.
«Lo dici soltanto perché sei mio amico!»
«No, lo dico perché è quel che penso davvero»
La ragazza si era intristita all’improvviso.
«Il vestito era di mia madre. Era davvero molto bella, io non sono come lei»
Kris aveva continuato a contemplarla con sguardo adorante: «soltanto un folle potrebbe dire che non sei meravigliosa»
«Dici davvero?»
Egli aveva annuito.
 Kaija era tornata a sorridere.
«In città mi porteresti anche a ballare?»
«Certo, ma…prima dovrei imparare!»
Lei si era avvicinata al grammofono e aveva azionato l’apparecchio. Nella sala si era diffusa la musica di un valzer.
Kaija l’aveva preso per mano accompagnandolo al centro della stanza.
«Ti insegno io, coraggio! Devi solo seguire i miei passi»
Kris era stato al gioco, più per farle piacere che per interesse nel ballo. L’aveva stretta a sé, lasciandosi trascinare da un lato al latro della stanza, cercando di fare del suo meglio per non inciampare.
«Oh, sei davvero un disastro!» aveva commentato Kaija con aria divertita.
Il giovane non aveva potuto fare altro che scusarsi con lieve imbarazzo.
La ragazza era tornata a sedersi davanti al camino.
«Vieni qui, per favore»
Kris non aveva esitato a posizionarsi al suo fianco. Lei aveva poggiato la testa sulla sua spalla.
«Non importa se non sei molto bravo, mi piace lo stesso ballare con te»
Quello era il ricordo più dolce che aveva di lui e Kaija insieme, accoccolati davanti alle fiamme, a condividere sogni e speranze per il futuro.
Kris tornò tristamente alla realtà. Una folata di vento gelido gli scompigliò i capelli.  
Il giovane alzò lo sguardo al cielo stellato.
 
Ecco, Kaija. Avevi ragione, alla fine anche io me ne sono andato senza di te.
Entro poche ore raggiungerò Helsinki, ma le cose sono diverse da come avevamo immaginato.
Io devo combattere una guerra, e tu ti sei innamorata di un altro uomo.  
Non siamo più noi due soli al mondo.
Non ti porterò a ballare nei locali più mondani della capitale, non danzeremo tutta la notte sotto alle luci della città.
Ma domani, mentre combatterò per le strade di Helsinki, penserò a te.
 
***

Le truppe tedesche, con il supporto della Kaiserliche Marine, avevano risalito la penisola di Hanko, conquistando un villaggio dopo l’altro fino alle porte di Helsinki.
Le ben addestrate divisioni dell’Esercito Imperiale non avevano trovato alcuna resistenza. Le tattiche di combattimento utilizzate nella Grande Guerra si rivelarono efficaci anche sul suolo finlandese.
Gli avversari non avevano alcuna esperienza in campo militare, ma erano particolarmente agguerriti, soprattutto perché non avevano nulla da perdere.
Si combatteva per le strade, affrontando il nemico nascosto tra le macerie, tra pallottole invisibili e pericolose imboscate.
Bernhard poteva considerarsi soddisfatto dei suoi successi sul campo di battaglia. Non era pentito di aver abbandonato la divisione finlandese per unirsi all’avanzata tedesca. Sentiva di star compiendo il proprio dovere, per la Finlandia come per la Germania.
Nella sua mente, però, continuava a ricordare le parole del maggiore Stein.
«Molti vorrebbero che tornasse a far parte dell’esercito tedesco. Suppongo che anche lei la pensi allo stesso modo, se no non avrebbe accettato questo incarico»
Aveva scelto di unirsi all’avanzata tedesca perché riteneva che quello fosse il suo dovere. Ma non poteva negare di aver desiderato indossare nuovamente quella divisa. Forse, inconsciamente, aveva preso la sua decisione molto tempo prima.
«Quando questa guerra sarà finita potrà tornare in Germania»
Tornare in Germania? Ovviamente aveva pensato molte volte a questa opportunità. La Finlandia era la sua terra natia, ma quelle lande ghiacciate non avevano più molto da offrigli. La guerra sarebbe finita prima dell’estate, di questo ne era certo. E se allora fosse stato ancora vivo, la Finlandia in tempo di pace non era una prospettiva allettante per un uomo come lui.
«La nostra Patria sta vivendo tempi difficili…c’è bisogno di uomini come lei che possano difendere e proteggere la Germania»
Winkler sollevò lo sguardo per osservare la sua immagine allo specchio. Era dunque quello il suo destino?
Il giovane ufficiale distolse l’attenzione da quelle riflessioni. Non era il momento di pensare al futuro, non quando Helsinki era ancora una città occupata.
Sistemando le carte sulla sua scrivania trovò l’ultima lettera scritta da Jari. Prese il foglio tra le mani e lesse ancora una volta le ultime frasi.

 
Ho avuto bisogno di tempo per capire le tue motivazioni, e ancora adesso fatico ad accettare le conseguenze delle tue scelte. Ma non importa, non voglio intromettermi in questioni che non mi riguardano.
Hai sempre anteposto la Causa ad ogni cosa, anche quando hai mentito, so che lo hai fatto in nome di qualcosa di più grande.
Non condivido il tuo modo di agire, ma ammiro la tua devozione. So quanto hai dovuto sacrificare per ottenere le tue vittorie.
Ti devo molto, non sarei qui a ricoprire questa carica senza il sostegno che mi hai offerto in questi anni. Sei stato un buon mentore, hai fatto di me un soldato. Sono onorato di aver combattuto al tuo fianco.
Ciò che non ho mai avuto da te, però, è qualcosa di sincero e disinteressato. 
Adesso che siamo distanti, comincio a capire quanto la tua influenza su di me mi abbia impedito di vedere chiaramente il nostro rapporto.
Non ti chiedo molto, dimostrami che mi sto sbagliando, e non dubiterò mai più di te.

 

Winkler ripiegò la lettera. Quelle parole lo ferivano ancora nel profondo, anche se a far male era la verità.
Non aveva mai negato il suo interesse personale nei confronti di Jari. Non era sua intenzione approfittare di quel ragazzo, ma quando si era presentata l’occasione aveva ceduto alla tentazione. Avrebbe dovuto mettere in chiaro le cose fin da subito, ma laggiù, in guerra, non ne aveva avuto il coraggio.
Non voleva causargli altro dolore, gli voleva bene, a modo suo si era affezionato a lui.
Dopo tutto quello che era successo non poteva dimostrare a quel giovane di amarlo, sarebbe stato crudele continuare ad illuderlo.
 
 
Winkler ricevette l’ordine di mobilitare le truppe prima dell’alba. I suoi uomini avrebbero preso parte all’assalto di Helsinki appostandosi lungo la ferrovia. Avrebbero dovuto creare un varco nella zona industriale per poi ricongiungersi agli jäger nel centro della città.
Il piano era semplice e Bernhard era sicuro di poter portare a termine l’operazione con successo.
Il distretto di Pansila cedette rapidamente sotto ai colpi d’artiglieria.
I tedeschi attraversarono le rotaie e avanzarono tra le macerie con l’obiettivo di annientare le ultime resistenze nemiche.
Winkler stava discutendo con il tenente Kühn per valutare il percorso più sicuro per attraversare la città quando degli spari costrinsero tutti a mettersi al riparo.
«Dannazione! Avete visto da dove provenivano i colpi?»  
Un soldato indicò il secondo piano di un edificio diroccato: «lassù, signore. Un cecchino!»
Bernhard strinse il fucile e si preparò all’azione.
«Signore, aspetti! Non può andare da solo!»
Winkler fulminò il suo sottoposto con lo sguardo.
«Copritemi!»
Con uno scatto l’ufficiale uscì allo scoperto, correndo rapidamente verso un altro riparo, avvicinandosi al suo obiettivo.
I suoi compagni non poterono far altro che obbedire ai suoi ordini. In altre circostanze sarebbe stato impensabile per un comandante esporsi personalmente, ma Winkler non era quel genere di ufficiale che si tirava indietro davanti al pericolo. Ormai i suoi uomini avevano imparato a conoscerlo.
Bernhard raggiunse il palazzo all’angolo della strada, fu sufficiente un colpo secco per sfondare la porta. In lontananza udì l’eco di altri spari, gli jäger stavano combattendo dal lato opposto della città.
Winkler impugnò saldamente il fucile e salì lentamente le scale.
Il Rosso doveva essersi accorto della sua presenza, infatti aveva smesso di sparare alla finestra.
Bernhard era certo che lo stesse aspettando, forse aveva teso un trappola, oppure attendeva soltanto di vederlo sulle scale per ucciderlo.
Winkler alzò lo sguardo, un’ombra si mosse sopra di lui. Prontamente puntò l’arma e sparò, ma il nemico era già scomparso al piano superiore.  
L’ufficiale proseguì il suo inseguimento, con un balzo raggiunse l’altra rampa di scale. Abbassò la testa appena in tempo per evitare due pallottole che si conficcarono nel muro alle sue spalle.
Il cecchino riprese a salire, ma poco dopo fu costretto a interrompere la sua corsa. Le scale erano crollate, lasciando un voragine come ostacolo invalicabile.
«Arrenditi! Noi non giustiziamo i prigionieri» gridò Bernhard a pochi passi di distanza.
L’uomo sembrò sorpreso di sentirlo parlare in finlandese, nonostante ciò, non sembrò intenzionato a dargli ascolto. Si voltò di scatto, con il fucile puntato.  
Winkler però fu più rapido a premere il grilletto.
Il corpo senza vita del ribelle cadde con un tonfo nella polvere.
Bernhard sentì il sangue scorrere nelle vene, era da tanto che non provava quella sensazione.
Quando si sporse dalla finestra, notò che le barricate erano state sgomberate. La strada per Erottaja era ormai libera.
Soddisfatto, il capitano tornò dai suoi uomini.
«Capisco che lei sia abituato a combattere, ma non può mettere a rischio la sua vita in questo modo. Ha delle responsabilità adesso» lo rimproverò il tenente Kühn.
«È proprio perché ho delle responsabilità nei confronti dei miei uomini che desidero proteggerli»
Il suo sottoposto emise un sospiro esasperato.
Winkler aveva appena terminato quella discussione quando fu raggiunto da un civile che portava la fascia bianca stretta al braccio.
«I Rossi hanno occupato la vecchia fabbrica di Hakaniemi, la utilizzano come magazzino per munizioni ed esplosivi»
Bernhard tornò ad osservare la piantina della città, non ebbe bisogno di molto tempo per formulare un nuovo piano d’attacco.
«Chiamatemi una staffetta, avremo bisogno del supporto dell’artiglieria!»
 
***

Dalla sua postazione Evert osservava la città in fiamme. Non era questo il destino che avrebbe voluto per il suo popolo. Quella guerra si era rivelata l’ennesima tragedia per la giovane Finlandia, nata e battezzata nel sangue.
Evert rimase impassibile quando il primo proiettile colpì la torre nord dell’edificio, quando giunse il secondo, così vicino da far crollare la parete alle sue spalle, allora lasciò cadere dalle mani il fucile.
A cosa era servito tutto ciò?
Poika, un ragazzino di soli sedici anni, aveva sacrificato la sua vita perché sperava in un futuro migliore. Era morto tra le sue braccia, ancora puro e innocente. 
Ma ora era tutto finito.
Aveva rinunciato a tutto per quella guerra, il dolore più grande era stato lasciare la sua famiglia.
Non aveva più notizie di Marja da settimane, spesso si domandava se lei avrebbe mai potuto perdonarlo per quel che aveva fatto. Sua sorella non avrebbe potuto comprendere le ragioni che l’avevano spinto a combattere, ma non pretendeva tanto.
Il suo unico scopo era sempre stato proteggere la sua famiglia, nonostante tutto, non aveva alcun rimpianto.
Il terzo proiettile colpì in pieno le scorte di munizioni, causando una fragorosa esplosione. Un’intensa nube nera si innalzò fino al cielo.
L’incendio divampò rapidamente, inghiottendo l’edificio tra le fiamme.
Evert uscì in strada tossendo spasmodicamente per il fumo. Tutto ciò che vide tra la polvere e la nebbia furono i cadaveri abbandonati lungo la strada.
La cenere volteggiava nell’aria, per poi ricadere a terra come neve grigia.
Evert avvertì gli occhi umidi, soltanto un ostinato orgoglio gli impedì di lasciar scorrere le lacrime sul suo viso.
Il giovane voltò lo sguardo verso la piazza occupata delle truppe tedesche. Un gruppo di combattenti uscì da un palazzo, tutti con le mani alzate, uno di loro mostrò al nemico la bandiera bianca.
Evert non trovò il coraggio di muoversi, era un facile bersaglio, eppure non fece nulla per nascondersi. Perché avrebbe dovuto?
Attendeva soltanto la pallottola che avrebbe messo fine alla sua agonia. Invece udì una voce alle sue spalle.
«La battaglia è finita, soldato»
Il giovane si voltò lentamente, si stupì nel riconoscere un ufficiale tedesco che parlava perfettamente in finlandese.
«Coraggio, premi il grilletto. Sparami adesso!» lo incitò guardandolo negli occhi.
Winkler abbassò l’arma.
«Non ho intenzione di giustiziare un nemico disarmato»
Evert esitò qualche istante, per un attimo sembrò arrendersi, poi all’improvviso gli voltò le spalle ed iniziò a correre lungo la strada.
Bernhard gli concesse qualche secondo di vantaggio, non era ancora sicuro di voler sparare alle spalle di un uomo, anche se si trattava di un fuggitivo.
Perché diamine siete tutti così ostinati a morire?
L’ufficiale tedesco prese la mira, da esperto tiratore era sicuro di non poter sbagliare a quella distanza.
Su tre colpi, due raggiunsero l’obiettivo.
 
***

Kris camminava tra le macerie della capitale, la battaglia si era ormai conclusa, ovunque sventolavano bandiere bianche e blu.
Lo scontro era durato soltanto poche ore, il nemico si era arreso senza troppe difficoltà. L’esperienza della guerra era stata diversa da come l’aveva immaginata. Niente eroismi, niente momenti di gloria.
Bisognava solo di compiere il proprio dovere e obbedire agli ordini. Anche quando si trattava di sparare e uccidere.
Kris si bloccò a un incrocio.
«Che succede? Hai visto qualcosa?» domandò Gunnar.
Egli scosse la testa: «no, però…conosco questo posto!»
Il finlandese si incamminò lungo la strada, lasciandosi guidare dal suo istinto. Il suo compagno non poté fare altro che seguirlo.
Kris si fermò davanti all’appariscente facciata di un edificio in stile Art Nouveau.
«Sembra un luogo per persone ricche» commentò lo svedese.
L’altro sorrise: «è un albergo. L’avevo visto soltanto in fotografia, è famoso per la sua enorme sala da ballo»
«Ti sembra il momento di pensare a ballare?»
Kris ignorò il suo commento: «resta di guardia qui fuori, io vado a dare un’occhiata»
Gunnar non ebbe nemmeno il tempo di protestare, il suo commilitone era già sparito all’interno del palazzo.
Kris approfittò di un vetro rotto per intrufolarsi nella hall. Era evidente che l’intero hotel fosse stato abbandonato prima della guerra, quel luogo era deserto.
Il giovane seguì il tappeto rosso e percorse il lungo corridoio che conduceva al salone principale. La luce del giorno filtrava attraverso le ampie vetrate. Lunghe tende di velluto coprivano gli enormi specchi.
Tutto era rimasto come durante l’ultimo evento mondano che si era celebrato tra quelle mura. La sala era decorata a festa, sul palco erano rimasti ancora alcuni strumenti dell’orchestra.
Il giovane provò a immaginare come doveva essere quel luogo in tempo di pace. Rivide il salone pieno di gente in abiti eleganti, tra brindisi, voci e risate.
Poi il suo sguardo si concentrò sull’ampia pista da ballo. Inevitabilmente ripensò a Kaija, a quanto fosse bella in quel vestito di seta e a come avevano ballato quella sera.
Davanti ai suoi occhi si manifestò il futuro che avevano sognato insieme.
Lui non aveva ancora imparato a danzare, ma non importava, lei si divertiva a volteggiare tra le sue braccia, leggiadra come una farfalla.
E poi, quando l’ultima nota dell’orchestra echeggiava ancora nell’aria, la stringeva tra le sua braccia e la baciava con passione.
Perso in quella fantasia, non avvertì i passi sulle scale. Non si accorse dell’ombra appostata dietro alle possenti colonne dorate.
Un solo sparo echeggiò nella sala.
   
 
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