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Autore: quenya    02/01/2024    2 recensioni
Una bufera di neve fuori stagione sta per abbattersi su Nerima quando Ukyo trova, nel suo cortile, un maialino nero letteralmente piovuto dal cielo. Sarà l’inizio di una bizzarra convivenza tra due anime solitarie che piano piano usciranno dal torpore della rassegnazione in cui erano cadute…per scoprire, in modo inaspettato, di non essere più sole.
Una storia interamente dedicata alla coppia Ryoga e Ukyo, che ho amato per tutta la vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

 

 

 

Raggiunto, infine, il bagno padronale, Ryoga stava regolando l'acqua della doccia a temperature vicine al nucleo di una stella.

Mai, da quando era stato colpito dalla maledizione, aveva sentito così tanto la mancanza dell'acqua fredda, nemmeno nei più afosi e umidi giorni d'estate. Certo, avrebbe potuto farsi un giro all'esterno per rotolarsi nella neve come facevano in Finlandia, ma poi avrebbe dovuto chiarire ad Ukyo, quantomeno, il perché di quel comportamento. Ovvero spiegare nel dettaglio come mai una ingenua posizione di combattimento si fosse ad un tratto trasformata nella scena più erotica che avesse mai sperimentato in vita sua e che sembrava uscita dritta da una delle sue più bollenti fantasie.

Ok, l'idea di dimostrarle sul campo la necessità di una difesa più efficiente era stata forse poco ponderata e di certo sarebbe stato meglio farle sapere prima quello che aveva intenzione di fare… ma non avrebbe mai immaginato che la reazione della giovane chef di cercare subito di liberarsi dimenandosi avesse scatenato zone poco conosciute della propria psiche, portando a galla istinti quasi primordiali che non immaginava di poter possedere. O meglio sapeva di averli, come tutti gli uomini, solo che gli era capitato di provarli così di rado - per non dire mai - che non aveva idea di come riuscire a controllarli.

Sentire il corpo di Ukyo sfregare contro il proprio era stato sconvolgente eppure, allo stesso tempo, gli aveva dato un brivido di un'intensità sconosciuta. Perché non l'aveva lasciata andare quando aveva sentito quel particolare fremito che provava in ogni momento in cui ce l'aveva tra le braccia? Perché era restato immobile quando lei gli si era incollata addosso come tessuto bagnato, invadendo i suoi sensi con il profumo della sua pelle e la morbidezza del suo fondoschiena pressato contro di lui? E soprattutto perché - ancora una volta - non era svenuto quando in passato gli era capitato di farlo per molto meno?

Forse la chiave per risolvere quelle domande era proprio nell'abitudine: grazie ai ripetuti contatti di quei giorni il suo corpo si stava abituando ad averla vicino, se non addirittura stretta contro, come era successo soltanto poche ore prima quando, per proteggerla dall'impatto con il pavimento, l'aveva dirottata sopra di sé, finendo per farle da materasso di sicurezza. Per qualche strano motivo, la cuoca non si era scostata subito dalla posizione intima in cui si erano ritrovati e lui aveva fatto altrettanto, restando ad apprezzare quella vicinanza con una voluttà che non era riuscito a trattenere. Soltanto adesso se ne stava rendendo conto: la scabrosa verità era che sentire quelle curve a stretto contatto contro di lui ormai non rappresentava più uno shock ma, al contrario, stava diventando una pericolosa dipendenza. Per questo non l'aveva lasciata andare, pur sapendo di essere sul filo del rasoio per quanto riguardava il suo già abbastanza abusato autocontrollo.

Un limite raggiunto e di fatto superato solo qualche momento dopo, quando Ukyo aveva deciso di liberarsi dalla sua stretta nel modo più ingegnoso e, dannazione, più erotico possibile, ovvero scivolando e strusciandosi contro di lui.

Contro ogni.

Singola.

Parte.

Di lui.

A quel punto il suo corpo aveva raggiunto il punto critico di ebollizione perché, se già era stato difficile controllarsi prima, in quel modo la ragazza gli aveva reso lo sforzo ancora più duro.

Letteralmente.

Stringendo i denti, Ryoga girò al massimo la maniglia della doccia: non potendo contare sugli effetti benefici del freddo sui suoi bollenti spiriti, doveva ricorrere all'estremo opposto per castigare la sua galoppante libido. Soltanto gli dèi sapevano quanto ritenesse inopportuna e indecorosa quella reazione, ma sapeva anche bene che c'era un limite a tutto… e lui non era di certo fatto di pietra. Come se non fosse bastato quell'eccitante sfregamento, infatti, l'involontaria esposizione di uno straripante décolleté, sostenuto da un accattivante reggiseno celeste, era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso e lui non aveva trovato di meglio che girarsi di scatto dall'altra parte, per evitare l'esposizione della naturale reazione del proprio corpo a quegli incontenibili stimoli. Ormai aveva perso il conto di quante volte, per svariati e diversi motivi, si erano ritrovati quasi avvinghiati l’uno all’altra e questo aveva contribuito a proiettare la sua mente in un'unica direzione, tanto che persino l'accenno alla doccia gli era quasi sembrato un seducente invito ed aveva dovuto costringersi ad allontanarsi da lei.

Com'era scontato, il suo cervello agitato gli aveva fatto subito sbagliare direzione e, quando lei lo aveva ripreso, era stato un vero miracolo che non si fosse accorta del suo stato. Tutt'ora non aveva idea di come fosse riuscito ad uscire con dignità da una situazione del genere.

Okay, parola d'ordine: minimo due metri di distanza, si disse mentre finiva di rivestirsi cercando, con profondi respiri, di schiarirsi la testa dall'abisso di pensieri sordidi in cui era precipitata. Aveva appena scoperto che Ukyo si stava rivelando una buona amica e non voleva in alcun modo che uno stupido picco di ormoni potesse rovinare l'unica possibilità concreta che gli era capitata di stabilire un rapporto decente con un esponente dell'altro sesso. Soprattutto non uno finalmente libero da bugie, omissioni e relativi sensi di colpa come era stato quello con Akane. La quieta accettazione da parte della sua nuova alleata del suo più scabroso segreto era troppo preziosa per poter essere messa in pericolo da una banale perdita di controllo sui propri istinti. Senza contare che il suo onore e la sua disciplina non gli avrebbero comunque permesso il contrario: approfittare della gentile ospitalità - benché costretta dalle circostanze - di una donna per sfogare pulsioni sessuali forse normali, ma fuori luogo nella maniera più assoluta? Piuttosto avrebbe passato una notte intera seduto nella neve!

“Ukyo, il bagno è libero”, disse scendendo al piano inferiore, dopo qualche tentativo a vuoto di individuare le scale. La trovò che stava iniziando a tirare fuori il necessario per la cena e d’istinto non ritenne giusto che fosse sempre lei a cucinare, anche se quelle erano, senza alcun dubbio, la sua passione e il suo regno.

“Uhm… perchè non vai a farti la doccia? Ci penso io a preparare qualcosa per cena”.

Ukyo lo guardò come se gli fosse spuntata un’altra testa, tanto da portarsi una mano al petto con fare drammatico.

“Tu… tu… sai cucinare?”.

Ryoga roteò gli occhi al cielo.

“Come hai sottolineato ieri, passo la maggior parte del mio tempo nei boschi a campeggiare. Secondo te come sono sopravvissuto fino adesso? Mangiando radici e funghi?”.

“Che ne so… ramen istantaneo?”.

“Il ramen è comodo, lo ammetto… ma non si può vivere solo di quello. Non sarò di certo un cuoco alla tua altezza, ma sono in grado di cucinare almeno un piatto di curry decente”.

“Curry?”.

Il tono strano, quasi strozzato con cui gli fece quella domanda, lo immobilizzò per un attimo. “Sì, è una cosa che mi riesce abbastanza bene. Non ti piace?”.

“No, no, va bene. È solo che… ”. Si interruppe, indecisa se lasciargli o meno libero il campo nella sua amata cucina; poi, all'improvviso, sembrò giungere ad una conclusione. “Lasciamo stare. Tieni, questi sono i dadi di curry, le verdure le trovi in frigo. Cerca solo di non farmi esplodere il ristorante mentre mi faccio la doccia, ok?”.

“Ti ringrazio di cuore per la fiducia”, commentò asciutto lui, mentre la chef si allontanava sogghignando.

Un pensiero estemporaneo gli fece ricordare un'altra questione e lui si sporse verso le scale.

"Ehi, una cosa importante: piccante o dolce?", chiese alzando la voce per farsi sentire.

"Piccante!", fu la soffocata risposta, proveniente dai remoti recessi del piano di sopra e lui sorrise, scoprendo di avere anche quella semplice preferenza in comune.

Una volta lasciato solo davanti ad un tagliere Ryoga iniziò, con pazienza e metodo, ad affettare le verdure. Era davvero incredibile il modo rilassato e informale con cui riusciva a comunicare con Ukyo, pur passando attraverso tutte le montagne russe emotive che questo gli stava comportando e senza volerlo ebbe, di nuovo, la consapevolezza del valore che stava avendo per lui quella inaspettata amicizia.

Con una fitta di senso di colpa ripensò ad Akari. Anche lei era stata importante… una delle pochissime persone, a parte Ranma e Kasumi, ad essere stata a conoscenza della sua identità di P-chan e - grazie alla sua particolare fissazione per i maialini - l’unica ad averlo accettato non solo senza riserve, ma quasi con gioia.

Era stata davvero la prima in tante cose: la prima ragazza con la quale aveva stabilito un vero contatto, la prima con la quale era uscito per un appuntamento romantico, la prima che aveva tenuto per mano senza morire dall’imbarazzo. Eppure, nonostante tutte quelle ottime premesse e nonostante tutti i suoi sforzi, il loro rapporto non si era evoluto. Akari era dolce e anche molto carina, ma non era riuscito a provare per lei quel trasporto che aveva provato per Akane né tantomeno - e se ne stava rendendo conto soltanto adesso - quella incredibile attrazione fisica che stava provando per Ukyo. Era come se l’avesse incontrata troppo tardi o troppo presto: tardi perché prima c’era già stata Akane e presto perché evidentemente non era ancora pronto a dimenticare il suo primo amore. O almeno, non lo era stato in quel momento.

E adesso dove sono? Sembrava la classica frase che diceva sempre ogni volta che il suo pessimo senso dell’orientamento lo faceva ritrovare in un posto sconosciuto, ma stavolta aveva un significato molto più profondo. A che punto era con la sua vita sentimentale? Era ancora attaccato al passato, ad un amore impossibile e non corrisposto o qualcosa stava cambiando? Oppure, cosa ancora più misteriosa e sconvolgente, quel qualcosa era già cambiato?

Quando Ukyo tornò mezz’ora dopo, con i capelli ancora umidi per la doccia, trovò un ottimo odore di curry nell’aria e del riso in caldo che la aspettava.

“Oh, caspita, sei stato anche in grado di usare la pentola cuoci riso! Chi te l’ha insegnato?”.

“Chi vuoi che me l’abbia insegnato? Mia madre, è ovvio. Non sono mica stato allevato dai lupi!”.

Ukyo ridacchiò, figurandosi il ragazzo in stile Tarzan, con un gonnellino a quadretti come la sua bandana. “Peccato, ti ci vedevo bene”. Il suo sorriso si addolcì un pochino. “Da quanto tempo non vedi i tuoi genitori?”.

“Più di sei mesi”, fu la quieta risposta.

“Hanno anche loro il tuo stesso… hmm… problema?”.

“Mia madre è così. Per nostra fortuna, mio padre di meno e, in aggiunta, ha un lavoro che gli permette di viaggiare e stare sempre insieme a lei seguendola nelle sue, uh, avventure e riportandola ogni tanto a casa”.

“Ah, c'è una speranza, allora. E il resto della famiglia?”.

“Da parte materna tutti uguali, con più o meno intensità. Secondo me qualche loro antenato è incappato in una maledizione e non ha mai voluto ammetterlo. Da parte paterna, invece, sono un pochino più normali… distratti da morire anche loro, ma con meno conseguenze negative. Il matrimonio dei miei genitori si è tenuto in un monastero fortificato in mezzo alle montagne per evitare che la metà degli invitati, sposa compresa, si perdesse”, le spiegò, come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Tu invece?”, le chiese, mettendole davanti una ciotola fumante di riso e curry.

"Li ho visti questa estate, quando sono andata a trovarli. Mio padre vive a Osaka insieme a mia nonna. Sono stati loro a crescermi, visto che mia madre è morta quando ero molto piccola".

"Mi dispiace".

Lei alzò una spalla, con fare noncurante.

"È stato tanto tempo fa e ne ho dei ricordi molto vaghi, ma dicono che fosse una cuoca fenomenale e che io le somiglio molto".

"Non stento a crederlo. Ti manca tuo padre?".

"Certo che mi manca, è stato lui ad insegnarmi il nostro stile di combattimento. Però allo stesso tempo sono tanti anni che vivo da sola e ormai ci sono abituata. Ci sentiamo spesso però".

"Hm, con i miei non è così facile, visto che di frequente vagano per zone non coperte dal segnale".

"Ma dotarsi di un cellulare satellitare?".

"Lasciamo stare questo argomento… come se non bastassero gli altri problemi, si perdono i telefoni in continuazione".

"Oh, mi dispiace. Deve essere difficile non riuscire ad incontrare la propria famiglia".

"Sì, è brutto. In compenso quando ogni tanto capita di rivederci, è sempre una grandissima festa. E poi, come dicevi tu, ormai anche io ci sono abituato".

Entrambi si concentrarono sul proprio pasto, ripensando con nostalgia ai loro genitori e per una volta, nonostante le loro parole in apparenza noncuranti, si sentirono entrambi un po' meno soli. In quel quieto silenzio Ukyo decise, all'improvviso, di essere in vena di confidenze.

“Okonomiyaki a parte, il curry è il piatto preferito di mio padre. Ogni volta che lo mangio ripenso sempre a lui ed è difficile, a volte, non provare un senso di malinconia. Per questo lo preparo di rado”.

“Ti capisco”, rispose lui, mescolando con aria assorta il denso sugo nella sua ciotola. “È anche il piatto preferito di mia madre, è stata lei ad insegnarmelo e, com’è ovvio, me la ricorda tanto. Ma per me è una sorta di comfort food, una cosa che faccio quando voglio riconnettermi a livello spirituale con i miei. Me li rende in un certo modo più vicini”.

Quella pacata confessione le fece venire un groppo alla gola e una tremenda voglia di abbracciarlo per cercare di lenire il dolore di quel cuore solitario e magari, nel frattempo, consolare un po’ anche il suo. Ancora una volta, però, mantenne uno stretto controllo sui suoi slanci emotivi e, per impedirsi di cedere al trasporto, si cacciò una cucchiaiata di curry in bocca.

Stavolta le lacrime agli occhi le salirono davvero.

“M-ma quanto piccante ci hai messo?”, riuscì ad articolare dopo svariati minuti di silenziosa agonia.

“Non avevi detto che lo preferivi così?”.

“Sì, ma con moderazione!”.

“Ah, ne prendo nota. Piccante a parte, come ti sembra?”.

C’era un accenno di ingenua aspettativa in quella domanda, ma allo stesso tempo era anche così ansioso di approvazione che Ukyo faticò a trattenere un sorriso.

“Beh, quello di mio padre è imbattibile, ma direi che il tuo riesce a tenergli testa. Piccante a parte. Anzi, ora che ci penso, credo che te lo approverebbe… anche lui è un amante di tutto ciò che fa ruttare fiamme”.

Finirono di mettere via le stoviglie della cena e Ryoga, insistendo di nuovo per tenere fede al suo debito, lavò ancora i piatti, riuscendo questa volta ad allontanare Ukyo quel tanto che bastava per evitare incidenti con l’acqua fredda.

Nel frattempo lei, stiracchiandosi di nuovo, fece un gran sospiro.

"Ok, dopo tutto questo cibo piccante mi ci vuole una birra. Ne vuoi una?".

"Una birra?".

"Sì, Ryoga, quella roba bionda, di solito fresca e più o meno alcoolica… siamo entrambi maggiorenni e non finiremo in galera per questo. E non provare a dirmi che in tutti i tuoi viaggi non ti sei mai fermato in un locale dove si beve!".

Con una punta di senso di colpa, il ragazzo ripensò alle innumerevoli bettole in cui era capitato per sbaglio o in cui era stato, in modo più o meno consapevole, trascinato e con un sospiro di rassegnazione si passò una mano dietro la nuca. "Che marca hai?".

"Asahi e Sapporo".

"Allora una Asahi, grazie".

La osservò chinarsi a prendere due bottigliette da un basso frigo lì vicino e subito distolse gli occhi dall’allettante vista di quel fondoschiena. La cuoca gliene passò una, poi bevve direttamente dalla bottiglia e lui fece lo stesso, nascondendo un sorriso. Forse era per quello che si stava trovando così bene con lei… Ukyo era priva di qualsiasi artificio femminile, qualunque ipocrita atteggiamento di falso pudore o affettazione dei modi. Gli anni passati travestita da ragazzo avevano lasciato il segno in quel senso, ma era una cosa che lui trovava, ad essere sincero, liberatorio. Dopotutto anche Akane era stata un maschiaccio…

Quel ragionamento lo bloccò per un attimo: stava davvero paragonando Ukyo al suo primo, incondizionato amore? Scartò quell’idea, rifiutandosi di elaborarla in modo ulteriore, ma ebbe la sgradevole sensazione che non si sarebbe liberato così in fretta di quel pensiero strisciante, che sentiva essersi già annidato negli oscuri meandri della sua priche.

"Ehi, vieni su?".

La voce di Ukyo lo distolse dai suoi pensieri e alzando gli occhi la vide ferma sulla soglia per il piano di sopra, che lo guardava. Prima che potesse formulare una risposta, però, lei tornò sui suoi passi con aria decisa, lo afferrò per un polso e lo trascinò per le scale. Mentre la seguiva verso la camera da letto, per un attimo il suo cuore perse un battito, ma si sforzò di restare con i piedi per terra e non farsi strane idee.

Infatti, subito dopo, Ukyo si lasciò andare con poca grazia sul piccolo divano davanti alla tv della sua camera e lui rimase sulla soglia, appoggiandosi a braccia incrociate allo stipite della porta.

"Che vuoi fare? Torni all'attacco con il ‘Re dello Wok’?".

"Nah, tranquillo, ti sei meritato una serata di relax", gli rispose con una risata. "Allora, da che parte del globo eri prima di venire lanciato nel mio cortile?", chiese poi con tono discorsivo e lui, seguendo il suo esempio, le si sedette accanto allungando le gambe.

"Nella prefettura di Yamanashi. Ero andato a trovare Akari".

"Ah", commentò la cuoca, mentre le imposte scricchiolavano per via del vento. "Quella dei maiali da sumo. È la tua ragazza, giusto?".

Com’era scontato, una domanda diretta su un argomento così delicato lo fece chiudere a riccio.

"Sì. Cioè, no… insomma, è complicato".

"E quando non lo è?", sospirò Ukyo, bevendo un altro sorso di birra. "Stai parlando con una che era fidanzata con un tipo a sua volta promesso ad altre due ragazze. Non credo che nella nostra comitiva ci sia una sola relazione che non sia disfunzionale. A parte Kasumi e il suo dottore, ovviamente".

"Beh, se la metti in questo modo…", rispose lui, grattandosi il mento e osservando il soffitto. Non aveva mai parlato davvero con qualcuno di quello che era successo con la giovane allevatrice ma, visto il tono confidenziale di quella serata, decise di essere onesto e di testare allo stesso tempo quel neonato legame di amicizia che sentiva con lei.

"Come sai Akari e io ci siamo prima scritti e poi frequentati per qualche tempo… quindi sì, posso in effetti affermare che siamo stati insieme", disse, bevendo un sorso di birra. "Ma per ovvie ragioni è sempre stato un rapporto a distanza, così avevo deciso di andarla a trovare per stare un po' di più con lei. C'è voluta un'eternità per riuscire ad arrivare a casa sua ma, in qualche modo, ce l'ho fatta e grazie al suo aiuto alla fine sono riuscito addirittura a restarci per poco più di un mese".

"Wow, direi un record per i tuoi standard".

"Già. In realtà, quello che volevo soprattutto fare era prendere una decisione per il nostro futuro".

“Ah. E com’è andata?”.

Ryoga sospirò.

“Non è andata”.

“Mi dispiace”, commentò lei, con tono comprensivo, dopo qualche attimo di silenzio. Il ragazzo scosse la testa.

“È strano. Ero davvero convinto che Akari fosse tutto quello che avevo sempre sognato: una fidanzata dolce e carina, del tutto devota. Avremmo vissuto in una fattoria, un luogo tranquillo dove iniziare una vita tranquilla. Certo, circondato da stramaledettissimi maiali, ma non si poteva avere tutto”.

“E allora cosa è successo?”.

Ryoga osservò pensoso l'orlo della bottiglia.

"Anche quella è stata una illusione. Non dico di non averle voluto bene, perché Akari mi ha aiutato in tantissime cose ed è stato bello sentire qualcuno così vicino, però…”, si interruppe, raccogliendo i pensieri. “Forse era un rapporto troppo sbilanciato. Lei era entusiasta di tutto quello che facevo, il che è una buona cosa se non che, alla lunga, aveva iniziato un po’ a stancarmi; sembrava di essere sempre su un piedistallo e avevo la netta sensazione che non mi vedesse per quello che sono in realtà, ma solo attraverso la lente distorta della sua idealizzazione. Quanto a me… forse avevo cercato, a livello inconscio, di convincermi a provare qualcosa di più profondo, o forse era solo troppo presto dopo Akane”.

Passarono un momento in silenzio, assorti ognuno nei propri pensieri.

“Magari è per questo che non ha funzionato, eravate soltanto troppo diversi”.

"Ma la diversità è confronto. Questo non è un bene?".

"Non quando è troppa”, sentenziò lei. “E il problema dell’idealizzazione è una cosa seria. Credimi, ne so qualcosa: ho passato anni a farlo con Ranchan, sorvolando di proposito su tutta una serie di difetti e guarda com'è finita. Forse idealizzare chi si ama è normale, quando uno ha poca esperienza", disse, guardando il soffitto. “Ma se questo ti porta a non vedere, o ancora peggio, a non accettare chi hai davanti, allora diventa sul serio un grosso ostacolo”.

"Sì, lo penso anche io. Per questo mi sono tirato indietro. Akari è una ragazza fantastica e le auguro tutto il meglio… le serve solo un po' di tempo per capire cosa vuole davvero dalla vita e da una relazione”.

"Hmm, più facile a dirsi che a farsi. Molte persone ci mettono anni prima di capirlo".

"Vero anche questo. Ok, allora diciamo che questa nostra esperienza forse sarà servita a far capire ad entrambi cosa non vogliamo".

“Beh, di certo tu non volevi passare una vita ad allevare maiali”, rispose la chef, tentando di spezzare l’atmosfera seria che si era creata.

Ryoga fece un mezzo sorrisetto. “Heh. Quello è poco ma sicuro. Ma non era solo per quel motivo…", si interruppe, passandosi una mano sul collo con un gesto assorto, indeciso se continuare o meno. "Mi sento un po' in colpa a dirlo, perché mi sembra di mancarle in qualche modo di rispetto, ma la verità è che quella vita era di una noia mortale”, rispose, dopo un po’. “Credevo di non poterne più di esplosioni, maledizioni e rapimenti e invece ho scoperto di non poter fare a meno di Nerima e della sua follia. Tempo atmosferico compreso”.

Ukyo scoppiò a ridere.

“Oh, se ti capisco, bello”, gli disse avvicinandosi e facendo tintinnare la bottiglietta della birra contro la sua. “Ci siamo dentro fino al collo”, aggiunse poi, sorridendo e facendogli l’occhiolino.

Ryoga deglutì con difficoltà, con la gola di colpo riarsa. Quel gesto e quel sorriso stavano creando molte più ripercussioni nelle sue viscere di quanto non fosse lecito per un banale segno di amichevole intesa, facendogli accelerare le pulsazioni nel modo più inopportuno e sconcertante possibile.

"In ogni caso, alla fine ho capito che non sarebbe stato giusto coltivare false speranze, né per me, né tantomeno per lei", finì di dire, dopo una lunga sorsata di birra per recuperare l'uso delle corde vocali. "È stato difficile mettere la parola fine ad un rapporto su cui tutti e due avevamo così tante aspettative e non mi vergogno ad ammettere che ci sono state lacrime da parte di entrambi. Ma alcune scelte, anche se dolorose, fanno crescere e quella era una decisione che andava presa. Così, dopo averle assicurato che ci sarei stato sempre per lei, mi sono incamminato verso casa. Ero convinto di essere ancora nelle campagne fuori Tokyo quando Ranma mi ha scoperto a campeggiare nel giardinetto dietro casa sua".

Con sua grande costernazione, Ukyo gli si avvicinò di nuovo, con un lieve sorriso sulle labbra.

"Sei proprio un bravo ragazzo, Ryochan", mormorò, dandogli un colpetto di pugno su una spalla.

Ancora una volta le pulsazioni gli si triplicarono e la bocca gli si asciugò del tutto così, per sviare l’attenzione, ricorse alla sua più collaudata tecnica di depistaggio: lamentarsi.

"Perché suona come un insulto?".

"E tu perché prendi ogni cosa come tale, razza di idiota?", lo rimbeccò lei. Ma, al contrario di quelle parole, non c'era traccia di durezza o animosità nel suo tono, solo una bonaria presa in giro. "Sto dicendo sul serio, stupidone", aggiunse poi, sorridendogli ancora e stavolta lui non riuscì ad impedire che le orecchie gli andassero a fuoco.

"Oh. Allora… hum… ti ringrazio".

Per un attimo, un brevissimo attimo, in cui Ukyo rimase ferma in quella posizione inclinata verso di lui, Ryoga pensò all'improvviso che stesse per baciarlo. E la cosa più assurda era che, un secondo dopo aver avuto quel pensiero, fu assalito dalla fortissima tentazione di fare lo stesso.

Nonono… distanza, ricordi? Distanza!, si disse mentre tutti gli allarmi possibili gli risuonavano nel cervello. Nonostante quello, però, non riuscì a muoversi di un millimetro, troppo catturato dal magnetismo di quegli occhi e quel sorriso.

Poi, per sua fortuna (o sfortuna?), il momento passò e lei si ritirò dalla sua parte, lasciandogli liberi i polmoni dal respiro che aveva, senza nemmeno accorgersene, trattenuto.

Ryoga fece una profonda inspirazione. La testa gli stava girando ma la colpa non era di certo della birra. Che diavolo gli stava venendo in mente di fare? Provarci con una donna, o meglio con Ukyo, mentre stava finendo di raccontare il disastroso fallimento avvenuto con la sua ex? Si poteva essere più squallidi e insensibili di così?

Il vetro della bottiglia di birra che aveva in mano si incrinò.

"Ne vuoi un'altra?".

Trattenendosi a stento dal manifestare in modo evidente la propria frustrazione verso quegli impulsi che non riusciva né a comprendere, né - in apparenza - a dominare, lui alzò gli occhi. Ukyo era di nuovo là, con lo stesso dolce sorriso che gli aveva visto per la prima volta due giorni prima, quando aveva cucinato il primo okonomiyaki per un maialino infreddolito. Ricordava ancora lo shock che aveva provato scoprendo in lei una dolcezza che non si sarebbe mai aspettato e ricordava altrettanto bene di aver pensato che, con grande probabilità, non gli avrebbe mai rivolto lo stesso sorriso in forma umana. E invece eccolo lì, diretto proprio a lui, dopo una serata passata a farsi confidenze come se fossero…

“Sì, grazie”.

Amici. Siamo solo amici, si ripetè, chiudendo gli occhi e appoggiando indietro la testa sul divano, mentre lei andava a prendere altre birre. Non voglio ripetere gli stessi errori e crearmi illusioni per cose che non esistono. Senza contare che era ancora troppo presto. Aveva chiuso solo di recente con Akari perché non era certo di quel sentimento e perché, in qualche modo, sentiva che la ferita per Akane non fosse del tutto guarita… e adesso stava d’un tratto considerando una terza opzione?

“Tieni”.

Un’altra bottiglia di birra gli apparve davanti agli occhi e lui la prese in modo automatico, osservando stupito altre risiedere in bella vista sul piccolo tavolino davanti al divanetto. Lanciò un’occhiata interrogativa ad Ukyo ma lei alzò una spalla, con fare noncurante.

“Ti va di raccontarmi qualcuno dei tuoi viaggi?”.

“I miei… viaggi?”, chiese, ancora distratto dai pensieri di prima.

“Come li chiami i posti che visiti quando ti perdi?”.

“Ah, le destinazioni involontarie. Non le ho mai considerate viaggi veri e propri, visto che non avevo alcuna intenzione di andarci in primo luogo”.

“Ok, ma almeno hai visto qualcosa di nuovo. Io, a parte quando ero piccola e giravamo con la bancarella ambulante di cui però mi ricordo poco, non sono mai stata più in là di Osaka”.

“Hmm e la gita al Tunnel del Perduto Amore? O l’isola di Toma? Oppure… come si chiamavano quelle terme…?”.

“Ok, va bene. Ammetto di aver visto qualcosa di più… però mi sarebbe sempre piaciuto vedere altro. L'estero, magari. Tu ci sei stato, no?".

"Non per mia scelta. A parte forse quando ho avuto la malaugurata idea di seguire Ranma in Cina e mi sono portato a casa una bella maledizione".

Una cuscinata in piena faccia lo fece sussultare, più che altro per la sorpresa.

"Idiota! La pianti o no di piangerti addosso ed essere così negativo? Ci deve essere per forza qualcosa che ti è piaciuto o ti ha colpito in quello che hai visto!".

Riaggiustando la bandana a quadretti, Ryoga sospirò.

"Beh sì, i templi… la natura… ma non avevo sempre il tempo di apprezzare queste cose. La maggior parte delle volte dovevo pensare a come tornare indietro e a guadagnarmi i soldi per farlo".

"Ah, lo vedi che qualcosa di utile è uscito fuori? Hai mai pensato che tutto quello che ti capita mentre vaghi da un posto ad un altro alla fine si traduce in esperimenti, prove e tentativi che vanno a comporre una conoscenza diretta della vita che la maggior parte di noi non ha?”.

Alzando un sopracciglio, lui si grattò di nuovo il mento, perplesso.

Non aveva mai considerato la cosa da quel punto di vista, ma si poteva in effetti affermare che i suoi ‘viaggi’ gli avessero in qualche modo permesso di accumulare tutta una serie di esperienze che gli altri suoi amici non avevano potuto sperimentare. Trovarsi da solo in zone o città sempre nuove gli aveva fatto sviluppare un forte senso di adattamento e intraprendenza: per mantenersi a livello economico aveva dovuto non solo imparare a fare un sacco di lavori diversi, dal trasportatore al manovale, dal minatore al carpentiere - tutte professioni che la sua robusta costituzione gli aveva permesso di sostenere senza alcun problema - ma anche imparare varie lingue straniere e adeguarsi ad altre abitudini culturali. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma in effetti non era una cosa da poco; dopotutto era stato proprio grazie a queste esperienze che era riuscito ad aggiustarle la caldaia.

"Ok, ok, ho capito cosa vuoi dirmi… va bene, cercherò per il futuro di considerare di più tutto quello che mi succede come un'opportunità e non come la solita botta di sfiga. Te lo prometto. Contenta?".

"Sul tuo onore?".

Sentire tirare in ballo il proprio onore lo fece irrigidire e le lanciò un'occhiata in tralice.

"Perché ti interessa così tanto da volere un giuramento simile?".

"Perché potresti essere una persona migliore, se riuscissi a credere di più in te stesso senza trascinarti addosso la sindrome dello sfigato".

"Ma…".

"’Ma’ un corno. Hai avuto parecchie difficoltà nella vita rispetto ad altri, questo te lo concedo, ma nessuno vive un'esistenza perfetta. È solo una questione di prospettiva e tu hai tante cose di cui essere fiero, a partire dalla tua resilienza".

Ancora una volta Ryoga rimase senza parole davanti a quella sorprendente affermazione. Il suo stupore fu, con grande probabilità, così intenso da costringere Ukyo ad un imbarazzato tentativo di sminuire quel chiaro complimento.

“Voglio dire… per essere un idiota dalla testa dura, testardo e ottuso come un bue, sei anche sempre stato coriaceo e tenace. Non hai mai mollato, nemmeno quando le cose non andavano come volevi".

“Nemmeno dopo ogni sconfitta da parte di Ranma, volevi dire”.

“Non sto parlando di essere vittoriosi o meno… sto parlando della capacità di perseguire sempre e comunque i propri obiettivi. Non ti sei mai lasciato scoraggiare dalle avversità e questa è una cosa di cui dovresti essere orgoglioso. Dovresti soltanto imparare a confidare di più nelle tue qualità, tutto qui".

Per l’ennesima volta in quella sera, Ryoga rimase di sasso. Nessuno, in tutta la sua vita - eccetto forse per sua madre e, in parte, Akari - lo aveva mai incoraggiato in quel modo. Nessuno si era mai preso la briga di guardare oltre i suoi modi bruschi e il suo carattere irascibile. E nessuno, soprattutto, gli aveva dato mai consigli su come migliorare, nemmeno la sua amata Akane, gentile ma distratta dalla presenza ingombrante del suo fidanzato, o la dolce allevatrice, per la quale apparentemente lui non aveva alcun difetto.

Era difficile valutare sul momento l’entità del significato di quella conversazione ed era ancora più difficile riuscire a districare il groviglio di emozioni che gli stava provocando: l’unica cosa che sapeva di certo era che l’imbarazzo gli aveva di nuovo incollato la lingua al palato, impedendo qualsiasi eventuale replica. Ammesso che avesse saputo cosa dire, beninteso.

Dato che anche Ukyo sembrava in seria difficoltà nel gestire un discorso che doveva forse esserle sfuggito di mano, Ryoga decise di fare la cosa più sicura per entrambi: divagare.

Nell’incerto tentativo di recuperare l’uso della parola, si schiarì la voce.

“Allora… vuoi sapere qual è la cosa più strana che abbia mai mangiato nei miei… uh… viaggi?".

Proprio come aveva immaginato, le spalle di Ukyo si rilassarono e un sorriso pieno di eccitata anticipazione si aprì sulle sue labbra.

"Spara!".

Fuori, la tormenta di neve sembrava aver infine perso la sua intensità. Il vento aveva smesso di fare tremare scuri e finestre ed anche se la neve stava ancora cadendo in lenti fiocchi, ormai il peggio sembrava essere passato. Presto l’emergenza sarebbe rientrata.

Tuttavia a nessuno dei due ragazzi, chiusi nella stanza sopra al ristorante, sembrava ormai importare qualcosa e le loro risate continuarono a risuonare a lungo, nel silenzio irreale di quella serata.

 

 

 

  
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