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Autore: ThatXX    02/01/2024    2 recensioni
– Cosa dovrei fare adesso? – chiese lei con un filo di voce. Assurdo. Aveva appena domandato a un folle assassino, all’uomo la cui spada aveva trafitto il ragazzo col quale aveva fatto l’amore, a colui che l’aveva salvata sparandole un colpo in testa, ‘dio che razza di follia, che cosa avrebbe dovuto fare da quel momento in avanti. Si chiese se non potesse andare peggio di così.
– Cambia cognome, allontanati da qui e non ti avvicinare mai più all’Istituto né a quei ragazzi. Se ho fatto credere loro di averti uccisa è stato solo perché tuo padre desiderava questo –.
[Continuo di Crisantemo]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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La guardava sul pianerottolo, radiosa come una luna piena in agosto; sul viso un’espressione senza ombre e uno sguardo senza fantasmi, meravigliosamente pieno di vita. Forse, anche solo per quella notte, proprio come quel suo fiore dal nome bizzarro, il Kadupul, Ayame aveva scelto di fiorire. E lui sarebbe stato il suo sole per quella sera; la sua acqua e la sua terra.
 
Scattò subito un bacio, primo nutrimento della serata, e Ayame gli sorrise sulle labbra sentendosi avvampare. Il cuore di una diciottenne scalpitava nel petto. Tornò improvvisamente ingenua, impacciata, insicura; improvvisamente vergine, come se Satoru l’avesse messa al mondo in quel momento con la forza vitale di quel bacio.
 
Dalla scollatura della camicia bianca veniva l’odore inconfondibile di bergamotto. Profumava di sesso e di ore passate in cucina. Lui l’aiutò a togliersi il cappotto e lo appese all’appendiabiti a scomparsa dell’ingresso, poi le propose di accomodarsi al tavolo da pranzo nel suo lussuoso openspace. Satoru era un uomo ricco, era innegabile, e questo non la faceva sentire meno tranquilla.
 
Servì la cena e prese posto davanti a lei. Lo stereo in sottofondo mandava una musica perfetta per l’atmosfera. La candela accesa del centrotavola gli illuminava lo sguardo: occhi ineffabili, gemme inondate d’azzurro. La sua fiamma tingeva di fuoco quelle ciglia candide come braci d’inverno.
 
Satoru le scoccava sguardi velati di impazienza. Avrebbe fatto volentieri a meno della cena per ricoprirla di baci. Il miglior cibo era la sua timidezza, le guance che le si arrossavano, i sorrisi imbarazzati ma apertamente compiaciuti, il repentino ritorno ai suoi diciotto anni. Anche lei, a guardarla, sembrava d’accordo a voler saltare quei convenevoli.
 
Alla fine, qualcosa della cena rimase sui piatti. Finirono di cenare sulla bocca dell’altro muovendosi come in una danza improvvisata: passarono dal tavolo alla parete più vicina; dalla parete al divano; dal divano alla camera da letto. Il ritmo dei loro baci scandiva il tempo dei loro passi.
 
Satoru si chinò su di lei quando Ayame urtò il bordo del letto e vi si sedette su. Se la portò alle labbra ancora, avido e insieme gentile, con lei che confusamente gli sbottonava la camicia. Poteva aver detto una bugia a Mito o a sé stessa, ma le mani andavano da sole.
Cercarono la sua pelle e la trovarono appena sotto la camicia di lino.
 
Non toccava un uomo da due anni e non toccava sé stessa da quando era nata sua figlia. E quello che Satoru le fece decollare dal diaframma, quando intenzionalmente la mano s’insinuò tra le sue cosce, fu il suo primo e timido gemito dopo tanto tempo. Satoru ne fece un segnale per cominciare spogliarla.
 
S’inginocchiò davanti a lei e le tolse le calze. La camicia di Satoru scivolò giù dalle spalle sospinta via dalle mani di Ayame. Passarono qualche secondo a fissarsi negli occhi, poi ripresero. Lui la spogliò del vestito e del reggiseno che raccoglieva un seno materno, maturo; lei aprì la fibbia della cintura e gli sbottonò i pantaloni. E nel lasso di tempo di due, massimo tre battiti di ciglia rimasero nudi uno di fronte all’altra. Quasi nudi.
 
Gli occhi di Satoru scesero sul polso sinistro di Ayame. Lei gli lesse lo sguardo e capì, allora ritrasse il braccio chiudendoselo al petto.
 
- Non voglio che tu lo metta via per sempre, Ayame. Ma adesso vorrei che ci fossimo soltanto noi due – mormorò lui con voce comprensiva ma non meno esigente.
 
Qualche attimo di esitazione e lei annuì silenziosamente. Satoru le tolse l’elastico per capelli; lo fece con amabile premura, come se stesse maneggiando l’oggetto più sacro e fragile del mondo, e lo depose sul comodino.
 
Ripresero a baciarsi e lentamente si sistemarono sul letto. Ayame sollevò le braccia e cinse il collo di Satoru con le mani: le dita gli accarezzavano i capelli corti della nuca.
Divino: era il solo aggettivo che le passava di mente. Ma non nel senso di intoccabile o irraggiungibile, non più. Tantomeno invulnerabile. Era divino per come la faceva sentire. Le sembrava di trovarsi sopra una nuvola sulla sommità del mondo; un mondo grande quanto una pupilla, quella degli occhi di Satoru. E l’azzurro di quegli occhi era il suo cielo.
 
Lui la guardava dall’alto con la calma di chi ha atteso per tanto tempo e ha imparato ad attendere. Essere il suo sole, la sua acqua e la sua terra e proteggere il fiore più raro di tutti: ecco cosa pensava nel silenzio inframmezzato dai loro respiri. Aveva capito di volerla da quando l’aveva conosciuta, ma solo da poco aveva compreso cosa volesse essere per lei.
 
Si concesse una breve distrazione per prendere un preservativo dal cassetto del comodino e tornò negli occhi blu di Ayame come un pesce non può fare a meno del suo oceano. Ci si tuffò con lei che lo guardava sfarfallando le lunghe ciglia: una delle abitudini che più adorava di lei.
 
- Lascia, faccio io – esordì morbidamente: sensualità e timidezza si alternarono in quelle poche parole. Lui sentì montare un brivido lungo la schiena mentre Ayame gli sistemava il profilattico con quella sua squisita accortezza. Poteva anche essere l’uomo più forte del mondo, ma per lei sarebbe sempre stato qualcuno che accidentalmente avrebbe potuto ferire. Allora lo toccava sempre con gentilezza perché sapeva che il suo Minimo Infinito, almeno con lei, non era mai lì a proteggerlo.
 
- Satoru? -.
 
Lui fece un piccolo verso interrogativo. - Dimmi -.
 
- Dopo il parto non ho più avuto rapporti, perciò… - lo sguardo divagò leggermente in imbarazzo.
 
Lui la baciò con dolcezza sulle labbra richiamando quegli occhi su di sé. – Perciò niente acrobazie? -.
 
La battuta spiritosa la fece ridere. – Scemo! – e lo colpì con un tenero buffetto sulla spalla.
 
Satoru smorzò quella risata con un bacio più intenso. Benché considerasse quella risata ambrosia per lo spirito, il desiderio meno nobile di sentirla gemere per lui pulsava irrefrenabilmente lungo tutta la sua erezione.
 
Scivolò gradualmente dentro di lei e quando si sentì sicuro di non farle male puntò le ginocchia, guidò le braccia di Ayame al suo collo e le afferrò le cosce. – Tienimi stretto – raccomandò sommessamente, quindi la issò su facendo sedere Ayame sul suo bacino.
 
Si guardarono. Per una volta Ayame poteva vantarsi di essere un soffio più alta di lui. Allacciò le braccia attorno alle sue spalle e lo baciò quasi disperatamente. Gli si strinse addosso e le cosce gli cinsero i fianchi con decisione. Avrebbe impiegato ogni centimetro di pelle, ogni respiro e ogni secondo di quella notte per consacrarsi a lui. Avrebbe permesso a sé stessa di rinascere ma senza dimenticare tutto quello che era stata.
Avrebbe lasciato che Satoru fosse il suo sole, la sua acqua e la sua terra.
 


 
*** 
 

Satoru affondò il naso nell’incavo del collo di Ayame quando lei gli rivolse le spalle: profumava di una stagione ancora lontana e quando socchiuse gli occhi la immaginò profilarsi nei pensieri come un miraggio; lunghi viali di ciliegi in fiore, foglie di giada e un cielo di tempera sgombro di nuvole. Un sorriso di ritrovata pace interiore si dispiegò sulle labbra.
 
- Quanto tempo puoi restare? -. Sembrava dispiaciuto.
 
- Ho detto a Mito che sarei tornata al massimo entro mezzanotte, ma puoi sempre venire con me. In fondo, anche quella è casa tua – propose. Tracciava linee ondulate sul braccio di Satoru con la punta del dito. – Domattina possiamo fare colazione insieme -. Il pensiero non le dispiaceva affatto.
 
- Me lo stai proponendo solo per stanotte o…? -.
 
- Non lo so – rispose francamente. – Avevo detto a Mito che non avrei bruciato le tappe e invece sono qui che penso a come sarebbe svegliarsi accanto a te ogni mattina -.
 
Satoru la strinse maggiormente a sé; le odorò la pelle di pesca. – E come sarebbe? – chiese piano.
 
- Bello – ammise e non contenta aggiunse: - rassicurante e… - si morse l’interno della guancia – romantico. Perlomeno, questo è quello immagino. Non so realmente cosa si provi a svegliarsi sapendo che c’è sempre qualcuno accanto a te -.
 
- Con Suguru non l’hai mai provato? –. Domanda rischiosa la sua.
 
- Non proprio. Di solito andava via la mattina presto. A volte nemmeno lo sentivo uscire di casa. So che lo faceva per non svegliarmi, ma quando aprivo gli occhi non mi sembrava nemmeno di aver condiviso il letto con qualcuno. E poi… - si lasciò andare a un sospiro infelice – ero perfettamente consapevole che la nostra relazione non sarebbe potuta durare a lungo. Lui mi aveva avvertita. Questo non significa che non mi sentissi felice, però sapevo che avrei potuto perdere quella felicità da un momento all’altro -. Di riflesso si guardò il polso ma il laccio per capelli era ancora da qualche parte sul comodino di Satoru.
 
- Suguru ha voluto mettere il suo sogno davanti a entrambi – dichiarò lui con malinconico disappunto. – Ci ha lasciati indietro e prima di morire ha voluto che noi facessimo lo stesso con lui -. Sentì Ayame agitarsi e poi girarsi dalla sua parte.
 
I loro sguardi si incrociarono; lei gli accarezzò il viso. – Perdonaci per averti ferito, Satoru – sussurrò. Di rimando lui si rifugiò tra le braccia di Ayame nascondendo il viso nel suo seno, improvvisamente e inspiegabilmente vulnerabile. Nessuno aveva mai chiesto scusa per il suo carattere presuntuoso, frivolo ed egocentrico, imputando sempre a lui la colpa di tutto. – Perdonaci se ti abbiamo dato per scontato, se abbiamo pensato che le nostre parole non ti ferissero e se non abbiamo capito quanto a volte ti sentissi solo. Perdonaci tutti, Satoru -.
 
Lui si raggomitolò tra le sue braccia: un universo che d’un tratto si fece granello di sabbia. Capì perché aveva avuto così tanta paura di lei e perché il nemico più temibile che avesse potuto incontrare era la sua purezza, la sua comprensione, la sua empatia.
Ayame Ishikawa era il primo essere umano ad aver disarmato lo stregone più potente dell’era moderna: Satoru Gojo.
 



 


 Ayame aprì gli occhi e vide che Satoru la fissava: era già piena mattina in quello sguardo, prima che fuori alla finestra.
 
– Buongiorno – farfugliò lui con voce roca e assonnata.
 
La ragazza strabuzzò gli occhi e scattò a sedere. – O mio dio! Non dirmi che… -. Sul viso le passò un’espressione di panico e le ci volle più di un’occhiata per rendersi conto di trovarsi nella camera da letto della villa. A quel punto, tirò un sospiro di sollievo e ricadde di schiena sul soffice materasso. Satoru la fissò un secondo, stralunato, poi sbottò a ridere.
 
– Non c’è niente da ridere! – lo ammonì lei. – Per un attimo ho creduto che fossimo ancora nel tuo appartamento! – e le scappò una risata che tradì il proposito di far sembrare la questione davvero così grave.
 
Iniziò a ricordare di aver aiutato Satoru a sparecchiare e a mettere in ordine la cucina, e poi di aver scambiato due chiacchiere con lui mentre preparava una piccola borsa infilandoci dentro il pigiama, la divisa, lo spazzolino e poche altre cose. Satoru aveva preferito lasciarle qualche altro giorno di tempo per pensarci, pensarci seriamente, prima di fare del suo appartamento una seconda casa a cui appoggiarsi in caso di necessità, ma aveva lo stesso deciso di restare alla villa per quella sola notte.
 
Si erano presentati alla villa insieme. All’aprirsi della porta, con Mito che aveva diviso con scrupolosa precisione l’attenzione tra Ayame e Satoru perché le fosse da subito chiaro cos’era successo tra loro, le due si erano scambiate uno sguardo d’intesa. Niente sui loro visi aveva lasciato trasparire residui di una notte all’insegna della passione ma il vestito sgualcito di Ayame ne era stata la prova inconfutabile. E Mito l’aveva guardata con un orgoglio quasi materno negli occhi. Erano rincasati a mezzanotte meno dieci.
 
Ayame controllò l’ora dallo schermo del cellulare: aveva anticipato la sveglia di soli due minuti. Sospirò sconsolata. Fece per alzarsi ma Satoru ci mise del suo per peggiorare la malavoglia che aveva di uscire dal letto, agguantandola e serrandola tra le braccia. Lei non protestò e lo lasciò fare almeno finché non fosse suonata la sveglia.
Un fioco raggio di sole entrava dall’imposta della finestra e gli occhi di Satoru finirono nel suo fascio di luce diafano: le iridi scintillarono di migliaia di punte di diamante. Si baciarono.
 
- Devi andare a scuola oggi? -.
 
- No. Devo partire per una missione. Hokkaido – riferì.
 
La preoccupazione di Ayame le corrugò la fronte. – Un’altra? E per quanto starai via questa volta? -.
 
- Sarò di ritorno domani, tranquilla – la rassicurò, poi la sua espressione cambiò e con aria pentita aggiunse: – scusami se ieri non te l’ho detto -.
 
- Non può andarci qualcun altro? – chiese lei ingenuamente. Non ne sapeva granché del mondo dell’occulto, ma era abbastanza sveglia da aver intuito che la sua salvaguardia c’entrasse qualcosa con Satoru e questo la rendeva nervosa. Voleva dire missioni pericolose, rischi enormi, vite umane sulle spalle.
 
- Proprio no. Sono io il più forte – fece per darsi un tono ma lei lo guardò scontenta della sua propensione a minimizzare certe questioni, specie quelle che avevano a che fare con la sua incolumità. Per capriccio gli tirò un pizzicotto sul braccio e lui sussultò.
 
- Ahia! – le rivolse una smorfia sconvolta. Nel frattempo, suonò la sveglia.
 
- Visto?! Anche tu puoi farti male – commentò con quell’aria da so tutto io, così graziosa eppure cocciuta, che le assicurò dapprima una scarica di solletico e poi una tempesta di baci.
 
Satoru la tratteneva sotto di sé intervallando intrecci di labbra e sguardi fugaci. Per un attimo gli occhi caddero sull’elastico per capelli di Suguru, rimesso fedelmente al suo posto, e convenne che la cosa lo feriva un po’ ma non così tanto da mettersi a fare l’orgoglioso e rischiare di rovinare tutto.
 
Il cellulare continuava a diffondere le note di “Stand by me” di Anna Tsuchiya. Ayame aveva ancora quell’espressione sofferta sul viso; l’angoscia che gli fosse potuto accadere qualcosa.
 
- Ti prego, sta’ attento – sussurrò sulle sue labbra.
 
Un altro paio di baci e arrivò il momento di separarsi. Scesero dal letto insieme e si divisero i compiti: Satoru andò a svegliare la piccola Hanae e Ayame a preparare la colazione. Sulle prime la bimba fece un po’ di storie, ma quando si accorse che si trattava di Satoru il suo umore cambiò radicalmente.
 
Aveva sviluppato una curiosa attrazione per lui e poteva dipendere dai suoi capelli bianchi, dall’energia malefica o da qualsiasi altra stranezza affascinasse tanto ossessivamente una bambina di quasi sedici mesi. Sapeva, ad esempio, che adorava farsi prendere in braccio da lui perché la elettrizzava il brivido dell’altezza, e lui di altezza ne aveva da vendere. Sapeva che andava matta per lo yogurt già solo perché era di colore bianco e lo stesso si poteva dire dei capelli di Satoru, nei quali non mancava mai di metterci le mani appena finivano alla sua portata. Sapeva che dopo “mamma” la sua seconda parola era stata “Toru” e che, a sentire Ayame, le piaceva così tanto da pronunciarla almeno dieci volte al giorno. Sapeva che il coniglietto di peluche infuso della sua energia malefica l’aiutava a dormire; che le sue gambe lunghe erano un’occasione fantastica per arrampicarvisi; che impazziva di gioia quando “Toru” e mamma “Yame” la portavano a vedere i “pei” al ruscello.
 
Se la tenne in braccio mentre andava in cucina. La mamma è sempre la mamma, e Hanae le si gettò al seno quando la vide. Per stimolarla a parlare, Ayame si divertì a elencare gli ingredienti della colazione mentre finiva di preparare e Hanae ne imitava qualche sillaba: banana era “nana” o “bana”; frutta era “utta”; e yogurt, probabilmente il più difficile ma anche il più stravagante, era “gutto”.
Satoru lo sapeva: Ayame aveva avuto dei grossi problemi all’inizio ad accettare l’esistenza di quella bambina, ma ora ce la stava mettendo tutta per diventare una brava madre e Satoru pensò che fosse meravigliosa.
 
Fecero colazione tutti e tre insieme; si lavarono, si vestirono e insieme uscirono di casa quasi come una normalissima famiglia. Satoru sarebbe passato al suo appartamento prima di recarsi in aeroporto e prendere il volo per Sapporo mentre Ayame avrebbe portato Hanae all’asilo nido per poi andare al lavoro. Al mattino lavorava part-time in un negozio di fiori e nel pomeriggio teneva corsi di ikebana in alcune università di Tokyo: di gran lunga più remunerativo dei corsi online.
 
Satoru e Ayame si baciarono al momento di salutarsi. Hanae pretese un bacio sia da sua madre che da Satoru, protestando quasi gelosamente quando le loro labbra si unirono. Satoru le fece una pernacchia sulla guancia e la crisi passò sfociando in una risata vibrante.
 
- Mandami un messaggio quando atterri – si raccomandò Ayame. Satoru annuì, si strinse nelle spalle e si preparò ad avviarsi verso l’auto tuffando le mani nelle tasche del cappotto.
 
- Ah, Satoru? -. Il richiamo di Ayame lo trattenne.
 
- Sì? -. Rivolse lo sguardo su di lei e scorse una faccia seria, risolutamente seria.
 
- Torna da me -.




 
Salve a tutti! Questa volta ho fatto presto perché ero mooooolto ispirata ma non fateci l'abitudine perché penso sia stata solo fortuna xD
Ho trovato piacevole scrivere questo capitolo e spero che si percepisca nella lettura (fatemi sapere se volete o potete).
Sono profondamente affezionata a Satoru e Ayame; è per loro (e per chi mi sostiene con le loro bellissime parole) che sto continuando a scrivere questa storia. 
A proposito di storia... a breve (ma ancora non so quanto breve) anche Iris dovrebbe giungere al termine e dovrebbe cominciare la terza e ultima parte della storia.
Purtroppo sono in crisi con il titolo xD Voglio restare sulla tematica dei fiori, penso si sia capito che è la tematica centrale della storia, ma finora me la sono cavata con i fiori che rappresentavano Ayame e Satoru. Sto cominciando a valutare l'idea di scegliere un titolo a casaccio senza doverlo per forza legare al tema della storia xD
Oppure, di questo passo, lo farò scegliere a voi!
Comunque, spero che questo capitolo vi piaccia. Se la vostra coppia preferita è AyamexSatoru, allora forse questo capitolo grida alla vostra ship preferita!
Purtroppo non posso garantirvi una velocità di pubblicazione (sono nel pieno degli esami) ma mi farò viva! Non abbandonerò la storia :)
Un grazie a tutti coloro che scrivendo le loro bellissime recensioni continueranno a sostenermi e a sostenere il progresso di questa storia.
Alla prossima! ^^

 
   
 
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