Oggi, a casa
malata dopo aver contratto sfigatamente o, per meglio dire, dopo essere
stata
contagiata in maniera passivo aggressiva da una persona che consideravo
amica, mi
sono ritrovata a riflettere come al mio solito e, dato che non ho
voglia di fumare
per calmarmi, ho messo mano alla tastiera.
Due aforismi
mi sono venuti in mente mentre osservavo il cielo terso e questo cavolo
di sole
che sembra non comprendere che siamo a gennaio, e non ad aprile.
Così, ho intentato
una riflessione e ne sono uscite più parole di quante ne avessi
previste.
“Molti
nemici, molto onore.” Frundsberg
“La
bellezza si vede, il fascino si sente.”
Roberto Gervaso
“Molti
nemici, molto onore.” È una frase che è
stata attribuita erroneamente a Benito
Mussolini. Fu pronunciata da un generale tedesco, Frundsberg, cinque
secoli fa.
Quanto
c’è
di vero in questa massima?
Dipende dal
contesto, dalla persona in questione e da chi sono i suoi nemici.
Se qualcuno
litiga con tutti perché è stronzo, non brilla
certo d’onore. Se i nemici che si
fa appartengono ad ogni classe sociale ed età e ce
l’hanno con lui per i motivi
più disparati, corrisponde più che altro al
profilo di un attaccabrighe
antisociale, non ad una figura onorevole.
Ultimamente
ho avuto a che fare con un’amica, chiamiamola Toffa, che
guarda caso litigava
proprio con tutti. Incredibile come lei fosse sempre la vittima di
tutte le zuffe. Siamo state amiche per qualche anno e non si era mai
comportata
così, quindi in principio credetti che aveva ragione.
Tutto
partiva da momenti stazionari, in cui senza apparente motivo razionale
(nella
sua testa sembrava tutto logico) Toffa partiva all’attacco
del malcapitato di
turno e il cristiano della situazione doveva difendersi da accuse
piovute a
ciel sereno. Stava diventando surreale. A qualsiasi ora
poteva
arrivarmi un messaggio da parte sua in cui se la suonava e se la
cantava,
intonando l’urlo di battaglia ai sacri vincoli di sa il cazzo
quale principio secondo
cui la sua persona/carattere/regalo che aveva fatto/sentimenti/opinioni
erano
stati lesi dalla crudeltà del prossimo e lei se
n’era dovuta ergere a paladina,
sconfiggendo l’infido drago che tanto aveva ardito sfidarla
subdolamente.
No, non
sconfiggendo. Toffa non ha sconfitto un cazzo di nessuno. Tutte le
diatribe
avevano fine quando lei sanciva “e allora vattene per la tua
strada”, che
sarebbe un diplomatico vaffanculo. Ma in soldoni quello più
felice era l’aggredito,
che si liberava di una smerigliatrice ambulante di testicoli.
Dopo aver
sancito l’addio, veniva a farmene un resoconto dettagliato.
Io, sul lavoro (perché
lavoro sempre, sempre lì sto, Santo…)
visualizzavo il messaggio e in principio pensai
che davvero stesse attraversando un periodo di sfiga. Capita a tutti di
vivere intere
settimane in cui frotte di sfrangipalle vengono a romperti le scatole,
no? A me
capita, inoltre più responsabilità pendono su di
te, più rompicoglioni incontrerai.
Se esistesse
l’assioma di Fiore di Pesco, sarebbe qualcosa di simile a
questo:
La
quantità di rompicoglioni che ti circonda
è uguale e contraria alla dose di energia mentale che
possiedi.
Così
non notai
subito che era lei a partire sempre per prima
all’attacco, finché
finalmente cominciò a balzarmi all’occhio che
nella maggior parte dei conflitti,
io stavo dalla parte dell’aggredito. Allora tentai di
mettergliela giù senza
ferirla troppo, spiegandole i punti relativi secondo cui se una tizia
aveva
deciso di lasciare il marito e si era già trovato un altro
uomo, era suo
diritto farlo.
Che cazzo
c’entrava
Toffa in tutto ciò?
“E ma
povero
Fabrizio, la amava tanto.” Ok, per l’amor di Dio,
Fabrì ci dispiace, ma se dopo
vent’anni di matrimonio Pancrazia non ti ama più e
vuole il pesce d’un altro,
che ci puoi fare? Meglio essere mollato piuttosto che abboffato di
corna.
Ma no, Toffa
non la pensava così. Veniva leso il sacro vincolo del
matrimonio e dell’amore
eterno. Divenne la protettrice di Fabrizio e andò contro
all’amica Pancrazia.
A seconda
delle situazioni, le reazioni che provocava potevano essere anche molto
eclatanti. Finché la menava alla segretaria per non averle
compilato la busta paga
nel modo corretto, o scoppiava un litigio dal salumiere per chi era il
primo
della fila, tutto si risolveva con poco clamore. Ma nel caso di
Fabrizio e
Pancrazia, l’asse terrestre fu inclinato e da allora smise di
nevicare.
Pancrazia l’ha alzata di peso con tale forza che ho temuto di
dover intervenire
per sedarla prima che ammazzasse Toffa, e a buona ragione.
Ad ogni
modo, mentre tutti festeggiavano il Natale e le vacanze invernali, io
ho
lavorato, stando a casa solo nei giorni delle effettive
festività. Avevo poco
tempo libero e quei radi momenti di pace preferisci impiegarli a fare
ciò che
ti piace. Toffa invece pretese da me il massimo coinvolgimento nelle
sue diatribe
perché lei, al contrario di me, stava a casa a grattarsela.
Dato che non
ho problemi a delimitare i miei confini, le ho spiegato che durante il
giorno
sarei stata meno presente per il lavoro, ma il messaggio non venne
recepito perché
Toffa non voleva recepirlo. Arrivati al 30
dicembre, quando al 31
avremmo dovuto festeggiare Capodanno insieme, mi disse “visto
che non rispondi
mai ai messaggi, tanto vale che domani non vieni nemmeno. Dici sempre
di essere
stanca, fattelo a casa tua così ti riposi.”
Mi girarono
vorticosamente i coglioni. Senza stare qui a spiegare che non
è vero che non
rispondevo ai messaggi (è che rispondevo solo di sera), ci
fu un acceso
diverbio, in cui le esposi le mie ragioni e le dissi che, in soldoni,
aveva
rotto i coglioni, e di farselo lei a casa da sola, che eventualmente io
sarei
andata da qualcun altro. Intervennero i pacieri di turno: i fidanzati.
Il di lei
fidanzato “Oh ma cosa sta succedendo? Ma non dare retta a
Toffa, che è in sindrome
premestruale dal 97, vi ho invitati io, la casa è mia, siete
miei ospiti.”
Il di me
fidanzato “Oh ma dì a Toffa di non rompere i
coglioni. Anzi, dammi il telefono
che glielo dico io.” No, non gli ho lasciato il mio telefono
e non ha potuto
dirle niente. Tanto glielo avevo già detto io.
Toffa, dopo
una conversazione col suo ragazzo che non mi è pervenuta, mi
ha chiesto scusa
per la sua reazione, giustificandosi col fatto che è un
periodo brutto, tutti
le fanno torti e bla bla. Ho accettato le scuse, perché
comunque eravamo amiche
da tanto, ci volevamo bene e balle varie. Però io me le lego
al dito e dallo
scoppio della prima bomba attendo segnali di altre eventuali red flags
che
potrebbero indicare la rottura dell’armistizio.
Ho festeggiato
il capodanno con lo stomaco un po’ in subbuglio, spettatrice
di un
atteggiamento lievemente passivo aggressivo da parte di Toffa, che lei
potrebbe
credere di aver camuffato egregiamente, ma io non sono nata ieri. Poco
dopo la
mezzanotte ho levato le tende perché aveva voluto mettere un
film che aveva
disgustato tutti. Eravamo in quattro e piaceva solo a lei. Tra i conati
di
vomito del mio fidanzato e le bestemmie masticate dal suo, alla fine
riuscii a
fuggire ai titoli di coda. Ci ha disgustati al punto che ci siamo
scordati che
fosse capodanno e non abbiamo nemmeno fatto il conto alla
rovescia…
Dato che i
successivi giorni passarono abbastanza pacifici, credetti ingenuamente
che il
nervosismo le fosse passato. Purtroppo riemerse dopo che le dissi (dopo
48 ore
dalla cena) di avere mal di gola. Si scoprì che lei era
positiva al covid e che
se n’era bellamente sbattuta. In realtà non
proprio, disse che si era fatta un
test la sera del 31, ma essendo negativo, non aveva ritenuto di
avvisarci,
nonostante sapesse che in questo periodo non posso assolutamente
ammalarmi. Peccato
che l’1 rifece il test e risultò positivo. A quel
punto me ne uscii con una
colorata imprecazione, non credo di dovervi spiegare il
perché, e lei rispose
candidamente “allora ognuno per la sua strada.”
E a quel
punto ce l’ho mandata io. A fanculo, sul serio.
Dal basso
del mio stato febbrile e nevrotico, con cui in questi giorni ho letto e
scritto
un sacco, mi è tornato in mano uno dei tomi a cui sono
più affezionata: l’Arte
della Guerra, Sun Tzu.
Il vecchio zio
Sun mi ha fatto riflettere con alcune delle sue massime, tra le quali:
Se ti difendi, sei più
forte. Se attacchi, sei più
debole.
Non agire in assenza di vantaggi.
Non combattere in assenza di
pericolo.
Non scatenare una guerra per
sfogare la tua ira.
Non dare battaglia per il tuo
rancore.
Toffa non ne ha
centrata una, cazzarola… quindi tanti nemici
= tanto onore? Mah… se sei Toffa, no.
“La
bellezza
si vede, il fascino si sente.” Disse Roberto Gervaso,
aforista, scrittore e
giornalista italiano che è passato a miglior vita qualche
anno fa.
Sarò
sorda e
cieca, perché vedo distorto e non sento particolare fascino
provenire da
alcunché, di recente. No, questo non è totalmente
vero. Nelle ultime settimane
ho trovato conforto solo nella lettura/scrittura.
Ma la
bellezza… niente, faccio ancora un po’ fatica a
riconoscerla. Non sono passati
troppi giorni da quando una mia amica mi ha girato delle foto di
ragazzi
(perché, poi?) con un modo di fare che mi ha ricordato molto
i ragazzini delle
medie che si scambiavano i giornaletti di Playboy.
Un po’
incerta sul da farsi, le ho mandato delle faccine che ridono. Quelle
vanno
sempre bene, quando non hai idea di che rispondere. Non era il mio
giorno
fortunato.
“Che
ne
pensi? :D”
“In
che
senso?”
“Eh,
sono
fighi o no?”
Oh
merda… e
adesso che le rispondo? Non me ne piace mezzo…
cos’è questo odore? Disagio, sei
tu? “Beh stanno bene… direi sì,
rispecchiano tutti gli standard dei canoni
estetici attuali.”
“-.-
quanto
trasporto! Non ti sforzare troppo che ti vengono le emorroidi,
eh…”
Ecco, questa
è una tipica conversazione che intercorre tra me e una mia
amica quando mi fa
vedere un ragazzo che le piace. Per l’amor del cielo, anche
io ho dei gusti, ma
non corrispondono quasi mai ai prototipi delle mie coetanee…
Il fatto è che
riesco ad essere coinvolta anche se la persona non è
particolarmente attraente
secondo i miei standard, come se bellezza e attrazione viaggiassero su
due
binari distinti.
È un
tratto
che ho sempre saputo di avere, di cui me ne sono sbattuta parecchio
perché
sembrava un problema più per gli altri che per me, e che ha
trovato una sorta
di risposta solo qualche anno fa, quando mi hanno detto Asperger, ma
non grave…
una tendenza… un alone… c’è
uno spiffero di… sì insomma, sei vecchia e adesso
si fa fatica a capirlo, però è sicuro che ti sei
persa un lunedì per strada.
Forse anche un martedì.
Da lì
ho compreso
che c’era un perché dietro a certi ragionamenti e
mancanze comunicative. Ho cominciato
ad interessarmi alla questione comunicazione,
perché sono sensibile a
lacune di questo genere. Ho letto un fottio di libri di comunicazione,
psicologia, PNL, microespressioni… e per assurdo nella
programmazione
neurolinguistica viene sancito che se il contenuto del messaggio non
è stato
compreso dal destinatario, è colpa del mittente che non si
è espresso nel modo
migliore. Cordialmente dissento. Toffa, più su, è
il classico esempio di chi
non vuole capire, mentre nel mio caso era chiaramente il contrario, ma
vabbè. Adesso fisso la
gente per capire che
cosa vogliano di preciso quando mi parla. Prima passavo per stronza,
ora ho
sbloccato il livello stronza e inquietante.
Continua a non fregarmene
niente, il che è fantastico.
Il senso
dell’umorismo è stato qualcosa di molto
particolare. Prima del totale sviluppo
del senso dell’astrazione, è stato difficilissimo
capire che cazzo volessero
dire alcuni comici, soprattutto le vignette che giravano sui giornali
negli
anni 90-00. Alcune non le capisco ancora adesso, ma ciò che
nessuno ha dovuto insegnarmi
è il black humor. Quello l’ho sempre capito. Le
cose più divertenti con cui mi
sono dilettata da ragazza sono i Darwin Awards (quante risate con
quelli…) e
gli epitaffi comici, che vanno dalla tomba dell’ipocondriaco
(Milligan) “ve l’avevo
detto, che non mi sentivo bene!” a un altro (Fusaro)
“ho smesso di fumare”
oppure (Chiari) “è solo sonno
arretrato”. Ste cose mi fanno troppo ridere. A
volte rido anche davanti ad immagini che dovrebbero turbare…
ridere davanti ai
film horror non è sintomo di grande salute mentale e a volte
mi è stato fatto
notare, con quell’aria un po’ tra il confuso e il
preoccupato, come se la cosa
da temere non fosse più nello schermo, ma seduta di fianco a
te. Eh, oh… amen.
Insomma,
quando due settimane fa mi lavai i capelli che arrivavano ormai al
fondoschiena
(non per colpa mia, ma tra poco ci arrivo), mi sono girate le palle ad
una
certa intensità perché stavo fonando da venti
minuti e ancora erano bagnati. Ho
preso la forbice e zac, senza guardare. Via fino alle spalle.
Ho letto su
un sacco di libri il valore dei capelli per la psiche umana.
Nell’inconscio,
per gli uomini rappresentano la virilità, per le donne la
bellezza e la
femminilità. Nel mio, una rottura di coglioni.
Per questo
motivo i nativi americani facevano lo scalpo ai nemici, per questo per
umiliare
una donna le si tagliano i capelli corti, per questo alcuni uomini
vivono la
perdita dei capelli come un danneggiamento della propria
personalità… e io li
ho tagliati per un moto improvviso di rabbia, senza dispiacere.
In passato
mia madre mi fece tagliare i capelli in uno dei suoi deliri
narcisistici e
ricordo di essere rimasta sconvolta. Crescendo ho capito che era
sofferenza
legata più che altro all’immagine che avevo di me,
all’abitudine che avevo di
portare i capelli lunghi, un pezzo della mia persona, ma riflettendoci
non
credo riguardasse concetti archetipici della chioma femminile. Se lo
era, non
so cosa sia cambiato da qui ad allora.
Guardai il
mio riflesso allo specchio e fissandomi pensai “la mia
immagine ne è stata
lesa? Ero più bella prima?”. Meditandoci su ho
pensato che, dato che la
bellezza si basa concettualmente su principi simmetrici, il taglio
obliquo che
portavo rasentava tutto fuorché beltà.
Chiamai il
mio compagno e gli chiesi di aggiustarli un po’.
“Ma
che
cazzo hai fatto?!” era atterrito.
“Non
si
asciugavano più, mi sono rotta le palle.”
“Ma
esiste
il parrucchiere!”
Il mio
parrucchiere è uno stronzo. La mia vita si alterna tra
ufficio-casa-scuola-supermercato il sabato pomeriggio e ricomincia da
capo.
Quindi, quando avevo ritagliato appositamente un giorno di permesso con
l’obiettivo di andare a tagliare i capelli dopo quasi due
anni che non andavo
dal parrucchiere, lo avevo avvertito con tre mesi di anticipo.
“Tienimi
l’appuntamento per quel giorno, ok? Mi raccomando: ho solo
quel giorno!” perché
in realtà ho un po’ la fobia del contatto (tranne
quando il contatto è a fini
sessuali, non so perché, ma se non dobbiamo fare niente, non
mi devi toccare) e
quindi vado a farli solo da lui, che ha lavorato per la televisione,
è un genio
nel suo lavoro e un taglio costa il quintuplo, ma non mi interessa.
E lui cosa
ha pensato di fare?! “Oh, scusa, per mercoledì
dobbiamo annullare… ho deciso di
prolungare le mie ferie, quindi lo studio resterà
chiuso.”
Ho sclerato
malissimo. Mi sono tenuta i capelli lunghi per altri tre mesi,
finché non ho
sclerato ancora peggio e la forbice si trovava molto vicina a me mentre
tutte
le persone di buon senso erano lontane.
“Non
so
farlo…” farfugliò il mio fidanzato.
“Provaci,
che ci vuole? Vai a occhio, tanto li tengo sempre legati, manco si
noterà.”
“No…
mi fa
impressione.”
Ma cosa vuol
dire che ti fa impressione? Sono capelli, cheratina, pure lavati, che
cosa ti
turba? Era il concetto di tagliarmi i capelli, a fare contatto nella
sua testa.
Sembrava che lo stessi costringendo ad una violenza fisica, non che
dovesse
tagliarmi qualche pelo. Non ho resistito e l’ho preso in
giro. Si è perfino
offeso, povero. No, non è vero, non mi è
dispiaciuto davvero, ma anche lui
stava un po’ recitando sulla permalosità solo per
farsi coccolare. È che ho
letto che quando si fa qualcosa che non è socialmente
accettato, puoi
recuperare subito punti dicendo “Scusa/scherzavo/era una
battuta/non
prendertela/non volevo offenderti/intendevo altro”, ma qui
potete anche
mettermi alla gogna.
Dunque il
giorno dopo andai al lavoro come sempre, con i capelli legati. Nessuno
notò
nulla anche perché figurarsi, sono circondata da maschi. Gli
uomini, sotto
questo punto di vista, sono meglio. Si fanno i fatti loro, non
strepitano se ti
vedono una macchietta sulla camicia: sanno che è capitato
per sbaglio e non te
la menano. Però il mio fidanzato era rimasto turbato, quindi
forse meglio
nasconderlo… poi ho visto lei, la mia assistente.
Si
può
considerare abuso di personale? Non lo so, per sicurezza
gliel’ho chiesto. Lei
è più piccola di me, ma non è stupida
né è una persona irrazionale. Non è la
tipa che andrebbe a parlarti male alle spalle e poi ormai mi
conosce… però ha
strabuzzato gli occhi e non riuscivo a capire se fosse particolarmente
stupita
ed emozionata o terrorizzata.
“Mi
daresti
un’aggiustata ai capelli? Li ho tagliati male e adesso sono
asimmetrici.”
Era estasiata:
nessuno glielo aveva mai proposto in 25 anni. “Sì,
ma io non l’ho mai fatto
prima… non so se verrà bene…”
“Guarda,
basta che non sembri una derubata in un vicolo di notte. Peggio di
quello che
ho fatto io, non puoi fare.”
Così
siamo
andate nel bagnetto dell’ufficio e ho chiuso la porta, non a
chiave però,
perché non mi sembrava il caso di sigillarci lì
dentro… già l’avevo sequestrata
in uno spazio angusto con un paio di forbici acuminate, almeno la
sensazione di
poter scappare… non so perché faccio questi
pensieri. Oggi ho la febbre e
quindi sto usando il flusso di coscienza, ma la mia coscienza
è ambigua. Me la
immagino come una vecchia stronza su una sedia a dondolo che fuma una
sigaretta
col bocchino lungo. La maggior parte del tempo sonnecchia, ogni tanto
si desta
e cerca di fare il punto della situazione, non capisce niente di
ciò che è
appena successo, quindi torna a dormire dopo aver blaterato qualcosa a
caso.
Non ci mise
tanto, forse meno di dieci minuti. In questo modo potrò
attendere un po’ più
tranquilla l’estate. Poi, prenderò un altro
appuntamento dal parrucchiere e
patti chiari amicizia lunga: vedi di tenere aperto quel cazzo di studio
o ti
vengo a prendere sotto casa.