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Autore: fiore di pesco    04/01/2024    2 recensioni
Vi propongo degli estratti dei miei pensieri più intimi, celata da un anonimato che dura da oltre un decennio.
Non è un testo delicato, non sono una persona eccessivamente sensibile e quindi potreste incappare in black humor, turpiloquio e considerazioni talvolta ciniche che potrebbero turbare i lettori più emotivi. Non voglio far finta che questo mi dolga, non sono mai stata ipocrita.
Potrete trovare capitoli composti da una vicenda che mi è successa di recente, altre molto lontane nel tempo, pensieri, aforismi, quello che mi va.
Alcune di queste riflessioni sono state scritte in bozze sul mio diario anni fa e non so perchè stasera abbia sentito l'esigenza di condividerle con qualcuno. Forse per strappare una risata o una imprecazione, ma sempre meglio della noia.
Questa "storia" è una raccolta disomogenea e non segue una trama, ogni capitolo è a sè e quindi non pubblicherò con scadenze, seguirà l'ispirazione.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oggi, a casa malata dopo aver contratto sfigatamente o, per meglio dire, dopo essere stata contagiata in maniera passivo aggressiva da una persona che consideravo amica, mi sono ritrovata a riflettere come al mio solito e, dato che non ho voglia di fumare per calmarmi, ho messo mano alla tastiera.

Due aforismi mi sono venuti in mente mentre osservavo il cielo terso e questo cavolo di sole che sembra non comprendere che siamo a gennaio, e non ad aprile. Così, ho intentato una riflessione e ne sono uscite più parole di quante ne avessi previste.

 

“Molti nemici, molto onore.” Frundsberg

 

“La bellezza si vede, il fascino si sente.” Roberto Gervaso

 

“Molti nemici, molto onore.” È una frase che è stata attribuita erroneamente a Benito Mussolini. Fu pronunciata da un generale tedesco, Frundsberg, cinque secoli fa.

Quanto c’è di vero in questa massima?

Dipende dal contesto, dalla persona in questione e da chi sono i suoi nemici.

Se qualcuno litiga con tutti perché è stronzo, non brilla certo d’onore. Se i nemici che si fa appartengono ad ogni classe sociale ed età e ce l’hanno con lui per i motivi più disparati, corrisponde più che altro al profilo di un attaccabrighe antisociale, non ad una figura onorevole.

Ultimamente ho avuto a che fare con un’amica, chiamiamola Toffa, che guarda caso litigava proprio con tutti. Incredibile come lei fosse sempre la vittima di tutte le zuffe. Siamo state amiche per qualche anno e non si era mai comportata così, quindi in principio credetti che aveva ragione.

Tutto partiva da momenti stazionari, in cui senza apparente motivo razionale (nella sua testa sembrava tutto logico) Toffa partiva all’attacco del malcapitato di turno e il cristiano della situazione doveva difendersi da accuse piovute a ciel sereno. Stava diventando surreale. A qualsiasi ora poteva arrivarmi un messaggio da parte sua in cui se la suonava e se la cantava, intonando l’urlo di battaglia ai sacri vincoli di sa il cazzo quale principio secondo cui la sua persona/carattere/regalo che aveva fatto/sentimenti/opinioni erano stati lesi dalla crudeltà del prossimo e lei se n’era dovuta ergere a paladina, sconfiggendo l’infido drago che tanto aveva ardito sfidarla subdolamente.

No, non sconfiggendo. Toffa non ha sconfitto un cazzo di nessuno. Tutte le diatribe avevano fine quando lei sanciva “e allora vattene per la tua strada”, che sarebbe un diplomatico vaffanculo. Ma in soldoni quello più felice era l’aggredito, che si liberava di una smerigliatrice ambulante di testicoli.

Dopo aver sancito l’addio, veniva a farmene un resoconto dettagliato. Io, sul lavoro (perché lavoro sempre, sempre lì sto, Santo…) visualizzavo il messaggio e in principio pensai che davvero stesse attraversando un periodo di sfiga. Capita a tutti di vivere intere settimane in cui frotte di sfrangipalle vengono a romperti le scatole, no? A me capita, inoltre più responsabilità pendono su di te, più rompicoglioni incontrerai.

Se esistesse l’assioma di Fiore di Pesco, sarebbe qualcosa di simile a questo:

La quantità di rompicoglioni che ti circonda è uguale e contraria alla dose di energia mentale che possiedi.

Così non notai subito che era lei a partire sempre per prima all’attacco, finché finalmente cominciò a balzarmi all’occhio che nella maggior parte dei conflitti, io stavo dalla parte dell’aggredito. Allora tentai di mettergliela giù senza ferirla troppo, spiegandole i punti relativi secondo cui se una tizia aveva deciso di lasciare il marito e si era già trovato un altro uomo, era suo diritto farlo.

Che cazzo c’entrava Toffa in tutto ciò?

“E ma povero Fabrizio, la amava tanto.” Ok, per l’amor di Dio, Fabrì ci dispiace, ma se dopo vent’anni di matrimonio Pancrazia non ti ama più e vuole il pesce d’un altro, che ci puoi fare? Meglio essere mollato piuttosto che abboffato di corna.

Ma no, Toffa non la pensava così. Veniva leso il sacro vincolo del matrimonio e dell’amore eterno. Divenne la protettrice di Fabrizio e andò contro all’amica Pancrazia.

A seconda delle situazioni, le reazioni che provocava potevano essere anche molto eclatanti. Finché la menava alla segretaria per non averle compilato la busta paga nel modo corretto, o scoppiava un litigio dal salumiere per chi era il primo della fila, tutto si risolveva con poco clamore. Ma nel caso di Fabrizio e Pancrazia, l’asse terrestre fu inclinato e da allora smise di nevicare. Pancrazia l’ha alzata di peso con tale forza che ho temuto di dover intervenire per sedarla prima che ammazzasse Toffa, e a buona ragione.

Ad ogni modo, mentre tutti festeggiavano il Natale e le vacanze invernali, io ho lavorato, stando a casa solo nei giorni delle effettive festività. Avevo poco tempo libero e quei radi momenti di pace preferisci impiegarli a fare ciò che ti piace. Toffa invece pretese da me il massimo coinvolgimento nelle sue diatribe perché lei, al contrario di me, stava a casa a grattarsela.

Dato che non ho problemi a delimitare i miei confini, le ho spiegato che durante il giorno sarei stata meno presente per il lavoro, ma il messaggio non venne recepito perché Toffa non voleva recepirlo. Arrivati al 30 dicembre, quando al 31 avremmo dovuto festeggiare Capodanno insieme, mi disse “visto che non rispondi mai ai messaggi, tanto vale che domani non vieni nemmeno. Dici sempre di essere stanca, fattelo a casa tua così ti riposi.”

Mi girarono vorticosamente i coglioni. Senza stare qui a spiegare che non è vero che non rispondevo ai messaggi (è che rispondevo solo di sera), ci fu un acceso diverbio, in cui le esposi le mie ragioni e le dissi che, in soldoni, aveva rotto i coglioni, e di farselo lei a casa da sola, che eventualmente io sarei andata da qualcun altro. Intervennero i pacieri di turno: i fidanzati.

Il di lei fidanzato “Oh ma cosa sta succedendo? Ma non dare retta a Toffa, che è in sindrome premestruale dal 97, vi ho invitati io, la casa è mia, siete miei ospiti.”

Il di me fidanzato “Oh ma dì a Toffa di non rompere i coglioni. Anzi, dammi il telefono che glielo dico io.” No, non gli ho lasciato il mio telefono e non ha potuto dirle niente. Tanto glielo avevo già detto io.

Toffa, dopo una conversazione col suo ragazzo che non mi è pervenuta, mi ha chiesto scusa per la sua reazione, giustificandosi col fatto che è un periodo brutto, tutti le fanno torti e bla bla. Ho accettato le scuse, perché comunque eravamo amiche da tanto, ci volevamo bene e balle varie. Però io me le lego al dito e dallo scoppio della prima bomba attendo segnali di altre eventuali red flags che potrebbero indicare la rottura dell’armistizio.

Ho festeggiato il capodanno con lo stomaco un po’ in subbuglio, spettatrice di un atteggiamento lievemente passivo aggressivo da parte di Toffa, che lei potrebbe credere di aver camuffato egregiamente, ma io non sono nata ieri. Poco dopo la mezzanotte ho levato le tende perché aveva voluto mettere un film che aveva disgustato tutti. Eravamo in quattro e piaceva solo a lei. Tra i conati di vomito del mio fidanzato e le bestemmie masticate dal suo, alla fine riuscii a fuggire ai titoli di coda. Ci ha disgustati al punto che ci siamo scordati che fosse capodanno e non abbiamo nemmeno fatto il conto alla rovescia…

Dato che i successivi giorni passarono abbastanza pacifici, credetti ingenuamente che il nervosismo le fosse passato. Purtroppo riemerse dopo che le dissi (dopo 48 ore dalla cena) di avere mal di gola. Si scoprì che lei era positiva al covid e che se n’era bellamente sbattuta. In realtà non proprio, disse che si era fatta un test la sera del 31, ma essendo negativo, non aveva ritenuto di avvisarci, nonostante sapesse che in questo periodo non posso assolutamente ammalarmi. Peccato che l’1 rifece il test e risultò positivo. A quel punto me ne uscii con una colorata imprecazione, non credo di dovervi spiegare il perché, e lei rispose candidamente “allora ognuno per la sua strada.”

E a quel punto ce l’ho mandata io. A fanculo, sul serio.

Dal basso del mio stato febbrile e nevrotico, con cui in questi giorni ho letto e scritto un sacco, mi è tornato in mano uno dei tomi a cui sono più affezionata: l’Arte della Guerra, Sun Tzu.

Il vecchio zio Sun mi ha fatto riflettere con alcune delle sue massime, tra le quali:

Se ti difendi, sei più forte. Se attacchi, sei più debole.

Non agire in assenza di vantaggi.

Non combattere in assenza di pericolo.

Non scatenare una guerra per sfogare la tua ira.

Non dare battaglia per il tuo rancore.

Toffa non ne ha centrata una, cazzarola… quindi tanti nemici = tanto onore? Mah… se sei Toffa, no.

 

 

“La bellezza si vede, il fascino si sente.” Disse Roberto Gervaso, aforista, scrittore e giornalista italiano che è passato a miglior vita qualche anno fa.

Sarò sorda e cieca, perché vedo distorto e non sento particolare fascino provenire da alcunché, di recente. No, questo non è totalmente vero. Nelle ultime settimane ho trovato conforto solo nella lettura/scrittura.

Ma la bellezza… niente, faccio ancora un po’ fatica a riconoscerla. Non sono passati troppi giorni da quando una mia amica mi ha girato delle foto di ragazzi (perché, poi?) con un modo di fare che mi ha ricordato molto i ragazzini delle medie che si scambiavano i giornaletti di Playboy.

Un po’ incerta sul da farsi, le ho mandato delle faccine che ridono. Quelle vanno sempre bene, quando non hai idea di che rispondere. Non era il mio giorno fortunato.

“Che ne pensi? :D”

“In che senso?”

“Eh, sono fighi o no?”

Oh merda… e adesso che le rispondo? Non me ne piace mezzo… cos’è questo odore? Disagio, sei tu? “Beh stanno bene… direi sì, rispecchiano tutti gli standard dei canoni estetici attuali.”

“-.- quanto trasporto! Non ti sforzare troppo che ti vengono le emorroidi, eh…”

Ecco, questa è una tipica conversazione che intercorre tra me e una mia amica quando mi fa vedere un ragazzo che le piace. Per l’amor del cielo, anche io ho dei gusti, ma non corrispondono quasi mai ai prototipi delle mie coetanee… Il fatto è che riesco ad essere coinvolta anche se la persona non è particolarmente attraente secondo i miei standard, come se bellezza e attrazione viaggiassero su due binari distinti.

È un tratto che ho sempre saputo di avere, di cui me ne sono sbattuta parecchio perché sembrava un problema più per gli altri che per me, e che ha trovato una sorta di risposta solo qualche anno fa, quando mi hanno detto Asperger, ma non grave… una tendenza… un alone… c’è uno spiffero di… sì insomma, sei vecchia e adesso si fa fatica a capirlo, però è sicuro che ti sei persa un lunedì per strada. Forse anche un martedì.

Da lì ho compreso che c’era un perché dietro a certi ragionamenti e mancanze comunicative. Ho cominciato ad interessarmi alla questione comunicazione, perché sono sensibile a lacune di questo genere. Ho letto un fottio di libri di comunicazione, psicologia, PNL, microespressioni… e per assurdo nella programmazione neurolinguistica viene sancito che se il contenuto del messaggio non è stato compreso dal destinatario, è colpa del mittente che non si è espresso nel modo migliore. Cordialmente dissento. Toffa, più su, è il classico esempio di chi non vuole capire, mentre nel mio caso era chiaramente il contrario, ma vabbè. Adesso fisso la gente per capire che cosa vogliano di preciso quando mi parla. Prima passavo per stronza, ora ho sbloccato il livello stronza e inquietante. Continua a non fregarmene niente, il che è fantastico.

Il senso dell’umorismo è stato qualcosa di molto particolare. Prima del totale sviluppo del senso dell’astrazione, è stato difficilissimo capire che cazzo volessero dire alcuni comici, soprattutto le vignette che giravano sui giornali negli anni 90-00. Alcune non le capisco ancora adesso, ma ciò che nessuno ha dovuto insegnarmi è il black humor. Quello l’ho sempre capito. Le cose più divertenti con cui mi sono dilettata da ragazza sono i Darwin Awards (quante risate con quelli…) e gli epitaffi comici, che vanno dalla tomba dell’ipocondriaco (Milligan) “ve l’avevo detto, che non mi sentivo bene!” a un altro (Fusaro) “ho smesso di fumare” oppure (Chiari) “è solo sonno arretrato”. Ste cose mi fanno troppo ridere. A volte rido anche davanti ad immagini che dovrebbero turbare… ridere davanti ai film horror non è sintomo di grande salute mentale e a volte mi è stato fatto notare, con quell’aria un po’ tra il confuso e il preoccupato, come se la cosa da temere non fosse più nello schermo, ma seduta di fianco a te. Eh, oh… amen.

Insomma, quando due settimane fa mi lavai i capelli che arrivavano ormai al fondoschiena (non per colpa mia, ma tra poco ci arrivo), mi sono girate le palle ad una certa intensità perché stavo fonando da venti minuti e ancora erano bagnati. Ho preso la forbice e zac, senza guardare. Via fino alle spalle.

Ho letto su un sacco di libri il valore dei capelli per la psiche umana. Nell’inconscio, per gli uomini rappresentano la virilità, per le donne la bellezza e la femminilità. Nel mio, una rottura di coglioni.

Per questo motivo i nativi americani facevano lo scalpo ai nemici, per questo per umiliare una donna le si tagliano i capelli corti, per questo alcuni uomini vivono la perdita dei capelli come un danneggiamento della propria personalità… e io li ho tagliati per un moto improvviso di rabbia, senza dispiacere.

In passato mia madre mi fece tagliare i capelli in uno dei suoi deliri narcisistici e ricordo di essere rimasta sconvolta. Crescendo ho capito che era sofferenza legata più che altro all’immagine che avevo di me, all’abitudine che avevo di portare i capelli lunghi, un pezzo della mia persona, ma riflettendoci non credo riguardasse concetti archetipici della chioma femminile. Se lo era, non so cosa sia cambiato da qui ad allora.

Guardai il mio riflesso allo specchio e fissandomi pensai “la mia immagine ne è stata lesa? Ero più bella prima?”. Meditandoci su ho pensato che, dato che la bellezza si basa concettualmente su principi simmetrici, il taglio obliquo che portavo rasentava tutto fuorché beltà.

Chiamai il mio compagno e gli chiesi di aggiustarli un po’.

“Ma che cazzo hai fatto?!” era atterrito.

“Non si asciugavano più, mi sono rotta le palle.”

“Ma esiste il parrucchiere!”

Il mio parrucchiere è uno stronzo. La mia vita si alterna tra ufficio-casa-scuola-supermercato il sabato pomeriggio e ricomincia da capo. Quindi, quando avevo ritagliato appositamente un giorno di permesso con l’obiettivo di andare a tagliare i capelli dopo quasi due anni che non andavo dal parrucchiere, lo avevo avvertito con tre mesi di anticipo.

“Tienimi l’appuntamento per quel giorno, ok? Mi raccomando: ho solo quel giorno!” perché in realtà ho un po’ la fobia del contatto (tranne quando il contatto è a fini sessuali, non so perché, ma se non dobbiamo fare niente, non mi devi toccare) e quindi vado a farli solo da lui, che ha lavorato per la televisione, è un genio nel suo lavoro e un taglio costa il quintuplo, ma non mi interessa.

E lui cosa ha pensato di fare?! “Oh, scusa, per mercoledì dobbiamo annullare… ho deciso di prolungare le mie ferie, quindi lo studio resterà chiuso.”

Ho sclerato malissimo. Mi sono tenuta i capelli lunghi per altri tre mesi, finché non ho sclerato ancora peggio e la forbice si trovava molto vicina a me mentre tutte le persone di buon senso erano lontane.

“Non so farlo…” farfugliò il mio fidanzato.

“Provaci, che ci vuole? Vai a occhio, tanto li tengo sempre legati, manco si noterà.”

“No… mi fa impressione.”

Ma cosa vuol dire che ti fa impressione? Sono capelli, cheratina, pure lavati, che cosa ti turba? Era il concetto di tagliarmi i capelli, a fare contatto nella sua testa. Sembrava che lo stessi costringendo ad una violenza fisica, non che dovesse tagliarmi qualche pelo. Non ho resistito e l’ho preso in giro. Si è perfino offeso, povero. No, non è vero, non mi è dispiaciuto davvero, ma anche lui stava un po’ recitando sulla permalosità solo per farsi coccolare. È che ho letto che quando si fa qualcosa che non è socialmente accettato, puoi recuperare subito punti dicendo “Scusa/scherzavo/era una battuta/non prendertela/non volevo offenderti/intendevo altro”, ma qui potete anche mettermi alla gogna.

Dunque il giorno dopo andai al lavoro come sempre, con i capelli legati. Nessuno notò nulla anche perché figurarsi, sono circondata da maschi. Gli uomini, sotto questo punto di vista, sono meglio. Si fanno i fatti loro, non strepitano se ti vedono una macchietta sulla camicia: sanno che è capitato per sbaglio e non te la menano. Però il mio fidanzato era rimasto turbato, quindi forse meglio nasconderlo… poi ho visto lei, la mia assistente.

Si può considerare abuso di personale? Non lo so, per sicurezza gliel’ho chiesto. Lei è più piccola di me, ma non è stupida né è una persona irrazionale. Non è la tipa che andrebbe a parlarti male alle spalle e poi ormai mi conosce… però ha strabuzzato gli occhi e non riuscivo a capire se fosse particolarmente stupita ed emozionata o terrorizzata.

“Mi daresti un’aggiustata ai capelli? Li ho tagliati male e adesso sono asimmetrici.”

Era estasiata: nessuno glielo aveva mai proposto in 25 anni. “Sì, ma io non l’ho mai fatto prima… non so se verrà bene…”

“Guarda, basta che non sembri una derubata in un vicolo di notte. Peggio di quello che ho fatto io, non puoi fare.”

Così siamo andate nel bagnetto dell’ufficio e ho chiuso la porta, non a chiave però, perché non mi sembrava il caso di sigillarci lì dentro… già l’avevo sequestrata in uno spazio angusto con un paio di forbici acuminate, almeno la sensazione di poter scappare… non so perché faccio questi pensieri. Oggi ho la febbre e quindi sto usando il flusso di coscienza, ma la mia coscienza è ambigua. Me la immagino come una vecchia stronza su una sedia a dondolo che fuma una sigaretta col bocchino lungo. La maggior parte del tempo sonnecchia, ogni tanto si desta e cerca di fare il punto della situazione, non capisce niente di ciò che è appena successo, quindi torna a dormire dopo aver blaterato qualcosa a caso.

Non ci mise tanto, forse meno di dieci minuti. In questo modo potrò attendere un po’ più tranquilla l’estate. Poi, prenderò un altro appuntamento dal parrucchiere e patti chiari amicizia lunga: vedi di tenere aperto quel cazzo di studio o ti vengo a prendere sotto casa.

  
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