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Autore: AncientDust    05/01/2024    6 recensioni
"Per iniziare, ogni partita necessita che i pezzi vengano disposti sulla scacchiera. I bianchi da un lato, i neri dall’altro. I bianchi muovono per primi."
.
"Spesso si dice che le cose vanno come devono andare. Che seguono un'immateriale volontà superiore. Eppure questa è solo una parte della verità. Una pennellata, un ritocco sporadico nel complesso dipinto dell'universo; un piccolo aggiustamento strategico sulla scacchiera del mondo."
.
Crowley e Aziraphale fanno i conti con le loro scelte, mentre il mondo si prepara al Secondo Avvento.
Tentativo parecchio personale, e decisamente più drammatico, di proseguire la storia da dove si è interrotta, immaginando la trama di un'eventuale terza stagione.
[spoiler seconda stagione / tematiche delicate]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Parte VIII

 

 

 

- Aprile -

 

 

L'aria era fresca e profumata quella mattina, e un bel sole si affacciava sul cortile del chiostro.

Eleonora canticchiava placida, seduta su un muretto sotto gli archi del portico. Davanti a lei il piccolo prato, che, a dispetto dell'incuria, era sempre più rigoglioso e punteggiato dai colori vivaci dei fiori spontanei.

Aziraphale apprezzava le visite al monastero, soprattutto ora che si erano fatte frequenti, dato l'approssimarsi del momento della nascita. Al principio pensava che fosse merito dell’inizio della primavera, ma la verità era che quando andava a trovare quella ragazza si sentiva meno solo, malgrado le conversazioni non fossero proprio del tipo convenzionale.

Ma il poter parlare con qualcuno, senza dover fingere o dissimulare, era diventato un piacevole spiraglio di sollievo, in quel groviglio di angosce e doveri che lo attanagliava. Una parvenza di tranquillità, spettro di quella passata negli anni alla libreria, che gli era mancata molto più di quanto volesse ammettere.

E, forse, era anche per questo che aveva continuato ad occuparsi di lei personalmente e quasi in esclusiva, sebbene questo gli comportasse molto più lavoro; la ricerca, infatti, non si era fermata. La motivazione ufficiale che aveva addotto ai Piani Alti, tuttavia, era che non desiderava turbarla più del dovuto, con della confusione o altri volti nuovi, data la sua già delicata condizione mentale. Almeno finché non vi fosse una chiara certezza sul suo ruolo.

Non una menzogna comunque, semmai una parziale verità. Considerando che non aveva ancora compreso cosa la turbasse e cosa no. Quella ragazza sembrava solo costantemente persa; fluttuante fra la realtà e una dimensione invisibile e misteriosa, irraggiungibile per chiunque altro.

Aziraphale la osservò attraverso le arcate inondate di sole, mentre superava con gli ultimi passi l’angolo del portico che li divideva. Era del tutto assorta a tormentare qualcosa fra le mani; le gambe che ciondolavano al ritmo del motivetto canticchiato a labbra chiuse. Sotto i suoi piedi, tra i fili d’erba, brillavano dei riflessi dorati.

«Come va oggi, mia cara?» chiese, prima di accomodarsi anche lui sul muretto.

Lei non rispose. Non rispondeva mai a quel genere di domande. Ma, per qualche motivo, ad Aziraphale risultava difficile saltare la parte dei convenevoli in una conversazione. Fu però in grado, ora, di riconoscere l’oggetto a cui lei stava dedicando tante attenzioni. Era una piccola colomba bianca; una statuina, probabile residuo delle decorazioni di Pasqua, circondata da quel che rimaneva di una raggiera di punte dorate. La ragazza ne stringeva e torceva il profilo tra le dita, finché, con uno scatto deciso, uno dei raggi non si staccò dalla schiena della colomba, per poi scivolare giù sul prato, fra altri a cui era toccata la stessa sorte.

Aziraphale corrugò le sopracciglia, e un solco di contrariata perplessità si fece strada sulla sua fronte. Era ormai abbastanza abituato a quel tipo di stranezze da parte sua, ma questa forse sforava un po’ troppo nello sconveniente.

«Oh, cara. Posso chiedere perché lo stai facendo?»

Eleonora interruppe la sua litania solitaria, ma non si scompose, né si distrasse dalla sua occupazione. «Devo liberarla.» disse, come se fosse la risposta ovvia ad una domanda del tutto sciocca, «Non può mica riuscire a volare così.»

E, in effetti, il ragionamento non faceva una piega, se si trascurava giusto la mancanza di qualche altro dettaglio essenziale. Come, ad esempio, delle ali funzionanti.

Un nuovo impietoso scatto di plastica spezzata e un’altra punta rotolò via, baluginando appena d’oro sotto i raggi del sole. Aziraphale sospirò, trattenendo fra sé una risatina scoraggiata. Non era certo considerabile convenzionale che la futura nuova Madre di Dio passasse la mattinata a spennacchiare l’aureola di una colomba pasquale. Ma, del resto, non erano molte le cose realmente convenzionali che aveva visto succedere in seimila anni sulla Terra. Anche senza contare di essere stato testimone del piccolo Anticristo che rinnegava il suo satanico Padre.

Pensò tuttavia, con amarezza, che c’era qualcun altro che avrebbe di sicuro trovato ironica la faccenda, e che ne avrebbe riso lautamente, snudando il ghigno appuntito, in quel suo modo amichevolmente malevolo che Aziraphale aveva sempre finto di non apprezzare.

Intrecciò le mani in grembo, un po’ avvilito, occhieggiando verso il cortile, mentre altri secchi scricchiolii di quell’aureola martoriata giungevano alle sue orecchie. Nel prato, alcuni steli di bulbocastano e di gramigna si piegarono placidi ad un alito di vento. E una delle punte dorate cadde proprio vicino ai suoi piedi. Lui la raccolse e la osservò, rigirandola piano fra le dita, come in passato usava fare con le monete, e un inatteso velo di nostalgia gli annebbiò la vista.

«Sai, fino a qualche tempo fa, mi piaceva fare giochi di magia. Prestidigitazione. Con monete e altri piccoli oggetti come questo.» disse, dando voce ai pensieri, con un accenno di malinconico orgoglio che gli gonfiava il petto. «Facevo trucchi con le carte, con i fazzoletti, e persino cose più pericolose come la “Cattura del proiettile”. Anche se in quel caso con, uhm… diciamo una speciale assistenza esterna.»

Schiarì la gola, le mani che ora si stringevano al tessuto dell’abito attorno alle ginocchia, e la vista che vagava, fra i colori accesi del prato e quelli più sbiaditi della memoria. 

«Sapevo anche far comparire una colomba dal cappello; una di quelle vere.» ci tenne a precisare, accennando alla statuina, e il labbro gli si piegò in una smorfia. «Beh, in verità c’è stata una volta in cui per la colomba non è andata troppo bene.», rise appena, imbarazzato, al ricordo di quel povero volatile schiacciato nella manica della sua giacca, «Niente di irreparabile, comunque.» si affrettò ad aggiungere.

Non sapeva per quale motivo gli stessero tornando in mente quelle cose, né perché ne stesse parlando. Ma la ragazza sembrò interessata; tanto da sospendere la mutilazione della malcapitata miniatura e spostare lo sguardo verso di lui. Un paio di stralunati occhi castani che lo fissavano, in attesa. Pieni della stessa aspettativa pressante – e vagamente intimidatoria – che Aziraphale prima di allora aveva visto assumere solo ai bambini.

«V-vuoi… vuoi che ti mostri un piccolo trucco?»

Lei non disse nulla, ma tenne gli occhi attenti inchiodati su di lui. Cosa che Aziraphale decise di interpretare come una probabile risposta affermativa.

«Ehm, molto bene.»

Si schiarì di nuovo la voce, cercando di assumere la degna solennità che la professione del mago esigeva, e mostrò il sottile raggio dorato con un gesto teatrale. Sperando, dentro di lui, di non essere troppo arrugginito, mentre lo nascondeva chiudendolo fra le dita.

«Vedi, il segreto sta tutto nelle parole magiche.» sussurrò, muovendo una mano sull’altra a simulare un incantesimo. «Ora l’oggetto c’è, ma basta dire: banana, pesce, gorilla, stringa, giusto un tocco di noce moscata e…» congiunse appena le mani, facendolo scivolare in quella opposta, e occultandolo dietro l’indice. Poi soffiò sul pugno chiuso e, srotolando piano le dita, lo aprì di nuovo.

«…sparito!» ammiccò, mentre la ragazza scrutava incantata il palmo vuoto. Di certo, era il pubblico più appassionato che avesse mai avuto. «E adesso dove sarà andato a finire?»

Aziraphale finse di guardarsi intorno dubbioso, giusto per qualche momento, poi sollevò le sopracciglia, «Oh, ma guarda un po’!»

Le accostò la mano all’orecchio e, con un rapido guizzo delle dita, ritirò fuori il piccolo raggio, che brillò placido alla luce, “magicamente” ricomparso. E non fu l’unico a brillare, perché gli occhi della ragazza si erano fatti più grandi, e un sorriso si era aperto al di sotto.

E anche Aziraphale sorrise; per la prima volta da diverso tempo, una gioia che sentì vera. Ampia sul viso e calda nel petto.

Era un angelo, certo, e in quanto tale poteva fare davvero della magia, ma per assurdo i miracoli non gli avevano mai dato la stessa soddisfazione di un gioco di prestigio ben eseguito.

Erano un qualcosa di fuori dal mondo e, in qualche modo, sembravano meno reali; facendo sentire anche lui meno reale e fuori dal mondo. Un estraneo, solo un visitatore che si è intrattenuto troppo a lungo, quando invece di quel mondo gli sarebbe piaciuto farne parte.

Proprio come era stato quella volta nel ’41, su quel palco del West End; quando, stretto fra la paura e l’emozione, con dei baffi disegnati e un mantello scadente, per un po’ era stato solo Mr. Fell.

Il Meraviglioso Mr. Fell.

Un mago come tanti, in piedi, ansioso e con le mani sudate, di fronte al suo pubblico. Solo un’anima come tante, che tentava di sfuggire al grigiore alla guerra, e un cuore di libraio, grato che i suoi libri fossero stati salvati.

Non un angelo, non un Principato. Niente Inferno, né Paradiso; fazioni o ostilità. Solo un aspirante prestigiatore e il suo assistente. Un amico che ricambia un favore ricevuto.

E, per un momento, si chiese come sarebbe potuto essere vivere una vita così, colma delle possibilità dell’umano libero arbitrio; di poter decidere sul serio. Fuori dalle giurisdizioni angeliche, fuori dai doveri. Qualcosa su cui, in realtà, non aveva mai veramente osato riflettere prima.

Poi si sentì tirare una manica.

Eleonora era tornata seria, anche se l’ombra del sorriso di prima ancora le sopravviveva negli occhi; la piccola colomba stretta in mano, ormai spogliata di tutte le punte di plastica dorata che erano state dell’aureola.

«Vieni. Adesso dobbiamo farla volare.» dichiarò, con l’autorità e il cipiglio di un maggiore dell’aeronautica, e scese dal muretto, trotterellando nel prato un po’ impacciata dall’ingombro della pancia e stringendosi in un cardigan color crema, le cui estremità ormai non riuscivano più a chiudersi.

Aziraphale, le andò dietro, nel timore di vederla inciampare. Lei però raggiunse senza problemi il piccolo pozzo chiuso al centro del chiostro, a passi decisi nell’erba. Poggiò la statuina sul bordo e restò in attesa, ad osservare. Sembrava davvero aspettarsi di vederla volare via da un momento all’altro.

«Cara…» esordì rammaricato Aziraphale quando l’ebbe raggiunta, frugando tra le parole in cerca di quelle giuste da dire, «Temo che, ecco, averla “liberata” potrebbe non essere sufficiente.»

Nonostante tutto, non ebbe cuore di far presente l’ovvio, ovvero che una colomba finta difficilmente sarebbe stata in grado di spiccare il volo in autonomia. Almeno, non senza l’intervento di un miracolo.

«Magari, potrei darle un piccolo aiuto.» propose, già pronto a schioccare le dita. Esaudire i capricci forse non rientrava del tutto nei suoi doveri di custodia, ma, in fondo, non ci trovava nulla di male.

L’intento venne tuttavia bloccato sul nascere, da un perentorio diniego.

«Niente magia.» dichiarò lei, scuotendo la testa, «Deve solo volerlo

Aziraphale si irrigidì. La mano che aveva sollevato tremò appena, e tornò in basso, a stringere una piega dell’abito.  

Volere qualcosa non basta per ottenerla.

Fu questo il primo pensiero che lo attraversò, mentre la gola gli si stringeva di amarezza. E, insieme, il penoso ricordo di un paio di lenti scure, inforcate su un naso adunco. Un muro di vetro freddo, innalzato per l’ultima volta, a nascondere uno sguardo che forse non avrebbe più rivisto; ad allontanare una presenza che non lo avrebbe più accompagnato, e un legame che non avrebbe più condiviso. E poi la mente vagò su Soho, sulla libreria, e su tutto quello che gli mancava di quei giorni, e che avrebbe così tanto rivoluto indietro.

Volere qualcosa non basta, si ripeté.

Ma non disse nulla, ricacciando come sempre indietro quei pensieri; vergognandosi di quei desideri, e di quella negatività che non era da lui. Un atteggiamento così poco da angelo, e ancor meno da Arcangelo; che per definizione dovrebbe essere saldo, positivo. Da cui ci si aspetterebbe fede incrollabile e fiducia. Che dovrebbe essere una guida.

Eppure, non si era mai sentito così perso da quando era salito su quell’ascensore. E la sua fiducia vacillava sempre più spesso, rimpiazzata da un vuoto che si allargava un po’ ogni giorno. Accanto a lui, la ragazza sospirò, rivolgendogli un’espressione grave, quasi triste.

«Credevo fosse pronta, ma non è così. Vero, Aziraphale?», sussurrò, «Non ancora.»

E Aziraphale si chiese se stessero ancora parlando della stessa cosa, mentre quegli occhi lo fissavano in un giudizio severo, che fece fatica a sostenere. Come due voragini spalancate sulle profondità della terra, che scrutavano oltre ombre e pensieri. E gli sembrò di essere spogliato di tutto; nudo e inerme, come al principio. Un’essenza esposta al vento, con tutte le sue mancanze.

Ma fu solo la sensazione di un momento, un brivido lungo la schiena, che se ne andò proprio com’era venuto, placandosi insieme a quello sguardo castano già tornato limpido e svagato.

«Ti va di raccogliere dei fiori?» cinguettò allora la ragazza. E, come se niente fosse stato, si allontanò di nuovo nel prato, abbassandosi con qualche difficoltà per cogliere un paio di margherite.

Aziraphale era rimasto fermo, con le mani strette alla stoffa e la schiena rigida; stordito da un assurdo connubio di spavento e conforto, che gli aveva asciugato la lingua e reso molli le ginocchia. Incapace di spiegarsi ciò che era appena accaduto.

Si mosse, come un sonnambulo, solo per aiutarla a rialzarsi, e vedersi consegnare un disordinato mazzolino di tarassaco, dai petali giallo acceso.

«Vieni.» lo invitò, per la seconda volta in quella mattinata; e lui si lasciò condurre, seguendola fino all’angolo del chiostro dove il muro pericolante era sorretto dalle impalcature. Dietro un piccolo cespuglio di ortica, su un lettino di fiori un po’ appassiti, c’era una bambola di pezza; una di quelle fatte a mano, con i capelli lana intrecciata. Sugli occhi di bottoni, due azzurri fiorellini di veronica.

Eleonora si inginocchiò per posare il mazzolino di margherite lì accanto, e lo esortò a fare lo stesso con il suo.

«Cosa…» provò Aziraphale, ma la domanda gli terminò in gola quando si rese conto di non sapere, in tutta onestà, cosa chiedere. Si abbassò, titubante; non del tutto sicuro di voler assecondare anche questa nuova fantasia, nel bilancio di una mattinata che già stava prendendo una piega più bizzarra del solito. Ma lasciò comunque a terra i fiori.

Lei aggiustò il giaciglio che accoglieva la bambola, togliendo qualche petalo appassito, e spostando una chiocciola che stava banchettando con una foglia.

«L'ha punta un'ape, sai? Un’ape viola.» disse, con il solito tono monocorde, indicando la bambola, «E ora è morta.»

«Oh, mi… dispiace tanto.» si corrucciò Aziraphale. Malgrado l’assurdità della situazione, un velo di tristezza lo aveva colto a quelle parole; e anche una punta di timore. «È qualcosa che hai sognato?» chiese.

Si rivolse alla ragazza, che accennò prima un piccolo diniego a testa bassa, per poi annuire, in silenzio; gli occhi sempre fissi in contemplazione di quel capezzale fiorito. E una brutta sensazione lo colse; il dubbio che questa volta non fosse un semplice gioco. Che lei stesse cercando di comunicare qualcosa; una disgrazia già avvenuta o imminente, che forse poteva essere evitata. Se solo fosse riuscito a capire.

«Qualcuno è in pericolo, cara?»

Non ottenne risposta. Solo il sommesso mugolio di una canzone canticchiata, dal motivo familiare. E Aziraphale sospirò di frustrazione, mentre la ragazza prendeva da terra una margherita, iniziando a toglierne i petali uno a uno; apparentemente già dimentica della conversazione in corso.

«Eleonora, tesoro, se è successo qualcosa è importante che tu me lo dica.» la incalzò, cercando di mantenere un tono saldo e pacato, il più possibile rassicurante; che fu però subito tradito da un improvviso moto di consapevolezza. Erano in un prato, dopotutto.

Prese quindi a scrutare con ansietà – e forse scioccamente – le piccole api che si spostavano placide tra i fiori, pronto a scovare una qualche minaccia. Ma nessuna di esse sembrava esulare dal canonico motivo a righe gialle e nere, né pareva interessarsi alla loro presenza. Si limitavano a spostarsi da una corolla all’altra, pesanti di polline. Aziraphale saggiò l’aria, e non percepì che gli odori freschi e pungenti della primavera; niente che tradisse la presenza di demoni nelle vicinanze.

Forse non era davvero altro che una sciocchezza, un eccesso di preoccupazione, ma non riuscì comunque a sentirsi tranquillo. Le sfiorò la spalla, nel tentativo di riottenere la sua attenzione.

«È qualcuno che conosci? Del monastero, o del paese?»

E la ragazza si bloccò. Smise di canticchiare e alzò la testa, premendo di nuovo lo sguardo su di lui. Cupo e severo; insostenibile, come quello che gli aveva rivolto accanto al pozzo, poco prima, e che sembrava quasi non appartenerle.

«Io conosco tutti.» disse. E gli lasciò fra le mani i resti della margherita, con solo due petali rimasti ai fianchi opposti del capolino. «Fai tante domande, Aziraphale, ma non chiedi mai ciò che vorresti sapere davvero.»

«Cosa? Io n-non…» balbettò lui, sopraffatto dalla confusione. Allentò il collarino della talare, rendendosi conto d’improvviso quanto lo sentisse stretto, con il bordo rigido che segnava la pelle.

In effetti, non lo sopportava. Come non tollerava più quell’oppressione che gli strisciava addosso da mesi e il freddo che si insinuava nelle crepe delle sue convinzioni; e quella mancanza che sentiva sempre e che, piano, lo consumava. E, nella foschia dei propri pensieri, si sentì perso.

«I-io… vorrei sapere cosa fare.» sussurrò.

La ragazza sembrò raddolcirsi. Scosse la testa e sorrise, poggiando le mani sulle sue. «Non sono io a dovertelo dire, non credi? Sei un angelo, dopotutto.»

E Aziraphale si chiese, in quel caos che lo trascinava, se quelle parole fossero o meno un rimprovero.

«Ho sbagliato… sono sbagliato, vero? Cadrò, come è successo agli altri.» farfugliò, con gli occhi che pizzicavano di lacrime.

«A volte cadere è solo un altro modo per salire.»

Aziraphale la guardò senza capire. Senza sapere perché avesse dato voce a quell’incertezza, né perché si sentisse tanto esposto e disorientato. Nulla aveva più senso, nemmeno il prato o la terra sotto i suoi piedi. E, per un attimo, gli sembrò di essere sospeso. Poi il cortile tornò a ridefinire i propri contorni. Il tepore della primavera accarezzava le guance e i fiori dondolavano placidi. Solo profumi accesi e ronzii delicati; un piccolo giardino in cui la natura si stiracchiava sotto il sole.

Eleonora lo scrutava ancora, ma con aria diversa, vagamente interrogativa; come se fosse confusa quanto lui. Considerò con una punta di delusione le sue mani vuote, poi si volse appena e colse un’altra margherita, ricominciando a canticchiare, mentre ne staccava un petalo dopo l’altro.

«… Everyday, it’s a gettin’ closer… »

 

 

 

 

***

 

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NOTE DELL’AUTRICE:

Salve, salve.

Ebbene, la lentezza nello scrivere mi contraddistingue sempre. Complici speciali le feste, la salute che non collabora e un capitolo che da breve siparietto (quale doveva essere) è degenerato in una roba di troppe pagine. Ma tant'è.

Inoltre Aziraphale è abbastanza estenuante da caratterizzare, molto più contorto e rigido di Crowley, e che perciò mi richiede sempre un'attenzione speciale nel costruire ogni riga e renderne coerente l'evoluzione. Altrettanto si può dire del personaggio di Eleonora, che è un po' l'elemento imprevedibile e sovrannaturale. Lascio a voi le conclusioni e le opinioni, comunque.

In ogni caso, spero di non aver deluso e di non avervi reso troppo confusi, ma invece un po' curiosi, del delirio che si prospetta. Mi piacciono i simbolismi, perciò sappiate che nemmeno i fiori sono messi a caso.

Il prossimo capitolo è già in stesura, ma è forse il più lungo che ho mai tirato fuori, perciò ci sarà da attendere. Per il resto vi ringrazio dei bei commenti e dei feedback che mi scaldano sempre il cuoricino, o semplicemente di essere passati a leggere. Alla prossima! ✨

   
 
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