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Autore: Giglian    05/01/2024    2 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
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Eccoci qui!
Piccolo riassunto della puntata precedente: Dopo il disastro alla Strigora, - dove Remus ha dovuto scendere a patti e partecipare a una gara di bevute che aveva in palio il diventare un lacché di una delle signorine invitate a Villa Malfoy e dove Tonks ha partecipato per il motivo opposto, ovvero salvarlo dalle grinfie di Paige e far sì che fosse lei quella che il nostro lupetto avrebbe accompagnato, i nostri Marauders sono finalmente riusciti a riavere indietro James, che era stato stregato da Liu Chan con il Liber Obstaret Conscientiam, l’Elisir delle Inibizioni , imbevuto di rosa dell’oblio.
Nel frattempo, vediamo la nostra Lily perseguitata da una strana presenza negli specchi e un misterioso personaggio che sembra avere a che fare col passato di Sirius…
Piccola nota prima di cominciare: alcuni estratti del capitolo sono tratti dal libro Scholomance.
E dato che ho deciso di inserire una Fanart dedicata alla storia ad ogni capitolo, ecco qui la nostra bella LIly!



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Dire che la tenuta dei Malfoy era leziosa era quasi un diminutivo.
Remus Lupin si strinse nelle braccia, alzandosi il bavero del cappotto di pelle di drago che non riusciva a coprirlo a sufficienza dagli spifferi freddi di quella mattina di marzo.
Di solito non aveva quasi mai freddo, ma lì… su quel vialetto così ordinatamente potato…
Sospirò, guardando mogio la grande villa rinascimentale a ferro di cavallo che si stagliava davanti a loro. Era la classica villa di chi ha un mucchio di soldi e poca fantasia: due piani, finestre coperte da tende di lino, una loggia centrale illuminata di luci di fata infilate in grandi bouquet di narcisi e tulipani, un quartetto d’archi magico che si suonava da solo e fontanelle sovrastate da orrendi putti di marmo che si pavoneggiavano malevoli sui loro piedistalli.
E naturalmente, un interminabile vicolo di ingresso davanti al quale il paggio li aveva bellamente sloggiati dalla carrozza senza degnarsi di dire una parola!
Erano rimasti lì impalati per qualche minuto senza sapere bene cosa fare ma, non vedendo nessuno, si erano rassegnati a prendere i piccoli bagagli e farsela a piedi. Probabilmente era una stupida mossa dei Malfoy per obbligare gli ospiti a notare ogni singolo dettaglio di tutto quel lusso.
In effetti, tutto lì era immenso e opulento compreso il giardino, protetto da un altissimo cancello in ferro, da una cintura di piante profumate e disseminato di meticolosi parterres di fiori.
Eppure, nonostante la nevrotica cura dei giardinieri, niente lì sembrava avere colore.
Tranne lei.
I suoi capelli rosa e i suoi vestiti color giallo e fiordaliso netti contro la monocromia.
Remus guardò Tonks di sottecchi per la millesima volta. Non si erano quasi rivolti parola per tutto il viaggio.
I suoi occhi acquamarina fissavano ciò che avevano davanti con una determinazione che rasentava l’incoscienza. Eppure, notava un leggero tremore del labbro inferiore, che puntualmente si masticava.
Chissà cosa doveva provare in quel momento.
Di certo, Remus era ben consapevole di ciò che provava lui: tanto per cominciare una cocente umiliazione!
Ricordò il silenzio attonito della platea attorno a loro alla Festa della Strigora quando, per la prima volta nella storia di Hogwarts, qualcuno aveva battuto Remus Lupin a una gara di bevute.
Era stata una sfida appassionante, questo era poco ma sicuro. All’inizio nessuno ci aveva fatto molto caso, avendo dato Tonks per spacciata fin da subito. Ma poi, i bicchieri sul tavolo avevano preso ad aumentare… e l’interesse si era acceso fino al punto che si era radunata un’immensa folla attorno al patio di legno, in religioso silenzio.
Nessuno aveva mai resistito così a lungo contro Lupin. Di certo, aveva dell’assurdo che lo stesse facendo una marmocchia di quattordici anni piccola la metà di lui!
Ma le ore passavano e Tonks continuava a bere senza – apparentemente – risentirne affatto. E Remus, con sommo orrore, ne aveva intuito il motivo più o meno a metà gara.
Tonks era una Metaformagus… loro non erano propriamente in grado di rigenerare il proprio sangue - di certo non riuscivano a farlo se venivano colpiti da un’arma o se ne subivano una grossa perdita in un breve lasso di tempo - ma… a quanto pareva, Tonks era in grado di mutarlo il minimo sufficiente da non permettere all’alcool di farla stare male.
Insomma, lo cambiava giusto quel tanto per far sì che le molecole di etanolo non facessero mai in tempo di arrivare al fegato per essere metabolizzate - o comunque la maggior parte di esse veniva disintegrata molto prima di dare assuefazione.
Non era come per Remus, i cui geni da lupo mannaro acceleravano in modo istintivo e naturale qualsiasi processo di guarigione del suo corpo, che era molto più resistente di quello umano (tranne quando si trattava di ferite autoinflitte o inflitte da uno della sua specie, di cui restavano i segni)... lì era Tonks, la sua mente straordinaria, a gestire con precisione chirurgica ogni particella fisica di sé!
Era stupefacente a dir poco! Remus non si era mai posto il quesito di quanto i suoi poteri fossero efficienti. Probabilmente, se allenati a dovere, sarebbero perfino stati in grado di bloccare la vasodilatazione. Le implicazioni per un simile controllo del proprio corpo erano infinite… il ché spiegava perché gli infiniti lividi di Tonks guarivano così in fretta.
Ma l’ammirazione aveva fatto spazio poco a poco alla disperazione. Perché l’aveva sottovalutata… e a quanto pareva, la sfida tra un Lupo Mannaro e una Metaformagus sarebbe andata avanti a lungo e il finale non era più così scontato.
Fu così che rimasero tutta la notte lì seduti, concentrati, tesi e silenziosi.
Dieci. Venti. Cinquanta bicchieri. Un quantitativo tale da mandare in coma etilico chiunque.
Fino al prodigio, che lasciò tutti a bocca aperta.
Incredulo ma incapace di buttare giù un altro boccale, Rem si era proteso in avanti, aveva fatto per afferrare il bicchiere numero cento...e si era rovinosamente e indecorosamente accasciato sul tavolo senza emettere più un suono.
Una colossale, plateale sconfitta. Pubblica umiliazione era dire poco!
E la sbornia, dio! La prima sbornia della sua vita, che l’aveva torturato tutta la notte… avrebbe preferito essere preso a calci da cento troll piuttosto che subire un minuto di più quella sensazione tremenda! Ma come accidenti faceva Paddy?!
Ma la cosa più grave è che aveva perso. Perso!
E così, eccoli lì.
A fare quella immensa, grandissima idiozia.
Era stato facile tenere nascosto agli altri il vero motivo della sua assenza a scuola, quel week end. Tonks l’aveva guardato seria, il giorno dopo, facendogli promettere di non dire nulla a Sirius, a nessuno.
E siccome per uno strano e perverso incantesimo lui era diventato qualcosa come lo schiavetto personale di Tonks, aveva dovuto ingoiare il rospo e ubbidire.
Era in sua totale balia, a dire il vero. Tonks avrebbe potuto farlo spogliare e fargli ballare il valzer davanti a tutti e lui l’avrebbe fatto.
Ma la ragazzina non era certo il tipo. In qualche modo, comunque, si sentiva tranquillo, anche se era vicino a lei, anche se lei poteva ordinargli qualsiasi cosa.
Chissà cosa avrebbe pensato, Tonks, se si fosse resa conto di aver addomesticato un lupo mannaro…
Ma... si fidava di lei più di qualsiasi altra persona al mondo.
Era degli altri che non si fidava affatto, pensò con un moto di angoscia mentre salivano le scalinate che portavano al portico e fissava le altre Signorine con i loro lacché in attesa davanti a villa Malfoy.
No, non si fidava affatto di quella gente. E sapere Tonks lì, tra loro, così innocente e ingenua…
Qualcosa gli ruggiva dentro.
Strinse le dita contro i jeans quando uno dei damerini tagliò loro la strada e scoccò a Tonks un’occhiata lasciva.
“Ciao!” le sorrise malizioso. “Io sono…”
“… In mezzo.” finì gelidamente Lupin per lui, piazzandogli senza tanti riguardi il palmo aperto sulla faccia e spostandolo dal loro cammino come se fosse un appendiabiti.
Tonks si affrettò a seguirlo, saltellandogli dietro con aria incerta, mentre tutti gli occhi puntavano su di loro. Iniziarono i primi borbottii, nulla di sorprendente dal momento in cui la Grifoncina era vestita al suo solito modo stravagante ed era un vero pugno in un occhio nel loro immacolato quadretto!
Tutti erano impeccabili, lì.
Remus notò un piccolo rinfresco e alcuni domestici umani dall’aria glaciale immobili davanti all’entrata. Qualche sparuto elfo domestico dall’aria triste sgambettava fra loro.
Le altre ragazze erano vestite come delle principesse. Non tutti i loro accompagnatori sembravano molto felici di essere lì, compreso quello di Paige, un ragazzetto dall’aria afflitta che le stava sistemando i boccoli contro i fermagli d’argento mentre lei li squadrava schiumando di rabbia.
Una sua amica si staccò dal loro gruppetto e scivolò verso di loro reggendo una strana catenina scintillante.
Era una del sesto anno, di Serpeverde. Si piazzò davanti a lei e la squadrò da capo a piedi inarcando le sopracciglia, prima di ricomporsi e porgerle il legaccio.
“Vuoi?” chiese, ammiccando maliziosamente a Remus al suo fianco.
“Uh?” Lei guardò in basso. “Ma… è un…”
“Guinzaglio.” la Serpeverde la fissò perfidamente divertita. “Carino, vero?”
Tonks la fissò spaesata. C’erano dei cani in giro…?
L’altra rise, poi ritornò a fissare Remus come se fosse un dolcetto.
E’ per loro. Puoi metterglielo, se ti piace.”
Il viso di Tonks perse colore, poi le guance le si arrossarono di rabbia.
“No! Certo che no!” sbottò, scostandosi da quell’aggeggio come se fosse putrido. “Non metterei mai a Remus… è orribile!”
Aveva alzato la voce, e chiunque non si fosse ancora accorto del suo arrivo si voltò verso di lei. Ora l’attenzione era totale.
Tonks fece qualche passo indietro, sentendosi improvvisamente di gelatina.
Gli altri bisbigliavano tra loro, alcune guardavano i suoi vestiti così strampalati e colorati con evidente sdegno.
Qualcosa di spiacevole le scivolò dietro la schiena, freddo. Paige aveva ragione, pensò. Lei lì non c’entrava niente.
Il modo in cui la stavano fissando… come tanti avvoltoi…
Poi, una calda mano le premette con delicatezza la spalla. Rem si portò al suo fianco, senza lasciare la presa, apparentemente tranquillo e serafico ma con negli occhi qualcosa di scuro, come un cupo avvertimento.
Molti distolsero lo sguardo, la Serpeverde ridacchiò.
“E’ solo per gioco. Ad alcuni dei ragazzi piace pure, no? Sei una Black, giusto?”
Remus.
Era lì per Remus.
Per proteggerlo da quelle streghe.
Non doveva scordarselo.
“Sono solo Tonks.” disse piattamente, e l’altra non aggiunse altro perché Paige la richiamò aspramente a sé.
Lupin la vide raddrizzare le spalle e alzare la testa, ma non gli sfuggì l’impercettibile sospirò che le uscì dalle labbra. Poi lo guardò, tristemente.
“Mi dispiace.” bisbigliò, desolata.
Lo diceva davvero. Era stato furioso con lei, con quella sua testaccia, ma ne doveva riconoscere il coraggio. Pensava di fare la cosa giusta e di certo, non era così spavalda come voleva fargli credere… il ché significava che il suo era un coraggio vero. Solo chi ha paura di qualcosa e lo affronta comunque può definirsi davvero coraggioso.
Erano pur sempre dai Malfoy. C’era quasi il rischio che incontrassero i Black, là dentro. La stessa maledetta famiglia da cui sua madre era fuggita via, da cui l’aveva nascosta in modo così rigido.
Non conosceva Andromeda Black, ma a Sirius brillavano gli occhi quando parlava di lei. Doveva essere una brava persona...e per arrivare a maledire in quel modo sua figlia, doveva avere maledettamente paura di quella gente e di ciò che potevano farle.
A Tonks costava molto essere lì, era evidente.
Per cui ammorbidì appena la sua espressione e le diede una leggera pacca sulla testa.
“Non fa niente.” sussurrò, gentile. “Ormai è fatta. Pensiamo solo ad arrivare alla fine della giornata, ok? E non lasciarti intimorire da quelle arpie. Vogliono solo testarti.”
Negli occhi verde acqua di Tonks brillò una luce più decisa e annuì.
Non doveva avere paura. Non con Remus al suo fianco.
Le porte si spalancarono improvvisamente e una donna biondissima avvolta in una nuvola di profumo marciò spedita fra loro con un sorriso di plastica.
“Mie care!” cinguettò, stridula. “Benvenute a Villa Malfoy!”
Scostò un piccolo elfo domestico che le era tra i piedi con un calcetto e si risistemò lo scialle color cobalto attorno alle spalle, senza perdere quel sorriso inquietante che non si estendeva agli occhi… i quali indugiarono qualche secondo di troppo su Tonks.
“Per le nuove arrivate, io sono Porfiria Malfoy.” disse con voce stucchevole, sbattendo le ciglia molto lentamente. “La Signora di questa tenuta. E’ un piacere avere tra noi tante splendide fanciulle, così fresche e a modo!”
Remus trattenne una smorfia. Scoccò un’occhiata agli altri ragazzi trascinati lì. Alcuni di loro erano un po’ a disagio, si dondolavano sui piedi e guardavano da una parte all’altra. Altri invece gonfiavano i petti spavaldi, probabilmente erano ricchi.
Porfiria parlava e guardava solo le sue “signorine”, come se tutti loro non esistessero.
E quella storia dei guinzagli… che cosa pacchiana e di cattivo gusto…
Ma non doveva rilassarsi, pensò, fissando Tonks al suo fianco. Potevano anche sembrare tutti solamente degli snob imbecilli, ma conosceva fin troppo bene la loro recita. Facevano finta di nulla ma sentiva che la Grifoncina era letteralmente sotto un riflettore.
Non stavano squadrando il suo aspetto appariscente – non solo, almeno – ma si stavano probabilmente chiedendo cosa farne di lei, come metterla sulle loro personali scacchiere… o come togliercela in modo definitivo.
Era un gioco davvero pericoloso, ma… in quel momento, non riuscì a non coglierlo un pensiero infantile: si rese conto con un impulsivo moto di orgoglio che ADORAVA che Tonks fosse venuta fin laggiù con i suoi soliti capelli rosa. ADORAVA che li stesse sconvolgendo con il suo abbigliamento ridicolmente colorato e male abbinato!
Era così preso a guardarla fiero che si perse metà delle ciance di Porfiria Malfoy fino a quando non disse civettuola: “Bene, mentre i vostri domestici andranno a ritirare le divise e le istruzioni, lasciate che vi conduca nella Sala del Fregio, mie care, a seguito di un piccolo rinfresco fra noi vi mostreremo le vostre stanze e gli abiti che vi abbiamo fatto ordinare su misura!”
Le altre ragazze esplosero in gridolini eccitati, che però si spensero immediatamente nella mente di Remus, a cui mancò la terra sotto i piedi.
Doveva separarsi da lei…?!
Si irrigidì e la sua mano strinse il gomito di Ninfadora istintivamente.
Doveva lasciarla sola?! Per quanto tempo…?!
Qualcuno si mosse dietro le loro schiene. L’istinto di Remus schizzò alle stelle.
Due mani ruvide si posarono morbidamente sulle loro spalle e uno strano profumo, pungente, acetoso, scivolò tra loro.
“Tranquillo…” disse una voce, una bocca che sogghignava paciosa nell’angolo del loro campo visivo. “Non starete separati a lungo. Devono solo darci le loro stupide divise da damerini e probabilmente sottoporci a qualche piccola tortura mentale per loro diletto. Quelli fanno così.”
Tonks si voltò verso quella voce, scontrandosi… con due occhi da rapace.
Quello alle loro spalle non era un ragazzo. E di certo non era di Hogwarts. Era più grande di loro, quasi un uomo, e nonostante portasse al collo quella specie di grottesco guinzaglio, non sembrava accompagnare nessuno.
Le sorrise spensierato, l'espressione cadente e quasi impastata, così come la sua voce. Aveva pesanti occhiaie e orbite arrossate come per mancanza di sonno. Sembrava a suo agio lì, e aveva l’aria di uno che voleva solo mettersi da qualche parte e dormire… ma spiccava fra loro esattamente come Tonks, visto che portava abiti trasandati a dire poco, rattoppati alla bene e meglio con pezze di altro colore e in alcuni casi, perfino macchiati di quello che sembrava vino. Lo sconosciuto aveva il viso spigoloso, su cui facevano bella mostra una leggera barbetta che sembrava non sistemata da settimane e un naso un po’ storto che qualcuno doveva aver rotto tempo addietro.
Le ciocche castano scuro scivolavano disordinate sulle tempie e il resto dei capelli era stretto in una bassa coda nientemeno che da uno spago. Una sottile cicatrice lambiva la pelle della sua faccia appena sotto lo zigomo destro. Non era certo in linea con il resto dei damerini di quel posto, perfettamente curati, profumati e in ordine, perfino gli elfi domestici.
Avrebbe dovuto suscitarle simpatia. Ma in quegli occhi acquosi c’era qualcosa di vuoto, freddo, oscuro e distante come lo spazio tra le stelle.
E in quel corpo… quasi poteva sentirlo. C’era una pericolosa, raffinata brutalità nel modo in cui sorrideva.
“Che facce, ragazzi. Scherzavo.” lui rise leggero. “Nulla di troppo brutto, comunque. Sono pur sempre nobili Purosangue. Magari vi faranno camminare con un libro sulla testa giusto per farsi due risate alle vostre spalle.”
La letalità in lui era palpabile. Se ne accorse dal modo in cui Remus si era irrigidito, dal modo in cui le sue dita le stavano affondando nel gomito fin quasi a stritolarglielo.
“E’ ridicolo che io abbia dovuto partecipare a questa pagliacciata, a dirla tutta.” continuò l’altro, come se stesse conversando con dei vecchi amici, le mani ancora ben salde sulle loro spalle. “Ma il numero uno dei damerini e padrone di casa era… indisposto. Per cui, quando la sorella dell’amore della tua vita ti chiede un favore, non è certo gentile rifiutare. E poi a dirla tutta, è sempre piacevole fare da schiavetto a una bella ragazza, dico bene? Beh, mettiamocela tutta, eh? Anche noi improvvisati domestici dovremo essere all’altezza.”
Finalmente li lasciò. Alcool. Ecco che cos’era quello strano odore acetoso che proveniva dalla sua pelle. Sapeva di alcolici, sigari… e sangue.
Continuava a sorridergli amichevole ma non infondeva alcun calore. A Tonks diede l’idea di uno che avrebbe potuto tagliarle la gola guardandola dritta negli occhi, sempre con quello stesso sorriso cordiale.
“Lestrange, caro.” lo chiamò Porfiria, con un angolo della bocca che si arricciava in una smorfietta di apprensione. “Ho fatto portare abiti nuovi per te e per gli altri. Saresti così gentile da mostrare a questi giovani la strada?”
Lui sorrise sardonico, voltando loro le spalle.
“Come desideri.” disse atono, facendo cenno ai maghetti di seguirlo.
Remus non si schiodò dal suo posto. La fama di Rodolphus Lestrange, il promesso sposo di Bellatrix, lo precedeva.
E se lui era lì, c’era probabilmente anche lei. L’irascibile, vendicativa e squilibrata Bellatrix Black… assieme all’uomo che per lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Anche vendere l’anima. Sempre se non l’avesse già fatto.
“Remus.”
No, aveva detto… la sorella. Lì c’era la sorella dell’amore della sua vita. Narcissa. Ma… nulla vietava che fossero entrambe lì. Allora perché non Lucius…? Com’è che aveva detto? Era indisposto…?
Sirius lo ammazzava davvero, stavolta. L’aveva permesso. Si era fatto sconfiggere come un idiota e ora lei era lì, era fra loro… in pericolo…!
“Remus!” lo richiamò Tonks, più forte. Lui batté le palpebre e guardò giù.
Gli occhi di lei erano limpidi.
“Me la caverò.” promise.








Provava l’irrefrenabile desiderio di ridurre la stanza in brandelli. Di farla a pezzi, facendo a strisce la pelle di ogni poltrona e chaise longue ed il lino delle tende che profumavano di pulito tanto da fargli venire la nausea. Il sole illuminava la stanza facendo scintillare le porcellane, l’anello di ematite che gli stringeva l’anulare.
Continuava a rigirarselo nervosamente, un vecchio tic nervoso che non era mai riuscito a togliersi. Incisa nella gemma nera, il motto dei Black, “Tojours pur”, su cui puntualmente faceva scorrere l’unghia. Quasi a volerla cancellare.
Scoccò l’ennesima occhiata allo specchio, scontrandosi di nuovo con grandi occhi azzurri che avevano sempre quella strana espressione smarrita, pavida e confusa che detestava. Quel viso ancora quasi infantile, non cesellato e regale come quello di Sirius, ma dai lineamenti ancora dolci… che trasudavano debolezza ed il peccato più grande di tutti, per un Black: innocenza.
Sospirò malamente.
I vestiti gli prudevano addosso, cadevano male sulle spalle esili e incurvate - come a volersi rendere più piccolo. I capelli, spessi e setosi e neri, erano di nuovo in disordine.
Regulus Black ci passò una mano attraverso e grugnì di nuovo.
“Smettila, Reg.”
Alle sue spalle, un’esile figura accoccolata su una dormeuse.
Impeccabile come un soave petalo di neve.
Il sole entrava a ondate, baciava la pelle bianca di Narcissa Black e le faceva scintillare fili fulgidi nei capelli chiarissimi. Controluce, sembrava risplendere.
Non aveva un filo fuori posto, come sempre. Una bella bambolina avvolta in una sottoveste candida che le lasciava nude le spalle aguzze e le arrivava alle scarpine di velluto e che la faceva apparire ancora più piccola e fragile. Poteva apparire una camicina da notte, ma addosso a lei, così filiforme ed elegante, sembrava l’abito di una regina.
La Serpeverde sospirò, scocciata da quel suo continuo osservarla e chiuse il libro che aveva tra le mani con uno scatto.
Occhi ferini che non regalavano nulla. Apatici, come quelli di un morto.
Narcissa era bella ma...vuota. Non ricordava una sola volta in cui il suo viso fosse stato in qualche modo… vitale. Anche da bambina non sorrideva mai e se lo faceva, sembrava recitare.
Non aveva mai… una vera espressione.
Solo il suo timbro di voce lasciava trapelare il fastidio.
“Capisco il tuo raccapriccio per eventi come questi, ma se non riesci a simulare un minimo di entusiasmo, perlomeno cerca di stare fermo.”
La voce sempre bassa, quasi sussurrata, eppure stranamente autoritaria.
“Hai ragione,” rispose a tono. “Molto meglio mascherarsi dietro facciate di menzogne come fai tu, non è così?”
“Si fa meno fatica.” fu la laconica risposta.
“Ne sei convinta?” non riuscì a trattenersi Reg, con tono cattivo. “Perché penso che sopportare la boria di Lucius debba essere parecchio estenuante, o sbaglio?”
“Capisco tu abbia bisogno di sfogarti su di me oggi, quindi arriva al punto, così posso smettere di ascoltarti.” Narcissa si stava fissando le unghie.
“Lo sai, sì, che tu non sei solo il tuo corpo e sei dotata di cervello?”
“Stai diventando noioso, Reggie.”
“E diventeresti davvero una strega in gamba se non passassi tutto il tuo tempo a impegnarti in attività… come posso chiamarle? Vediamo… extracurriculari?”
“A-ha.” rispose Narcissa, decidendo che le sue unghie erano a posto. “Ti rendi conto che questo non è un metodo efficace per ferirmi, vero? Sono stata definita in modi molto peggiori da persone che contavano molto di più.”
La ciliegina sulla torta dell’indifferenza. Sempre più irritato, Regulus le voltò le spalle. In realtà, non ce l’aveva davvero con lei. Non era nemmeno giusto sbatterle in faccia il fatto che fosse in una gabbia.
Ad esempio, Narcissa detestava essere lì tanto quanto lui, per dirne una. Ma era la famiglia del suo promesso sposo ed i Black ci tenevano alle apparenze. Narcissa avrebbe obbedito a qualsiasi cosa le avessero chiesto, fingendo disinteresse, fingendo che non importasse. Ribolliva dentro, ma sapeva che stare lì era nei suoi interessi.
Forse era questo, a irritarlo tanto. Il fatto che le andasse bene così.
Mentre lui…
Fissò il gioiello tra di loro, adagiato con cura in una scatolina confezionata con fiocchi di chiffon e bambagia.
Un violino. Un vero e proprio violino interamente d’argento.
Un dono di Porfiria Malfoy. Elegante ed aguzzo come una lama pronta a trapassargli la carne.
Sua cugina seguì la linea dei suoi occhi e accennò allo strumento.
“Dovresti suonarlo.”
Suonare… era da tempo che non suonava.
Sfiorò gli arabeschi con la punta delle dita, non riuscì a impedirselo. Nella cordiera, i fili erano così tesi da sembrare quasi taglienti, perfettamente allineati ai piroli. Avevano piallato magicamente l’argento per seguire alla perfezione le elaborate curvature del più pregiato dei legni e all’estremità dell’archetto era fissato un fascio di crini di unicorno.
Doveva essere costato una fortuna.
Regulus represse un brivido e se ne allontanò con un moto di nausea.
Porfiria Malfoy aveva cercato di scavalcare l’autorità di suo padre smerciandogli sotto il naso la sua primogenita come se fosse un pezzo di carne in vendita e cercando di fare le scarpe a Sirius per levarselo dai piedi. Colpo di stato. Una pedina che si muoveva di sua iniziativa sull’illustre scacchiera dei Black. Un gesto avventato, e folle, di cui aveva pagato lo scotto, visto che meno di due settimane dopo il patrimonio dei Malfoy era “sorprendentemente” diminuito della metà. Suo padre aveva preferito punirli dove erano più sensibili, ovvero attraverso i soldi. Aveva alzato un dito e direzionato investimenti e titoli di risparmio in tutt’altra direzione, come un toro dorato che improvvisamente guardava ovunque tranne che su di loro. Era certo che Porfiria avesse ora nuove rughe da nascondere sotto i chili di cipria e non aveva osato più fare un solo fiato fuori posto da allora, né tantomeno si era più avvicinata a lui.
Ma… adesso sembrava cambiato qualcosa.
Se lui era lì, a casa della donna che aveva cercato di far espellere suo fratello da scuola, significava solo una cosa.
“Posso… farti una domanda?” deglutì, continuando a fissare il regalo. “Tu… sei davvero innamorata di Lucius?”
Seguì un lungo silenzio che lo costrinse a sollevare il viso.
Narcissa guardava il cielo come se desiderasse volarci dentro.
“Sì.” disse infine. Lentamente.
Non mentiva.
“Anche se…” lui si morse il labbro. “…Anche se ti rende infelice?”
Arrossì quando vide un suo delicato sopracciglio incurvarsi verso l’alto.
“Cosa ne sai, tu, della felicità?” Narcissa si rituffò tra i cuscini, sbuffando pigramente. “Cosa ne può sapere mai ognuno di noi? Oh, sei così adorabile a volte, Reg, lo sai?”
“…Cissa…”
“L’amore è complicato, Regulus.” tagliò corto la Serpeverde, improvvisamente fredda. “La felicità lo è ancor di più. Smettila di fare il bambino.”
Non era possibile ricavare empatia da lei. Era stato strano anche solo provarci. L’aveva solo scocciata di più, probabilmente.
Per un breve istante, Regulus si concesse il lusso di ricordarselo. Ricordarsi di sentirsi molto, molto solo.
Eppure, qualcosa negli occhi lattiginosi della ragazza… gli faceva venir voglia di afferrarla, scuoterla, stringerla. Di continuare a parlare, scavare nei suoi evidenti traumi e aprire una breccia e distruggere quei muri che circondavano tutti loro, soffocanti, putridi, marcescenti.
“Narcissa, cara, sei richiesta nella Sala del Fregio.” una delle lacché d Porfiria fece capolino nella stanza dentro la quale si erano entrambi rifugiati sperando di venir rapiti il più tardi possibile.
La ragazza fece un cenno con il capo e si sollevò con la leggerezza di una piuma.
“Suonalo, Reg.” gli posò la mano esile su un gomito prima di superarlo. “Ti farà stare meglio.”
Aveva le unghie stranamente lunghe, laccate di bianco. Era strano, lei di solito le portava corte, arrotondate e ben limate.
Un pensiero inquieto gli attraversò la mente.
“Cissa.” sbottò, agitandosi. “Comportati bene con…”
Fu sufficiente l’occhiata di lei, glaciale come la siberia, a mozzargli le parole in gola. Un odio così intenso da sentirlo vetrificarsi sulla pelle le attraversò lo sguardo.
Cazzo.
“Cissa…”
“Per chi mi hai preso?” mormorò la ragazza fissando il vuoto, scuotendo i crini biondi contro gli zigomi scarni. “Siamo ad un ricevimento e io sono una signora.”
“E’ una di noi. Che ti piaccia o no, Ninfadora è…” replicò Reg, per nulla persuaso anche perché la bionda aveva stirato un sorriso gelido poco rassicurante, che a quelle parole si spense. Un guizzo di rabbia omicida le attraversò le iridi lattiginose.
“Non lo è.” sibilò, scoprendo appena le labbra sui denti. “Non è una di noi. Non lo sarà mai.”
Erano rare le volte in cui si lasciava andare ad un’emozione.
Regulus ricordò improvvisamente. C’erano state volte in cui Narcissa aveva sorriso… sorriso davvero. Erano piccoli, minuscoli. Lui più di tutti.
Non ricordava molto, era davvero troppo giovane, ma l’immagine di una bambina bionda che rideva felice gli si era stampata nella memoria e ora riapparve davanti ai suoi occhi.
Così come il viso di Andromeda, giovane e fresco come una delicata alba estiva, la pelle pallida e cremosa e boccoli color del cioccolato fuso, che la teneva fra le sue braccia e le baciava le palpebre con amore, accarezzando nel mentre la testa di Bellatrix che dormiva sulle sue gambe tranquilla come un gattino.
Andromeda, che aveva tradito. Che le aveva abbandonate.
Che Ninfadora Tonks aveva portato via da loro.
Lo stomaco gli si contrasse in modo strano. Non conosceva quella ragazzina, ma gli sembrava quasi di sì. Provava per lei un’inspiegabile simpatia anche se l’aveva solo vista di sfuggita, e ciò era assurdo, ma… si sentiva preoccupato per lei!
Forse era solo il richiamo del suo stesso sangue. Eppure… sentiva quasi di conoscerla… come se ci avesse parlato innumerevoli volte…
“Non sono come noi, Reg.” sussurrò Narcissa. “E noi non saremo mai come loro. Ricordatelo bene, mentre suoni quell’affare.”
Ricordare…
Ricordava un ufficio, all’interno del Ministero della Magia. Tanti anni fa. C’era qualcosa che aveva scatenato il panico.
Qualcosa che strisciava fuori dalla sua porta, e scricchiolava, e mugolava e sapeva del fetido odore dell’oscurità.
Regulus si era rannicchiato sotto la scrivania di uno dei Ministri e si era abbracciato le gambe mentre gli Auror urlavano nel corridoio accanto. Era solo.
Solo, con un cristallo stretto tra le mani che aveva creato una barriera debole attorno a sé.
Quando l’essere aveva cominciato a grattare su quella barriera, producendo sprizzi di scintille che si levavano davanti all’entrata come avrebbero fatto lame sull’acciaio, aveva urlato e stretto al cuore ancora di più l’amuleto.
Sua madre non c’era, era uscita da qualche parte smollandoglielo in mano e poco dopo, quelle creature nefaste erano sbucate da chissà dove trascinando distruzione e scompiglio nel corridoio.
Erano simili a quelle che giravano per casa.
Solo che lì non erano a Black’s Manor. Lì non c’era nessun divieto, nessun sangue reale e nessun incantesimo a tenerle a distanza da lui.
Lì erano nel Ministero della Magia, e lui era solo un bambino qualunque ai loro occhi, uno squisito, piccolo maghetto traboccante di magia da ingurgitare e con bassissime possibilità di difesa, di rappresentare per loro un pericolo.
Una tentazione troppo grande.
Avevano iniziato ad sciamare lì attorno in pochissimo tempo, come falene attirate da un faro. Il loro arrivo fu come il calar della sera, tutte le luci parvero abbassarsi di colpo, anche quella del sole.
L’amuleto che reggeva la barriera non era abbastanza forte per contrastarle tutte.
Il grattatore cominciò piano piano ad entrare, prima con le dita, lunghe cose snodate e minute di artigli.
Regulus aveva continuato ad urlare, a chiedere aiuto.
Il Ministero traboccava di Auror e Cacciatori di Creature Oscure, d’altronde.
E lui era solo un bambino. All’epoca, da qualche parte dentro di lui, credeva ancora che qualcuno sarebbe arrivato.
Era così abituato a richiedere e smerciare attenzioni per conto dei suoi, a casa, che si curava solo se determinate persone piacevano – e non piacevano – a lui. Non si era mai posto il quesito che fosse lui, quello che non piaceva.
E quello di cui non si era reso conto era che al Ministero, le persone a cui non piaceva erano proprio quegli Auror a cui stava supplicando aiuto, gli stessi che avevano evitato di ricambiare il suo sorriso per tutta la mattina e che si tenevano a distanza da lui e sua madre con un qualcosa nello sguardo, una sorta di disprezzo feroce ma impotente.
Gli stessi che lo avrebbero abbandonato, solo e impaurito in quello stupido ufficio senza sua madre, che non sarebbero mai arrivati a salvarlo neanche se avesse urlato ancora di più, nella maniera in cui può urlare un bambino che sta per essere attaccato da un mostro tutto denti.
Non arrivò nessuno neppure al suo secondo grido, quando anche l’altra mano del grattatore penetrò all’interno contorcendosi, le dita che che aprivano a unghiate la barriera come un topo che si introduce in un sacco.
E gli altri lo sentivano, sapeva che lo sentivano, perché dall’entrata poteva scorgere le loro sagome in lontananza, che lo fissavano perfettamente immobili come statue.
Senza fare nulla.
La rivelazione l’aveva colpito con la forza di un proiettile in pieno stomaco.
L’avrebbero lasciato morire. Non avrebbero fatto niente.
Fu un bene che non arrivarono, in realtà, un bene per loro intendo, perché nel momento in cui il suo cervello di giovane mago traumatizzato realizzò di potersi salvare solo con le proprie forze, il suo corpo reagì di conseguenza.
Non aveva una bacchetta, e così cercò di accumulare magia nell’unico modo che un giovane Black conosceva: rubando energia vitale agli altri.
Le piante iniziarono ad appassire, marcire, e l’energia magica iniziò a scorrere sotto la pelle come un fresco ruscello.
Ma era solo un bambino, e non aveva la più pallida idea di cosa farne.
Avrebbe probabilmente fatto esplodere l’intero piano se non fosse intervenuta sua madre, apparsa come una visione di tenebra dietro le creature.
Aveva agitato la bacchetta con un movimento fluido e annoiato e quelle erano letteralmente esplose, schizzando brodaglia nera e pezzi di carne pelosa ovunque.
Le loro mani erano solo a pochi centimetri da Regulus, che stava continuando a urlare, e urlava, urlava e urlava fino a che la gola non gli andò letteralmente in fiamme.
Walurga Black rimase a fissarlo ma stranamente, non lo sgridò per le lacrime che gli correvano sul viso.
Anzi, fece una cosa del tutto innaturale per lei. Si chinò con un dolce sorriso e lo strinse fra le braccia.
“Oh, il mio povero bambino.” sussurrò, accarezzandogli i capelli. “Non avere paura, Regulus. La tua mamma è qui, adesso. I mostri non ci sono più.”
Ma lui non urlava per i mostri. Urlava per quelle facce, quelle facce che l’avevano fissato immobili e che avrebbero continuato a farlo nei suoi incubi per parecchio tempo.
Suonava ora, Regulus Black, ormai cresciuto.
Aveva preso in mano il violino d’argento e suonava, finalmente solo, le labbra scoperte sui denti, le vene delle mani gonfie e tese, i movimenti bruschi e rabbiosi. Un sottile rivolo di sudore gli imperlava la fronte, le ciocche eleganti e setose dei capelli.
Il suono usciva stridente, violento, eppure incantevole.
Suonò perso in quel ricordo, perso nella rabbia, perché nessun Auror era venuto ad aiutarlo e lui era solo un bambino, solo uno stupido bambino codardo che al di fuori della sua casa, al di fuori dell’opprimente rete della sua famiglia avrebbe trovato solo persone immobili, se non proprio girate di spalle, se non proprio pronte a piantargli una lama nel cuore.
Perché il rispetto che avevano al di fuori di Black’s Manor era ottenuto con la paura e con l’odio e quel filo, quel filo così sottile su cui camminavano… la paura e l’odio… sentimenti che avrebbero dovuto alimentare per sempre, perché se si fossero spenti… tutto ciò che amava, tutta la sua famiglia, sarebbe stata massacrata da quelle stesse persone là fuori che si riempivano la bocca di parole come giustizia e onore.
Perché quel giorno, nell’abbraccio di sua madre, le sue parole erano penetrate a fondo.
Lo capisci, ora, piccolo mio? Nessuno, là fuori, ti aiuterà mai. Quei piccoli, miserabili parassiti avrebbero ottenuto un vantaggio se tu fossi morto oggi e per questo non hanno fatto nulla. Non importa altro nel mondo, bambino mio, se non il vantaggio che puoi ottenere sugli altri. Tu sei un Black, un bambino maledetto ai loro occhi, un errore da correggere, un nemico da abbattere. Tutti noi lo siamo. La fuori o uccidi o vieni ucciso. Non esistono terze possibilità.
Le mani passarono sui crini di unicorno abili, veloci e metodiche, mentre la melodia assumeva forma nella sua mente e scorreva tramite le dita come se avesse una propria vita. Non seguiva né note né copioni, solo quello che gli brulicava dentro.
Paura, rabbia, disprezzo.
Sirius si sbagliava. Andromeda si sbagliava. Perfino Tonks si sbagliava. Si illudevano ancora come lui quel giorno sotto quel tavolo, perché non avevano ancora fatto davvero i conti con quello che c’era là fuori, con quella gente. Lui sì.
Lui non sarebbe mai piaciuto a loro e loro non sarebbero mai piaciuti a lui. Nessuno di loro sarebbe mai accorso al suo grido e quindi era inutile disturbarsi a gridare.
Aveva fatto pace con la cosa, dopotutto.
Ma c’erano giorni, ad Hogwarts… in cui aveva solo voglia di salire in piedi sul tavolo e mettersi a urlare contro tutti loro proprio come avrebbe voluto urlare a quei bastardi in quel corridoio.
Aveva voglia di dire loro che li odiava e che avrebbe volentieri dato loro fuoco in cambio di cinque minuti di pace e perché non avrebbe dovuto, visto che loro sarebbero rimasti volentieri a guardarlo bruciare?
Era da quando era bambino che aveva quell’urlo dentro, annodato all’abbraccio di sua madre di quel giorno.
Lei c’era. Lei l’aveva salvato.
Lei, non loro.
Per questo aveva ubbidito, per questo era saltato dentro quella fottuta carrozza, per questo era lì, docile e servile come un cagnolino a farsi vendere come una puttana a Porfiria Malfoy e per questo, per questo stava suonando quel maledetto violino con tutta la rabbia e la disperazione di cui era capace.
L’anello luccicò alla luce del sole mentre le note stridevano e inveivano contro le pareti di quella stanza.
Tojours Pur.
Difendi il sangue…





C’erano delle piccole perline scintillanti dentro una grande brocca d’argento al centro del tavolo.
Tonks cercò di concentrarsi su come la luce ci giocava creando iridescenze ma per l’ennesima volta il suo corpo parve accartocciarsi sul tavolo in un modo che a quanto pareva non era “ di classe”. Una piccola elfetta domestica tossicchiò piano cercando di avvisarla ma la udì a malapena.
Una ragazza alla sua destra si chinò su di lei, piano, bisbigliando: “Hai mal di testa?” con sincero interesse.
Mal di testa? Mal di testa?! Era esausta!
Era passata mezz’ora, e non ne poteva già più di tutte quelle assurde ciance su chili di troppo, ultime mode di cui non capiva un accidente e tutta una serie di pettegolezzi inconsistenti che la stavano uccidendo!
E a che accidenti servivano tutte quelle posate? C’erano almeno dieci forchette e le sarebbe taaanto piaciuto usarne almeno una, visto che il tavolo era pieno di dolci dall’aria squisita e lei aveva una fame pazzesca, ma quelle non la finivano più di cianciare e nessuno si azzardava a prendere nemmeno una fetta!
Quando ci aveva provato, la ragazza al suo fianco le aveva tirato un pizzicotto e un’occhiata di rimprovero!
La guardò di nuovo, sospirando mogia. Al tavolo c’erano almeno una ventina di streghette di svariata età, tutte perfette, magre e curate. Alcune avevano un’aria malevola – Paige e la sua cricca in primis – ma altre, poche a dirla tutta, erano semplicemente quiete ed intimidite.
La ragazza che si era chinata su di lei era tra quelle, e a Tonks era subito piaciuta: era una Tassorosso del suo stesso anno con un viso paffuto e simpatico, si chiamava Lemon ed il suo nome rispecchiava in pieno il suo aspetto perché aveva i capelli più gialli che si fossero mai visti.
Non biondi: gialli.
Li adorava, ma lei sembrava sentirsi a disagio perché continuava a lisciarseli e a guardare con rammarico la cuffietta bianca che era stata obbligata a togliere.
“Sono belli, sai?” le sorrise. “I tuoi capelli!”
Lei le scoccò un’occhiata incredula e le sue dita ripassarono di nuovo tra le ciocche con un movimento nervoso.
“Oh. G-grazie. Anche… i tuoi…?” aggiunse con poca convinzione, come se non fosse certa della veridicità né dell’una né dell’altra affermazione, venendo interrotta sulla fine da un versetto malevolo uscito dal becco di Paige, che la fissava con un sorrisetto odioso dall’altro lato del tavolo.
Tonks la ignorò. Strapparle dalla testa la parrucca ingioiellata sarebbe stato “poco di classe”.
“Per curiosità, come mai non mangiamo?” buttò lì, e Lemon arrossì di nuovo.
“Oh, beh… non sta bene…”
“E perché? Io sto morendo di fame!”
“Non sei mai stata a uno di questi eventi?” si incuriosì Lemon, chinandosi verso di lei.
“Mai. Preferisco ingrassare, sai.” cinguettò Tonks e la Tassorosso si lasciò sfuggire una risatina.
“A proposito, grazie per le dritte!” continuò Ninfadora, raddrizzando il busto per la cinquantesima volta prima di chiedere conferma a lei sulla sua postura.
“Così?”
Lemon annuì senza farsi notare, con un sorriso dolce.
“Non c’è di ché! Anche io all’inizio facevo una gaffe dietro l’altra, sai? Mio padre commercia gioielli con le fate e li rivende ad eventi simili, quindi dopo un po’ ci ho fatto l’abitudine…” Scoccò un’occhiata incerta ai biscotti al burro e alle brocche di tisane ancora immacolate. “P-penso che… tra poco finiscano di parlare…e immagino potremmo assaggiare qualcosa…”
Tonks sospirò di nuovo - un po’ troppo rumorosamente e attirandosi le occhiatacce di alcune di loro – rassegnandosi a saltare la colazione quando la matrona delle oche, Porfiria Malfoy, decise di alzarsi in piedi ponendo fine a quel suplizio fatto di discorsi vuoti e su sangue e razza e senso di superiorità, borbottando irritata che una certa “figlia insolente” era in ritardo.
“Mie care!” Tubò, imponendo il silenzio con un gesto della mano. “Inizio con il dire quanto siamo lieti di avervi qui con noi in questi due giorni di amabili frivolezze! Come ben sapete, eventi come questi sono essenziali per la crescita personale di signorine di buona famiglia come voi! Non solo per imparare come essere delle perfette padrone di casa e come comportarsi e presentarsi al meglio in società… ” i suoi occhi slavati puntarono un velocissimo secondo sui capelli di Tonks. “… ma anche per migliorare le vostre abilità magiche e creare legami per la vita con persone del vostro stesso rango. Siete tutte parte di nobili e decorose famiglie magiche e da voi ci si aspetta il meglio! Si potrebbe dire…” ridacchiò civettuola. “… che non solo qui si impara ad essere delle mogli impeccabili e delle vere ladies, ma anche ad essere delle donne in carne ed ossa!”
Lo stomaco di Tonks decise che era il momento più adatto per rumoreggiare con tutta platealità, rovinando la maestosità dello sproloquio delirante di quella che doveva probabilmente essere la creatura più stupida e vuota sul pianeta terra. Paige emise uno scioccato verso di stizza, e Lemon affondò il viso nel tovagliolo soffocando una risata isterica.
A Porfiria Malfoy guizzò solamente un piccolo nervo sulla tempia. Una reazione da vera lady.
“Quelle che vedete qui sono chiamate Lucie.” continuò, un po’ più freddamente, indicando le perle al centro del tavolo. “Ognuna di voi ne guadagnerà in proporzione alle vostre buone maniere e alle vostre abilità magiche. Seguiranno una serie di piccole competizioni di galateo, e la streghetta con più lucie alla fine delle giornate verrà eletta Signorina delle Delizie.”
Doveva essere una cosa sensazionale perché le altre ragazze iniziarono ad emettere gemiti sognanti e “ahhh…” di emozione, ma il viso di Tonks rimase piatto fino a che Lemon non si chinò su di lei spiegandole.
“La Signorina delle Delizie di ogni anno è una ragazza che può accedere a convegni e feste private di alta classe nella nobiltà magica. Addirittura a quelle private dei Membri del Winzegamot! E’ un trampolino di lancio pazzesco dopo il Ballo delle Debuttanti! Si dice che quasi tutte le Signorine abbiano trovato marito a eventi come questi.”
“Fammi indovinare: mariti schifosamente ricchi?” ridacchiò Tonks, scuotendo la testa. Certo che erano veramente sceme, quelle! E poi, erano tutte decisamente giovani per pensare già a cose come mariti ed eredità varie!
“A te interessano cose come queste?” chiese sottovoce alla sua compagna.
Lemon negò col capo.
“Non particolarmente, a dirla tutta. Ma papà dice che partecipare potrebbe tornare utile per dare un lancio alle mie aspirazioni lavorative. Vorrei diventare anche io un Membro del Winzegamot, in futuro! Sto studiando tutto ciò che posso del Diritto Magico, ma le liste di accesso sono davvero restrittive...”
“Oh. E in che ramo vorresti specializzarti?” chiese Tonks, molto più interessata a quel discorso che al resto degli starnazzamenti.
A Lemon brillarono gli occhi. Tirò su col naso, delicatamente a patata e spruzzato di deliziose lentiggini, e il suo bel viso si animò di una luce deliziosa.
“Voglio proteggere le Creature Magiche. Voglio varare leggi che possano davvero fare la differenza, capisci?”
Tonks sorrise ma le loro chiacchiere furono interrotte da un colpo di tosse ben deciso da Porfiria, che scoccò loro un’occhiata severa prima di richiamare l’attenzione di tutte.
“Le perline vi saranno assegnate autonomamente tramite un incantesimo, rientrando in questo portagioie che verrà assegnato a ognuna di voi.” sul tavolo davanti a loro comparvero delle scatoline di ottone tutte lavorate con fregi di squisita fattura, dentro le quali c’erano piccoli fori dell’esatta dimensione delle perle, cinque in tutto.
Quella di Tonks ondeggiò stranamente un po’ troppo forte sul tavolo e le cadde a terra con un tintinnio.
“Ops!”
Si chinò a raccoglierla, sentendo vagamente Paige che commentava qualcosa tipo “un segnale ben chiaro del destino, non trovate?”, quando improvvisamente una mano gelida e liscia apparve nel suo campo visivo.
La invase un profumo di fiori freddi, delicato e invernale, mentre dita bianchissime si chiusero attorno alle sue con leggerezza, un secondo prima di sollevare la scatolina da terra.
Il contatto fu così freddo che Tonks sobbalzò, lasciando la presa.
Al tavolo ci fu un altro detestabile coro di “ohhh…” e “aaahh…” ammirati mentre Narcissa Black si risollevava da terra con la grazia di una principessa, riponendo accuratamente il portagioie davanti a Tonks senza degnarla di uno sguardo.
“Oh, cara.”
A Porfiria si illuminarono gli occhi mentre quella che era senza ombra di dubbio la sua pupilla si univa al tavolo assieme a loro, portando soggezione e riverenza fra tutte le altre.
E per un valido motivo…
Tonks si accorse di non riuscire a staccare gli occhi di dosso a quella che era sua zia.
La sorella di sua madre.
Si vedeva proprio che era di tutta un’altra pasta rispetto alle altre. Una vera Black, che irradiava attorno a sé come una sorta di luce, fatta di eleganza e raffinatezza.
Il modo silenzioso in cui si muoveva, in cui si sedeva… non aveva detto una parola, ma aveva subito messo in chiaro chi sarebbe stata la vincitrice di quel week end e si era attirata addosso l’ammirazione e la devozione di tutte le altre.
“Non sono riuscita a trovare Eris, Porfiria.” disse, con voce bassa. La donna minimizzò con un gesto stizzito.
“Non dovevi preoccuparti, mia adorata. Ci penseranno gli elfi a tirare fuori quella marmocchia disubbidiente. Al lavoro, su!” abbaiò poi in malomodo alle creature, che scattarono con un “pop” e non meno di parecchi gemiti terrorizzati.
“Ci sarà anche Lucius, Narcissa cara?” cercò di allisciarsela una Serpeverde più piccola, gravitando attorno a lei come una cometa particolarmente appiccicosa.
“Mio nipote Lucius si sente… poco bene.” si intromise rapidamente Porfiria, con uno strano scatto della testa. “La Signorina Black sarà accompagnata da suo cognato, che ha cortesemente acconsentito a farle da maggiordomo in via del tutto eccezionale.”
Cognato? Intendeva forse quel Lestrange…?
C’era qualcosa… Tonks strizzò gli occhi, cercando di mettere a fuoco quel dettaglio che l’aveva colpita. Narcissa si era seduta all’altro capo del tavolo, e la sua faccia era impenetrabile ma… sembrava quasi che l’idea di essere accompagnata da Lestrange non le piacesse.
Le era quasi sembrato di vedere...come del disgusto, un balenio negli occhi di raccapriccio. L’aveva sognato?
Ma smise di pensarci quando la ragazza alzò il viso su di lei e la inchiodò con i suoi gelidi occhi azzurri. Rimase a fissarla in silenzio, le ciglia bionde portate appena calate, a dimezzare le iridi.
Un piccolo brivido le corse su per le braccia.
Non aveva mai ricevuto uno sguardo tanto freddo…
Ma non abbassò lo sguardo. Sfacciatamente, sostenne quel gelo con occhi grandi e puri. Senza abbassare la testa.
Tonks non lo faceva mai.
Fu Narcissa a farlo, concentrandosi sul dorso della mano della ragazzina dove ora, senza che lei se ne fosse accorta, spiccava un piccolo graffio.
La Serpeverde stirò un tiepido sorriso enigmatico mentre riportava la sua attenzione su Porfiria e sulle leccapiedi che sembravano fare a gara a starle più vicine possibile.
“Bene mie care, gli elfi Domestici vi faranno vedere le vostre stanze, dove potrete cambiarvi e rinfrescarvi. Sono desolata che dobbiate avere a che fare con codeste miserabili creature, ma i vostri maggiordomi sono tutti impegnati nella prova di resistenza e…”
“Prova di resistenza?”
Tonks era scattata in piedi, l’espressione allarmata ignorando Lemon che cercava di riportarla giù.
“Quale prova di resistenza?!”
“Mia cara, quei ragazzi sono designati a servirvi a proteggervi al meglio durante questo evento, hanno la responsabilità di accudire il meglio della Società Magica! Non crederai davvero che non serva loro un po’ di addestramento…” sbuffò la Malfoy un po’ stizzita. “Nulla che li danneggi in modo permanente, se può consolarti.”
Non la consolava nemmeno un po’! Anzi, l’esatto contrario! Che accidenti stavano facendo a Remus?!
“I vostri guinzagli sono sui vostri letti, se vi compiace metterli, assieme al vestiario più appropriato. I maggiordomi verranno a servirvi appena terminato l’allenamento… coloro che ne avranno ancora la forza, perlomeno. In caso uno di loro non lo superi e si riveli inadatto al proprio compito, vi verrà affidato uno dei nostri professionisti. Siete congedate, care.”
Non fece nemmeno in tempo a finire la frase, che Tonks schizzò fuori dalla stanza.






Un guizzo dorato sfrecciò davanti al nasino di Cristhine McRanney seguito subito dopo da una sequela di bestemmie e un centinaio di passi in corsa.
La streghetta alzò gli occhioni color miele dal suo libro con un sospiro, mentre tutta la Casata dei Grifondoro le sfrecciò davanti correndo appresso a uno strano boccino indemoniato che stava fracassando cose varie da venti minuti buoni facendo impazzire tutti quanti.
L’erasmus era quasi alle porte, ormai. E anche l’elezione del Caposcuola.
Stavano allestendo con la magia la stanza per rendere omaggio ad entrambe gli eventi, e ogni Casata avrebbe sfoggiato i propri colori in Sala Grande come mai prima: striscioni, candele, arazzi e palloncini fatti di fiamme dorate fluttuavano sopra il tavolo dei Grifondoro. La Casata di Cristhine aveva già finito da un pezzo, con favolosi corvi dalle ali sfumate di nero e blu che svolazzavano sopra di loro perdendo una pioggia di piume che finiva sfumandosi in brina sopra le loro teste, anche se stavano avendo qualche problemino...
“Potter, che cazzo!” sbraitò Alice, aumentando di tono fino all’ultima vocale. “Vuoi far star fermo quel dannato affare?!”
Se pensavano che senza Tonks che inciampava ovunque e faceva magie sbagliate allestire la Sala Grande sarebbe stata una pacchia, si sbagliavano: i Prefetti erano sull’orlo della crisi isterica, qualcuno – probabilmente Pix – aveva incantato le valigie degli studenti in partenza facendole scorrazzare di qua e di là e lo strano boccino d’oro di James aveva bellamente deciso di dare man forte a creare il caos scagliandosi con la precisione di un missile contro qualsiasi cosa fluttuasse, corvi magici compresi!
A quanto pareva, in quell’affare ci viveva davvero un folletto… e si stava divertendo un mondo, visto che nessuno riusciva ad acciuffarlo!
La Corvoncina decise che era decisamente ora di chiudere la sua lettura e si concentrò su James, che stava appendendo le ultime candeline a cavallo di una scala magica.
Il ragazzo ghignò, lanciò un fischio e il boccino smise di essere trasparente e gli schizzò sulla spalla emettendo strani gorgoglii simili a fusa e strusciandoglisi contro la guancia.
“Da quando è riuscito ad acchiapparlo, ha ottenuto da quel coso una specie di strano rispetto ed ora lo ascolta come se fosse il suo padrone. L’ha letteralmente addomesticato.” spiegò Sirius, schiantandosi al suo fianco. “Ci ha impiegato un mese, lo stronzo! Peccato che il dannato aggeggio stia diventando geloso marcio e l’altro giorno abbia cercato di staccarmi il naso a morsi solo perché ero entrato nel bagno quando c’era anche lui dentro! Un giorno o l’altro apro la finestra e lo faccio sparire!”
“Impossibile, gli si è affezionato. Farebbe il giro della torre e rientrerebbe dall’altro lato. Non vedi che torna già al richiamo? Ramoso gli ha anche dato un nome!” continuò Minus, sedendosi all’altro lato.
“Cioè?”
“Spyro. Dice che è il nome di un videogame strafigo a cui aveva giocato mentre eravamo in gita…”
Solo loro potevano definire ancora “gita” il fatto di essere stati rapiti da una vampira assetata di sangue e quasi fatti a pezzi, ma la Corvonero lasciò correre.
“Un boccino da guardia?” rise invece, concentrandosi di nuovo sul ragazzo. Sembrava stare bene… sorrideva e sghinazzava come sempre, ma c’era qualcosa nei suoi occhi… che sembrava cambiato. Ma non l’avrebbe mai ammesso. Oh, no, perché mai fare qualcosa di così assurdo come parlare, quando si poteva ignorare e fingere che non fosse successo niente?
“Uomini…” sbuffò, facendosi guardare in modo interrogativo dagli altri due. “Niente, niente...notizie di Tonks e Remus?”
Sirius emise un basso grugnito che sembrava tanto una promessa di morte.
“Eddai, non sarai ancora paranoico!” sbuffò Peter. “Stanno via solo due giorni! Te l’hanno detto, no? Avevano entrambi impegni di famiglia!”
“Nello stesso fottuto momento?! Un po’ sospetto o sbaglio?!”
“Ma dai, è di Remus che parliamo! Cosa credi, che abbiano entrambi mentito e lui l’abbia rapita come il lupo cattivo nelle favole?” ironizzò Cristhine divertita, ma a quelle parole stranamente Peter sussultò e Black emise un drammatico gemito e accasciò la testa contro il tavolo.
“Deve solo pregare che non sia una dannata fuga d’amore o giuro che lo ammazzo davvero, stavolta…”
“Mi spieghi perché sarebbe tanto male, comunque? Remus sarebbe il fidanzato perfetto per chiunque!”
“Prima di tutto perché lui ha diciassette dannati anni e lei quattordici!” ringhiò Black, scattando in piedi.
“Ma dai, ne ha quasi quindici…”
“Codaliscia, dille qualcosa!”
“Uh?” Quello parve cadere dalle nuvole e divenne più rosso di un peperone.
“E ora che ti prende…?”
“Ma nulla…” sbuffò lui, continuando però a guardare con la coda dell’occhio un gruppetto di ragazze che ridacchiava in lontananza. Ultimamente Peter, in effetti, era stato parecchio strano… spariva in continuazione, si metteva a sorridere come un fesso senza che James avesse fatto battute e altre volte, invece, era disperato senza ragione, cosa che una volta l’avevano beccato a tirare da solo delle testate al muro!
“Bah, lasciamo perdere! Fatto sta che è piccola! E’… innocente!” continuò Sirius, decidendo di ignorare l’amico che improvvisamente non li ascoltava più e diventava di gelatina senza una ragione apparente.
“Mica tanto…” si lasciò sfuggire Cristhine ripensando ai discorsi di Tonks ma pentendosene subito dopo.
“Cheee? Perché dici così?! Ti ha detto qualcosa?! E’… non mi dirai che lei lo ricambia!”
“’Lo ricambia’…?” La ragazza spalancò un sorrisone. “Perchè, vuoi dirmi forse che Remus prova qualcosa per Tonks…? Sai FORSE qualcosa che io non so, signor Black?”
“Cos… io… no!” Sirius si impappinò tutto d’un tratto e decise di arrendersi alla sua furbizia, come sempre, fuggendo via. “… James, ti do una mano con quello striscione!”
Cristhine rise, sentendosi una mano calda sul cuore. Oh, se ne sarebbero viste delle belle…
Si voltò allegra verso Lily pronta a condividere la bella scoperta e ad organizzare un diabolico piano per far sì che quei due si decidessero a mettersi finalmente assieme, ma la ragazza era girata di spalle e aveva davvero qualcosa di strano!
Borbottava tra sé e sé senza degnare James e il boccino indemoniato di uno sguardo – cosa ben strana…
“Ma che stai facendo?”
Lily era infatti piantata da mezz’ora davanti alla colonna sopra la quale svettava la sfera magica che avrebbe enunciato a breve il Caposcuola.
Era un globo bianco della dimensione di una palla da bowling, brillava di una bella luce azzurrognola e dentro di esso ogni tanto si intravedevano i foglietti con i vari nomi vorticare sbattendo le ali come uccellini.
L’avevano posizionata proprio davanti alle clessidre sommapunti delle Case. La Grifoncina stava per l’appunto fissando le scintillanti pepite della coppa delle Case come se si stesse concentrando, in assoluto silenzio.
Quella di Grifondoro era desolantemente vuota.
La vide staccare gli occhi a fatica e sospirare un qualcosa che sembrava tanto “Speriamo bene…” … così Cristhine alzò gli occhi al cielo con un sorriso e decise di rituffarsi nel suo libro.
Erano davvero tutti troppo strani, rifletté, con però un moto di caldo affetto. Chi l’avrebbe mai detto… pensava, mentre ignorava le bestemmie di Sirius quando il boccino decise di nuovo che James era SUO e di riprovare a staccargli un dito… chi l’avrebbe mai detto, che sarebbe finita a voler bene a persone così stravaganti e folli!
Da quando stava assieme a loro, tutta la sua vita aveva subito uno scossone dietro l’altro, però… strinse a sé le braccia, sentendosi a casa.
Però, era così meraviglioso...
   
 
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