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Autore: fiore di pesco    08/01/2024    7 recensioni
In passato, ogni volta che Kim Seh aveva osservato Yiko, aveva avuto la stessa sensazione di trovarsi di fronte ad un sepolcro imbiancato. Una bellissima tomba di alabastro intarsiato. Stupenda a vedersi ma, al suo interno, qualcosa sta marcendo.
Short horror ambientata in Corea del Sud. I capitoli sono brevi, 4 di numero, pubblicazione dal 5 al 14 gennaio.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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, Due

Yiko Baesin si chiuse la porta alle spalle, si appoggiò alla porta di ingresso e respirò profondamente.

Appena qualche ora fa aveva seppellito suo marito, Seung Nungwa di anni ventinove, con cui conviveva da un anno e che aveva sposato nove mesi prima. Vedova e senza un erede. Adesso tutti i beni di suo marito pendevano su di lei ed era totalmente sola.

“Pensa che l’abbia ucciso io…” rifletté a bassa voce, togliendosi le scarpe alte e il cappellino, diretta al salotto, dove prese un bicchiere di vodka ghiacciata per affievolire il malessere che la opprimeva: il vino californiano non sarebbe stato sufficientemente forte per il suo stato d’animo.

Attraversò l’atrio col bicchiere pieno in mano, salendo le scale per andare in camera da letto, svestirsi e prepararsi un bagno caldo di cui aveva un disperato bisogno. Prese un sorso di vodka che per poco non le andò di traverso quando dal corridoio vide la luce della camera da letto accesa.

“C’è qualcuno?” chiese ad alta voce attendendo immobile. Non giunse risposta, tutto rimase inerte.

Dopo un minuto di stasi si fece coraggio ed entrò circospetta nella stanza, osservando come fosse tutto in ordine, esattamente come l’aveva lasciata.

Devo averla dimenticata accesa… pensò sfiorando l’interruttore touch e uscendo dalla stanza per andare a prepararsi un bagno caldo.

Si spogliò e si infilò nell’ampia vasca, sul cui bordo poggiò il bicchiere quasi vuoto e si immerse nell’acqua calda e profumata per distendere i nervi dopo gli ultimi giorni di emozioni che aveva provato.

Appoggiò la testa al cuscino di gomma della vasca quando un rumore le fece acuire i sensi. Sembrava provenire da un’altra stanza.

“Chi c’è?!” urlò con voce stridula, senza udire risposta.

Preoccupata, si alzò e si avvolse intorno l’asciugamano di cotone, poi andò a controllare.

Nello studio di Seung poté vedere come il quadro con la gigantografia del loro matrimonio fosse caduto e adesso versava capovolto circondato da schegge di vetro. Osservò per qualche secondo l’oggetto in frantumi, respirando silenziosamente. Era finito esattamente come il loro matrimonio… di colpo in pezzi, dall’apice agli abissi su un suolo freddo e duro.

Era successo senza preavviso, ma si trattava chiaramente di un incidente che nulla aveva a che fare con l’intervento di una persona.

Volse lo sguardo allo specchio a grandezza umana su una parete dello studio, posto di fronte alla grande vetrata che dava sul lato occidentale del giardino. La propria immagine le mostrò il colorito spento e le occhiaie grigiastre che si erano formate sotto ai suoi occhi, accentuate dal mascara colato. Era da giorni che trascurava la skincare… l’asciugamano bianco le fasciava elegantemente i fianchi fini e dietro di sé la vetrata rifletteva il suo profilo sfocato e l’ombra di un uomo alle sue spalle.

Si girò di scatto. Non c’era nessuno dietro di lei. Guardò al riflesso nel vetro: l’unica cosa visibile era la sua figura. Una brutta sensazione di ansia le pervase il petto e decise di scendere al piano inferiore per chiudere di nuovo la porta a chiave e inserire l’allarme.

Devo dormire… pensò toccandosi la fronte, stupita dallo scherzo della sua mente.

Tornò in bagno, constatando che l’acqua si era freddata nel frattempo. Aprì di nuovo i rubinetti per farla tornare a temperatura, li richiuse e vi si immerse. Bevve l’ultimo sorso di vodka e rimase in ascolto del grande silenzio che la circondava, con la guancia sinistra appoggiata al bordo della grande vasca.

Non dormiva da giorni e lentamente si sentì assopire nel caldo crogiolo dell’acqua dalla cui superficie filtrava un vapore che le obnubilava i pensieri. In quello stato di pace, quasi non le sembrava vero che Seung non ci fosse più. Non si sarebbe stupita se da un momento all’altro fosse entrato dalla porta della toilette con due bicchieri di rosso in mano.

Chiuse gli occhi mentre le luci della cromoterapia che lui aveva fatto installare per lei alternavano varie sfumature per accentuare l’esperienza sensoriale. I colori filtravano attraverso le sue palpebre chiuse e variavano dalle tinte verdi a quelle blu, a quelle rosse… rosse… ancora rosso… sempre rosso.

Dischiuse leggermente le palpebre, domandandosi come mai la luce rossa non cedesse ancora il posto ad altri colori. In quel torpore, l’immagine di suo marito volto di spalle di fianco a lei, seduto a meno di un metro all’esterno della vasca, non le parve poi tanto strana.

È un sogno?

Fece per parlare ma si rese conto di non riuscire a muoversi. Spalancò gli occhi rendendosi conto che non poteva essere un sogno. Lui era davvero lì, illuminato di un rosso tanto scuro da parere quello del sangue.

Sentì i battiti del proprio cuore rimbombare nel padiglione auricolare sinistro e il respiro aumentare d’intensità quando la figura ruotò lentamente il viso verso di lei, mostrandole il pallore di un cadavere e gli occhi infossati, come infuocati per il riflesso delle lampade della cromoterapia.

Seung è morto, è morto, è… aiuto! Qualcuno mi aiuti! Urlò nella propria mente quando suo marito aprì la bocca, mostrandole un buco oscuro ovale alla cui fine si intravedeva un cupo bagliore rosso, un pozzo sul cui fondo qualcosa stava ardendo.

Sentì vampate di freddo e calore percorrerle il corpo dalle punte dei piedi abbandonate alla vasca fino all’apice dei capelli quando lui emise dei gorgoglii dalle profondità della gola, come se stesse soffocando, un’espressione di terrore sul viso cadaverico.

Davanti agli occhi di Yiko si parò la mano aperta di Seung, pronta a poggiarsi sul suo viso, bloccandole la visuale del volto osceno di lui.

Un rumore improvviso e deciso la fece svegliare, l’immagine di suo marito si dissolse e la luce verde prese il posto di quella rossa. Acquistò immediatamente la capacità di muoversi e si tirò su con violenza, facendo strabordare l’acqua dalla vasca. Uscì, scivolando sulle piastrelle lisce e picchiando il sedere per terra.

Ansimò, guardandosi intorno sconvolta, senza vedere nessuno intorno a sé. Afferrò l’asciugamano e sussultò quando il rumore del citofono si udì di nuovo distintamente.

Batté le mani per accendere la luce del bagno e i led della cromoterapia vennero presto sostituiti da un bianco freddo che non lasciava spazio ad altro che alla sua solitudine. Non c’era nessuno, oltre a lei, in quel bagno.

Si posò una mano sul petto, sentendo nitidamente il cuore batterle talmente forte da farle dolere la cassa toracica.

Era un incubo…

Il citofono suonò ancora e decise di riscuotersi da quell’angoscia paralizzante. Si alzò, si avvolse intorno l’asciugamano e uscì dal bagno, dove le luci più calde del corridoio erano ancora accese. Si affrettò ad andare ad aprire, felice che qualcuno l’avesse svegliata nonostante fino a poco prima il suo unico desiderio fosse di dormire indisturbata.

Senza nemmeno guardare dalla telecamera dello spioncino, aprì l’uscio con urgenza.

Il viso di Seung emerse dall’oscurità della notte, facendola sobbalzare, terrorizzata.

Jung Ji, ancora nel suo completo nero, si guardò intorno spaesato e volse gli occhi sulla cognata stravolta, circondata solo da un asciugamano di cotone bianco e dallo sguardo impanicato. Yiko espirò sollevata, realizzando che si trattava solo del fratello minore di Seung.

“Ehi… Yiko, tutto bene?” Jung Ji si pentì immediatamente di quella domanda stupida. Ovvio che non andasse tutto bene, era rimasta vedova la settimana precedente… “Intendevo dire…”

“Sì… scusa se ti accolgo così, stavo facendo un bagno.” Farfugliò Yiko, spostandosi di lato per fargli spazio. “Entra pure.”

“Se ti disturbo posso passare un’altra volta, non vorrei che…”

“No, ti prego, entra.” Pronunciò lei con una nota nella voce che non ammetteva repliche e allo stesso tempo trasmetteva una forte ansia. Jung Ji tentennò qualche secondo prima di entrare in casa, notando le chiazze d’acqua che si stavano asciugando lungo le scale che conducevano al piano superiore.

“Mi dispiace averti interrotto, ho visto la tua auto qui fuori e ho pensato che fossi in casa. Sono passato a vedere come stavi…” disse imbarazzato, cercando di non guardare verso la cognata che indossava solo un asciugamano.

“Hai fatto bene…” mormorò lei richiudendo la porta e guardandosi attorno rendendosi conto in quel momento di vertere in una situazione abbastanza disdicevole, mezza nuda davanti a suo cognato. “Per favore, attendi un secondo in sala, mi vesto e ti raggiungo immantinente.”

Lui annuì, togliendosi la giacca e tenendola in mano imbarazzato.

Yiko corse al piano di sopra e indossò velocemente un vestito da notte di lino bianco e una vestaglia di seta color panna, poi raggiunse il cognato che in salotto la attendeva studiando l’angolo bar e le bottiglie esposte.

“Posso offrirti qualcosa da bere?” gli domandò, attirando la sua attenzione.

“Sì… volentieri. Qualcosa di forte.”

Restarono in silenzio mentre lei gli serviva del whiskey, ancora turbata per l’esperienza onirica terribile che aveva appena vissuto. Si accomodarono sugli ampi divani in pelle, uno di fronte all’altro, e fecero qualche chiacchiera di circostanza commentando la bellezza della funzione funebre di Seung, evitando di accennare alla scenata fatta da Kim Seh.

Dopo quasi un’oretta di conversazione, il ritmo degli scambi si era un po’ arenato e Jung Ji cominciava a percepire tutto l’intontimento dato da una settimana di alcool e deprivazione del sonno. “Beh, allora vado…” sorrise a disagio, facendo per alzarsi dal divano.

Yiko alzò istintivamente le mani, come se tentasse di fermarlo. “No, aspetta, puoi restare se vuoi.”

Lui la guardò stranito. “Ehm… non vorrei che qualcuno si facesse strane idee che io… sì, beh, che io passi la notte qui con te…”

Yiko si mosse a disagio sul divano perché, per quanto fosse consapevole che le malelingue erano sempre in attesa di un passo falso per poter ledere la reputazione dello sventurato di turno, in quel momento l’ipotesi di passare da sola la notte in casa sua la terrorizzava più di quello che chiunque avrebbe potuto dire. “Diremo che sei venuto per sbrigare degli affari di Seung e che sono stata male e mi hai dato assistenza. Questa cosa non è una bugia.”

Jung Ji boccheggiò confuso. “No, però… perché vuoi che resti qui?”

Lei si strinse le ginocchia come se volesse chiudersi su sé stessa, raccogliendo le mani davanti al petto. “Mi sento tanto triste quando sono sola… Seung mi manca immensamente e faccio dei sogni orribili, non riesco a riposare da quando… lui non c’è più. Tu me lo ricordi tanto, sei un bravo ragazzo, nessuno penserà male di te. Sono tua cognata, ti vedo come un fratello…”

“Va bene…” si arrese Jung Ji, imbarazzato e leggermente intontito. “Hai una stanza degli ospiti?”

“Parliamo ancora un po’.” Gli propose alzandosi per riempirgli di nuovo il bicchiere.

 

Il campanello suonò impietoso alle otto e trenta del giorno dopo.

Yiko si riscosse dal sonno, guardandosi attorno mentre provava a tirarsi su togliendosi di dosso la copertina che Jung Ji doveva averle messo addosso la notte precedente. Si sentiva molto più tranquilla e tutta l’inquietudine del giorno prima si era dissolta, dimostrandole razionalmente che il giorno prima si trovava in uno stato d’animo alterato e che, alla luce del sole, anche la paura svanisce come le tenebre.

Sul divano di fronte a quello su cui si era appisolata, Jung Ji ancora vestito e addormentato era stravaccato contro un bracciolo, la bocca leggermente socchiusa. Aveva bevuto davvero tanto, non era stupita che non avesse sentito il campanello, che trillò nuovamente.

Si alzò e andò ad aprire, chiedendosi chi potesse essere a quell’ora dato che non attendeva visite: le donne delle pulizie erano libere fino all’indomani.

Vide dalla telecamera del citofono che un gruppo di uomini in divisa e altri dal completo nero sostavano di fronte all’ingresso. Aprì la porta.

Lo sguardo funesto di Kim Seh la inchiodò davanti all’uscio di casa propria. Indossava un tailleur nero e i capelli a caschetto squadrato le incorniciavano il viso austero.

“Signora Baesin-Nungwa Yiko? Buongiorno, sono l’ispettore Park.” Disse l’uomo che si frappose fra Yiko e Kim Seh, interrompendo una gara di sguardi che lasciava presagire tutto tranne cooperazione. “Abbiamo un mandato per ispezionare la casa, la preghiamo di mantenere la calma e non opporre resistenza.”

Kim Seh rimase impassibile mentre focalizzava tutte le sue capacità deduttive a studiare il viso apparentemente sconcertato della cognata. A parere di Kim Seh, ogni sua mossa sembrava talmente studiata nel dettaglio che ben poco aveva a che fare con i peccati della chirurgia estetica di cui Yiko si era sicuramente macchiata.

Kim Seh, che controvoglia aveva accettato di fare l’intervento di blefaroplastica regalato dalla madre per la sua laurea, per quanto potesse essere considerata carina, non sarebbe mai arrivata al suo livello di bellezza nemmeno dopo aver dato fondo alla sua eredità presso il miglior chirurgo plastico della Corea del Sud. Tuttavia non la invidiava per questo. Per lei non avrebbe avuto alcun senso avere un aspetto tanto sublime se all’interno si covava una crudeltà tanto spietata come quella di cui accusava Yiko Baesin.

In passato, ogni volta che l’aveva osservata, aveva avuto la stessa sensazione di trovarsi di fronte ad un sepolcro imbiancato. Una bellissima tomba di alabastro intarsiato. Stupenda a vedersi ma, al suo interno, qualcosa sta marcendo.

  
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