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Autore: Star_Rover    08/01/2024    4 recensioni
Jari e Verner sono uniti fin dall’infanzia da un legame che nel tempo è diventato sempre più intenso e profondo. Nell’inverno del 1915 però i cambiamenti sociali e politici che sconvolgono la Finlandia finiscono per coinvolgerli, così i ragazzi sono costretti a separarsi per seguire strade diverse.
Nel 1918 i destini dei due giovani tornano a incrociarsi sullo sfondo di una sanguinosa guerra civile.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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Ringrazio gli affezionati lettori per continuare a seguire questo racconto.
Un ringraziamento speciale ai gentilissimi recensori.

 


 
XXXIV. Il momento della verità  
 

La fiamma della candela tremò leggermente a causa dei gelidi spifferi che penetravano attraverso le fessure nel legno. Jari rimase chino sul tavolo cercando inutilmente di terminare il suo rapporto. Una parte di sé, quella più razionale, sapeva che avrebbe dovuto soltanto raccontare la verità ed eseguire gli ordini, ma quella volta non era così semplice. Per quanto desiderasse venire a capo di quella faccenda, ancora non era riuscito a trovare il coraggio di affrontare la situazione. Il tenente si prese la testa tra le mani, avrebbe potuto imputare la colpa alla stanchezza e alle sofferenze di quegli ultimi giorni, ma dentro di sé sapeva che non erano quelle le ragioni del suo anomalo comportamento. Tormentato da quei pensieri allungò il braccio per raggiungere la bottiglia di vodka, riempì il bicchiere fino all’orlo e bevve un lungo sorso. Seppur per poco poté godere di quella piacevole sensazione di calore indotta dall’alcol.
All’improvviso avvertì dei battiti alla porta. Inizialmente furono colpi lievi ed esitanti per poi diventare sempre più decisi ed insistenti. Jari si raddrizzò sulla sedia e diede il permesso di entrare.
Un soldato comparve sulla soglia, non poteva avere più di diciotto anni, forse era anche più giovane, appariva ridicolo con una divisa troppo larga e un fucile troppo pesante. Sotto al cappotto coperto da un candido strato di neve il suo esile corpo fremeva scosso dai brividi.
Il nuovo arrivato si richiuse la porta alle spalle e si presentò formalmente. Si rivolse al suo comandante con voce tremante, in parte per il freddo e in parte per il nervosismo.
«Signor tenente, le comunicazioni sono ancora interrotte. Là fuori la bufera sta peggiorando»
L’ufficiale non parve affatto turbato da quella notizia, anzi, sembrò quasi rassicurato nell’udire le continue raffiche di vento che ululavano nella foresta e si abbattevano con estrema violenza contro alle pareti in legno di quel precario rifugio.
«Significa che attenderemo domani mattina per riprendere la marcia» fu la pragmatica risposta.
«Gli uomini sono stanchi di attendere»
«Ma hanno ancora le forze per lamentarsi» commentò il suo superiore.
«Mi spiace riferirle che il morale non è alto»
Il tenente si accese una sigaretta, le sue mani tremarono leggermente. Espirò una nube di fumo e ripose l’accendino decorato con il simbolo della Croce nera sul tavolo. Un vecchio ricordo del suo trascorso in Germania. Sul piano militare aveva affrontato situazioni peggiori, ma quella volta era diverso. Sapeva bene di non poter affrontare razionalmente un simile dilemma. Come poteva mostrarsi forte e determinato davanti ai suoi uomini quando il suo animo era tormentato da tanti dubbi e incertezze? 
Non era mai stato un ipocrita, si vergognava di se stesso per quella sua titubanza. Era consapevole di essere nell’errore, ma ancora non si riteneva un traditore.
Era probabile che i suoi sottoposti avessero notato qualcosa di strano in lui, forse pensavano che stesse impazzendo. A quel punto non poteva del tutto escludere questa possibilità.
Jari tornò in sé tentando di ricomporsi. In quel momento ricopriva ancora il suo ruolo, qualunque sarebbe stata la sua decisione definitiva, sarebbe stato disposto ad affrontare le conseguenze.
Un impacciato colpo di tosse gli ricordò la presenza del giovane.
«I soldati avrebbero una richiesta» azzardò.
«Che genere di richiesta?» domandò l’ufficiale.
«Be’, ecco…questa situazione non piace a nessuno. Insomma, suppongo che lei possa capire. Vorrebbero concludere la missione al più presto»
Il tenente sbuffò: «tutti noi vorremmo tornare a casa»
«Molti sostengono che se non agiremo in tempo non ci sarà più nessuna casa dove tornare»
Il tenente non osò dire nulla a riguardo, non poteva controbattere senza mentire ai suoi uomini.
«Non posso fare niente di più, riprendere la marcia in queste condizioni significherebbe soltanto andare incontro a morte certa!»
«Signore, è la presenza del prigioniero a rendere tutti quanti così irrequieti» rivelò il soldato.
Jari si irrigidì nel sentire quelle parole.
«È ferito e disarmato, non può fare del male a nessuno» rispose dopo un attimo di esitazione.
«Rappresenta comunque una minaccia!»
Il tenente si rattristò nel riconoscere tanto disprezzo nel tono di quel ragazzino, nella sua breve vita doveva aver conosciuto soltanto fame, odio e violenza. Si domandò che tipo di uomo sarebbe diventato, se mai fosse sopravvissuto.
«Al momento il prigioniero è sotto la mia responsabilità» puntualizzò.
«Ma…»
L’ufficiale gli rivolse un’occhiata di rimprovero.
Il ragazzo abbassò rapidamente la testa, intimorito dallo sguardo severo del suo superiore.
«Sarà la corte marziale ad occuparsi di questa faccenda» affermò quest’ultimo con estrema fermezza.
Pronunciò quelle parole con la consapevolezza che le sue azioni avrebbero richiesto molte più spiegazioni a un tribunale militare. Difficilmente si sarebbero accontentati di un rapporto o di un semplice interrogatorio. Era probabile che quella scelta avrebbe portato anch’egli ad una condanna, forse per insubordinazione, nel peggiore dei casi per tradimento e collaborazione con il nemico.
E allora perché non fermare fin da subito quella follia? Credeva forse di poter cambiare le cose?
Jari sfiorò il freddo metallo della sua Nagant, restavano ancora sei proiettili. Un macabro pensiero lo fece rabbrividire, rapidamente allontanò la mano dalla cintura.
L’ufficiale congedò la staffetta, ma il ragazzo non si mosse.
«A dire il vero ci sarebbe dell’altro…»
Il tenente si voltò mostrando alla luce tremolante delle candele il viso pallido e scarno, stremato dalle fatiche di quegli ultimi giorni.
«Di che si tratta?»
«Le guardie mi hanno incaricato di riportarle un messaggio del prigioniero»
«Dunque, quale sarebbe il messaggio?» lo spronò il suo superiore.
«Da quel che ho capito ha chiesto di lei, vuole vederla»
Jari dovette ricorrere a tutta la sua forza interiore per mantenere un degno autocontrollo.
«Per quale ragione vorrebbe parlare con me?»
«Non saprei, non è molto collaborativo»
Il tenente scosse il capo: «che gli sia riferito che questo incontro non avverrà, non posso vederlo»
Le parole gli morirono in gola, non voglio vederlo, questa era la verità.
«Certo signore» fu l’accondiscendente risposta del ragazzo.
Con un gesto l’ufficiale l’autorizzò a lasciare la stanza, il giovane obbedì, preparandosi ad affrontare nuovamente il gelo per tornare dai suoi compagni.
Rimasto solo, Jari tornò a sedersi al tavolo, spense il mozzicone e buttò giù la vodka rimasta nel bicchiere mezzo vuoto. Il tempo a sua disposizione stava esaurendo.
Il tenente socchiuse gli occhi, nella sua mente ricordò ciò che era accaduto dopo la battaglia di Tampere. 
 
***

La città era finalmente libera dall’occupazione rossa. Jari e i suoi compagni però non ebbero occasione di festeggiare quella vittoria. Subito giunse l’ordine di avanzare lungo il confine per abbattere anche le ultime resistenze nemiche.
Prima di abbandonare definitivamente Tampere, Jari volle far visita al sergente Hiltunen. Quell’uomo aveva rischiato la vita per salvarlo, il minimo che poteva fare era dimostrare la sua gratitudine.
L’ospedale militare era gremito di feriti, la battaglia aveva causato vittime fino all’ultimo giorno di combattimenti. Mentre vagava per i lunghi corridoi, Jari assistette alla conversazione tra due ufficiali.
«Ho saputo che presto i Rossi saranno condannati» disse un tenente.
Il capitano confermò: «è stato dato l’ordine di giustiziare tutti i prigionieri»
Jari rabbrividì nel sentire quelle parole, per quanto abituato alla guerra, non riteneva leale fucilare il nemico dopo la resa, soprattutto senza un equo processo. Eppure aveva avuto conferma della decisione del generale Mannerheim, nessuna pietà per i ribelli.
Il giovane superò i due ufficiali e finalmente raggiunse il giaciglio del sergente.
Emil era sveglio e cosciente, seppur febbricitante sotto alle coperte. Il medico aveva detto che era stato fortunato, aveva perso molto sangue dalle numerose ferite, era debole, ma non era più in pericolo di vita.
Jari si avvicinò al letto, sistemandosi al suo fianco.
L’uomo lo riconobbe immediatamente: «tenente…»
«Niente formalità, per favore. Almeno in questa circostanza può trascurare il fatto che sia un suo superiore»
Egli sorrise: «d’accordo. Sarò lieto di rivolgermi a te come a un ragazzo della tua età. Anche tu puoi chiamarmi semplicemente Emil»
Jari si sentì più a suo agio.
«Sono venuto qui solo per accertarmi che stessi bene. Presto dovrò ripartire e non volevo andarmene senza averti ringraziato per quello che hai fatto»
«Ho solo svolto il mio dovere» fu la modesta risposta.
«Salvandomi la vita hai fatto molto più che il tuo dovere»
Emil guardò il giovane negli occhi: «non mi riferivo al mio dovere militare»
Jari non capì: «di che stai parlando?»
«Ho rispettato una vecchia promessa»
Il ragazzo si mostrò ancor più confuso, ma qualcosa dentro di lui gli suggerì che il sergente non stesse delirando a causa della febbre.
«Una promessa?»
Emil non trovò ragioni per nascondere la verità, desiderava che quel giovane sapesse.
«Una parte di me ha capito fin dal primo momento che eri il figlio di Helena» confessò.
Jari si stupì: «tu hai conosciuto mia madre?»
L’uomo confermò, sul suo volto comparve un malinconico sorriso.
«È stato tanto tempo fa. Quando ho saputo della sua morte ho pensato di tornare, ma…ad essere sincero non ne ho avuto il coraggio. Non sarei riuscito a dirle addio una seconda volta»
Jari rimase in silenzio, sperando che il suo interlocutore fosse intenzionato ad aprirsi con lui e a rivelare qualcosa in più sul suo passato.
«Amavo Helena con tutto me stesso, quando lei scelse di rompere il nostro fidanzamento per sposare un altro uomo non riuscii a sopportarlo, così lasciai il villaggio per trasferirmi in Svezia. Non sono più tornato in Finlandia fino allo scoppio della guerra, non avrei potuto voltare le spalle al mio popolo»
Jari ascoltò con interesse la sua storia.
«Mi dispiace che abbia sofferto per amore» fu tutto ciò che riuscì a dire alla fine.
«Con il tempo ho compreso di essere stato egoista. In fondo sono lieto che Helena abbia sposato tuo padre»
«Davvero?»
Emil annuì.
«Con lui è sempre stata felice, di questo ne sono certo»
Jari non poté contraddirlo, ma ad essere sincero, era stanco delle apparenze.  
«Mio padre non è un uomo perfetto. È vero, ha sempre amato mia madre, ma questo non lo ha reso un buon genitore»
Emil si sorprese per la durezza di quelle parole: «qualunque problema abbia con tuo padre, dovresti essere comprensivo nei suoi confronti»
«So che ha fatto del suo meglio e che ha sempre avuto a cuore il bene della nostra famiglia. Nonostante ciò, ha commesso i suoi errori. Lui non ha mai approvato le mie decisioni, ha solo imposto la sua volontà su di me finché non ho avuto il coraggio di ribellarmi. Ha mostrato la sua solidarietà soltanto quando sono tornato dalla guerra come sottufficiale»
«Sono certo che il suo unico intento sia stato quello di proteggerti»
Jari sospirò: «il fatto è che io non sono come lui. Non sono un codardo!»
«Ritieni che tuo padre sia un codardo?»
Il giovane non rispose direttamente alla domanda.
«Lui non ha mai avuto il coraggio di combattere per quel che riteneva giusto. Ha solo abbassato la testa per obbedire agli ordini dei russi. Non ha il diritto di giudicare le mie scelte, non dopo aver voltato le spalle al destino della nostra Nazione per tutta la vita!»
«Fredrik ha lottato per quel che riteneva che fosse più importante, ovvero la sua famiglia»
Jari osservò le bende intrise di sangue strette all’addome del sergente.
«Ad essere sincero, credo di aver più cose in comune con te che con mio padre»
Quelle furono le ultime parole che rivolse a Hiltunen prima di congedarsi.
Emil era certo che il giovane stesse giudicando con fin troppa severità il genitore, ma era altrettanto convinto che con il tempo avrebbe compreso le ragioni del padre.
In quel momento, una parte ti sé trovò conforto in quelle parole. L’idea di poter riconoscere qualcosa di lui in quel giovane lo riempì di orgoglio, ma anche tristezza.
«Addio e buona fortuna, tenente Koskinen»
 
 
Dopo aver abbandonato Tampere, Jari guidò il suo plotone fino alla nuova frontiera, dove le truppe bianche furono ben accolte anche dalla popolazione. Almeno per una sera i soldati poterono riposare lontano dai bombardamenti, poiché il nemico sembrava essersi ritirato.
Jari cenò insieme ai suoi uomini, lasciandosi distrarre dai loro racconti, perlopiù riguardanti la caccia.
Ad un tratto, mentre stava ascoltando l’appassionante storia di quando il soldato Jokinen aveva inseguito un lupo nella foresta, Yrjö richiamò la sua attenzione.
«Vieni in infermeria con me, voglio dare un’occhiata al tuo piede»
Il giovane ufficiale lo rassicurò: «non preoccuparti, non è niente di grave»
Il medico era realmente preoccupato.
«Jari, dico sul serio. Devo essere certo che non ci sia rischio di cancrena, non voglio essere costretto ad amputartelo in futuro!»
Il tenente si lasciò convincere dall’insistenza dell’amico, si rialzò a fatica e zoppicando lo seguì all’interno della baracca adibita a postazione di soccorso.
Jari trattenne un grido di dolore quando il medico gli liberò il piede destro dallo stivale.
«Ammetto che non sia al meglio, ma il dolore è sopportabile» riferì.
Yrjö si occupò di disinfettare le ferite causate dalla faticosa marcia nella neve e nel fango.
«Non è il sangue a preoccuparmi, ma il congelamento. Per fortuna sembra che l’arto sia ancora sano»
L’amico si era sforzato di sorridere: «te l’avevo detto che non era nulla di grave»
Il dottore riconobbe la sua eccessiva apprensione.
«Sì, certo. Volevo solo esserne sicuro»
Jari approfittò di quel momento di intimità tra loro, non era capitato spesso di essere soli, soprattutto dopo l’ultima battaglia.
«Mi dispiace, avrei voluto essere io a dirti di Lauri»
Yrjö continuò il suo lavoro, mantenendo il capo chino per nascondere gli occhi lucidi.
«Non importa, eravamo impegnati su fronti diversi, tu in prima linea ed io in ospedale. In ogni caso, non sarebbe cambiato niente»
«È stato il capitano Keränen a darmi la notizia. Hanno trovato il suo corpo mezzo sepolto nella neve, due colpi in pieno petto, almeno non ha sofferto. Ha combattuto con onore fino alla fine, questo è quello che ha detto il capitano, ed io ci credo»
«Lauri era un uomo coraggioso…ancora non riesco a credere che sia morto»
«Era un vero soldato, è morto in battaglia come un eroe»
Yrjö ripensò al sacrificio di Wilhelm von Schwerin e ai racconti di Runeberg. Quelle storie l’avevano accompagnato fin da quando era bambino, ma ormai aveva smesso di credere negli eroi.   
«È stato compito tuo scrivere alla famiglia?» domandò.
Jari annuì: «non ho scritto nulla di personale, soltanto una lettera di condoglianze con il timbro ufficiale della Guardia Civile»
«Suppongo che sia meglio così»
«Era mio dovere come suo comandante, ma…in quanto suo amico, il dolore mi impedisce ancora di affrontare la sua scomparsa»
Yrjö poté comprendere la condizione dell’amico, egli provava lo stesso.
«Quando questa guerra sarà finita ci occuperemo di rispettare le ultime volontà di Lauri come gli avevamo promesso»
Jari era tormentato dal rimorso: «è stata colpa mia, non avrei dovuto permettergli di unirsi a una missione così pericolosa»
«No, non dirlo nemmeno! Non hai alcuna colpa per quel che è accaduto a Lauri»
«Se non gli avessi permesso di partire…»
«Jari, tu sei un buon comandante, hai sempre avuto a cuore il destino dei tuoi uomini. Lauri era un buon soldato, con la giusta esperienza per essere idoneo alla missione. Hai fatto la scelta giusta e non ti sei lasciato influenzare da questioni personali. Il tuo nuovo incarico comporta grandi responsabilità, e tu hai dimostrato di essere all’altezza della situazione»
Jari apprezzò il supporto del compagno, ma ciò non bastò a donare pace alla sua coscienza.
 
I due amici restarono per un po’ in silenzio, abbandonandosi ai ricordi.
Yrjö ripensò ai momenti trascorsi con Lauri in quegli ultimi anni. Era stato lui con i suoi consigli a spronarlo a dichiararsi a Kaija. In effetti, il suo compagno era responsabile della nascita della sua storia d’amore.
Dopo tutto quel che era accaduto, Yrjö ritenne che fosse giunto il momento di dire la verità a Jari.
«C’è una cosa che devo dirti da molto tempo, ho atteso anche troppo a lungo. Avrei voluto rivelarti tutta la verità quando eravamo ancora in Germania, ma tu eri ferito e poi c’era la guerra…le mie questioni personali non erano la priorità. Poi dopo il nostro ritorno sono cambiate tante cose, un’altra guerra, la tua promozione…e infine questa terribile battaglia! Adesso che abbiamo un attimo di tregua ed io ho capito quanto sia importante per me tutto questo, non posso più aspettare»
Jari alzò lo sguardo per guardare l’amico in volto.
«Ti sto ascoltando» disse semplicemente.
Yrjö prese un profondo respiro.
«Si tratta di Kaija. Mi sono innamorato di lei dalla prima volta in cui l’ho vista ritratta nella fotografia che ti aveva spedito al fronte. In una lettera le ho confessato il mio amore e lei mi ha rivelato di ricambiare i miei sentimenti. In tutto questo tempo ho mantenuto nascosta la nostra relazione perché avevo paura che per noi non potesse esistere alcun futuro. Volevo essere certo di poter garantire a Kaija la felicità che merita prima di farle qualsiasi promessa. Avevo paura di illuderla, non volevo causarle altro dolore. Questa guerra però ha cambiato tutto, ho capito di aver sbagliato ad aspettare. Non ho alcuna certezza, se non quella di amare quella ragazza e di voler trascorrere con lei il resto della mia vita»
Jari non fu sorpreso da quella rivelazione, già aveva intuito che ci fosse un uomo nella vita di sua sorella, fu lieto di sapere che quell’uomo fosse proprio Yrjö.
«So che sapresti rendere Kaija felice, è tutto quel che conta per me» disse con sincerità.  
«Se tornerò vivo da questa guerra, il mio unico pensiero sarà prendermi cura di lei»
«Dunque hai intenzione di fare sul serio…»
«Io voglio sposarla»
Jari sorrise: «allora dovrò abituarmi all’idea di diventare tuo cognato»
«Non ho ancora chiesto la sua mano»
«Mio padre approverà le nozze. Sono certo che gli piacerai molto, d’altronde, vorrebbe che io fossi esattamente come te»   
Yrjö non comprese a pieno quell’ultima affermazione, ma fu lieto di essersi tolto quel peso dal cuore. Quel segreto rischiava di rovinare il suo rapporto con Jari, finalmente poteva essere del tutto sincero con l’amico.
 
 
La marcia verso est si rivelò ben più ardua del previsto. Il freddo e la neve avevano rallentato e ostacolato l’avanzata delle truppe. Anche il plotone del tenente Koskinen rimase bloccato tra colline innevate e laghi ghiacciati.
Jari sapeva che quelle zone erano ancora occupate dai Rossi, era necessario essere sempre vigili e in allerta. Quella foresta non gli piaceva, fin da quando aveva messo piede oltre il confine di betulle, aveva avvertito una pessima sensazione.
I soldati avevano raggiunto da poco una piccola radura quando all’improvviso i primi spari si abbatterono su di loro. Jari ordinò prontamente ai suoi uomini di mettersi al riparo. I Bianchi tornarono a nascondersi nella foresta.
Jari si rannicchiò dietro a un grosso masso.
«Gli spari provenivano da lassù, probabilmente i Rossi hanno eretto una barricata su quella sporgenza!» lo informò il soldato Jokinen.
L’ufficiale non perse tempo, immediatamente formò una squadra e predispose il fuoco di copertura.
Jari uscì allo scoperto, altri cinque uomini lo seguirono disperdendosi tra gli alberi per poi risalire il sentiero.
Lo scontro a fuoco proseguì imperterrito.
«Sono in pochi e presto finiranno le munizioni» constatò Jokinen.
Jari valutò la distanza che separava il loro rifugio dalla trincea nemica.
«Al mio segnale lanciate le bombe a mano…dopo l’esplosione salteremo in trincea»
Jokinen fu piacevolmente sorpreso: «ha imparato queste tecniche in guerra?»
Il tenente si limitò ad annuire. Poco dopo, quando fu il momento adatto, mise in atto il suo piano.
Le esplosioni sollevarono dense nubi di fumo, facendo tremare il terreno sotto ai loro piedi.
Jari saltò nella fossa, quando la nebbia iniziò a diradarsi riconobbe due cadaveri riversi nel fango. Proseguì la sua esplorazione senza trovare alcun nemico, stava per risalire in superficie quando udì il botto di uno sparo. Immediatamente corse sul fondo della trincea.
Jokinen stava puntando il fucile alla testa di un Rosso, l’unico sopravvissuto, il quale si era arreso abbandonando l’arma e inginocchiandosi a terra.
«Fermo! Non sparare!»
Il soldato obbedì al suo comandante, ma mantenne la canna puntata e il dito a sfiorare il grilletto.
L’ufficiale si avvicinò alle spalle dell’avversario.
«Da questo momento lei è prigioniero delle Guardie Bianche! Io sono il tenente Jari Koskinen…»
Non riuscì a terminare la frase poiché venne interrotto da una voce terribilmente familiare.
«Lo so, ti conosco molto bene, Jari»
Il giovane si bloccò a pochi passi di distanza.
Quando il prigioniero si voltò, riconobbe i suoi occhi limpidi e trasparenti come il ghiaccio.
 
***

Jari tornò alla realtà, le fiamme ardevano scoppiettando nel camino.
All’esterno la bufera non si era placata, questo gli concedeva un po’ di tempo, ma non abbastanza. Una notte era troppo breve per prendere una simile decisione.
Era assillato da questi tormenti quando la porta si spalancò di nuovo.
«Signore, le ho portato la cena»
Il giovane soldato si ripresentò davanti a lui con un piatto di minestra fumante.  
Jari lo ringraziò, ma non si avvicinò nemmeno al cibo. Non era intenzionato a mangiare in quel momento.
«Mi dispiace per prima, non volevo essere troppo scortese nei tuoi confronti»
Il ragazzo mostrò un timido sorriso: «non si preoccupi signore»
«Ho riflettuto meglio sulla situazione e ho rivalutato la mia decisione» annunciò l’ufficiale.
La staffetta gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Devo riferire qualcosa?»
Il tenente si rialzò in piedi con ritrovata convinzione.
«No, portami dal prigioniero. Accetto la sua richiesta, voglio incontrarlo»
   
 
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