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Autore: Glenda    10/01/2024    4 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cosa dovrebbe provare un uomo che ha appena perso la sua intera vita e, in una manciata di minuti, gli viene offerto di iniziarne un’altra?

Teshdei non lo sapeva.

Da poche ore, non riusciva più a sentire né a comprendere niente.

Il pianto dirotto in cui era scoppiato davanti alla sua misteriosa salvatrice lo aveva prosciugato: gli sembrava che insieme alle lacrime se ne fossero andati il dolore, la paura, i rimpianti, persino l’amore e l’odio. Si sentiva un contenitore vuoto. Ora sì, ora avrebbe potuto abbandonarsi alla morte e alla vita con la stessa vacua indifferenza. Era lì? Davvero stava respirando, guardando, camminando? Per un attimo pensò che avrebbe potuto ridurre tutto in briciole, come aveva fatto con quel carro, come il giorno in cui aveva mandato in pezzi la staccionata dell’orto del suo creditore: gli sarebbe bastato abbracciare quella forza che gli rimescolava il cervello e gli annebbiava il cuore...

“Non è una buona idea. All’inizio sembra liberatorio, ma poi funziona come una sbronza: appena l’euforia passa, arrivano il vomito, il mal di testa e la tristezza.”

La ragazza fermò il cavallo e gli tese la mano per aiutarlo a scendere.

“Leggi nel pensiero?”

Ormai, non se ne sarebbe stupito.

“No. È che facciamo tutti così, non appena la mente torna presente a se stessa e ci rendiamo conto che dietro di noi ci sono solo macerie e davanti il nulla. Vorremmo cedere il comando: lasciare che quell’energia che non sapevamo di possedere e che ci ha appena distrutto la vita si prendesse ogni cosa. Ma non si può, perché essa non è altro da noi. Siamo noi.”

Si trovavano di fronte al rudere di una vecchia fortificazione, di cui restavano in piedi solo le mura, invase da rampicanti, ortiche e rovi. Lei lo condusse verso un’apertura nel muro, dove la vegetazione dava l’impressione di venire periodicamente tagliata, e lo spinse avanti, vero l’interno.

Dovevano trovarsi piuttosto distanti dall’ultimo centro abitato: si stava facendo sera, ma tutto intorno non si vedeva il riflesso di una luce, nemmeno in lontananza.

La ragazza gli passò avanti, si chinò sulle ginocchia e estrasse qualcosa dal terreno: una specie di punteruolo dalla testa tonda, ma stranamente lucente. Teshdei si stropicciò gli occhi, convinto che la stanchezza e l’oscurità gli avessero giocato uno scherzo: in mezzo allo spiazzo che prima gli era parso vuoto, ora gli sembrava ci fosse qualcosa. Lei si mosse in linea retta, si chinò di nuovo, estrasse un secondo punteruolo e ripeté il gesto altre due volte, seguendo un immaginario perimetro quadrato; adesso, dove prima non c’era nulla, Teshdei vedeva distintamente una casa, con uno dei muri in pietra grezza, simile ai resti della fortificazione, gli altri tre di costruzione più recente, lindi e ben rifiniti, sui quali si aprivano finestre illuminate.

“Non abbiamo specialisti di Confini, qui,” fece lei, come se gli dovesse una spiegazione “Quindi dobbiamo accontentarci di trucchetti da principianti. Ma in genere preferiamo la lealtà alla segretezza.”

“Buffo” trovò il coraggio di ribattere lui “detto da una donna che si nasconde il volto.”

Di tutta risposta, la ragazza si sfilò la maschera.

“Non lo sto nascondendo a te.” disse “Tu non hai interesse a tradirmi. Non solo, non puoi neppure farlo… non per tua scelta, almeno. Sapevi che per la nostra legge la testimonianza di una Maledizione non ha valore, a meno che non sia estratta da un Persuasore di Ricordi o rubata da un Persuasore di Lettura? È per questo che, adesso che conosci questo luogo e il mio volto, dobbiamo prenderci cura di te.”

Sorrise, con gentilezza e durezza insieme.

Era poco più che una fanciulla, poteva avere la metà dei suoi anni, ma parlava come una persona che ne ha vissuti mille. Era bella e arrabbiata, di una rabbia lucida e orgogliosa: occhi scuri, labbra grandi e vivide, e il cipiglio di una donna che non ha più nulla di cui sorprendersi.

“Il mio nome è Meirem, e questo per un po’ sarà il tuo rifugio. Seguimi.”

Fece suonare il campanaccio sulla porta e cinguettò un “Sono tornataaa!”, come una bambina allegra che rientra da una scampagnata; la reazione non si fece attendere, anzi, fu così veloce da far pensare a Teshdei che qualcuno fosse sempre stato lì.

“È un po’ tardi, cara, ma ti abbiamo tenuto la cena da parte!”

L’uomo sulla porta poteva avere poco più di trent’anni: non alto, ossuto e spigoloso, capelli rasati a pelle e un paio d’occhi l’uno di un colore diverso dall’altro, che facevano una certa impressione, specie su quel viso emaciato.

“Vedo che hai portato con te il nostro amico!” continuò “Sono lieto che tu sia ancora vivo!” gli allungò un’esile mano dalle lunghe dita di ragno “Io sono Xau. Accomodati!”

Li fece entrare e si rivolse a Meirem.

“Lui vi aspetta di sopra. Ti farò trovare di che rimetterti – e rimetterlo – in sesto quando avrete finito.”

 

La porta era aperta.

Iruvàn stava seduto di schiena, curvo sul tavolo a scrivere qualcosa alla luce timida di una candela.

Meirem indugiò sulla soglia a guardarlo: i capelli, imbiancati troppo presto ma ancora lunghi e folti, gli coprivano il collo, e le sue spalle un po’ curve sembravano sempre così stanche. Era un uomo forte eppure a volte sembrava vulnerabile, era severo eppure amabile, sapeva essere spaventoso e rassicurante insieme. Iruvàn era troppe cose: era un labirinto, era gli estremi che si toccano, era contraddizione pura. Non lo vedeva da almeno un mese, e Dio, quanto le era mancato! Sarebbe rimasta ferma lì ad osservarlo per ore.

“Non restare sulla porta, il corridoio è freddo.” la invitò lui, riponendo con delicatezza fogli e penna.

Meirem fece qualche passo avanti accennando a Teshdei di seguirla.

Iruvàn mosse la sedia senza fare rumore, le andò incontro e le accarezzò il viso.

“Sei stata veloce.” disse.

“Xau pensa che avrei dovuto farcela entro l’ora di cena.” scherzò lei.

“Xau non ha affrontato dei Persuasori da solo.”

Meirem arrossì e incrociò il suo sguardo: anche se lui sorrideva, quegli occhi non sorridevano affatto. Gli occhi di Iruvàn non sorridevano mai, erano un abisso in cui si poteva solo precipitare.

“Ti do il benvenuto.” si rivolse a Teshdei “Immagino che Meirem ti abbia già spiegato alcune cose… tutte le altre, te le spiegherò io. Siediti: avrai molto da chiedermi.”

L’uomo obbedì meccanicamente e prese posto su uno dei cuscini ai piedi del camino che lui gli aveva indicato. Anche Iruvàn fece lo stesso, e Meirem ravvivò la fiamma.

“Chi sei?”

“Oh.” il padrone di casa fece un ampio sorriso vuoto “Non mi immaginavo questa, come prima domanda! Peccato, dovrò mostrarti subito il mio lato meno accogliente. Non ti dirò il mio nome finché non penserò di avere la tua incondizionata lealtà. Il che è anche possibile che non accada mai. Mi trovo in una posizione molto complessa, essendo un Persuasore che viola la Regola.”

“Persuasore...?”

Iruvàn frustò l’aria con la mano.

“Mago, stregone, come preferisci… non ha molta importanza: importa che ho messo le mie arti a protezione di quelli come te. Tuttavia, i nostri progetti a lungo termine prevedono che io faccia parte di un’enclave e non perda credibilità davanti ai…” fece un sorriso sghembo “miei pari. Per questo devo mantenere la clandestinità con chi non è, o non è ancora, nel Patto.”

Lo guardò dritto negli occhi e Teshdei non resse lo sguardo.

“Cos’è… il Patto?” chiese, a mezza voce.

“È un giuramento tra persone che non approvano il modo in cui viene governata questa società. Più nello specifico, non approviamo l’atteggiamento dei Persuasori nella propria posizione di potere e la gestione del fenomeno che chiamano Maledizioni. Sai cosa ti sarebbe accaduto, se Meirem non ti avesse salvato?”

Teshdei deglutì e incurvò le spalle.

“Sarei stato ucciso.”

“No.” precisò Iruvàn, con la freddezza di una lama di coltello “Ti saresti ucciso da solo. I Persuasori non si sporcano le mani: non impugnano armi. Un Persuasore di Sensi avrebbe manipolato la tua mente privandoti della percezione del pericolo e di quella del dolore, e un Persuasore di Cesura avrebbe guidato la tua mano a conficcarti un pugnale nel cuore, a sgozzarti o a tagliarti le vene. Se non altro non avresti provato alcuna sofferenza: compassionevole, no?”

Teshdei rabbrividì e Meirem gli batté una mano sulla spalla.

“Ti è andata bene!” disse e poi spostò lo sguardo da lui ad Iruvàn “Quei due non erano particolarmente esperti. Uno non praticava la Persuasione dei Sensi come arte principale, e il Persuasore di Cesura era ancora un principiante, non è neppure riuscita a bloccare la mia voce.” guardò di nuovo Teshdei “Non tutti hanno la tua fortuna: se una Maledizione viene individuata in una grande città è difficile che noi riusciamo ad intervenire e la condanna viene eseguita nel giro di poche ore.”

“Quanti… ne avete salvati?”

Meirem prese a contare sulle dita, ma Iruvàn la precedette.

“Con te, otto. Meirem compresa. Non molti, ma quasi tutti quelli di cui siamo venuti a conoscenza. Non è facile sapere, e ancor meno sapere in tempo.”

Teshdei continuava a strapparsi frammenti di pelle alla base delle unghie: prima o poi si sarebbe fatto sanguinare le mani.

“Perché non mi domandi la cosa che non osi chiedermi?” fece Iruvàn pacatamente “È inutile che continui a roderti nell’ansia: spesso col pensiero anticipiamo pericoli che poi non si verificano. Le cose sono sempre più semplici quando vengono messe in chiaro subito.”

“Meirem ha detto…” la guardò in tralice “…mi ha parlato di un incantesimo.”

Lui annuì.

“Io pratico la Persuasione del Cuore. Non è la mia arte principale, oggi… ma lo era, un tempo, ed è tuttora quella a cui sono più affezionato. Mi permette di ottenere lealtà, rispetto, persino amore dalla persona che ne è l’oggetto.”

“Puoi… convincere qualcuno ad amarti?”

“Oh, sì. Persino a morire per me. Ma, come tutte le Persuasioni, ha forza e durata limitate sia nello spazio che nel tempo. Potrei costringerti a vedermi come il migliore amico che si possa avere e raccontarmi la tua intera vita qui ed ora: ma pochi minuti dopo ti domanderesti perché l’hai fatto. E non mi serve né mi interessa, capisci?”

No, dall’espressione sul suo volto Teshdei non capiva affatto. Non riusciva a districarsi in tutti quei concetti mai sentiti prima e non aveva idea di cosa quell’uomo si aspettasse da lui.

“La Persuasione del Cuore diventa affidabile se si basa sul consenso.” spiegò Iruvàn “Se tu vuoi fidarti di me ed ottenere la nostra protezione, la Persuasione sarà solida e duratura ed io potrò essere certo che non ci tradirai.”

Seguì un lungo silenzio.

“Come farai ad essere certo che il mio consenso è sincero?”

Sul volto di Iruvàn apparve un’espressione soddisfatta.

“Mi piace questa domanda, e mi dice molto di te. Il fatto che tu me lo stia chiedendo significa che non hai intenzione di fingere, ma che temi di non essere convinto e di darmi il tuo consenso solo perché ti senti vulnerabile e non sai dove altro andare. È così?”

Teshdei annuì.

“Non temere.” proseguì l’altro “I tuoi dubbi non sono un problema, mi interessano solo le tue intenzioni. Mi dai il permesso di utilizzare la mia arte su di te perché pensi di avene bisogno per rimanere vivo? È più che sufficiente.”

Per un attimo Iruvàn guardò nel vuoto e Meirem colse un’ombra passare attraverso i suoi occhi.

“Una persona a me cara” disse lui, sorridendo con dolcezza “diceva sempre mi fido abbastanza per tutti e due. Quindi, sta’ tranquillo. Ci penso io. Per tutti e due.”

 

La notte era calata da un po’ ed Iruvàn era ancora curvo su quella sedia, con la penna in mano ma senza scrivere niente.

“Non dormi?” Meirem appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle.

Iruvàn rilassò la schiena e lasciò che lei gli massaggiasse il collo.

“Lui come sta?” si informò, e c’era una certa premura in quella domanda, anche se mascherata bene dal tono monocorde della sua voce.

“Bene, compatibilmente alla sua situazione. Si è rifocillato e poi addormentato. Aveva una moglie e un figlio, poveretto, e nel suo cuore spera che loro lo amino ancora. Che un giorno li rivedrà, magari. Credo sia per questo che ha collaborato. Mi dispiace che si illuda. In ogni caso, al momento questa speranza gli serve per non crollare… Quanto a noi, ha un potere notevole e ci servirà.”

Iruvàn si passò una mano sulla fronte.

“Leu?”

“È quasi alle montagne.”

Lui annuì lentamente.

“Sei stanco, Iruvàn… Vai a dormire, per piacere.”

“No. Devo tornare all’enclave entro l’alba, non sanno neppure che sono uscito.” fece per alzarsi ma lei non si spostò, anzi gli circondò le spalle con le braccia.

“Non andare. Resta qui, stanotte.”

Lui le accarezzò le mani e poi le allontanò delicatamente da sé.

“Lo so, mi dispiace. Ma le cose si sono complicate e il tempo corre.” si alzò, con un profondo sospiro “Non mi posso permettere errori.”

Meirem gli prese il viso tra le mani.

“Per favore.”

Gli era mancato, gli mancava. Perché doveva essere tutto così difficile? Per mille ragioni, in verità: perché lui era la mente del Patto e lei solo la ragazzina che aveva salvato da morte certa, perché aveva trent’anni più di lei, perché era convinto che tutta la sua devozione fosse opera della Persuasione del Cuore… e invece la Persuasione non c’entrava niente, accidenti. Lo amava dal momento in cui lo aveva conosciuto, lo amava come non avrebbe mai potuto amare nessun altro.

“Meirem,” le disse in quel modo che le faceva male ogni volta “ho bisogno della tua intelligenza, non del tuo affetto. Per l’affetto ci saranno altri tempi. Uscendo, ripristinerò il confine: il nostro nuovo amico non deve uscire per un po’. E nemmeno tu.”

“Nessuno mi ha vista in faccia.”

“Non ha importanza. Hai aggredito due Persuasori e fatto fuggire una Maledizione. Ci sarà un bel trambusto…!”

C’era un sottinteso in quelle parole.

“Credi che avrei dovuto ucciderli?”

Stavolta fu lui ad appoggiarle le mani sulle spalle.

“No. Non avevi gli strumenti per valutare se meritassero di vivere o morire. Ed avevi un’altra priorità.”

La sua presa solida le dava i brividi: avrebbe voluto rimanere ferma così per ore.

“Ma anche io ho una priorità, dunque perdonami se ti lascio da sola a gestire questo caso.”

“Io…”

Iruvàn la fissò negli occhi. Azzurri, azzurrissimi. Era così dannatamente bello.

“Dimmi che nei sei in grado.”

Se anche non lo fosse stata, lo sarebbe diventata.

A lui non avrebbe mai detto no.

Annuì vigorosamente.

“Sì. Certo che sì.”

  
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