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Autore: fiore di pesco    14/01/2024    8 recensioni
In passato, ogni volta che Kim Seh aveva osservato Yiko, aveva avuto la stessa sensazione di trovarsi di fronte ad un sepolcro imbiancato. Una bellissima tomba di alabastro intarsiato. Stupenda a vedersi ma, al suo interno, qualcosa sta marcendo.
Short horror ambientata in Corea del Sud. I capitoli sono brevi, 4 di numero, pubblicazione dal 5 al 14 gennaio.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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, Quattro

Yiko entrò nella sua villa e si chiuse la porta alle spalle.

Le donne delle pulizie avevano ripulito e sistemato tutto il casino che aveva fatto la polizia il giorno prima, lasciando gli ambienti ordinati e profumati.

Il manto della notte era già calato su Seul e Yiko aveva passato tutto il giorno a sistemare le pratiche necessarie alla pratica di successione ereditaria che sarebbe andata a firmare il giorno seguente. Meno di 12 ore per diventare proprietaria del patrimonio del defunto marito, Seung Nungwa.

Yiko chiuse gli occhi prendendo un grande sospiro, poi si tolse il cappotto e le scarpe e si diresse al mobile bar del salotto, valutando che cosa avrebbe potuto bere quella sera.

Si arrestò a qualche metro dal mobile bar quando il pensiero malsano di essere spiata le si insinuò nella mente. Non era paranoia, ci aveva già pensato durante il giorno… Non era completamente certa che Kim Seh non avesse lasciato qualche cimice o telecamera nascosta all’interno dell’abitazione, quindi si comportò come se fosse osservata da qualcuno che cercava prove della sua colpevolezza.

Prese dal ripiano del bar uno dei larghi tovaglioli di cotone bianco che servivano ad avvolgere le bottiglie di champagne bagnate e si sedette sul divano in pelle, scoppiando in un pianto a dirotto che soffocò all’interno del panno.

Non rischierò di rovinare tutto proprio adesso che sono ad un passo dalla vittoria, sorrise col viso celato dal tessuto.

Il mattino seguente avrebbe avuto appuntamento in tribunale per ritirare i documenti e poi li avrebbe immediatamente fatti vidimare dal suo notaio. Anche se gli altri fratelli, Kim Seh e Jung Ji, avessero ereditato in seguito alla morte di entrambi i loro genitori, gli sarebbe stato destinato meno del 20% del totale a testa. Lei aveva tutto il resto e non sarebbero stati affatto un problema da gestire.

Per prima cosa avrebbe fatto licenziare Kim Seh, perché per quanto ne fosse uscita perdente da quella battaglia, era comunque un soggetto pericoloso e incline alla vendetta, Yiko l’aveva compreso. Sotto un certo punto di vista, la stimava. Aveva un intuito eccellente, era abbastanza intelligente e refrattaria alla manipolazione al punto da essere riuscita a scorgere ciò che nessun altro aveva intravisto.

Gli uomini erano semplici da abbindolare: di fronte alla sua bellezza e alle movenze di donna fragile e bisognosa di assistenza, il loro senso virile e cavalleresco le permetteva di non sollevare troppi dubbi e anzi, diventavano incredibilmente mansueti. Nei più anziani, provocava l’istinto paterno di protezione. Nei più giovani, l’attrazione viscerale e perfino suo cognato, per quanto leale al fratello, a volte aveva indugiato con lo sguardo su di lei qualche secondo più di quanto gli fosse lecito.

Con le donne era più difficile, ma una società patriarcale le faceva comodo: erano poche le donne che potevano rappresentare una minaccia per lei. Per ammansirle sfruttava l’educazione e la gentilezza mediante generosità, cordiali complimenti e reiterando favori. Chi fosse stata in debito con lei, difficilmente avrebbe desiderato darle contro.

Finora aveva funzionato sempre, ad eccezione di Kim Seh Nungwa.

Kim Seh era come un pilastro incorruttibile, idealista, disincantata. Aveva accettato ogni suo regalo con una smorfia di sufficienza, le stringeva la mano con forza guardandola fissa negli occhi, non ricambiava mai un sorriso solare né si era commossa in una delle qualsiasi circostanze in cui Yiko aveva fatto il possibile per dimostrare amore nei confronti di Seung. Nemmeno sua suocera aveva mai dato segni di mancarle di fiducia, e si sa che le suocere sono gli individui da temere maggiormente quando si tratta di accaparrarsi un uomo benestante. A lei invece era toccata la cognata sospettosa.

Una donna del genere, per quanto potesse essere ancora acerba professionalmente e godesse di bassa credibilità, era questione di tempo prima che rendesse manifesto il proprio talento di fronte ai vertici. In quel caso, avrebbe potuto essere veramente difficile liberarsi di lei. Non la tentavano i soldi, non la piegava il lusso o la cupidigia e nemmeno la lussuria. Non si era mai mostrata preoccupata per la privazione del capitale, quanto più per la perdita di suo fratello.

Quasi le dispiaceva di aver fatto un torto ad una donna di tale valore. Forse, se Kim Seh non fosse stata la figlia dei Nungwa, avrebbero potuto essere amiche. Ma Kim Seh era sfortunata e non avrebbe mai potuto godere della loro amicizia, riteneva Yiko.

Seung non era un uomo cattivo e sinceramente non le era piaciuto porre fine alla sua vita. Aveva impiegato parecchio tempo per riuscire a creare le circostanze idonee a commettere il delitto e aveva anche scelto l’opzione che riteneva più indolore, nella speranza che si addormentasse e basta.

Nell’ultimo anno avevano praticato sport pericolosi e adrenalinici e perfino quando avevano scalato una montagna per visitare un tempio shintoista in Giappone e Seung era scivolato dalla scalinata, non si era mai fatto davvero male. Le aveva fatto attendere parecchio tempo, prima di incedere nell’incidente che rendesse possibile l’attuazione del suo piano.

Yiko aveva quasi temuto che l’insulina scadesse, prima che arrivasse quel giorno.

Così, quando il suo drone era volato sul tetto della casa e lo aveva pregato insistentemente di recuperarlo, nonostante lui insistesse per chiamare il tuttofare, aveva fatto in modo che l’incidente non risultasse mortale. Aveva bisogno che su di lui ci fossero contusioni ed ematomi tali da mascherare ciò che l’avrebbe davvero portato alla morte.

Finalmente si era ferito e a qualche sera di distanza, dopo aver preso gli antidolorifici e seguito i suoi consigli di restare leggero con un po’ di riso e pesce al vapore, senza alcool, che l’avrebbe di certo aiutato a contrastare l’effetto dell’insulina, aveva atteso che lui si addormentasse.

Era stato difficile iniettargli nella vena safena della gamba la dose d’insulina giusta, dato che aveva quel terribile vizio di dormire a pancia in giù. Per fortuna gli antidolorifici e il fatto che fosse debole avevano contribuito a non destarlo.

Aveva progettato di iniettargliela proprio in prossimità di una di quelle escoriazioni, in modo che non si potesse vedere il foro di entrata dell’ago della siringa sottile per diabetici che aveva imparato ad usare magistralmente quando faceva da assistente a sua nonna in ospedale a Yeongcheon. Era stata tentata di iniettarla nel braccio, ma la grande safena era quella che più si sarebbe prestata a questo scopo, oltre al fatto che la ferita alla gamba era più seria di quella all’omero, su cui non presentava vene sottocutanee idonee. Così lo aveva convinto a dormire senza bendaggio affinché la ferita si asciugasse prima.

Purtroppo, vista la velocità con cui il sangue della safena accede al cuore, si era svegliato quasi subito.

Yiko non avrebbe mai scordato il suo sguardo spaventato alla vista della siringa che stringeva e i gorgoglii che aveva emesso Seung quando aveva provato ad alzarsi dal letto e fuggire, riuscendo a fare esattamente quattro passi prima di stramazzare al suolo sul tappeto della camera da letto, in convulsioni. Il coma ipoglicemico ci aveva messo più di quanto pensasse. Non aveva mai iniettato una simile dose di insulina ad un uomo sano e normopeso, quindi non credeva che avrebbe fatto tanta resistenza all’agonia.

Aveva dovuto attendere con pazienza prima di essere certa che fosse morto e solo dopo mezz’ora dal decesso aveva potuto iniettargli il potassio che avrebbe fatto scomparire le tracce maggioritarie di insulina. Quella parte era stata la più difficile, dato che aveva passato diverso tempo a praticare il massaggio cardiaco per far sì che le sostanze si miscelassero all’interno del suo corpo prima che il sangue coagulasse, in modo che quando durante l’autopsia avessero preso dei campioni di sangue dai condotti principali, non avrebbero trovato tracce rilevanti dei due composti. Quasi sicuramente avrebbero riscontrato ematomi postumi alla morte laddove aveva compresso il petto per far girare il sangue, ma era normale praticare il massaggio cardiaco ad una persona a cui si era fermato il cuore, giusto? E se fosse stato sbagliato, cosa poteva saperne lei, una povera fanciulla digiuna di nozioni mediche?

Aveva distrutto le due fiale che contenevano i farmaci, polverizzando il vetro sottile con il tacco di una scarpa e, con un po’ di carta vetrata aveva levigato la siringa fino a farla dissolvere, poi aveva buttato le polveri nel gabinetto, ad eccezione delle componenti metalliche, che aveva celato nei suoi trucchi finché non era potuta andare in strada a buttarli in un cestino pubblico il giorno seguente. 

Aveva trascinato con cura Seung a letto e atteso la mattina, quando i vicini si preparavano ad andare al lavoro, allora aveva aperto le finestre e aveva urlato più che poteva per farsi udire nonostante i trenta metri che separavano le loro case.

Nessuno aveva sospettato di lei, ad eccezione di Kim Seh e di quel Park, l’ispettore zelante. Che avesse una storia con Kim Seh? Avrebbe fatto screditare anche lui… per sicurezza.

Una donna tanto brillante e allo stesso tanto stupida da unirsi ad un uomo, pensò abbassando il panno bianco dal viso, asciugandosi le lacrime che riusciva a versare solo quando ripensava alla tristezza del suo passato.

Yiko non provava attrazione per gli uomini, né per le donne o altri esseri viventi o inanimati. Non avrebbe corso più alcun rischio, dopo questo colpo. Sarebbe rimasta una vedova benestante e riservata, chiusa nella sicurezza del proprio patrimonio, senza fare mai passi più lunghi della propria gamba, cauta e scaltra come un leone di montagna nella taiga. Se le fosse andata davvero male, in futuro avrebbe potuto trovare un altro uomo ricco da sposare. Magari uno straniero… dato che le vedove non erano ben viste in Corea, ma agli americani o ai russi questi dettagli non danno alcun fastidio, e di grana ne hanno parecchia.

Si alzò, decisa a fare un brindisi a sé stessa, diretta verso la cantina dei vini. Lì avrebbe trovato ciò che le serviva. Non avrebbe brindato con lo champagne, così sopravvalutato e che nell’inconscio collettivo rappresenta il festeggiamento. Le ci voleva un porto, rosso, pieno, corposo. Un Tawny 40 years sarebbe stato perfetto per l’occasione.

L’accesso alla cantina si trovava in cucina, dove una foto di lei e Seung era appesa proprio sulla parete di fianco al frigorifero. La guardò di sfuggita e subito si bloccò, avvicinandosi per osservarla meglio. La vista le aveva giocato un brutto scherzo: avrebbe potuto giurare che al posto di quel viso sorridente che stava guardando adesso, una smorfia di odio fosse dipinta sul volto del marito fino ad un attimo prima.

Scosse la testa, chiedendosi per quale ragione il suo inconscio si stesse prodigando tanto per farla pentire delle sue azioni. In vita sua non aveva mai sentito l’effetto di ciò che chiamano coscienza. Possibile che si manifestasse in questo modo? Decise di ignorare la sensazione sgradevole.

Toccò la serratura a impronta digitale della cantina in cui conservavano i vini e anche la cassaforte con i gioielli e i beni più preziosi. Il led verde di sblocco le diede il benvenuto. Scese le scale, chiudendo la porta con la serratura elettronica dietro di sé.

Le calde luci soffuse della cantina la accolsero e la musica dietro di sé si fece ovattata nel caveau a 18°C per mantenere a temperatura i vini. Un regalo di Seung, decisamente il più gradito dopo la sua morte.

Prese il bicchiere di porto, chiudendo gli occhi mentre ne sorseggiava il contenuto.

Un bagliore le fece aprire gli occhi repentinamente. Si guardò attorno, stupita, prima che le luci della cantina sfavillassero un’altra volta.

Problemi elettrici…? Meglio tornare su. Salì le scale che davano sulla porta del caveau, ma dopo aver cliccato sul pulsante di apertura, il led rosso che indicava il blocco della serratura elettronica la informò che era prigioniera della sua stessa cantina. Dannazione, ho lasciato sopra il cellulare!

Si lasciò ad una imprecazione, mentre rifletteva su cosa sarebbe stato opportuno fare. Se nessuno fosse venuto a cercarla quella sera, sicuramente sarebbero giunti il mattino seguente, quando avrebbe mancato l’appuntamento dal notaio. Si trattava di oltre 10 ore… la sua vista fu attirata dal led rosso della porta, che stranamente aveva aumentato d’intensità al punto da illuminare parzialmente i primi gradini della scalinata su cui si trovava.

Yiko percepì l’ansia crescere nel suo ventre e scese le scale precipitosamente, rovesciando parte del porto per terra nella foga. La bevanda invecchiata le bagnò la mano in cui stringeva il bicchiere e i suoi occhi vagarono per la stanza, mentre i battiti del suo cuore aumentavano alla vista della luce delle lampade sul soffitto, che diveniva sempre più calda fino a prendere la sfumatura di un cupo rosso.

Le pareti divennero distorte e curve, come se si stessero chiudendo su di lei, provocandole il panico claustrofobico che solo sul fondo dell’armadio a muro dell’appartamento dei suoi genitori aveva sperimentato con quell’intensità.

È un brutto sogno, mi sveglierò presto e sarò ancora sul divano. Mi sveglierò presto e… i suoi pensieri si arrestarono fulminei quando i suoi occhi misero a fuoco qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì, qualcosa che quando aveva sceso le scale era certa che non ci fosse e che non poteva essere entrato dopo di lei perché solo lei e Seung avevano le impronte digitali per accedere a quella parte della casa.

Nel buio della scala che conduceva alla porta elettronica riusciva a scorgere le gambe di un uomo in piedi a metà di essa.

No… non è possibile.

Restò immobile di fronte a quell’immagine, mentre il suo cuore batteva forsennato e il suo respiro ne seguiva il crescendo, diventando instabile e fremente, scaturendo in dei singulti nel petto. La presa sul bicchiere si fece involontariamente meno forte ed esso le scivolò di mano, infrangendosi al suolo.

“Tu sei morto! Sei morto!” urlò in direzione di quella figura nell’ombra.

Le luci si affievolirono e fu allora che l’uomo incedette lentamente verso di lei, mostrandole il viso di suo marito, con la stessa espressione che le dedicò durante gli ultimi istanti della sua vita. La bocca socchiusa e gli occhi spalancati, sconvolti, ora fiammeggianti di una sfumatura rossa che solo le braci ardenti potevano eguagliare.

“Vattene!” indietreggiò Yiko, inciampando nei propri piedi e cadendo con un palmo aperto sui vetri infranti del bicchiere che le era sfuggito di mano pocanzi.

“Va viaaaa!!”

Le luci si spensero una frazione di secondo prima che le si avventasse contro.

 

“È certa che abbia funzionato?” chiese preoccupata Lao Mei, osservando la piccola ciotola di fronte a sé, con dentro l’acqua medicata e le pietre che la fattucchiera aveva preparato tre giorni prima. Le luci delle candele sul tavolo si riflettevano cupe sul liquido, mandando bagliori rossastri.

“È diventata rossa?” domandò l’anziana al suo fianco, con cipiglio severo.

“Sì, rossa.” Rispose Lao Mei, studiando la superficie della pozione con più attenzione. “Rossa come il sangue, lo confermo.”

“Allora ha funzionato.” Replicò l’altra donna, con un ghigno sdentato.

“L’assassina di mio figlio è morta?”

La strega si aggiustò il copricapo con un sorriso machiavellico. “La persona di cui mi hai portato i capelli è morta di certo. Che fosse l’assassina di tuo figlio, non posso assicurarlo. Per questo, avresti dovuto chiedere un consulto a parte. Non è compreso nel prezzo della maledizione.”

“Sono certa che fosse lei. Nel tempo in cui…” cominciò a spiegare Lao Mei.

“Non mi interessano le tue ragioni. Adesso è il momento di saldare il conto. Contanti.” Sibilò la megera picchiettando una delle sue lunghe unghie sul tavolo in legno.

Lao Mei tentennò incerta prima di abbassarsi a recuperare la borsa da sotto al tavolo per consegnarle la cospicua cifra che la strega aveva richiesto per compiere la sua vendetta. Strinse in mano le banconote mentre i dubbi le si insinuavano nella mente. “Se non dovesse essere morta?”

La fattucchiera le strappò i soldi di mano senza tante cerimonie. “Io non fallisco. Mai. Ho fatto esattamente ciò che mi avevi richiesto. La persona di cui mi hai portato il frammento è morta entro il terzo giorno dal funerale di tuo figlio.” Il suo sguardo vagò cauto per la stanza prima di tornare a posarsi su Lao Mei. “Quindi adesso prendo il mio compenso. Sarò qui, se avrai ancora bisogno dei miei servizi.”

Lao Mei abbassò lentamente le mani sul grembo, facendo un piccolo inchino col capo.

La strega la scortò fuori dalla stanza buia in cui si trovavano, incrociando nel corridoio la giovane nipote, che stava per portare loro un vassoio con del the. La ragazza si fece da parte, inchinandosi di fronte alla Signora Nungwa, che uscì silenziosa.

“Zia…”

La strega sentì la voce della nipote provenire dalla stanza in cui si era appena compiuto il maleficio. “Cosa c’è?” chiese senza perdere di vista Lao Mei, che percorreva il vialetto in direzione di una lussuosa Mercedes che la attendeva da diverse ore sotto la luce di un lampione.

La ragazza uscì dalla stanza, porgendole una tazza di the e tenendo il denaro pagato da Lao Mei nell’altra. “Hai ricavato solo questo? So che è tanto… ma temo non basterà a saldare il resto dei conti…”

L’anziana sorrise maligna prendendo la tazza di the e accostandola alle labbra, senza distogliere lo sguardo dalla Signora Nungwa che stava per salire sul suo veicolo.

“La vendetta è un uroboro senza fine. Sangue attira altro sangue. Sofferenza altra sofferenza. Tornerà, fidati.” sibilò guardando la bellissima giovane donna dai capelli completamente bianchi, gli occhi spalancati e la mandibola dislocata che era apparsa di fianco all’ignara Signora Nungwa.

“Tornerà…”

 

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Cari ragazzi, buongiorno.

Qui si conclude Boksu, che in coreano vuol dire vendetta nel suo stato più cruento. È stato un esperimento letterario, non è uno di quei testi che ti tengono sveglio la notte, né voleva esserlo e non sono pienamente soddisfatta dal risultato finale, però si è lasciata scrivere con facilità!

È stato difficile farsi capire dall’intelligenza artificiale, ma alcune immagini mi sono piaciute particolarmente e le ho postate di conseguenza.

Per quanto riguarda il lato medico della questione, ho lasciato volontariamente un paio di imprecisioni perché questo metodo potrebbe rivelarsi tristemente efficace. Per generare il personaggio di Yiko mi sono basata sul disturbo di personalità della psicopatia. Yiko è psicopatica e come tale non ha empatia, non può provare rimorso, senso di colpa o sentimento. Lo psicopatico è in grado di commuoversi solo ripensando a sé e può uccidere a sangue freddo perché tecnicamente considera un essere umano solo sé stesso. È l’assassino che non si svelerà mai e che non mostrerà mai il più piccolo pentimento. Se abbinato ad un quoziente intellettivo elevato e ad una tendenza antisociale, è davvero difficile riuscire a identificarlo e spingerlo a rivelarsi, a meno che non sia anche narcisista e goda nella celebrazione dei delitti commessi.

Uno psicopatico non è destinato a diventare necessariamente un serial killer, a meno che l’uccidere il prossimo non gli provochi emozioni. Difatti essi sono dipendenti da tutto ciò che provoca in loro un’emozione di qualsiasi tipo.

Ringrazio chiunque abbia letto questa storia e spero che sia stata di vostro gradimento.

Buona domenica :D

  
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