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Autore: Star_Rover    15/01/2024    4 recensioni
Jari e Verner sono uniti fin dall’infanzia da un legame che nel tempo è diventato sempre più intenso e profondo. Nell’inverno del 1915 però i cambiamenti sociali e politici che sconvolgono la Finlandia finiscono per coinvolgerli, così i ragazzi sono costretti a separarsi per seguire strade diverse.
Nel 1918 i destini dei due giovani tornano a incrociarsi sullo sfondo di una sanguinosa guerra civile.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXXV. Un buon amico. Divergenze. Nella foresta

 
Kris si voltò appena udì il botto dello sparo alle sue spalle. Il cadavere di un uomo con la fascia rossa al braccio rotolò giù per le scale.
Dalla parte opposta del salone comparve la sagoma di un soldato.
«Gunnar!»
Il suo compagno lo raggiunse al centro della stanza.
«Sapevo che avevi in mente di fare qualcosa di stupido! Credevi che ti avrei lasciato entrare da solo in una trappola come questa?»
Kris si reggeva appena sulle gambe tremanti, il cuore batteva all’impazzata nel petto.
«Tu…mi hai appena salvato la vita» balbettò.
Gunnar rivolse uno sguardo al morto disteso sui gradini.
«Per fortuna sono un buon tiratore» commentò.
Kris restò attonito, incredulo di essere ancora vivo.
Il suo compagno imbracciò nuovamente il fucile.
«Coraggio, andiamocene da questo dannato posto!»
Egli non esitò a seguirlo, muovendosi con cautela per non fare rumore.
«Credi che ci sia qualcun altro qui dentro?» domandò guardandosi intorno con circospezione.
Lo svedese scosse la testa.
«No, ma lo sparo potrebbe aver attirato l’attenzione»
Kris non poté far altro che concordare con il suo commilitone.
Uscito in strada, la luce del sole lo riportò alla realtà.
 
 
Quella sera le truppe si appostarono presso il distretto di Länsisatama, nella zona del porto.
La capitale non era più occupata dal nemico, i Rossi si erano ritirati dal centro della città. Era solo una questione di tempo, già i soldati potevano assaporare l’imminente vittoria.
Kris si soffermò sul molo, osservando la superficie del mare che in lontananza si confondeva con l’oscurità. Le stelle brillavano nel cielo notturno.
Ad un tratto avvertì dei passi alle sue spalle. Non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere l’inconfondibile accento svedese.
«Come ti senti?» domandò Gunnar con sincera apprensione.
Kris lo rassicurò: «sto bene, non preoccuparti»
L’amico gli offrì una sigaretta.
«Allora, vuoi dirmi che ti è successo oggi?» chiese dopo aver gettato via il fiammifero.
Kris sospirò con rassegnazione: «non è stato niente, davvero…»
Gunnar l’afferrò per la giacca, trattenendolo con forza.  
«Non dire stronzate! Per poco non ti sei fatto ammazzare! Dannazione, lo sai che dobbiamo sempre avere fiducia l’uno nell’altro. So di potermi fidare di te, ma non ti ho mai visto così. Ne vale della sicurezza di entrambi. Sto solo cercando di aiutarti, quindi te lo ripeto, che diamine ti è preso?»
Kris sapeva di non poter mentire a Gunnar, la vita al fronte li aveva uniti quasi come fratelli.
«Mi dispiace, io…volevo solo vedere quella sala da ballo. So che è stato stupido e non avrei dovuto abbassare la guardia, ma ho avuto un momento di debolezza, d’accordo?»
«Hai detto bene, è stato davvero stupido» puntualizzò Gunnar.
Kris espirò una nuvola di fumo.
«Mi dispiace, non so che altro dire a riguardo»
Gunnar non aveva ancora terminato il suo interrogatorio.
«Perché quell’albergo era così importante per te?»
Il giovane tornò a rivolgere lo sguardo alle onde che si infrangevano sugli scogli.
«Io e Kaija sognavamo di danzare in un posto come quello quando ancora credevamo di poter avere un futuro insieme…»
«I ricordi sono pericolosi in guerra» replicò Gunnar con estrema freddezza.
«Credo di aver imparato la mia lezione»
L’amico era stanco di vederlo in quello stato.
«Dico sul serio, Kris. Devi lasciarla andare, dimenticati di lei, tutto questo ti sta solo facendo del male. Possibile che ancora non riesci a capirlo?»
Il giovane scosse la testa.
«Sei tu che non puoi capire, non è così semplice!»
Gunnar gettò il mozzicone a terra.
«Avresti preferito prenderti quella pallottola? Perché è così che andrà a finire se non ti deciderai a tornare alla realtà!»
Kris non rispose, dimostrando di non essere disposto ad ascoltarlo.
A quel punto Gunnar non riuscì più a trattenersi, chiuse la mano in un pugno e prontamente colpì il suo compagno in pieno volto.
Kris si ritrovò dolorante, con il sangue che usciva dal naso.
«Che diamine…sei impazzito?» si lamentò.
Il suo compagno rimase immobile.
«Avanti, reagisci! Che stai aspettando?»  
Kris non era in sé, forse era colpa dell’adrenalina, in ogni caso non rimase indifferente a quelle provocazioni. D’istinto si avventò sul suo commilitone, spingendolo a terra.
Entrambi rotolarono sulle assi bagnate, continuando a lottare come due ragazzini.  
Alla fine furono separati da un sottufficiale, il quale suppose di avere a che fare con una coppia di soldati ubriachi.
«Smettetela voi due! Andatevene immediatamente se non volete passare guai!»
Kris si rialzò da terra, in bocca percepiva l’amaro sapore del sangue. Era una strana sensazione, provava dolore, ma si sentiva bene.
Gunnar aveva un livido gonfio e violaceo sotto l’occhio destro.
«Avrei dovuto aspettarmelo, voi finlandesi non sapete nemmeno fare a botte come si deve!» commentò sghignazzando.
Inaspettatamente, Kris scoppiò a ridere.
 
***

Il capitano Winkler raggiunse le prigioni nel mezzo della notte. Le guardie, per quanto perplesse, non esitarono ad acconsentire alla sua richiesta, permettendo all’ufficiale di far visita ai prigionieri.
Bernhard si diresse a passo deciso in infermeria, in una delle brande trovò disteso il giovane a cui aveva sparato. La ferita al polpaccio era superficiale, quella alla coscia invece sembrava più profonda, fortunatamente non aveva colpito l’arteria.
«Non ho mai sparato alle spalle di un uomo, ma non potevo certo lasciarti fuggire» spiegò il capitano con estrema calma.
Evert trattenne un gemito dolore.
«Perché non uccidermi, allora?»
«Sarebbe stato disonorevole per entrambi»
Il ragazzo evitò di guardare il suo interlocutore negli occhi.
«In ogni caso voi Bianchi ci condannerete tutti. Non ho bisogno di prolungare la mia agonia, finirò comunque con un proiettile in fronte, non è così?»
Winkler rifletté attentamente sulla situazione.
«A dire il vero siete prigionieri dell’Esercito imperiale tedesco. Il vostro destino non è ancora stato deciso»
Evert non credette alle sue parole.
«Questa faccenda non vi riguarda, non è la vostra guerra»
Bernhard non prese la questione sul personale.
«L’unica ragione che ha portato la Germania ad accettare questa alleanza è la presenza di un nemico in comune»
«C’è stato l’armistizio, la Russia non è più un pericolo per la Germania. Le forze alleate stanno invadendo la vostra Patria, e voi siete qui sepolti dalla neve, a sacrificare la vostra vita soltanto per rispettare degli accordi. Non dovreste essere a proteggere le vostre case?»
«Una vittoria per i comunisti è una sconfitta per la Germania» semplificò Winkler.
Evert non comprese le sue motivazioni, ma apprezzò lo sforzo dell’ufficiale in quel confronto. Il suo pensiero tornò alla sua povera terra.
«La causa è persa, Helsinki è distrutta…che cosa ne sarà della Finlandia?»
«La conquista dell’Indipendenza non è una sconfitta»
«Forse sarà così per voi borghesi che indossate le divise da ufficiali. Ma per i lavoratori lo Stato sarà soltanto un altro padrone»
Il tedesco non aveva intenzione di portare avanti un discorso politico, a quel punto, nemmeno lui aveva più alcuna certezza. Tutto quel che aveva sempre desiderato era la Libertà.
«Non sarà semplice, la lotta per le ingiustizie non terminerà da un giorno all’altro. Però voglio credere che le cose cambieranno per le nuove generazioni»
«Un popolo frammentato e sofferente non avrà un futuro semplice»
Winkler replicò: «un popolo che ha versato sangue per ottenere i propri diritti sarà più determinato a difenderli»
Evert non si mostrò contrariato, nonostante tutto, non aveva rinunciato alla speranza.
Bernhard si allontanò lentamente.
«Nel mio rapporto per le autorità finlandesi ho lasciato scritto che ti sei consegnato di tua volontà, ti sei arreso, ferito e disarmato. Non hai opposto resistenza. La parola di uno jäger ha ancora la sua influenza. Spero che la mia testimonianza sia sufficiente a risparmiarti dal plotone d’esecuzione»
Con queste parole Winkler abbandonò l’infermeria della prigione, per una volta, sentì di aver agito nel modo giusto.
 
Mentre camminava per i vicoli deserti di Helsinki, Bernhard ripensò al periodo in cui frequentava l’università. A quel tempo era un fervente nazionalista, partecipava a incontri segreti, partecipava a pericolose missioni per l’Organizzazione e intratteneva folle di studenti con i suoi discorsi. Era ancora orgoglioso del suo passato, ma sentiva di essere cambiato, inevitabilmente, dopo tutto quello che era successo non era più la stessa persona.
Bernhard ricordò il suo primo incontro con Jari, l’entusiasmo di quel ragazzo l’aveva colpito fin dall’inizio. In lui rivedeva la perfetta incarnazione dei suoi ideali patriottici, quel giovane disposto a lottare per l’Indipendenza del suo popolo sembrava uscito da un poema di Runeberg.
Winkler non riteneva di aver manipolato Jari con i suoi discorsi, era stato lui a decidere. Tra loro era nata una sincera amicizia, era stato durante la guerra che il loro rapporto si era trasformato in qualcosa di più. Bernhard era consapevole di aver trascurato con fin troppa facilità i sentimenti di Jari, era stato egoista, credeva che egli fosse abbastanza maturo per capire. Entrambi avevano bisogno di conforto al fronte, così erano finiti l’uno nelle braccia dell’altro. Winkler non aveva mai preteso nulla di più, ma avrebbe dovuto immaginare che Jari fosse troppo coinvolto per voltare pagina alla fine della guerra.
Non era sua intenzione farlo soffrire, poteva capire che lui si sentisse tradito e non si aspettava il suo perdono.
Bernhard dovette ammetterlo, in tutto quel tempo, Jari era stato la sua unica debolezza.  
 
***

Hjalmar aveva perso il senso dell’orientamento, ma sapeva che i Bianchi avevano conquistato l’intera area intorno a Ruovesi. In qualunque direzione avesse deciso di procedere, avrebbe trovato il nemico.
Alla fine aveva dovuto arrendersi, la sua unica possibilità di salvezza era seguire il consiglio del tenente Eskola e mentire sulla sua identità. Si era sbarazzato della fascia rossa, nascondendola in una buca sotto alla neve. Se avesse avuto ancora con sé i documenti falsi che Eskola gli aveva consegnato avrebbe potuto tentare di superare il confine, ma quei fogli erano andati perduti tra le fiamme.
Hjalmar non era pentito per quel che aveva fatto, in quel momento però desiderava soltanto tornare a casa. Inevitabilmente pensò a suo fratello, si domandò se egli fosse ancora vivo. Sicuramente, se Verner fosse stato lì con lui, gli avrebbe detto di non arrendersi.
Il giovane tentò di farsi coraggio, ormai era troppo tardi per avere rimpianti. 
All’improvviso, mentre seguiva le tracce sul sentiero, udì delle voci nella foresta.
Hjalmar si avvicinò restando nascosto tra gli alberi.
Due uomini stavano trasportando un carico di legna, potevano essere padre e figlio, entrambi erano armati con fucili da caccia.
Il ragazzo esitò ancora per qualche istante, soltanto quando fu certo che non fossero soldati decise di uscire allo scoperto.
I due sconosciuti furono sorpresi nel trovare qualcun altro nella foresta, ma il loro comportamento non mostrò alcun segno di ostilità. Immediatamente si preoccuparono delle sue condizioni, gli offrirono qualcosa da mangiare e panni asciutti con cui scaldarsi.
«Come ti chiami?» domandò il più vecchio mentre sistemava la coperta sulle sue spalle.
Hjalmar preferì essere prudente: «Jänis»
L’uomo strinse la sua mano: «io sono Gustaf e lui è mio figlio Kusti. Come mai stai vagando nella foresta tutto solo?»
Hjalmar addentò un pezzo di pane.
«C’è stata una battaglia sulla collina, l’intero paese è stato distrutto»
«Abbiamo visto l’incendio e sentito gli spari» disse Kusti, restando però più diffidente.
«Già, le truppe bianche hanno perquisito l’intera area dopo la battaglia» continuò il padre.
Il ragazzo si allarmò. 
«Che cosa sapete della guerra?»
«I Bianchi hanno conquistato Tampere, si dice che anche la capitale sia caduta»
Hjalmar tentò di non manifestare la sua preoccupazione.
«Questa dannata guerra finirà presto, ma fino a quel momento nessuno può considerarsi al sicuro»
Jänis tornò a concentrarsi sul suo obiettivo.
«Ruovesi è molto lontana?»
Il boscaiolo scosse la testa: «questo sentiero conduce alla vecchia ferrovia, da lì sarà sufficiente seguire le rotaie per tornare in città. Dista soltanto mezza giornata di cammino»
Hjalmar era disposto a rischiare, una volta a Ruovesi avrebbe trovato un modo per raggiungere il confine.
 
***

Frans ripensò a quel che un suo commilitone gli aveva detto sulle donne, più erano belle e più erano pazze. In quel momento avrebbe dovuto dargli ragione, nonostante i suoi sforzi continuava a non comprendere il comportamento di quella ragazza. 
Leena era tornata fredda e distaccata nei suoi confronti, quella mattina aveva dedicato più attenzione alla cura dei cavalli che alla sua presenza.
Il giovane rinunciò a cercare risposte, quella donna era un vero mistero. Forse era anche questo ad affascinarlo. Era legato a lei da una promessa, e da buon soldato era intenzionato a portare a termine la sua missione.
Finalmente la sua compagna si decise a rivolgergli la parola.  
«Che cosa sai della battaglia di Ruovesi?»
Frans rispose onestamente.
«Il piano era di conquistare l’accesso a Lahti per ricongiungerci con le truppe tedesche in marcia da Helsinki»  
«È vero che avete giustiziato tutti i prigionieri?»
Il soldato mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
«Abbiamo l’ordine di condannare i ribelli, dunque sì, è nostro dovere giustiziare i prigionieri»
Leena s’irrigidì: «anche tu hai ucciso per obbedire agli ordini?»
«Ho commesso molte azioni deplorevoli in questi anni, ma posso assicurarti che non ho mai fatto del male a un innocente»
La ragazza non dubitò delle sue parole, egli era sempre stato sincero nei suoi confronti.
«Che cosa è accaduto dopo la battaglia?»
«I Rossi si sono ritirati, so che le nostre truppe hanno conquistato l’ultimo avamposto nemico su queste colline. Ora la zona è sicura»
Leena ripensò a quel che gli aveva detto Verner. Suo fratello era destinato alle retrovie, ma era probabile che il ragazzo avesse deciso di combattere. Sapeva che a Ruovesi le truppe destinate a difendere il confine erano sotto il comando del tenente Eskola. Sicuramente quell’uomo aveva combattuto fino alla fine. Nel caso in cui Hjalmar fosse sopravvissuto, doveva trovarsi ancora in quelle foreste. Probabilmente era fuggito verso est per evitare di correre incontro al nemico.
«Fermati!»
Frans tirò le redini, la slitta si impiantò bruscamente nella neve.
«Che succede?» si allarmò.
«Da questa parte!» suggerì indicando una biforcazione dal sentiero.
Il giovane rimase perplesso.
«Quella non è la via più breve per raggiungere Ruovesi»
«Dobbiamo trovare Hjalmar!»
«Credi davvero che quel ragazzo sia perso nei boschi?»
Lei non diede alcuna spiegazione.
«Per favore, non abbiamo molto tempo!»
Frans emise un sospiro di frustrazione, la ragione gli suggeriva di lasciar perdere quella storia, sapeva che quella donna gli avrebbe procurato soltanto guai. Allo stesso tempo, però, sentì il dovere di restare con lei, un uomo d’onore rispettava sempre le sue promesse.
Senza discutere, il soldato obbedì, guidando nuovamente i cavalli in direzione della foresta.
 
Leena iniziava a temere di aver commesso un errore nel decidere di allungare il viaggio con quella deviazione. Proprio quando stava per suggerire a Frans di tornare indietro, i due raggiunsero una piccola radura dove trovarono una capanna di legno. Frans ipotizzò che si trattasse del rifugio di un cacciatore o di un taglialegna.
Così decisero di fermarsi per lasciar riposare i cavalli e chiedere informazioni.
Per precauzione, Frans prese il fucile e ordinò alla giovane di restare al sicuro.
Bussò alla porta con fermezza e decisione. Poco dopo ad aprire si presentò un giovane, il quale guardò fin da subito con disprezzo la sua divisa.  
«Mi spiace disturbare, sono qui solo per porre qualche domanda» iniziò Frans con tono neutrale.
«Non ho niente da dire né ai porci comunisti né ai macellai bianchi!»
In quel momento Leena varcò la soglia.
«La prego, si tratta di una questione importante»
La presenza della ragazza convinse il giovane a moderare i toni.
Il soldato rivolse una sguardo di rimprovero alla sua compagna, poi continuò il suo discorso.
«Io sono lo jäger Frans Seber, attualmente la mia missione è ritrovare una persona scomparsa»
«Kusti Enckell, il padrone di casa è mio padre, ma in questo momento non è qui» rivelò il ragazzo.
«D’accordo, allora interrogherò soltanto te»
Kusti tornò a rivolgersi anche a Leena.
«Chi state cercando?»
A rispondere fu sempre Frans.
«Un ragazzo di quindici anni, il suo nome è Hjalmar, ma spesso si fa chiamare Jänis. Crediamo che si sia perso in questi boschi e vogliamo trovarlo per riportarlo al sicuro in città»
Kusti non voleva essere coinvolto.
«Mi dispiace, non ho visto nessuno nella foresta» mentì.
Nessuno dei due credette alle sue parole, la sua reazione dopo aver udito il nome di Jänis non era passata inosservata.
«Per favore, dobbiamo assolutamente trovarlo!» insistette Leena, provando a smuovere la sua pietà.
Egli non cambiò idea, mantenendo il suo silenzio.
Frans mosse un passo in avanti, guardò il ragazzo negli occhi e si rivolse a lui con tono autoritario.
«Se ti rifiuti di collaborare finirai nei guai, questo posso assicurartelo!»
Kusti non era ancora convinto.
Lo jäger puntò il fucile contro al suo petto: «potrei arrestarti all’istante, con l’accusa di essere un collaborazionista sarai giustiziato prima dell’alba!» 
Il boscaiolo tremava come una foglia.
«D’accordo. Le dirò tutto, ma scosti da me quell’arma! Io non ho fatto niente di male!»
Frans abbassò il fucile: «avanti, dov’è il ragazzo?»
«Io e mio padre lo abbiamo incontrato questa mattina, non era in buone condizioni, gli abbiamo offerto del cibo e una coperta. Anche se era molto debole, lui ha insistito per voler raggiungere Ruovesi, così gli abbiamo suggerito di proseguire per la vecchia ferrovia»
 
 
Quando furono di nuovi soli, Frans rimproverò la sua compagna.
«Ti avevo detto di restare al sicuro! Se non fosse stato solo? E se si fosse rivelato pericoloso?»
Leena si scusò.
«Volevo soltanto rendermi utile»
Il soldato continuò con la sua predica: «so che non ti piace fare la parte della fanciulla in difficoltà, ma questa volta hai bisogno del mio aiuto, quindi cerca di collaborare. Sarà più semplice per entrambi»
Leena non poté far altro che concordare con lui, ma per lei era ancora difficile affidarsi completamente ad uno sconosciuto, per di più a una guardia bianca. Doveva però ammettere che fino a quel momento Frans era sempre stato d’aiuto.
«Mi dispiace, io…non ti ho ancora detto quanto stia apprezzando quello che stai facendo»
Il giovane rispose con modestia.
«Ho promesso di fare del mio meglio per trovare quel ragazzino»
«Non eri obbligato a lasciarti coinvolgere in tutto questo. Perché l’hai fatto?»
Frans la guardò negli occhi: «perché so che per te è importante»
Leena si sentì in colpa per aver approfittato della buona fede e dell’onestà di quel giovane.
Il soldato salì sulla slitta, ma questa volta lasciò a lei i comandi. Aveva notato la preoccupazione di Leena, pensò che sarebbe stato meglio distrarla dai pensieri più cupi e opprimenti durante quel viaggio.
«Ho bisogno di riposare un po’, e poi voglio vedere se davvero sei più brava di me!» 
   
 
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