Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Flofly    16/01/2024    3 recensioni
«É la cosa più sessista, classista, elitaria e…» iniziò alzandosi ed indicandogli l’uscita.
«E ragionevole che tu abbia mai sentito?»
Hermione Granger è la Strega più brillante della sua generazione ed un'eroina di guerra, eppure questo non basta per svecchiare il Ministero dai suoi pregiudizi. Ma per riuscire nel suo intento Hermione è disposta a tutto, persino ad allearsi con Draco Malfoy.
La storia è ispirata dall'iniziativa "Il mio finto fidanzato" lanciata da Rosmary su il Forum Ferisce più la penna.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Hermione Granger, Pansy Parkinson, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Attenzione: riferimenti in fine capitolo a tentativi di suicidio.
 


«Allora, cosa ne pensi?».

Non aveva neanche finito di ripetere il suo discorso, che la domanda le era subito salita alle labbra.

Andromeda la guardò a lungo, soppesandola dietro le lunghe ciglia, con un'espressione stranamente simile a quello che faceva il nipote quando iniziava a parargli dei vampiri dell’Hangrave.

«Hai fatto le tue ricerche…» iniziò, versandole del di tè ed invitandola con un gesto a sedersi.

Così come per il nipote, però, quella pausa non prometteva nulla di buono.

«Peccato che non interessi a nessuno», concluse infatti letale, sorseggiando lenta dalla sua tazza.

Hermione alzò un sopracciglio, esasperata. «Ma come? Com’era quella storia che non importa nessuno su cosa investono, ma su chi? Potrei parlare di zucche assassine e sarebbe la stessa cosa!».

«Non essere sciocca, non esistono zucche assassine». La strega non sembrò particolarmente impressionata dalle sue rimostranze. «Questo vale per le persone comuni, i piccoli politicanti, persino per quell’idiota di Fudge. Ma tu vieni dopo un eroe di guerra, e sei Hermione Granger…»

«L’amica della Speranza dei Maghi… Di cosa dovrei parlare, allora? Di quando ho passato un anno in fuga perché c’era una taglia sulla mia testa?» sbottò.

«Mmmm, no, direi di no. Potresti metterli in imbarazzo, sono certa che qualcuno avrebbe volentieri riscosso quella taglia», commentò leggera.

«Mi stai prendendo in giro? Sei impossibile!».

«Sono solo sincera, e tu dovresti apprezzarlo. Andiamo Hermione, quella gente ha più Galeoni che cervello, vuole qualcuno di cui vantarsi. Ed è vero, il tuo è uno dei nomi che risuonano ogni due maggio…ma che dimenticano subito dopo. Ora invece devono ricordarsi di te, devono fare a gara per dire che hanno partecipato all’elezione della strega più brillante che abbiano mai conosciuto. Sai perché è così importante il vestito? Non solo perché altrimenti Pansy si farà venire una crisi isterica…».

«Conosci anche Pansy? Organizzate dei party a mia insaputa?».

«...ma anche perché per una volta la forma deve coincidere con la sostanza. Il fidanzamento con Draco, un abito spettacolare, un palco d’eccezione… tutto il mondo parlerà di questa serata. Sempre che non manchi proprio la cosa più importante…» .

«E sarebbe? Non dirmi una tiara, ti prego!» alzò gli occhi al cielo Hermione, chiedendosi se i geni malati dei Black iniziassero a risvegliarsi anche in lei.

Andromeda sorrise, in un ghigno soddisfatto e ferino che la rese improvvisamente più giovane di vent’anni. «No, mia cara Granger. Tu. E poi le donne non sposate non portano le tiare »

Poi guardò l’orologio e aggiunse leggera, seppur con una nota palesemente Serpeverde: «Ora scusami, ma devo andare a prendere Teddy da Bill e Fleur. Mentre tu hai una certa lezione, se non sbaglio!».

La lezione di ballo… come se non fosse già stato un periodo abbastanza stressante, tra lavoro e preparazione del discorso, le prove del vestito e le continue lamentele di Harry sul vestito da gala.

«Non posso perdere tempo con quell’oca! Possibile che ballare sia così importante?».

«Oh, sì mia cara. Credimi, per quanto tu possa essere bella ed intelligente, fare una pessima figura ad un evento del genere… dovresti trasferirti in Groenlandia per sfuggire alla vergogna», ciarlò Andromeda, sorridendo apertamente.

«Grazie, eh! Merlino, perché sono venuta a chiedere proprio a te?» sbuffò Hermione, preparandosi a smaterializzarsi.

«Perché sono la strega più intelligente della mia generazione» rispose l’altra con un sorrisetto. « E perché ho vissuto con quei pazzi purosangue per anni. Credimi, qualsiasi sia il tuo pensiero a riguardo, è mille volte peggio. Divertiti con mia sorella».

Mentre si smaterializzava, chiedendosi perché continuava a cacciarsi in quella situazione, sentiva ancora la sua risata nelle orecchie.




 

Mancavano dieci minuti all’inizio della lezione, i suoi capelli erano raccolti in uno chignon così stretto che le regalava anche un più che vistoso effetto lifting, nonché un principio di mal di testa, stava già facendo i suoi esercizi, mentre passava in rassegna tutte le date delle Convenzioni sulle Creature Magiche, intervallandole con il mantra che quella tortura sarebbe durata ancora poco, quando sentì uno strano suono provenire dall’ingresso.

Era a metà tra un gesso che grattava la lavagna e il grido di una banshee col singhiozzo.

Ci mise un po’ a realizzare che si trattava di una risata.

La risata di Madame Lavorska, che entrò nella sala gongolando come Percy quando aveva comunicato di essere stato promosso.

Accanto a lei, che le offriva il braccio e un sorriso talmente smagliante da saperlo finto, c’era un uomo elegante dai lineamenti affilati che non vedeva da moltissimo tempo.

O, meglio, non lo vedeva di persona.

«Zabini, devi prendere anche tu lezioni?» chiese secca, fissando con tono di sfida l’insegnante, che, come sempre sembrò non considerarla.

«Granger», si limitò a commentare il mago, con un cenno della testa. «Sei ancora qui. Testarda come sempre».

C’era un che di ferino nel suo sguardo, due iridi nere che la scrutavano taglienti, senza un briciolo di simpatia. 

Beh, se era lì per farle perdere tempo aveva scelto la sera sbagliata per farla arrabbiare.

«Sono venuto ad offrirmi come partner per la tua lezione… manca così poco, non vorrei mai che tu arrivassi impreparata all’evento dell’anno. Certo, la danza è l’ultimo dei tuoi problemi…», chiosò senza smettere di sorridere mostrando i denti bianchissimi.

«Le tue buone intenzioni mio caro sono sprecate! » cinguettò quella specie di mummia che sembrava aver assunto un colore decente. «Lo dico sempre a Draco: io provo a fare del mio meglio, ma a volte non c’è niente da fare. Io non posso lavorare senza materia prima… senza grazia. Senza...».

Prima che Hermione scoppiasse, Zabini interruppe la tiritera, con uno sbuffo elegante. «Lo conosce Madame Maxime…», poi ritornò a guardarla con aria di sfida. « Draco sopravvaluta sempre la fattibilità delle cose. Non si preoccupi, sono certo che non darà a lei la colpa del fallimento».

«Se sei così sicuro che sono un caso così disperato, perché stai perdendo il tuo prezioso tempo qui? Non hai nulla di meglio da fare? Tipo rintanarti da qualche parte, ti viene bene, no?» disse Hermione, con un tono di voce flautato. Se c’era qualcosa che aveva imparato in quelle settimane era che qualsiasi insulto rendeva meglio se detto con un sorriso e l’espressione innocente. Se poi era un’insinuazione, ancora di più.

Blaise rise con tono del tutto piatto, la stessa che riservava loro durante le lezioni di Pozioni. «Ah, la tua insopportabile lingua lunga. Vedo che sei rimasta la stessa. Fin troppo. Non c’è che dire, per quanto Pansy possa essere dotata non può trasformare una rapa in un’orchidea».

«Anche tu, Zabini, non sei cambiato affatto: sei l’unico a ritenerti interessante. Il che è piuttosto pretenzioso da parte tua». continuò Hermione, avviandosi verso il centro della sala senza guardarlo. «In ogni caso, queste non sono lezioni aperte. Prendi un appuntamento per conto tuo. Madame, che ne dice di iniziare? Avremmo dovuto cominciare la nostra lezione cinque minuti fa, mi sembrava di aver capito che le piacesse la puntualità…».

«Come si permette!» inorridì quest’ultima, sbattendo stizzita il bastone in terra. « La classe è mia. Io decide quando iniziare!».

«No, lei è pagata per farmi lezione. Profumatamente, presumo. Conversare cinguettando con un suo ex allievo non fa parte dei suoi compiti, né tantomeno starvi a sentire dei miei doveri. Quindi ora iniziamo la lezione, oppure me ne vado e non metterò mai più piede qui dentro. Suppongo che a Draco non farebbe piacere, vero?».

«Ma che piccola intrigante, una piccola Pansy… certo meno carina e con meno stile, nonostante gli sforzi, ma riconosco quell’inconfondibile tocco di stronzaggine…» sorrise Zabini, impassibile, camminando a lunge falcate calme per la sala, sino a posizionarsi di fronte a lei, porgendole la mano. «Spero che ti abbia anche trasmesso un po’ di grazia nel danzare… da quel che ricordo eri davvero un caso disperato».

Hermione si limitò a fissarlo, senza dare segno di accettare il suo invito. «Fuori di qui, Zabini».

«Quanta formalità per il tuo futuro testimone di nozze. Perché è a questo a cui miri, vero? Un bell’anello, un nome importante, tanti di quei soldi da poter seguire tutti i tuoi progetti idioti…».

«BLAISE!»

L’urlo era stato talmente forte da aver superato anche il suono furioso dei tacchi sul pavimento.  Aveva sempre pensato a Pansy Parkinson come una persona che si faceva scivolare addosso la vita, incapace di mostrare altra emozione che non fosse indifferenza. O adorazione di un’adolescente nei confronti di un suo compagno di casa, a quanto ricordava.

Ora invece sembrava scossa da una furia incontrollabile, gli occhi che dardeggiavano in direzione di Zabini e le labbra perfettamente truccate di rosso strette in un ringhio.

«Oh, ciao Pansy, stavo giusto parlando di te. Sei venuta a mostrare cosa significhi davvero ballare?» ribatté Zabini, affatto turbato. Eppure Hermione non aveva potuto fare a meno di notare come la sua postura si fosse un filo irrigidita.

«Avevi detto che ti saresti comportato bene», sibilò Pansy.

«Ed è quello che sto facendo. Al contrario vostro che vi prestate a questa…».

«Dì un’altra parola e giuro su Merlino che ti rispedisco da tua nonna a brandelli».

«Che è esattamente quello che state lasciando che accada a Draco. É una cosa disgustosa!» la voce di Zabini era piena di rabbia, al punto che per un attimo il viso affilato si distorse in una smorfia di puro disgusto.

«Chiudi il becco!» aveva urlato di rimando Pansy. « Muoviti o vedrai come sono brava nel convincere le persone. Ricordi quanto ero brava l’ultimo anno?».

Dal modo in cui stringeva la bacchetta era evidente che si riferisse alla maledizione Imperius. O peggio, visto il riferimento ai Carrow.

Per un attimo Zabini sembrò sul punto di replicare, poi si limitò ad alzare le mani e a scuotere la testa. 

«Va bene, andiamo»,concesse. Poi si girò appena e le sussurrò piano:«Vattene prima che sia troppo tardi. Non te lo dirò una seconda volta».

«Devi solo provarci!» ringhiò lei di rimando, fissandolo con tono di sfida. mentre lo vedeva sfilare tranquillo davanti ad un’atterrita Madame Lavroska, che era rimasta totalmente imbambolata dall’inizio della conversazione.

«Oblivion», disse pigramente, passandole davanti, senza neanche rallentare, mentre Pansy lo guardava furente.

Poi, entrambi, sparirono oltre la soglia, un secco plop ad indicare che si erano smaterializzati.

 

«A che punto eravamo?» la Lavroska si era subito ripresa, ma si guardava attorno confusa, come se non avesse idea del perché si trovasse lì, con una delle sue studentesse meno amate dal viso rosso dalla rabbia. 

 

«Al valzer classico, Madame», rispose tra i denti. La odiava e avrebbe voluto volentieri andare a dire due paroline a Zabini, ma se c’era una cosa che odiava di più di quel borioso snob era perdere le lezioni. Specialmente quando, in cuor suo, sapeva di aver bisogno di ogni minuto di pratica. 

.




 

Hermione si guardò nel grande specchio dalla cornice barocca, chiedendosi se non stesse facendo il più grande sbaglio della sua vita. Per lei era strano essere così indecisa, erano mesi ormai che il suo pensiero oscillava tra il rimorso di aver accettato quell’offerta e l’autoconvincersi che invece era stata un’ottima idea. O, perlomeno, non la peggiore che avesse mai avuto.

«Non pensi che sia troppo?» chiese, rivolgendosi a Ginny, squadrando critica il proprio riflesso. Pansy questa volta aveva optato per un abito di tulle di un leggerissimo color nocciola, minuziosamente ricamato con un’esplosione di fiori che risalivano lungo il corpetto e poi lungo le maniche.

«Granger, per la miseria, stai ferma! Già che mi hai fatto venire fin qui, in questo posto dimenticato da Merlino. E anche con queste altre due da preparare!» sbottò Pansy, accarezzandole il bustino.

«Io mi sono vestita da sola, Parkinson. E Luna. Beh, potevi pensarci prima e non farle l’abito con le piume! Ora non puoi pensare che non abbia deciso di dare il nome a ciascuna di loro!» rimbrottò Ginny, ammirandosi nello specchio portatile che Pansy si era portata dietro.

«Fidati, non è stata una mia idea. Draco mi ha tartassato di farle un abito che la soddisfacesse in pieno. Onestamente, non so neanche a che pro, visto che come al solito si eclisserà in qualche stanza a chiacchierare con le armature».

«Ogni anno?» chiese Hermione stupefatta, infilandosi gli orecchini pendenti che Pansy le porgeva.

« Il suo è stato il primo dei miei vestiti che è stato fotografato! Lascia perdere che poi ha iniziato a straparlare dei Nargilli e per fortuna hanno tagliato l’intervista. Quando Draco l’ha portata al ballo dei suoi la prima volta, i paparazzi l’hanno presa d’assalto. Ma leggi mai la Gazzetta del Profeta?» chiese Pansy dandole una pacca secca sulla mano mentre cercava di prendere la collana.

«Non la cronaca mondana. Luna, scusami, ma non ti facevo proprio tipo da feste di questo tipo…» rispose Hermione, ignorando i tentativi di Parkinson di fissare un ricciolo che continuava a ricaderle sulla fronte.

Luna si girò appena a guardarla, mentre accarezzava il fondo del suo corto abito rosa pallido. «Non mi piacciono le feste, ma Draco sembrava così solo. Quando gli ho proposto di andarci insieme, pensava stessi scherzando, sai?».

«Credo che sia stato un po’ il pensiero di tutti», borbottò Pansy a bassa voce, facendo un passo indietro per scrutarla con aria critica.

«E perché gli hai proposto una cosa del genere. Insomma, tu… i genitori di Draco...» Hermione cercava di trovare le parole più gentili possibili, eppure quella situazione era talmente assurda da non permetterle di continuare ad ignorare il paradosso che si era presentato a casa sua nelle vesti di Luna Lovegood, habitué delle feste di Natale dei Malfoy.

«Aveva paura di tornare in quella casa. E io anche. Allora abbiamo deciso che due paure insieme forse si calmavano a vicenda. E sai una cosa? Avevo ragione. E non ha avuto neanche un attacco. Sono stata davvero fiera di lui», disse Luna con voce leggera.

«Lovegood, te le metto in bocca quelle piume, se non la piantate. E tu smettila di toccarti la manica, è lunga abbastanza!» ringhiò Pansy, guardandola a braccia incrociate.

Come avesse fatto a rimanere perfettamente truccata e senza neanche una piega nell’abito nero scollato a cuore era davvero oltre la magia che la stessa Hermione poteva conoscere.

Diede un’occhiata critica a tutte e tre, poi annuì soddisfatta.

«Bene, rossa, vai a chiamare quell’idiota sciatto di tuo marito. Spero si sia fatto almeno la doccia, invece di continuare a giocare con questa manica di disadattati, i ragazzi saranno qui a minuti».

«Da quando abbiamo questa confidenza, Parkinson?» chiese indolente Ginny, avvicinandosi allo specchio per mettersi il rossetto. «E poi tranquilla, riesce a vestirsi in due minuti netti, ancora con gli occhi chiusi».

«Da quando ti fai venire una crisi isterica ogni volta che ti chiamo piccola Weasley. Non ho tempo per queste sciocchezze, oggi è il mio grande giorno!» rispose quella tagliente di rimando, passandole però un nuovo rossetto. «Metti questo, sta meglio con la tua carnagione. Vi faranno delle foto, se ormai per lo Sfregiato non c’è speranza di farlo apparire ordinato, devi almeno compensare tu».

«Non sono dei disadattati! E smettila di parlare così di Harry!» si indignò Hermione.

«Beh un po’ spettinato lo è », commentò invece Luna con tono svagato avvicinandosi a Pansy, che la guardava come se fosse un ungaro spinato ricoperto di piume rosa. Evidentemente, però, aveva le sue ragioni, visto che un secondo dopo si trovò stretta in un caloroso abbraccio.

«Sei sempre la benvenuta a Grimmauld Place! Dillo anche a Kreatcher, non serve che si metta a spiare dal pianerottolo quando viene!» disse, stringendo forte una Pansy Parkinson talmente irrigidita da sembrare pietrificata.

«Luna, sta buona. Lasciala andare, vedi che non è abituata a manifestazioni d’affetto? » la blandì Ginny ridendo, mentre Pansy continuava a sgranare gi occhi dal terrore, vedendo che Luna non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare. 

Hermione stava quasi per scoppiare a ridere, quando dall’ingresso si sentì un gran baccano. Conosceva quelle voci, non erano gli studenti ospitati a Grimmauld Place per le vacanze di Natale a poter raggiungere quei livelli.

«Ma non potevi pettinarti, Sfregiato?» .

«Ma i tuoi non potevano fare altro quella sera, Malfoy? ».

«E quella camicia… ma ti sei rotolato nel fango?».

«E tu sei uscito dal tuo sordido buco dove non riesce ad arrivare il sole?».

«Hermione!».

«Granger!».

«HERMOINI, TE PREGA, FA STARE ZITTI QWESTI DUE!».

«KRUM! PERCHÉ DIAVOLO SEI QUI?».

«Per Hermoini ovviamente. Lei è mia amika».

«Amica uno Sparachiodo. Lei è la mia ragazza».

«E allora?»

«SI FURETTO E ALLORA? MA QUANTO RIESCI A ESSERE IMBECILLE!»

«CHIUDI IL BECCO POTTER!».
«CHIUDILO TU!».

«HERMOINI!».

«HERMIONE!».

«GRANGER!».

 

«Ora vado giù e li prendo tutti a calci», sibilò Pansy, smaterializzandosi.

«Mi sembra un’ottima idea» ,le fece eco Ginny seguendola poco dopo.

Rimase solo nella stanza, con Luna che la guardava con quel suo sguardo sempre tra il trasognato e il penetrante.

Poi, come se si fosse appena ricordata di una cosa, aprì la borsetta che portava al polso e tirò fuori una cosa, che le porse tutta appallottolata.

«Ho pensato che ne avessi bisogno stasera»,disse con un sorriso, prima di scomparire.

Hermione si fissò incredula la mano, che ora teneva in mano un calzino.

Si guardò allo specchio, mentre un peso le si toglieva dalle spalle.

Ora sapeva esattamente cosa fare.

D’altronde l’aveva sempre detto, sin da quando Harry glielo aveva chiesto all’inizio del quinto anno, che avrebbe voluto fare qualcosa che poteva davvero essere d’aiuto.

Peggio per i Malfoy. D’altronde avevano ancora una serata di terrore in debito con lei.








 

«Sicura di stare bene?».

Hermione annuì, stringendo appena il braccio di Malfoy. Si era detta più volte che quella era solo una casa, quattro mura fatte in pietra e un tetto, un susseguirsi di stanze e corridoio. Non poteva farle del male, non c’era nessun Lord Voldemort, nessuna Bellatrix, nessun Ghermidore. Quella volta non stava entrando trascinata contro la sua volontà, con il terrore di venire scoperta. Ora sarebbe entrata dalla porta principale, ospite d’onore, al braccio dello scapolo d’oro della società magica, nonché erede di due delle famiglie purosangue più antiche, come nella peggiore delle commedie romantiche che sua madre vedeva sempre sotto Natale.  Erede che da quando era scesa al piano di sotto a Grimmauld Place, non aveva fatto altro che guardare male Viktor da quando le aveva fatto il baciamano.

«Senti Granger, se questo è troppo per te possiamo trovare un altro modo», gli occhi grigi di Malfoy la stava scrutando preoccupati.

«Tipo? Mandiamo Ginny sotto Polisucco al posto mio?» rispose lei sarcastica, cercando di ignorare l’ansia che stava attanagliandole lo stomaco, che fosse per l’ansia di tornare a Malfoy Manor o per il lancio della sua candidatura del tutto irrilevante.

«Non lo so, hai della Polisucco pronta?» chiese invece Malfoy, improvvisamente interessato.

«Se pensi che io mi possa ricordare quel discorso, sei caduto una volta di troppo dalla scopa» rispose invece Ginny, che cercava pigramente di impedire a Harry di slacciarsi per l’ennesima volta il cravattino nero.

«Fosse solo quello il problema…Malfoy, senti ma quanto dura questa tortura, più o meno? E, soprattutto, c’è qualcosa di decente da mangiare? Non ho fatto in tempo a passare da Molly prima di venire a questa stupida pagliacciata».

«Vedi di non mangiare troppo, già quella fascia da completo ti sta giusta. Rossa, ma non potevi farlo stare a dieta?» rimbeccò Pansy, scoccando un’occhiata risentita ai coniugi Potter. «Vedi di trattenere la pancia quando ti fanno le foto».

«Sapessi cosa dovresti trattenere tu, Parkinson», rispose Harry in tono seccato. Poi si rivolse ad Hermione. «In qualsiasi momento, dimmelo e ce ne andiamo. Qualsiasi Hermione, non sto scherzando. E in quanto a te, furetto, vedi di non fare cose strane…»

«Tipo, Potter?».

«Tipo inginocchiarti e chiederle di sposarla, con te non so mai cosa potrebbe uscirti da quella testa bacata».

«Harry!» sibilò Hermione, dimenticando per un attimo l’ansia. 

«Hermoini non direbbe mai di sì», commentò Viktor con un ghigno soddisfatto. «Lei non sposa mai uno come te…» il resto della frase però divenne inintelligibile, visto che Draco aveva iniziato a sbraitare. A dire la verità, visto che all’inizio non aveva capito una parola, aveva persino pensato che Ginny l’avesse maledetto.

«No educazione parlare in lingua che tutti altri non comprende, Malfoy. E tuo russo strano accento. Tu parlava meglio quando era piccolo Serpeverde» sorrise Viktor serafico, facendole l’occhiolino. Diversamente a quello che pensavano gli altri, Hermione aveva sempre saputo che aveva un suo senso dell’umorismo tutto particolare. E, ancora più sorprendentemente, lei era sempre stata una delle poche a capirlo.

«Però certo domani sarebbe su tutti i giornali…», borbottò pensierosa Pansy, osservandola con una strana luce negli occhi.

Per fortuna c’era ancora qualcuno che sembrava ragionare: « E io che pensavo che volessi essere ricordata per aver vestito il più giovane Ministro della Magia… non sei finita abbastanza su StregaDuemila?»

«StregaDuemila un Vermicolo! Non mi farebbe schifo neanche la proposta di fidanzamento del secolo… sono certa che finirebbe anche sull’edizione francese… sono sempre stati così affascianti dai Black. Per Salazar Draco, avresti potuto dirmelo, avrei scelto dei gioielli adatti… fammi vedere l’anello, se poi dovesse non intonarsi?»

«Si, Draco, tira fuori l’anello, per favore. Faccelo vedere. Ti prego, dimmi che non è qualche antico cimelio di famiglia maledetto da generazioni», lo stuzzicò Ginny, ignorando lo sguardo torvo di Harry al suo braccio.

«Per Salazar Serpeverde, ma come diavolo faceva Piton? Siete insopportabili. Riuscite a comportarvi bene per un paio d’ore?» sbottò Draco. Poi in tono più basso, rivolgendosi a Hermione. «Tranquilla, non c’è nessun anello».

«Meglio per te che non ci sia.» ribatté lei, osservandogli però sospettosa la tasca del completo da sera. Poi, notando che stava di nuovo serrando la mascella come ogni volta che nominava suo padre, aggiunse. «Però ammetto che mi sarebbe piaciuto avere immortalata per sempre l’espressione dei tuoi. Sono certa che George ci farebbe dei gadget per i Tiri Vispi Weasley che andrebbero a ruba».

Lo vide rilassarsi appena, i muscoli del viso che si rilassavano in un sorriso morbido, le spalle che sembravano finalmente cedere. La guardò con uno dei suoi rasi sorrisi « Oltre che bellissima e intelligente, anche genio degli affari. Riesci a sorprendermi ogni volta, Granger».

Era la seconda volta che le diceva che era bellissima, e se la prima volta aveva pensato che la prendesse in giro, ora aveva imparato a decifrare i suoi piccoli segnali, il modo di tendere le labbra, di sistemarsi i polsini della camicia quando era leggermente a disagio, il modo di spostare velocemente lo sguardo…

«Ti prego, furetto, non farmi vomitare», lagnò Harry, alzando gli occhi al cielo platealmente.

dietro di loro, si sentì’ una risata, così forte che tutti loro sussultarono.

Hermione e Ginny si guardarono, mentre Pansy e Theo sembravano terrorizzati. Era evidente che non avevano mai sentito Luna ridere a quel modo.

E, a essere onesti, era da tanto che anche loro non sentivano più quella risata.

«Oh, sarà una serata bellissima», disse infine Luna, quando ebbe finito di ridere, asciugandosi una lacrima. 

Bellissima?

Hermione alzò gli occhi sul grande portone intarsiato che si stava aprendo docile davanti a loro, girando morbidamente sui cardini e lasciando intravedere un atrio scintillante di decine di centinaia di candele sospese e cristalli fluttuanti che disperdevano la luce morbida e calda.

«Venite, andiamo. E che chiunque abbia mai tenuto a Hogwarts ci faccia arrivare vivi alla fine di questa serata», borbottò Draco, facendole segno di entrare.

Sì, quello era il momento di dimostrare chi era, quello che si era detto all’inizio di quel viaggio. E di raccogliere ogni briciolo di coraggio Grifondoro che avesse mai avuto.



 

Mentre attraversavano il grande ingresso a pianta quadrata, Hermione si guardava intorno sospettosa. SI era aspettata che ci fosse un sacco di gente, a quanto aveva detto Cockey c’era tutto un complesso rituale di saluti ai padroni di casa, in ordine di arrivo e di importanza, insomma quelle classiche cose per cui provava lo stesso interesse di Harry e Ron per la lezione di Storia della Magia. Loro invece si erano smaterializzati in una sorta di anticamera, deserta, così come altrettanto vuota era la sala che stavano attraversando.

«Non avevi detto che era una cosa in grande? Non è che hai sbagliato giorno?» chiese sospettosa, mentre cercava di ignorare la parte del suo cervello che cercava di capire dove fosse quella sala rispetto al punto dove erano in quel momento.

Sanguesporco

Automaticamente si tocco l’avambraccio, coperto dal tulle sottile, dove la cicatrice era interamente ricoperta da un ramo di vite che si aggrovigliava elegante lungo la manica.

«Oh, no il giorno è giusto. Diciamo che abbiamo saltato la parte iniziale», rispose Malfoy con un tono fintamente leggero.

«Non dire idiozie, nell’invito c’era scritto alle ore venti e sono le venti in punto…», rimbrottò Pansy, prendendo in prestito l’orologio da taschino di Theo, prima che le sue parole si trasformassero in un ringhio basso, nell’identico momento in cui un tintinnio cristallino risuonava nove volte nell’aria. «Hai stregato gli orologi? Davvero ci hai fatto arrivare tardi ad una festa di tua madre. Di proposito? ».

«Forse la storia della botta in testa era vera, sai Ginevra?» chiocciò Theo, riprendendosi pigramente, rimettendo l’orologio nella tasca interna del completo blu notte. «Potrebbe essere quella volta in cui si era convinto di poter fare la finta Vronskij ed invece si è schiantato nel parco?».

«Finta Vronskij non per tutti» gongolò Krum soddisfatto, tirandosi il bavero della giacca. «Neanche Harry tanto bravo, lui provato più volte con Ron, ma niente. Io non riesce ad insegnare bene».

«Ehi, guarda che invece io sono stato bravissimo. Non come questo qui che cadeva anche da fermo», si risentì Harry, il quale sembrava assolutamente immune al fatto di trovarsi a casa del suo peggior nemico d’infanzia, la stessa dove aveva rischiato di essere consegnato a Voldemort.

«Disse quello che ha ingoiato il Boccino», fu l’altrettanto ovvia risposta, quasi automatica. Troppo automatica. Hermione si girò a guardarlo: era calmo, fin troppo. Il viso era privo di qualsiasi tensione, lo sguardo grigio aveva perso ogni sfumatura di ironia o rabbia, era come guardare il cielo di una cupa giornata invernale dove nemmeno un timido raggio di sole riusciva a superare la fitta coltre di nuvole scure.

Se lo ricordava quello sguardo, lo stesso che aveva avuto per la maggior parte del sesto anno. Allora aveva fatto finto di non notarlo, di non ammettere neanche a sé stessa, di non accettare di poter riservare a Draco Malfoy più di qualche sguardo infastidito. A quel tempo, a dirla tutta, non avrebbe mai detto che ne fosse capace, eppure ora era chiaro come un Lumos.

Draco stava occludendo.

E, a quanto vedeva era una cosa che sembrava fare spesso.

«Volevo evitarti di dover salutare i miei genitori davanti a tutti. E di posare per i fotografi all’entrata, ormai sono rimasti solo un paio di quelli ufficiali, e quelli non osano muoversi senza avere l’approvazione di mia madre», le disse, ignorando le proteste di Pansy, che blaterava di maleducazione e di comportamento inaccettabile.

«Neanche fosse la tua, di madre!» commentò Ginny, dandole una spinta. «E piantala».

«Magari lo fosse. Ma non spero certo che una manica di poveracci come voi lo capisca» ringhiò la strega di rimando, con un’insolita sfumatura di ansia che non le aveva mai sentito.

«A dire la verità non lo capisco neanche io» si intromise Theo, sbattendo gli occhi azzurri con fare innocente. «A volte credo che tu sia un filo troppo affascinata dalla madre di Draco. Ricordi quando volevi farti bionda e hai finito per perdere tutti i capelli per una settimana e sei dovuta andare in giro con una parrucca?».

«Theodore, non hai un locale da gestire?» ringhiò di rimando Pansy, pizzicandoli forte l’avambraccio.

«Il giorno del Ballo di Natale dei Malfoy? No, oggi la mia presenza sarebbe inutile…» disse svagato, poi si staccò di colpo dall’amica. «E smettila di pizzicarmi con quegli artigli da Chimera!».

Mentre il battibecco continuava ad andare avanti, una strega di mezza età, seguita a ruota da un ragazzo che sembrava aver lasciato Hogwarts da meno di un anno, si affrettò lungo il corridoio, a passi concitati e veloci.

«Finalmente è arrivato! Sa che sua madre non apprezza i ritardi, ha addirittura allungato l’orario dei saluti di ben dieci minuti. Una cosa inaudita, inaudita! » squittì la donna con una vocetta stridula, nonostante tentasse di mantenere un tono basso. « Addirittura voleva rimandare il ballo di apertura, diceva che sarebbe stato meglio aspettarla».

«Una tragedia», sbuffò Harry da dietro, infilandosi il farfallino nella tasca dei pantaloni. «Che dice possiamo passare a quelli finali e andarcene?»

La donna si chinò di lato, osservandolo da dietro dei grandi occhiali bordati d’oro. «Signor Potter, pensavo che la sua conferma fosse uno scherzo».

«Non lo dica a me…».

«Il Signor Krum è il suo accompagnatore ,quindi?» chiese la donna, mentre una lunga pergamena si srotolava davanti a lei. «E la signorina sarebbe?».

«Signora Ofsteld, ci sta facendo perdere tempo. Si levi di torno! », si spazientì Draco.

«Lei è la signorina…» continuò quella imperterrita, fermandosi ora ad osservare Hermione, e continuando a scorrere con la piuma d’aquila sulla lunga lista di nomi. 

«Hermione Granger, ovviamente. É un piacere incontrati finalmente, mia cara. Devi perdonare i modi di mio figlio, gli piace fare la sua entrata teatrale».

Narcissa Malfoy era apparsa accanto a loro, neanche uno schiocco ad annunciare la sua smaterializzazione.

«Quella sei tu, mamma» si limitò a commentare Draco, chinandosi a darle un bacio sulla guancia. Era strano vederlo con sua madre, l’ultima volta che li avevi visti insieme era stata all’udienza di Draco, quando l’aveva intravista abbracciarlo dopo la sentenza. In quel momento si era sentita come se stesse spiando un momento estremamente privato. 

«Non avrei saputo dirlo meglio», approvò la voce di Harry. Poi aggiunse: «Signora Malfoy, per una volta sono più o meno felice di vederla. Almeno questa volta non sono qui per lavoro».

«Anche io sono più o meno felice di vederla, Signor Potter. Anche se avrei gradito che avesse provato a pettinarsi i capelli, almeno per essere all’altezza della sua splendida moglie». Hermione osservò come la donna sembrava riservare uno sguardo per ciascuno, con un sorriso educato che riusciva a non risultare affettato. Evidentemente Andromeda aveva ragione, quella era una commedia provata più e più volte. «Theo, Pansy è un piacere vedervi, quando ho visto Blaise senza di voi ho iniziato a preoccuparmi. E c’è anche Luna, sei uno splendore mia cara, sono lieta che tu non abbia ortaggi che ti pendono dai lobi delle orecchie… no, fermati, cosa abbiamo detto? Non c’è bisogno di abbracciarsi», si affrettò poi ad aggiungere alzando una mano.

«Veramente io volevo abbracciare Peter, sembra così spaventato, poverino» rispose quella, mentre il viso del ragazzo dietro la signora Ostfeld impallidiva al punto da far dubitare che la vita scorresse ancora nelle sue vene.

«Peter non è pagato per farsi abbracciare, sta lavorando», commentò seccamente la Malfoy, lanciando un’occhiata gelida al ragazzo, che, sebbene sembrasse impossibile, sbiancò ancora di più. 

«Blaise è qui?» chiese Pansy, stupita. Hermione si sforzò di non girarsi a guardarla, da quando era sparita trascinandosi via Zabini dopo l’orrenda lezione di qualche sera prima, aveva evitato in ogni modo l’argomento, mettendosi a cianciare di scadenze e angolazioni da preferire ogni volta che aveva provato a chiederle qualcosa.

«Sì, certo, è arrivato tra i primi a dire il vero. Direi che è davvero ora di entrare, tesoro, non vorrai far aspettare ancora i nostri ospiti, sono tutti così ansiosi di fare la conoscenza della Signorina Granger. Sai, non è stato molto elegante farlo uscire prima sui giornali, ma devo ammettere che siete venuti molto bene. Sono certa di non essere stata l’unica sorpresa, vero Hermione?».

Tocchi leggeri di voci, una conversazione del tutto casuale, la mano delicatamente appoggiata sul braccio del figlio, movimenti appena percettibili degli occhi, eppure sentiva il suo sguardo non lasciarla neanche per un minuto. Hermione, che era rimasta in silenzio sino a quel momento, si ritrovò a pensare di aver sempre sottovalutato quella donna.  Era giunto il momento che anche lei pensasse la stessa cosa.

«Mi piace molto il cambio dell’arredamento, Signora Malfoy. Ha giovato molto… all’atmosfera. E anche il cambio degli ospiti», rispose con un sorriso a denti stretti, sostenendone lo sguardo diventato gelido. «Draco, andiamo, non vorrai far aspettare gli ospiti di tua madre».

 

E, pressocché tirandosi dietro un recalcitrante Malfoy, e un ancor più recalcitrante gruppo di Grifondoro, fece il suo ingresso, finalmente, nel grande salone.




 

Dopo la prima ora, in cui era stato un vorticare scomposto di nomi e presentazioni, Hermione iniziò a sentirsi stranamente a suo agio. Ora capiva quando Draco le aveva detto che la cena all’Experimentum era stato il suo banco di prova, i volti che quella sera l’avevano guardata incuriositi e perplessi, ora sembravano quasi famigliari.

Ancora di più dell’abitudine, però, doveva ammettere che era merito di Draco, che non l’aveva lasciata un attimo, riuscendo sempre ad intuire ogni suo momento di difficoltà, inserendosi con naturalezza in una conversazione che iniziava a languire o diventare troppo personale, spostandola con leggerezza su argomenti su cui lei si trovava maggiormente a proprio agio. E, cercando di frenarla ogni volta che stava iniziando a scendere troppo nel dettaglio delle rivolte dei Goblin, il che era piuttosto frustrante. A peggiorare il tutto, c’era la sua mano costantemente poggiata sulla sua vita, poteva sentire le sue lunghe dita bruciare attraverso il corpetto sottile, mentre le muoveva in una sorta di pigra carezza, senza mai perdere un battito nella conversazione.

Dannazione se era bravo, si trovò a pensare, fermandosi ogni tanto ad osservarlo di soppiatto, mentre prendeva un sorso di champagne. Sembrava nato per questo…

Beh, in effetti era proprio così.

Ed era esattamente quello il motivo per cui aveva accettato la sua assurda proposta- si trovò a pensare, ricordando a sé stessa che quello era solo un lavoro, una perfetta messa in scena tra tende di broccato e candelieri in cristallo scintillanti. 

Era per questo che Narcissa Malfoy l’aveva invitata? Per mostrarle quanto fossero diversi i loro mondi, non solo per la magia, ma per lo stile di vita?

Sentiva il suo sguardo seguirla lungo la stanza, anche se dopo averli presentati ad un paio di ospiti era andata a raggiungere il marito, da cui Draco, come promesso, l’aveva sempre mantenuta al largo. Ogni volta che suo padre si avvicinava, riusciva ad allontanarla, come un perfetto passo di danza, passando di un gruppo di ospiti all’altro.

E poi arrivò la doccia gelida, proprio mentre era intenta a spiegare nel dettaglio i dossier di cui si era occupata negli ultimi tre anni insieme a Justin, che, a proposito, era davvero un peccato non fosse riuscito a venire, che neanche registrò la voce della strega accanto al ministro bulgaro, il quale fino a quel momento era stato impegnato a dare grandi pacche sulle spalle di Viktor.

La registrò solo perché la ripeté ad almeno due ottave in più, battendo le mani e pigolando.

«Ma Draco, non ti abbiamo visto ballare stasera. Sono certa che a Blaise non dispiacerà se gli dai il cambio, sai Coraline è così portata per la danza… insieme siete davvero una gioia per gli occhi. Oh, eccoli qui».

Quell’idiota di Madame Beaufort, la stessa faccia arcigna come se avesse appena succhiato un limone e la pettinatura gonfia come se dentro ci vivessero almeno mezza dozzina di gufi, era decisamente intenzionata a non arrendersi all’evidenza. Ed evidentemente non era la sola, visto che come se li avessero richiamati con l’appello, elegantissimi e quasi fluttuanti in mezzo alla folla, Blaise Zabini e quella che sembrava l’incarnazione di tutti gli stereotipi della perfetta purosangue di buona famiglia: alta e slanciata, con dei lucidi capelli dorati e gli occhi azzurri appena truccati, sembrava una copia in miniatura di Narcissa Malfoy. 

Almeno non era mezza Veela come Fleur, pensò Hermione, costringendosi a sorridere, mentre un’assurda e del tutto immotivata, visto che quello continuava a non essere il suo vero fidanzato. Inoltre essere attratti da qualcuno così simile alla propria madre era davvero un segno di squilibrio mentale fin troppo evidente persino per qualcuno con i geni bacati da secoli di matrimoni tra consanguinei.

«Granger, è un piacere incontrarti. Sarebbe stato davvero un peccato se avessi deciso di non venire alla fine», disse Blaise, sfoderando il suo miglior sorriso. 

«Sei in forma per qualcuno con il vaiolo di drago…» commentò Draco sospettoso. Poi si chinò per prendere la mano delicata che la ragazza aveva sollevato leggermente, facendo un lievissimo baciamano. «Coraline, non pensavo saresti venuta appositamente dalla Francia».

Hermione represse l’istinto di tirargli una gomitata, limitandosi a porgerle la mano con fare deciso. «Hermione Granger. Non eri a Hogwarts, vero?»

«Ho studiato a Beauxbâtons, mia madre ci teneva molto che studiassi in Francia, anche se per me è stato davvero difficile dire addio ai miei amici. Con Blaise stavamo giusto ricordando le vacanze in Provenza, ricordi Draco? »

«Ma sì, quando vi siete fidanzati? Eravate così carini!» rimbeccò Blaise con evidente soddisfazione.

«Avevamo sei anni…» 

«Sei anni, ventisei, che differenza fa?» sorrise Blaise, scoprendo i canini in un sorriso deliziato.

«Beh, spero che ci sia, visto che ora è fidanzato con me» rispose Hermione gelida, affondando le unghie nel palmo del suo suddetto fidanzato, che stava cercando inutilmente di trascinarla via. « Volevate ballare, no? Stanno giusto iniziando una nuova canzone. Andiamo, tesoro?».

Fortuna che era bravo ad Occludere, altrimenti lo sguardo sgomento di Draco Malfoy avrebbe mandato all’aria tutti gli sforzi fatti finora.

Sperò di esserlo altrettanto, perché non riusciva a non maledirsi ad ogni passo verso il centro della sala, mentre Zabini la seguiva con quella dannata finta francese al braccio.

«Vedi di portare come si deve », sibilò all’orecchio di Malfoy, mentre si mettevano in posizione.

«Non speravo me lo avresti mai chiesto» commentò lui di rimando con un ghignò, inchinandosi appena. 





 

«Smetti di pensare, rilassati», le sussurrò Malfoy in un orecchio, mentre approfittava del suo stupore per farla girare. «Hai scelto un ballo senza cambio partner, puoi stare tranquilla».

«Io sono tranquilla, ma se non l’hai notato ci stanno guardando tutti», bisbigliò dei di rimando, stringendogli più forte la mano che tenevano sollevata all’altezza del petto.

«Sarà perché siamo molto belli? Devo dare un aumento a Madame Lavorska», rise Malfoy, mentre eseguivano un mezzo giro.

«Spero che Zabini ci stia guardando», rispose invece lei, ritrovando nuovamente l’equilibrio contro il petto di Malfoy. « E soprattutto quella pomposa purosangue».

Lui la guardò, concedendosi un sorriso, il primo segno di emozione che gli vedeva in volto da quando era entrato«Devi restringere il campo, qui sono tutte pompose purosangue. Inclusa mia madre che non ci toglie gli occhi di dosso. Evidentemente vuole vedere se lo farò o meno…».

«Cosa? Farmi inciampare? Non azzardarti».

«No, stupida senza romanticismo. Sta aspettando che ti baci. Il che sarebbe davvero fuori luogo, visto che si tratta di un ballo formale. Anche se poi lei è la prima a non rispettare questa regola», le disse, mentre, incrociavano Pansy e Theo che si erano uniti alle danze.

Il suo cervello si mise in moto, mentre l’idea di essere baciata No, quella sarebbe stata davvero una pessima idea. Non solo perché il giorno dopo voleva finire in prima pagina sulla Gazzetta per le sue parole, non per essersi limonata Malfoy davanti a quelle vecchie carampane.

Secondo, perché non sapeva come avrebbe reagito lei, ora che si era resa conto con sua enorme sorpresa, di trovarlo dannatamente affascinante. Troppo, con il completo scuro e perfettamente a suo agio in quell’ambiente che sembrava fornirgli il palcoscenico ideale.

Si fermarono, perfettamente a tempo con le ultime battute del valzer, elegantemente in sincrono, lo sguardo di Draco fisso su di lei.

Per un attimo il grigio plumbeo dei suoi occhi si ammorbidì, striandosi di un azzurro brillante, mentre lui si chinava in un breve inchino, la mano sinistra ancora stretta sul polso della sua destra.  Poi le sue labbra si piegarono in un sorriso triste, mentre chiudeva lo spazio su di loro. Si chinò appena, poggiando le labbra contro la rosa ricamata che la fine della sua cicatrice, senza smettere di guardarla, con un movimento così fluido che nonostante l’angolazione sembrò totalmente naturale.

Sanguesporco.

La voce sottile di Bellatrix rimbombava nel suo cervello, sovrastando il chiacchiericcio della sala da Ballo, oltre il tintinnio dei grandi lampadari di cristallo, più forte del sospiro disperato di Harry,

Usò ogni fibra di volontà che avesse mai abitato il suo corpo per costringersi a non fuggire, scappare da quella follia.

«Io…. ho caldo… e devo provare il discorso… c’è un posto tranquillo?», riuscì a dire, allontanandosi a passo più composto possibile verso una delle grandi vetrate. Ginny, che era inspiegabilmente riuscita a trascinare Viktor a ballare, le fu subito vicino, ma le fece segno di restare dov’era. 

Draco annui, accompagnandola in silenzio fuori dalla sala.

Una volta in uno dei corridoi laterali fece per dire qualcosa, ma Hermione lo zittì, così come aveva bloccato Ginny,

Doveva farcela da sola questa volta.

Non avrebbe permesso a nessuno di rovinarle il futuro.

Nemmeno al suo passato.




 

L’aria fredda e profumata di abete della sera ebbe l’effetto sperato. Si concentrò solo sul suo respiro, lasciando che il cuore tornasse finalmente ad un ritmo normale, i muscoli del corpo che si rilassavano pian piano.

Bellatrix era morta. Voldemort era morto. Si ripeté, ricordando il corpo esanime dei Lestrange sul piazzale di Hogwarts.

Lei non era più sul pavimento freddo, l’odore del sangue e della paura che impregnava l’aria.

Ora c’era odore di arancia e zucchero, frutti rossi e bollicine.

Lei non era più la ragazzina che fuggiva per salvarsi la vita. Era una giovane donna disposta a fare di tutto pur di raggiungere il suo obiettivo.

Un mondo migliore.

Un mondo davvero migliore.

 

«Signorina Granger, devo farle i miei complimenti. Non pensavo davvero che sarebbe venuta».

Hermione alzò il capo di scatto, mentre la mano si stringeva automaticamente attorno alla bacchetta, nascosta in una tasca stregata del vestito.

«Cosa ci fa lei qui?» chiese dura, scoccando un’occhiata risoluta all’uomo che era appena uscito sul balcone dello studiolo, fermandosi a pochi passi da lei.

«A parte abitarci, intende?» sorrise l’uomo, continuando ad osservare i giardini oltre il balcone di marmo. Poi indicò un punto rosa che correva impazzito:«Forse dovrebbe dire alla sua amica di rientrare, tra poco è il suo grande momento, no?».

«Quindi mi sta dicendo che di tante stanze lei ha deciso di venire proprio qui? Se fossi meno sprovveduta, direi che è una casualità». Non si fidava di quell’uomo, ancora si chiedeva come mai non si trovasse ad Azkaban, anche se la risposta era proprio sotto i suoi occhi.

Lucius Malfoy piegò le labbra in un sorriso amaro, che alla luce morbida delle candele, accentuò ulteriormente la somiglianza con il figlio. «Se fosse meno sprovveduta metterebbe fine a questa pagliacciata».

Hermione si costrinse a rimanere calma. «Immagino quanto possa darle fastidio vedermi con Draco, ma forse avrebbe dovuto pensarci prima di organizzare questa serata. Le posso assicurare che neanche per me è un piacere».

Lui si girò a guardarla, gli occhi metallici che saettavano: «Questa sera? Pensa che il problema sia mio figlio che fa lo sdolcinato pensando di essere furbo?»

«Draco…» iniziò, ma lui la interruppe.

«Draco ha sempre avuto il problema di fissarsi su quello che vuole, o meglio su quello che pensa di volere. Una volta era un drago, un’altra un unicorno, un’altra ancora le scope nuove per la squadra di Quidditch. E io e sua madre abbiamo sempre cercato di accontentarlo, di farlo felice…».

«Chissà come mai è diventato un ragazzino viziato, allora» rimbeccò Hermione dura, squadrandolo con disprezzo. Poi però aggiunse: «Quindi gli avete comprato un drago?».

«Una riserva, a essere esatti. Ma non è questo il punto. Il punto è che ogni volta che ottiene qualcosa, poi dopo poco smette di essere interessato e passa al desiderio successivo» la liquidò Malfoy con un gesto stizzito della mano. «Tranne che con lei. Speravo che questa farsa bastasse…».

Il sangue le si gelò nelle vene. Farsa? Malfoy aveva detto di non aver parlato con nessuno del finto fidanzamento, che i suoi non ne sapessero niente. Erano davvero così incapaci di fingere? Dietro le loro spalle e i finti sorrisi, stavano semplicemente prendola in giro?

Sanguesporco.

«Invece a quanto pare pensa di continuarla a lungo. Se non fosse che è pericolosa per lui, lo lascerei fare, giusto per il gusto di vedere quanto ci mette a capire che non me ne importa assolutamente nulla».

«E allora lo lasci in pace! Non le basta avergli rovinato la vita quando era solo un ragazzino?» ringhiò di rimando.

«La ricordavo più intelligente, signorina Granger. Pensare che Severus diceva che era la studentessa più promettente che avesse mai incontrato…» sospirò Malfoy, continuando a squadrarla con occhi di ghiaccio. Poi la sua voce divenne bassa e pericolosa. «Te lo dirò una volta sola: lascia stare mio figlio. Lascialo libero e finanzierò ogni tuo progetto, ti posso assicurare che qualsiasi cosa mio figlio ti abbia promesso, io posso fartela avere prima e più efficacemente».

«Lasciare libero Draco? Perché non lo fa lei per primo? É tutta la vita che lo fa vivere nella sua ombra… e ora finalmente che ha una vita sua, vuole rimettergli gli artigli addosso, vero? Davvero non trova un altro modo di passare il tempo che torturare suo figlio?».

Lo sguardo di Malfoy tremolò per la prima volta, quando sibilò: «Non sai neanche di cosa stai parlando, ma c’è una cosa che devi farti entrare in quella testa dura: non ci sarà una terza volta in cui qualcuno mi verrà a dire che mio figlio potrebbe non superare la notte. Soprattutto non per colpa tua, dovessi davvero tornare ad Azkaban».

Ma di cosa diavolo stava parlando, quel borioso saccente? Davvero pensava di farle la morale dopo tutto quello che aveva fatto?

«Le posso assicurare che neanche per me la guerra è stata una passeggiata! Le devo ricordare che sua cognata mi ha torturata proprio in questa dannata casa?».

L’uomo la guardò perplesso, poi sospirò massaggiandosi le tempie esasperato, lasciandola spiazzata per quel cambio di atteggiamento. «Evidentemente quello sciocco di Potter non le ha detto niente. E lei davvero non è così intelligente come pensavo», disse tornando nuovamente al “lei”, che evidentemente trovava troppo formale nelle minacce. «Si faccia raccontare di quando l’ha salvato dall’Ardimonio…».

«Nella Sala della Necessità? Guardi che lo so» ribatté piccata, ma l’uomo la interruppe di nuovo con un sorriso.

«Non quella volta, l’altra. Quella in cui lui e il suo amico l’hanno lanciato di proposito per uccidersi» disse piano, tornando a guardare i giardini. «Pensavo l’avesse capito dopo la visita ad Andromeda: perché diavolo crede che abbiamo ristrutturato un’intera ala del San Mungo senza che nessuno lo sapesse? Se mio figlio vuole odiarmi e pensare che ogni suo problema sia colpa mia, mi sta bene. Basta che lo faccia da vivo».

L’aria si riempì di un tintinnio di campanelle, che risuonò in ogni stanza del Maniero.

«É arrivata l’ora del suo grande discorso, Signorina Granger. Spero che non sarà un totale fallimento. L’aspetto giù, non faccia tardi, mia moglie è già abbastanza indispettita», disse l’uomo prima di scomparire, mentre i diversi pezzi nella sua testa si univano, nonostante i suoi tentativi di ripetersi che Malfoy era una viscida serpe che avrebbe mentito su qualsiasi cosa, pur di conservare il proprio potere.

Eppure, tutto quadrava: dallo strano comportamento di Harry, ai commenti che si era lasciata sfuggire Luna, al volto sfigurato di Goyle, la voce preoccupata di Malfoy e quello sguardo pieno di sensi di colpa.

La musica risuonò di nuovo, questa volta in tono più urgente.

Lucius Malfoy aveva ragione, non c’era più tempo.



 

«Avete già avuto modo di incontrare la nostra deliziosa ospite, Hermione Granger. Come se qualcuno di voi potesse davvero non conoscerla».

Risatine educate. Un applauso incoraggiante. Sorrisi trepidanti davanti a lei.

Non c’era davvero dubbi, Draco aveva avuto ragione, sua madre era nata per quello.

«Sono molto grata a Hermione per aver scelto questa serata per dimostrare al mondo quello che possono fare le giovani streghe, con il duro lavoro, l’intraprendenza, il cervello… e perché no, un aspetto decisamente affasciante».

Nuove risate compiacenti. Lo sguardo di Hermione spaziò nella sala, alla ricerca di volti famigliari, l’unica cosa cui riusciva ad aggrapparsi, mentre la sua mente diventava sempre più un buco nero.

Draco la stava usando? Era tutto un trucco di suo padre? Davvero Harry non le aveva detto niente?

Lo vide, appoggiato contro una delle colonne di marmo nero, un bicchiere intoccato di champagne tra le mani. Accanto a lui, Pansy parlava a bassa voce, in maniera concitata, lanciandole occhiate preoccupate.

Si accorse che era rimasta in silenzio, mentre decine e decine di maghi aspettavano che dicesse qualcosa, nel vuoto di parole rimasto dopo l’annuncio di Narcissa.

Solo che le parole non uscivano, per la prima volta in vita sua.

Vide Harry avanzare verso di lei, facendosi largo tra la folla… evidentemente si era preparato a quella eventualità.

Osservò Ginny, che mimava muta l’attacco del discorso che aveva sentito così tante volte da saperlo ormai a memora, poi Zabini che la fissava con un sorrisetto soddisfatto.

Infine tornò a guardare Draco, che aveva poggiato il bicchiere tra le mani di Theo e, come Harry, stava avanzando verso il palco.

E poi vide Luna, che le sorrideva incoraggiante, tenendo tra le mani un piccolo oggetto colorato.

Un calzino. Il suo calzino.

E, come se fosse stata Reinnervata, le parole tornano a fluire nella sua mente.

Peccato che non fossero quelle giuste.

«Conoscevo un elfo, una volta: si chiamava Dobby. É morto, per salvarci. Conoscevo un’Elfa una volta: si chiamava Winky: nonostante avesse fatto di tutto per proteggere i segreti della sua famiglia, è stata accusata di tradimento e gettata via come un calzino vecchio. Era così disperata da aver passato il resto della sua vita ad ubriacarsi, incapace di vedere dove fosse il bene e dove fosse il male. Ho conosciuto tanti elfi che hanno dato la loro vita nella Battaglia di Hogwarts, eppure il loro nome non è mai ricordato da nessuno…».

Sentì la Malfoy irrigidirsi al suo fianco, Harry si era bloccato a metà di un movimento, girandosi a guardare Ginny, probabilmente chiedendole se non fosse impazzita.

E poi c’era Draco, che era ritornato in fondo alla stanza, gli occhi nuovamente uno schermo di metallo fuso, il viso una maschera di cera.

Eppure, nonostante stesse occludendo in maniera perfetta, per lei era chiaro come il sole che si stesse maledendo per averla portato lì.

Ma d’altronde gliel’aveva detto da subito.

Lei non era tipo da venire a patti con nessuno.

Tantomeno con sé stessa.

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Flofly