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Autore: aurtemporis    20/01/2024    3 recensioni
Sulle spiagge della Normandia, il colonnello delle guardie reali trova una ragazza priva di sensi e in balia del freddo. Dopo averla soccorsa, cercando di offrirle ulteriore aiuto, tenterà di scoprire le cause che hanno portato la ragazza sul punto di perdere la vita. Al contempo, la ragazza proverà ad impedirle di conoscere la verità, corrotta e pericolosa, e in cui lei è già intrappolata.
AVVISO: Questa ff esce completamente dal seminato. È una storia che se ne va per i fatti suoi e prende solo alcuni tratti dall'anime. Dedicata in particolare ai fans di Oscar/Rosalie, è una distrazione senza pretese da tutte le coppie canoniche dell'opera.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: André Grandier, Bernard Chatelet, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"Ehi!" Oscar si sentì toccare una spalla, aprì gli occhi e cercò di focalizzare chi aveva davanti "Ehi, voi, che vi è preso?" un uomo anziano, con un bastone da pastore, le stava di fronte. Udì il belare di pecore, nella piana, stavano calpestando proprio dove c'era la fossa in cui l'avevano gettata, che ora assomigliava a una flessione disordinata del terreno.

Tolse la coperta e si accorse che era ancora più dolorante "Niente di grave, signore" aveva timore a mettersi in piedi, non voleva franargli davanti e smentirsi.

"Come ci siete finito lì per terra?"

"Una disputa, iniziata male e finita peggio" la rabbia era sempre lì, che le faceva serrare i denti e stringere i pugni come a volerla intrappolare e distruggere, senza riuscirci.

"Che razza di disputa? Mi piacerebbe sapere" e poi decidere se era il caso di aiutare o meno.

La bionda esitò, spostò gli occhi sul fiume che luccicava sotto i primi raggi del sole. "Ho cercato di…" le mani si conficcarono nella terra "Non ho potuto difenderla, ho fallito" le dita cariche di collera penetrarono in profondità.

"Ah, bene. Conosco la specie di disputa. Venite con me, vi faccio rattoppare la testa" osservò l'impacco di sangue e foglie di salice. "Ci vuole l'alcol, non quell'impiastro che ci avete appiccicato. Ce la fate a stare su?" le chiese poi. Oscar provò, le gambe tremavano ma le reggevano il peso, almeno quello.

"Pare di sì, grazie, signore" l'uomo le tese un braccio e le disse di appoggiarsi ma quando l'altra lo fece non riuscì a tenerla, le cadde addosso e piombarono tutti e due contro l'albero.

"Per tutti i demoni!" l'uomo si sollevò da sopra di lei che intontita cercava di mettersi a sedere "Chiedo scusa, il bastone non ce l'ho solo per compagnia" disse, si appoggiò poi alle spalle della bionda e si tirò su. L'anziano ficcò il bastone nel terreno e lo resse con un pugno, poi distese l'altra mano. Lei osservava la mano titubante "Andiamo, su! Non vi faccio cadere un'altra volta" fece forza con le braccia e furono entrambi in piedi.

"Io sto qua dietro" le spiegò che c'era la famiglia del figlio, e una nipote che poteva occuparsi della ferita. La aiutò a camminare.

"Ho quasi ottant'anni, a crederci" disse orgoglioso il tipo.

"Difatti, non lo credo" avrebbe riso in altre circostanze, a pensare che era lui a sorreggere lei, nonostante tutto.

"Valeva la pena?" l'anziano le strinse il braccio "Per questa donna, ne valeva la pena?" ripeté.

Oscar annuì. I passi erano deboli e il braccio dell'uomo era più forte di quanto sembrasse all'inizio.

"Ai tempi miei, quando una donna non sapeva scegliere tra due o più rivali, era la famiglia che decideva, quello che stava meglio messo a guadagno. Ma voi ci volete bene?"

La bionda annuì di nuovo.

"Allora andate a ripigliarvela"

Chinò la testa, i denti le stridevano in bocca, abbassò un momento il viso sulla spalla e poi proseguì a camminare. Certo che sarebbe tornata a riprenderla, se Rosalie l'avesse ancora voluta.

Arrivarono a una cascina. L'uomo la lasciò alla nipote sedicenne, doveva tornare al suo gregge, non si fidava a lasciarlo libero e incustodito. "Riposatevi, quando torno vi voglio trovare ancora qua" le disse prima di far ritorno alla piana. 

La ragazza non fece domande però le parlava ininterrottamente mentre ripuliva la ferita "Mio nonno ha costruito questa casa un pezzo alla volta con quello che gli hanno lasciato i genitori"

La bionda non faticava a crederlo, sembrava un uomo tenace. "Perdonatemi, posso sapere dove siamo?" non riusciva a orientarsi.

"C'è il piccolo paese di Belbeuf qua vicino"

Quella località sfuggiva alla sua memoria, la ragazzina parve accorgersene e chiarì che poco più a nord c'era Rouen; dopo quelle parole la vide sgranare gli occhi. Come ci era finita così lontano? Chi ce l'aveva portata? Non ricordava niente dopo lo scontro. Per tornare a piedi ci sarebbero voluti giorni, le serviva un cavallo. Ma non aveva un soldo con sé e le gorgogliò lo stomaco in quel momento.

"Scusatemi, non vi ho chiesto se avete fame e direi di sì" la ragazza mora con la treccia rise, Oscar era in imbarazzo. Finita di sistemare la fasciatura, scappò in cucina, la lasciò seduta da sola. "Vi è andata bene, vi hanno colpito dove il cranio è più forte!" pronunciò dalla cucina "Mio padre è medico! Queste cose le so da quando ero piccola!" 

La ragazza parlava molto, le raccontò che il padre aveva un piccolo studio in paese e che la madre l'aiutava, ora che lei e i suoi due fratelli erano cresciuti. "Stanno a scuola, hanno dieci e dodici anni. C'è un maestro al paese che si occupa dei ragazzini"

"E voi restate qui da sola?"

La ragazzina le sorrise "Sì, ma non ho paura di star da sola" la fissò negli occhi per la prima volta "voi avete una faccia buona" continuò "e se il nonno vi ha lasciato qui, non vi temo" inoltre, la ragazzina si era resa conto che quella persona a mala pena si reggeva in piedi, non avrebbe spaventato un bambino ora come ora.

"Potrei fingere" Oscar le disse di fare più attenzione in futuro.

Le portò una minestra e un pezzo di pane. Oscar mandò giù senza fare convenevoli, di fame ne aveva davvero. Le lasciò anche un bicchiere di birra sul tavolo. 

Più tardi, l'accompagnò nella stalla "Scusatemi se non vi offro un letto ma, i miei genitori dovrebbero rincasare a momenti per il pranzo e il nonno arriverà dopo e…"

"Non dovete scusarvi, è una decisione saggia" si sedette sulla paglia "grazie infinite" chiuse gli occhi e si assopì poco dopo che la ragazza andò via. La stanchezza sorpassò tutti i pensieri orribili che le passavano per la testa.

"Ehi!" sentì un bastone urtarle lo stivale "Ehi, voi!" 

Oscar aprì gli occhi, le era parso di dormire una manciata di minuti però vide che si era fatto scuro. L'anziano era davanti a lei e la guardava. "Quanto tempo è passato?" chiese la bionda.

"È buio"

Si alzò, una buona parte della forza era tornata. "Devo andare"

"Sicuro, lo so"

Avrebbe voluto chiedergli un cavallo ma in quella stalla c'era solo un vecchio mulo silenzioso. "Posso chiedervi un favore, signore?"

"Ditemi e vedo di contentarvi" 

"Una spada"

L'uomo rimase a rifletterci su "Non c'è una spada in questa casa, però vi posso pigliare un coltello. Ma mi dovete giurare che lo adoperate solo se vi forzano a farlo"

"Avete la mia parola, signore"

"Aspettate qua"

La bionda prese un pezzo di spago tra la paglia e lo usò per legarsi i capelli. L'uomo tornò con un pugnale nel fodero. "Giratevi" le disse. Glielo allacciò dietro con una cintola sottile "Si tira fuori subito ed è assai affilato, da me in persona"

"Grazie"

"Questo te lo dà mia nipote" le diede un sacco "ci sta il necessario per un poco di strada"

"Ringraziatela da parte mia" uscì dalla stalla e si voltò un'ultima volta "Dio vi benedica, signore, non scorderò ciò che avete fatto"

"Vedete di non andare ancora per terra!" l'anziano la vide incamminarsi verso sud.

"Nonno, potevate chiedergli di dormire qua per stanotte" disse la nipote che arrivò giusto in tempo per osservarla svanire nel buio.

"Diceva di no"

"Come fate a saperlo?"

"Lo so" lui avrebbe fatto uguale "hai girato il latte che sta cagliando, come ti ho detto?"

"Ma, nonno, ho appena finito di ripulire la cucina…"

"Non stare con le mani in mano, alla tua età io facevo cinque cose assieme!"

 

Eric rigirava quel foglietto tra le mani, erano alcuni giorni che non sapeva più cosa fare. Non ci capiva una parola di quanto scritto e dicembre era ormai giunto. Clara alla fine non era andata più via. Rosalie non usciva quasi mai dalla sua camera e la si sentiva piangere ogni notte fino a sfinirsi. La marchesa aveva provato a parlarle, la ragazza era fuori di sé. Una di quelle volte non l'aveva neppure riconosciuta se non dopo essere entrata in camera. Il maggiordomo si decise a mettere il punto fine alla storia, non poteva continuare così.

"Rosalie, posso entrare?" chiese, quando non le rispose abbassò la maniglia, la porta era aperta. "Rosalie?"

La trovò rannicchiata con le ginocchia raccolte al petto, e la schiena poggiata alla parete sotto la finestra. "Rosalie…" le si avvicinò e si sedette in terra davanti a lei "Sono giorni che andate avanti senza mangiare quasi niente, vi state rovinando la salute" la ragazza alzò gli occhi gonfi, lo guardò e gli gettò le braccia al collo.

"Eric! Mi sembra di affogare di nuovo…" singhiozzò.

"Lo so, lo so che significa. Aggrappatevi a me" lui era vedovo, anche se erano trascorsi molti anni, la sofferenza, ora sopportabile, era sempre lì. "La ricorderete per com'era. Concentratevi sui bei ricordi e basta"

Rosalie pianse ancora "Non mi avesse mai conosciuta, non mi avesse mai trovata su quella spiaggia, ora sarebbe ancora qui!"

"Non addossatevi colpe, non si possono governare certe cose. Avreste potuto incontrarvi altrove, per le strade di Parigi, chi può dirlo" le accarezzò la testa "siete così giovane, avete una vita intera ancora, non buttatevi via"

La mattina dopo, Rosalie uscì dalla camera, si era vestita e sistemata i capelli, il viso spossato era rimasto quel che era tuttavia. Si sforzò di sorridere quando vide la marchesa e si scusò con lei per i giorni passati. "Perdonatemi, voi non vi meritate una dama di compagnia così ingrata"

"Oh, piccola mia. Come se tu non fossi umana. Reagire quando si perde qualcuno a cui si tiene molto è diverso per ciascuno di noi, ma non meno doloroso" la donna era un'altra facente parte del circolo dei vedovi "oggi usciamo e ci facciamo un bel giro nel parco, solo noi due" aggiunse.

Clara si allarmò di quella situazione, Eric non perse tempo nel tranquillizzarla, la marchesa non l'avrebbe mandata via lo stesso. L'ultima arrivata non la conosceva affatto. 

Bernard guardava in disparte, da lontano vide Rosalie uscire per la prima volta dopo quello che era successo, e c'era la marchesa con lei. Gli venne da sorridere. Si sentiva in difetto e a disagio, avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi e implorare perdono, ma non era ancora il tempo. Ora che l'aveva vista, andò via. 

Il parco non era molto affollato, faceva freddo. Marie era serena quando camminava nel verde, le venivano in mente i tempi andati, quando si appoggiava al giovane consorte per passeggiare. "Rosalie, non trovarti mai un marito tra i soldati" le disse di punto in bianco "ti tolgono la serenità e la sostituiscono con l'ansia" e rimarcò con una pacca sul braccio. Le disse di scegliersi un uomo che svolgeva un mestiere più tranquillo. La ragazza sorrise triste, lei non aveva intenzione di sposarsi. Sul suo futuro ci stava riflettendo da quella mattina, che finalmente i pensieri avevano cominciato a schiarirsi.

Quando più tardi rientrarono, Rosalie andò da Eric e gli chiese se aveva tradotto il biglietto. L'uomo scosse il capo. Oscar avrebbe voluto che continuassero, pensò la ragazza. 

"Il notaio non è affidabile, tra i suoi clienti c'è il conte. E ci sto pensando da allora, perché va dal notaio se conosce degli inglesi, non riesco a sbrogliare la matassa" l'unica spiegazione che gli era saltata per la testa era che non voleva incontrarsi con loro direttamente, neppure camuffato da plebeo. Ma non ne era certo.

"Per il notaio non posso aiutarvi ma, per il biglietto, ci penserò io" disse risoluta la ragazza.

"E come?"

"Arrivano stranieri ogni settimana qui a Parigi, ne troverò uno che parla inglese, un insospettabile, e mi farò tradurre ciò che c'è scritto" 

"Posso farlo io, voi non dovete più mettervi a rischio" 

"Non è un lavoro per voi, Eric, serve una donna, per essere più persuasiva" specificò. E aveva in mente anche di portarsi dietro del denaro.

"Che intendete per persuasiva? Che volete fare?"

"Tradurre il biglietto a ogni costo"

"Non a ogni costo, la vita viene prima" Eric le disse poi che l'avrebbe accompagnata comunque.

Rosalie entrò in camera sua, reggeva lo stiletto che si era fatta dare da Eric quel pomeriggio, quello che l'uomo si portava sempre dietro. Lo aveva rassicurato che non l'avrebbe mai puntato contro sé stessa. Un tempo lo avrebbe usato solo come tagliacarte, d'ora in avanti invece sarebbe sempre stato con lei. Lo nascose legando il piccolo fodero con un nastro intorno alla coscia destra.

Prese la conchiglia sul comodino, la strinse tra le mani e la portò alle labbra "Non ti dimenticherò mai" inspirò e riuscì a trattenere le lacrime. Eric non le aveva voluto raccontare nello specifico, tranne dirle che si erano liberati del corpo. Era stato peggio che conoscere i dettagli, immaginare chissà che brutalità avevano scagliato su chi amava più di tutto al mondo. Non c'era più, tuttavia una parte di lei respingeva quella verità, ed era una guerra interiore che non la lasciava da allora. 

 

La mattina seguente, Eric e Rosalie si alzarono quasi contemporaneamente. La ragazza mise a riscaldare l'acqua per il tè. Clara entrò dopo nella cucina, sbadigliando. "Buongiorno"

Rosalie le posò una tazza fumante davanti "Buongiorno, Clara" presto furono tutti e tre seduti intorno alla tavola. 

"Avete saputo?" iniziò Clara.

"No, di che si tratta?" Eric assaggiò il tè, gli piaceva di più quando lo preparava Rosalie.

"Ieri ho incontrato la figlia del tabacchino, un'amica delle mie, è in confidenza con un soldato e questo qua le ha raccontato un fatto. A Versailles si dice che il comandante delle guardie sia morto e sono tutti in fermento"

A Rosalie tremò la mano, dovette posare la tazzina per non rovesciarla.

"Quell'ufficiale tanto affascinante che quando venne in città, durante l'incoronazione, aveva la coda di quelle che cercavano di attirare la sua attenzione" raccontò Clara, c'era stata anche lei in quel momento, era una ragazzina infatuata della divisa come tante sue coetanee. E quell'ufficiale dall'aria rigorosa attirava attenzione anche per come si poneva sempre tra la gente, con il massimo rispetto.

"Sì, Clara, abbiamo sentito qualcosa. Ma la marchesa? Sono quasi le nove e mezza, andate a chiamarla" Eric cambiò subito argomento. La faccia cupa di Rosalie, che non diceva nulla, lo spaventava. Non voleva di nuovo vederla precipitare. La più giovane si alzò da tavola "Vado a chiamarla io" 

"Ma, bevete solo tè in questa casa?" Clara rimase seduta a far colazione. Eric sbuffò, voleva dirle di non menzionare più quella persona ma non era colpa della giovane cameriera, non sapeva la storia, e lui non si sarebbe messo a raccontarle.

Rosalie bussò, la marchesa non rispose. Entrò lentamente e la vide nel letto. Immaginò che dormisse ancora, si avvicinò ma non colse i movimenti del respiro. Il cuore le prese a battere veloce. Si precipitò a scuoterla "Mia signora!" 

Le mise due dita sotto al naso, niente aria. "Marchesa!" la scosse ancora, la scoprì e poggiò la testa sul petto, nessun battito. "Marie…" una mano tremolante le scostò i capelli grigi dalla fronte, gli occhi erano chiusi e immobili. "ERIC!"

L'uomo si alzò così rapido che quasi mandò il tavolo per aria.

 

I funerali si tennero la mattina del giorno dopo. Rosalie aveva pianto, le lacrime si erano asciugate sotto i venti dei primi di dicembre. La giovane si meravigliò anche della folla che era giunta alle esequie. La marchesa era una donna che faceva del bene senza farlo sapere a nessuno. Tanti ne aveva aiutati e tanto era stato l'affetto che le era tornato indietro, in quel momento. Pianse anche Eric, che le era affezionato da decenni, e Clara, perché ormai aveva perduto il posto di lavoro in via definitiva. 

Il notaio si fece vivo quel pomeriggio, con un tempismo terrificante. "Ho saputo" disse ad Eric quando gli aprì la porta. Era appena sceso da una carrozza con la sua cartella, dove trasportava documenti.

Rosalie era rimasta inginocchiata sul tappeto, davanti al letto della marchesa. Si guardava attorno e non ci credeva che non c'era più.

"Voi non siete parenti, ma dato che la marchesa Ozanne vi ha incluso nel testamento…" diede loro le ultime disposizioni. Dovevano lasciare la casa, poiché la nipote subentrava immediatamente come proprietaria. Ma non sapevano se avesse intenzione o meno di venire in Francia per venderla, affittarla o farci altro. Del resto non le era ancora giunta la notizia. Eric e Rosalie avevano ricevuto una sostanziosa eredità a testa. Potevano vivere di rendita per tutta la vita senza più lavorare. "Mi dispiace, ma dovete andare via entro domani sera"

"Così su due piedi ce lo dite?" Eric era furioso.

"Non è una mia imposizione, è la legge. Sono sinceramente dispiaciuto, siete un caro amico come lo era la signora marchesa"

Rosalie non pareva neanche dar peso alle sue parole. L'avevano chiamata perché doveva ascoltare le ultime volontà della donna ma quel che diceva il notaio era come un soffio di vento nelle orecchie, fastidioso e inconsistente. Guardava fuori la finestra, quell'albero di limoni era cresciuto così tanto che pareva essere sempre stato lì.

"Raccogliete le vostre cose, avete abbastanza soldi per trovarvi una sistemazione che meglio vi conviene" il notaio lasciò loro due cofanetti pieni di monete d'oro.

Quando l'uomo se ne andò, i due rimasero da soli a guardarsi in faccia. Eric poggiava le mani sul tavolo della cucina, allontanava e avvicinava le dita. Rosalie gli si sedette di fronte, con le mani giunte sul grembo.

"Ho intenzione di trasferirmi in campagna" disse lui "quando sarà iniziato l'anno nuovo prenderò un pezzo di terra in Provenza e ci tirerò su una piccola casa. Rosalie, se voi volete, sarò felice di condividerla, come fossimo padre e figlia"

Rosalie si morse il labbro inferiore e negò l'offerta "Grazie Eric, ma io so già dove andare. In realtà lo sapevo già da prima che la marchesa ci lasciasse"

"E dove?"

La ragazza tenne gli occhi fissi sul tavolo "C'è un piccolo convento, appena fuori Parigi. Ho già fatto domanda" Eric la guardò perplesso "e ora, grazie alla dote lasciata dalla signora marchesa, potrò venire accettata senza alcuna riserva"

"Ma, Rosalie, perché?"

"Perché lo desidero. Ma prima dovremo risolvere la faccenda che abbiamo in sospeso. Non mi darò pace finché il complotto non sarà smascherato"

"Ma perché non ci pensate più a lungo? Non è una decisione da prendere così, in preda agli eventi"

"Ci ho riflettuto molto, Eric, credetemi. È l'unico luogo in cui potrei trovare un po' di serenità, per continuare a vivere"

"Non lo credo affatto. Nel frattempo, verrete a stare con me in una locanda di una mia parente. Ce l'affitterà con poco, prenderemo due stanze" la ragazza accettò, si trattava di poco tempo ancora.

 

Un uomo, con la moglie e i due figli piccoli, guidava un carro carico di fieno. Quando vide qualcuno che camminava con un piccolo sacco sulle spalle, si fermò lungo la strada. "Dove state andando?"

Oscar alzò la testa "Parigi, signore"

"Saltate su, fa buio presto di questi tempi. Parigi è lontana da qui ma posso portavi fino a un certo tratto"

"Grazie, signore" salì sul retro, assieme al fieno, e ci appoggiò la schiena, era indolenzita. Portò le mani dietro alla testa e si concentrò a guardare il cielo imbrunito. L'oscillare del carro era rilassante.

Parigi la vide solo il giorno dopo, sul tardi. Si sentiva così stanca che crollò seduta presso una piccola fontana. Dopo aver preso fiato sciacquò il viso. Tolse la benda dalla testa, ormai non sanguinavano più. Coprì i tagli con i capelli che le scendevano sulla fronte. Si animò, e riprese a camminare, la strada che aveva di fronte la conosceva, tante volte l'aveva già percorsa per venire a vedere Rosalie di nascosto. Quando scorse la casa nella marchesa, il cuore iniziò a martellare. Però c'era qualcuno là fuori, che camminava osservando la cancellata, gli parve di averlo già visto, un tipo scuro di capelli. Quando questo si voltò, riconobbe quello che Rosalie aveva chiamato Bernard. Strinse forte i pugni, gli arrivò veloce alle spalle, lo acciuffò e lo scaraventò a terrà. Si scagliò su di lui "TU!" un pugno sul naso, un altro sullo zigomo. 

"Fermo! Basta! Chi sei?!" alzò le mani per proteggersi il viso. I colpi non arrivavano più, Oscar aveva estratto il pugnale e glielo aveva avvicinato alla gola. "Sei tu?! Sei ancora vivo?!" aveva addosso quel tizio biondo, era in uno stato pietoso, sporco e con i capelli legati non l'aveva riconosciuto subito. 

"Ti è andata male!"

"Aspetta! Fammi parlare!" il sangue gli colava dal naso, lo asciugò con la manica. "Fammi parlare, maledizione!" Oscar si alzò e allungò il braccio con il coltello. Alcune persone scapparono quando videro la scena. "Tra un po' verranno le guardie, seguimi" le disse il giornalista.

"No, tu segui me" Oscar gli fece cenno di precederla, con il coltello. Lo portò in un vicoletto, i vicoli di Parigi erano tetri anche di giorno. Lo spinse contro il muro, il coltello ce l'aveva sempre in mano "Parla!"

"Io non c'entro, non ti ho colpito io, che altro vuoi sapere?"

"Rosalie! Che le hai fatto!?" 

Bernard agitava gli occhi "Niente! E non so dov'è, due giorni fa la marchesa è morta, credo abbiano lasciato la casa, tutti gli altri"

"E io dovrei crederci?" 

"Chiedi ai vicini. Ti giuro che non ho fatto niente a Rosalie, non era vero quello che t'ho detto l'altra volta, e adesso non sto mentendo!" alzò le mani, il coltello ce l'aveva di nuovo vicino al collo "è stato Saint-Just a colpirti e poi ha detto che eri morto, Eric l'ha sentito dalla sua bocca, sa che sei morto!" 

Oscar spalancò gli occhi, era un guaio. Abbassò un attimo il coltello e lui fece per scappare. Lo trattenne per un braccio "Portami da questo Saint-Just"

"Non posso, non so dove sta, è lui a venire da me. È un uomo pericoloso, stagli lontano se vuoi campare. È malvagio!"

La bionda storse le labbra in un ghigno rabbioso "Tu e lui non vi rendete conto di cosa sono capace io, ora che siamo a questo punto!" lo lasciò andare "Che ci facevi davanti la casa, poco fa?"

"Quello che volevi fare tu" Bernard si raddrizzò la giacca "sapere dove sta Rosalie" alzò le mani, di nuovo "ma non per quello che pensi, voglio solo sapere se ha trovato dove stare, tutto qui"

Gli puntò il coltello contro "Se ti trovo un'altra volta vicino a lei, lo userò, tienilo a mente" non credeva a nulla di quello che gli aveva detto, ma non lo avrebbe ucciso lo stesso. 

Bernard la guardò serio e non rispose. Si voltò e camminò dall'altra parte del vicolo.

Oscar tornò in fretta davanti il cancello della casa, lo tirò, era sprangato da un grosso lucchetto, ed era ovvio che non c'era nessuno. Strinse le sbarre tra i pugni e si accasciò vicino l'inferriata. Chiuse gli occhi e ci poggiò la fronte. 

Se ne andò solo quando udì il rumore di zoccoli in avvicinamento. Aveva perso il sacco, chissà dove l'aveva lasciato, alla fontana, nel vicolo… Non le importava più di tanto. Riprese a camminare. Non le veniva in mente nessuno a cui poter chiedere. Provò a bussare alla casa di fianco per appurare quanto le aveva detto, non le aprì nessuno. Suppose che così come si presentava adesso le avrebbero sbattuto solo porte in faccia. Doveva girarsi tutta Parigi nella speranza d'incontrarla, e non ne aveva neppure le forze. Camminò finché la città fu lontana alle sue spalle, e proseguì. 

 

   
 
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