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Autore: epices    25/01/2024    13 recensioni
Non avrei mai pensato di poter calare i personaggi di Versailles no bara nel XXI secolo e invece...mai dire mai.
Diversi elementi dei nostri giorni hanno deciso di combinarsi in questo racconto dal taglio ironico e leggero, almeno in parte. Io li ho assecondati perché quando la fantasia chiama, chiunque si diverta a scribacchiare lo sa, nonostante gli intralci quotidiani prima o poi bisogna rispondere.
E visto che è quasi Natale, forse mi è venuta in aiuto anche un po’ di magia...
“Mia mamma diceva che ciò che perdiamo trova sempre il modo di tornare da noi anche se non sempre come ce l'aspettiamo” (Luna Lovegood)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte 2 di 2

 

Che il superamento del traffico metropolitano di Parigi potesse essere un'impresa inaffrontabile era noto a tutta l'Ile-de-France perciò, oltrepassati gli ultimi grattacieli di Nanterre, un sospiro di sollievo risultava quasi sempre doveroso e inevitabile.
Quel giorno, tuttavia, si era rivelato un imperdonabile peccato d'ingenuità.
Françoise aveva imboccato l'A13 fiduciosa che la striscia d’asfalto si sarebbe snodata lucida e senza ingombri sotto il cielo terso di una primavera agli sgoccioli, per condurla dritta sulla costa della Manica.
Veloce ed indolore, cosa chiedere di più?
Sola, con le mani strette al volante, si era ritrovata inaspettatamente a sorridere.
La rabbia e la frustrazione avevano piegato la testa, ammansite da un' euforia insolita e dirompente, capace di colare in tutti i pertugi dell’anima e depositarvi il sapore frizzante dell'attesa e l'ebbrezza di un appuntamento con l'ignoto.
Era pur sempre un viaggio, in fin dei conti!
E da troppo tempo, pressata dagli impegni, non lasciava la capitale.

Aveva abbassato la capote per farsi accarezzare dal sole e schiaffeggiare dal vento ma, appena superata l'uscita per Rouen, la serenità del suo sguardo si era dissolta rapidamente tra i miasmi dei tubi di scarico dei mezzi incolonnati - centinaia, ad occhio e croce - a causa di chissà quale intralcio. E, soprattutto, chissà dove.
Bloccata nell’abitacolo, aveva dovuto piegarsi al volere del sole che si arrampicava allo zenit obbligandola a togliere la giacca blu del tailleur, slacciare i primi due bottoni della camicia di seta e ridurre drasticamente la sua misera scorta d’acqua.
Soltanto dopo ore era sfilata, a passo d'uomo, accanto alla cabina di un autocarro riverso sulla carreggiata e al suo conducente che sbraitava al cellulare in una qualche lingua dell'est europeo.
La possibilità di rientrare a Parigi ad un'ora decente era poi sfumata del tutto quando, al suo ritardo, si era sommata la totale incapacità del moderatore di mantenere gli interventi entro i tempi previsti. Non sarebbe riuscita in alcun modo a tener fede al proposito di recuperare, quel fine settimana, tutto il lavoro arretrato per sollevare i colleghi nei giorni seguenti.

Con un gesto stizzito lanciò la bottiglia, ormai ridotta ad un cartoccio trasparente, nel cestino e sistemò la borsa a tracolla, adagiandola su un fianco.

Che razza di pallone gonfiato!

Ma come!?! Dove erano finiti l'amore per il lavoro e la giustizia, la professionalità, la deontologia, l'onore!?! Tutti quegli ideali che, neanche terminati gli esami del Bac(*), l'avevano spinta verso una carriera al servizio del tricolore - bleu, blanc, rouge - rinunciando, senza alcun rimpianto, alle abitudini sofisticate e alle frequentazioni esclusive di una famiglia saldamente ancorata alle vette dell'alta finanza?!?
Se ne era riempito la bocca per anni, il codardo, prima di arrivare a ricoprire l'incarico di lustro che ora gli gonfiava il conto in banca ma del quale era certa non vedesse l'ora di liberarsi. Sospettava addirittura tenesse un personale conto alla rovescia martoriando il retro della porta dell'ufficio con tacche incise per conteggiare i giorni mancanti alla sua ambitissima e dorata pensione!
Passò una mano sugli occhi iniziando ad abbassare la guardia e ad arrendersi al pulsare continuo che si era impossessato della sua tempia destra. Avrebbe anche potuto cedere a quel punto, la missione era compiuta e non ci sarebbe stato nessun altro evento di rilievo a coronare quella giornata impossibile...

- Hai buttato la bottiglia di plastica nel cestino della carta…

La vocetta squillante e vagamente saccente non riuscì a penetrare la spessa cortina di pensieri che le ammantava lo spirito. Non al primo tentativo, almeno. Ma non sembrava avere l' intenzione di lasciar perdere la faccenda. E si alzò di un tono.

- Hai buttato la bottiglia nel cestino della cartaaa…

Ma chi diavolo? Stava parlando con lei?

Si riscosse rapidamente e puntò lo sguardo verso la zona bar popolata da tavoli deserti, ad eccezione di uno.

- Parli con me? - lanciando occhiate perplesse tutt'intorno, si avvicinò ad un bambino che la guardava torvo, da sopra un libro aperto poggiato accanto ad un bicchiere di aranciata.

- Sì! La raccolta differenziata è importante, Madame Durand lo dice sempre.

- E chi sarebbe Madame Durand?

- La mia maestra di scienze

Il moccioso aveva ragione, bisognava ammetterlo. Sentendosi colpevole, sotto il suo sguardo scuro di rimprovero, recuperò la bottiglia e la ripose nel contenitore giusto. Mortificata per l'immagine che poteva aver dato di sé, gli si avvicinò e provò a prestare interesse alle immagini colorate del libro oltre che a sfoderare un tono garbato.

- Cosa leggi?

- Non leggo, studio. Il ciclo dell’acqua.

- Interessante...

Si trovava vagamente a disagio di fronte ad un interlocutore tanto giovane ma che in quel momento sembrava molto più lucido di lei e, soprattutto, pareva convinto avesse bisogno di chiarimenti sull'argomento.

- Sì, molto. Lo sai che l’acqua della Terra è sempre in movimento cioè cambia sempre stato, da liquido a vapore a ghiaccio e viceversa?

La donna annuì lasciandosi cadere a peso morto sulla sedia di fronte al ragazzo. Sì, quello lo sapeva, come avrebbe potuto non saperlo?

- E che il ciclo dell'acqua funziona da miliardi di anni? Da quando c'erano i dinosauri? E che l’acqua che beviamo è la stessa che bevevano loro?

Lei inarcò le sopracciglia e torse le labbra, spiazzata ma intrigata da quel discorso che, a pensarci, aveva i suoi fondamenti. Cercando di ignorare il picchiettio insistente alla tempia, con le mani disegnò nell'aria gesti vaghi per approssimare la grandezza e stare al gioco.

- Quindi io avrei appena bevuto la stessa acqua che...diciamo un tirannosauro...avrebbe bevuto non so...qualche milione di anni fa?

- Sì, è così. Ma in realtà sarebbe pipì di tirannosauro, filtrata e riciclata di continuo...

Il ragazzetto sfoderò un sorriso perfido, in attesa di veder comparire la solita smorfia di disgusto che faceva torcere il naso a tutte le femmine della sua classe ma la donna sostenne lo sguardo provocatorio in silenzio, finché non avvertì un angolo della bocca vibrare di ilarità per poi scoppiare in una risata fragorosa.

- Ma tu quanti anni hai? - chiese, soffocando le risa

- Dieci

- E perché non sei a scuola? - frugando con la mente tra le estati trascorse a Cap d' Antibes, le sembrava di ricordare che i nipoti, come lei ai suoi tempi del resto, scendessero in Provenza non prima dell'inizio di luglio. E comunque era sempre troppo presto!

- Volevo vedere le spiagge dello Sbarco e allora sono venuto con mio padre. E' qui per lavoro, viaggia tanto perché vende fertilizzanti, così ho saltato due giorni di scuola ma lunedì Madame Durand mi deve interrogare e...

- E sarai preparatissimo! Come ti chiami? - Françoise si insinuò nel flusso continuo di parole che inaspriva il martellamento alla tempia e abbassò il tono di parecchi decibel sperando il ragazzino facesse altrettanto.

- Gilbert

- Hai già visto le spiagge, Gilbert?

- Sì, stamattina. Quelle qui sotto. Io vorrei vedere anche le altre ma domani papà deve essere ad Arras per pranzo...

Lo Sbarco...di lì a poco sarebbero stati...quanti anni?
La sua mente allo stremo rifiutava anche quel semplice calcolo, tuttavia soppesò la questione. Non aveva avuto tempo di pensarci ma probabilmente quasi tutti i partecipanti al congresso erano lì anche per quello. Ecco spiegato il motivo dell'atrio deserto e il bancone del bar completamente sgombro dagli irriducibili dell'aperitivo.
Chissà perché certi convegni non venivano mai organizzati in qualche luogo sperduto delle Ardenne ad esempio. O in qualche insignificante cittadina di provincia. Tutto sommato poteva essere un’idea per impegnare il resto della giornata, dopotutto era la fine di maggio e ci sarebbe stata luce ancora per un paio d'ore. Il pensiero di rimettersi alla guida in quello stato l' annientava; non l’aveva messo in conto ma considerò seriamente di dormire al primo piano, nella camera riservata a suo nome e ripartire con tutta calma, la mattina seguente. Da quel tavolo, oltre i vetri e i prati fioriti, erano ben visibili le falesie chiare e un nastro di mare acceso dal sole del tardo pomeriggio, capaci di risvegliare l'euforia del primo mattino, tanto intensa da addolcire anche il suo impellente mal di testa.

- Sai, Gilbert, che mi hai dato un'idea? Nemmeno io ho mai visto le spiagge di qui e quasi quasi ne approfitto...

- Non le hai mai viste?!? - il ragazzetto sgranò gli occhi chiedendosi cosa mai facessero gli adulti per diventare grandi se non si interessavano nemmeno delle cose più importanti.

- No. E' la prima volta che vengo in Normandia

- Non ti piace il mare? - secondo una logica lineare e prettamente infantile poteva essere l’unica spiegazione valida a quella mancanza, anche se molto discutibile.

Oh eccome se le piaceva! Si chiedeva spesso come potesse stargli lontana tanto tempo, lei che avrebbe potuto vivere del profumo di salsedine e del senso di libertà di una finestra aperta sull’infinito.

- Sì che mi piace ma di solito vado al Sud... - abbozzò un sorriso e si apprestò a condividere un po' del suo passato - ...quando avevo la tua età mi ammalavo spesso di bronchite e mio padre, per non farmi perdere settimane intere di scuola, comprò una casa sul Mediterraneo. Cioè...non solo per quello... - sorvolò sul fatto che la sua salute cagionevole avesse fornito il pretesto per un investimento più che vantaggioso ma quello lo aveva compreso solo da adulta e, in fondo, non alterava i ricordi felici della sua infanzia - ...diceva mi avrebbe fatto bene. Là il sole è più caldo, l'estate più lunga... effettivamente, già dopo il primo anno di mare ho fatto pochissime assenze. Alla fine aveva ragione lui.

Françoise scrollò le spalle in un gesto che poteva significare tanto oppure nulla e, dopo una sbirciata impaziente al paesaggio, scostò la sedia e salutò il ragazzo con una strizzata d'occhio complice.

- In bocca al lupo per l'interrogazione! Sono sicura che andrai benissimo!

Lo sguardo di Gilbert si appiccico' alla schiena flessuosa e la seguì oltre le porte di vetro, finché non sparì nel riflesso del sole sulle trasparenze, poi tornò a posarsi sulle pagine del libro. Non avrebbe mai voluto deludere suo padre; nonostante il muso lungo iniziale l'aveva portato con sé, contro la convinzione che la scuola sia un dovere e un privilegio. Ed evidentemente tutti i padri la pensavano così!

***

Il sentiero diretto alla spiaggia si snodava, morbido, tra siepi ordinate di gelsomino e campi arruffati, schizzati di colori pastello, rivelando scorci di immenso blu. Nell'animo della donna, già rasserenato dalla faccia tosta del ragazzo, qualcosa si placò definitivamente. Inalò a fondo l'aria salmastra e ridacchiò della sua espressione convinta, dell’insolenza innocente con cui le aveva dato del tu, dell'orgoglio con cui esponeva le sue conoscenze stravaganti che però...

Niente da fare, in quanto a credenze bislacche, quella strampalata di Josephine deteneva ancora il primato indiscusso! Non sarebbe mai riuscita a spiegarsi come facesse, la maggiore delle sue sorelle, a coniugare il fervente sostegno ai principi olistici con la praticità richiesta ad un cervello di madre. Probabilmente allo stesso modo in cui amalgamava raffinati gioielli di perle barocche a gonne sgargianti dal sapore gitano, lunghe fino alle caviglie.
Scosse il capo sorridendo, consapevole di come la sua vita da single non le fornisse alcuna base per giudicare, ma anche di quanto fosse diventata abile, nelle ultime estati al Sud, a sfoggiare una maschera d'impassibilità dietro la quale era libera d'involarsi lontano dalla sorella e dai suoi panegirici sui flussi energetici, sull'apertura dei chakra - qualunque cosa fossero - e su tutte quelle teorie riguardo l'acqua che manterrebbe un impronta degli elementi con cui è venuta in contatto conservandone memoria. E su tanto altro che la sua mente logica si era rifiutata di registrare ed era evaporato, tanto per rimanere in tema, sotto il fiato rovente del sole provenzale.
Lo sfregamento fastidioso della sabbia sulla pelle, dentro le scarpe, la riportò al presente. Sbuffò rimpiangendo le sneakers abbandonate stupidamente in macchina ma, arrivata fin lì, non sarebbe tornata indietro per nessuna ragione. Le lunghe camminate solitarie sulla battigia erano, da anni, un metodo collaudato per riappacificarsi con il mondo, qualunque fosse la causa del conflitto e purtroppo le erano state sottratte poco a poco a suon di pianti e strilli di ogni nuovo nato giunto a Cap d'Antibes al seguito di qualcuna delle sue feconde sorelle.
Si chinò per arrotolare i pantaloni morbidi sopra le ginocchia e si inoltrò nell'arenile con le décolleté appese alle dita della mano destra. L'effetto era sicuramente poco elegante ma lei si era sempre trovata molto più a suo agio in divisa piuttosto che in tailleur, perciò non ne faceva certo un dramma.
Affondò i piedi nella distesa di sabbia umida, vasta quanto l'entità della marea, un'immensa pagina da imbrattare con le dita. Un guizzo divertito le attraversò lo sguardo e, con la punta dell'alluce, scribacchiò il suo nome; un'abitudine antica, una sorta di saluto al mare che, per un'altra estate, l'avrebbe accolta nel suo abbraccio bagnato.
C'era stato un tempo in cui aveva intrecciato la sua iniziale ad un'altra in una sorta di simbolo astruso e sbilenco: una A e una F adagiate di schiena a sorreggersi l'un l'altra in un equilibrio improbabile ma saldo, con braccia e gambe protese per attutire eventuali cadute da ambo le parti.

Quei segni sulla sabbia tornavano ancora, talvolta. Talmente nitidi da bucare la nebbia che non era più sonno ma neanche veglia e lasciarla con un senso di incompiutezza ed attesa, fin troppo intenso per essere l'eco slavata e indolore di un amore vissuto con l'incoscienza dei suoi diciassette anni, senza nessuna aspettativa. O forse con troppe.

“Siete così giovani, Fanchette...e così lontani, come pensavi potesse...”- le aveva detto Josephine all'epoca, seduta al suo fianco in riva al lago di un Bois de Boulogne tinto d'autunno, ricorrendo al diminutivo che usavano tra sorelle fin dall'infanzia, forse per rassicurarla che il suo abbraccio fraterno, al contrario di un'altra stretta, non sarebbe mai venuto meno. Lei era rimasta in silenzio, con gli occhi limpidi fissi sul volteggio sincrono ed elegante di due cigni, aveva sfrattato il cuore dal petto - che facesse un po' quel che gli pareva alle intemperie della vita, l'importante era smettesse di pompare delusione e umiliazione direttamente nel suo sangue - e deciso di smettere di aspettare una telefonata che non arrivava.
Alle sue aveva sempre risposto la donna di servizio.
Eppure ci aveva creduto pochi mesi prima quando aveva conosciuto Axel. Erano coetanei.
Lui era svedese, alto, spigliato e bellissimo.
Lei una ragazzina poco consapevole della propria femminilità in boccio, lusingata dalle sue attenzioni e inebriata dal ruolo di complice che le aveva cucito addosso nella realizzazione del principale intento di quella vacanza in Francia. Li aveva elencati tutti, in ordine metodico, tra risate allusive e sottintesi, in uno di quei giochi che facevano in cerchio la sera con tutta la compagnia del bistrot del porto, sperando di svelare chissà quali segreti. In ordine di priorità c’era il consolidamento della pratica del bacio alla francese, ovvio e talmente banale da farle alzare le pupille al cielo, seguito da una visita a Montecarlo nella speranza di incappare in qualcuno dei Principi di Monaco e alcune degustazioni presso le aziende vinicole dell'entroterra in compagnia del padre, un facoltoso industriale che aveva costruito la sua fortuna attorno all'affumicatura delle aringhe del Baltico.
Quella baldanza però non l'aveva convinta e la certezza ci fosse molto altro dietro il suo sorriso ammaliante era stata più di un sospetto fin dal primo giorno.
Erano arrivati tutti da poco, con ancora il peso dei libri sulle spalle ma prontissimi ad alleggerirsi lo spirito. Prima che in tuffi spensierati però lei aveva dovuto esibirsi in uno slancio rocambolesco nella speranza di sovvertire la sorte di un anziano ciclista. Dalla panca in pietra del solito locale lo aveva visto arrivare barcollando sulla sella secondo una traiettoria che sarebbe stata perfetta se il molo fosse stato cosparso di birilli. Fiutando il pericolo non gli aveva tolto gli occhi di dosso e, ancora prima di udire il tonfo sordo del corpo nell'acqua, era balzata in piedi e l'aveva raggiunto, lanciandosi dalla banchina. Allo scroscio del suo tuffo ne era seguito un altro, dalla parte opposta della passeggiata di cemento. Lei e il tuffatore sconosciuto erano poi riemersi insieme, riportando a galla sia l’uomo che la bicicletta, con il fiato corto e muti cenni di ringraziamento reciproco. La sua certezza, in seguito, era cresciuta in modo esponenziale ogni volta che gli occhi gli si ingrigivano di struggimento, ad esempio quando lo coinvolgeva nei racconti della sua vita a Parigi.

Il coraggio di quel giorno sul molo e il velo nostalgico che sembrava legarlo a qualcosa senza nome e senza tempo l'avevano conquistata irrimediabilmente.
Forse perché le era sembrato di guardarsi allo specchio.

Tra loro era iniziato tutto per gioco nell’età in cui l'amore stesso era un gioco. Alcuni se la cavavano meglio di altri e lei, senza dubbio, faceva parte degli altri, quelli che non riescono a non sbucciarsi le ginocchia. Dopo quasi due mesi di pomeriggi trascorsi a rubarsi vicendevolmente il fiato all'ombra della pineta, immersi nelle chiacchiere delle cicale e di nuotate al largo, oltre gli scogli scelti appositamente a protezione di carezze sempre più audaci, aveva ragionevolmente creduto potesse esistere un'altra stagione per loro, dopo l'estate.
E che la sera prima del suo ritorno in Svezia non potesse avere un epilogo diverso.

Era il ventisei agosto - incredibile come non riuscisse ancora a scordare quella data - e c'era la luna piena a spargere argento sulla spiaggia e tra i capelli di Axel. Quando si erano incontrati fuori dal cancello di Villa Jarjayes, quasi non aveva avuto il coraggio di guardarlo tanto era abbagliante o forse distratta dal frullo del cuore, già in subbuglio per ciò che sapeva sarebbe accaduto quella notte. Avevano portato uno zaino con dentro i teli e le birre appena tolte dalla ghiacciaia, consapevoli che le stelle, cadenti o meno, non le avrebbero guardate. Scie di brividi le avevano scosso la pelle mentre lui la spogliava al riparo della macchia profumata di resina e rossa di oleandri ma tutta la magia che sentiva e che, nel suo immaginario di adolescente alla soglia di emozioni adulte, avrebbe dovuto raggiungere picchi vertiginosi, si era invece dissolta in una manciata di spinte frettolose ben lungi dal farle varcare la soglia del piacere. E lui non se ne era nemmeno accorto.
Dopo averlo sentito ritrarsi velocemente e assicurarsi di non aver sparso semi nordici in quel lembo di terra francese giovane e fertile, lo aveva guardato incredula, lui, perfettamente appagato mentre sorseggiava la birra ad occhi chiusi, rilassato contro lo scoglio che aveva protetto la loro intimità. Forse era così che doveva andare, del resto lei non aveva termini di paragone ed era riuscita persino ad accennare un sorriso quando le aveva passato il braccio sinistro attorno alle spalle per serrarsela contro in un abbraccio premuroso. Tuttavia il senso di disagio provato in quel frangente era stato talmente intenso che per non lasciarsi andare allo sconforto aveva dovuto concentrarsi sul ritornello di una canzone di compleanno, storpiata da un gruppo di ragazzi alticci in uno dei tanti locali a ridosso della pineta.
Quel
Bonne annniversaire brillo e stonato, augurato ad uno sconosciuto, era l'unico ricordo ancora capace di intiepidirle il cuore se ripensava alla notte in cui era diventata donna.

***

Le delusioni, si sa, a prescindere dalla causa, agiscono sul cuore come l'umidità sul ferro esposto agli eventi atmosferici. Lo corrodono a fondo depositandovi una patina di ruggine che ne impedisce il funzionamento adeguato.
Le era ben chiaro da allora.
Nel suo caso, poi, per troppa incuria, lo strato doveva essere particolarmente spesso. Non ne intaccava la resa meccanica, ma le aveva concesso di intavolare niente più di un paio di relazioni fiacche, abbandonate rapidamente senza rimpianti né rimorsi. E se accadeva che la solitudine si facesse audace e mordesse forte, tentando di lacerare tutte le sue sicurezze, si faceva scudo di un bicchiere di vino e della fedeltà al mantra meglio soli che male accompagnati, un viatico rodato e ancora in grado di risollevarle lo spirito. L'importante era non tradire se stessa ed esattamente per quel motivo si trovava sola ma fiera di sé a passeggiare su una riva sconosciuta riecheggiante dei discorsi vaghi del mare e delle ciance ciarliere dei gabbiani.

Della ragazza che era stata conservava l'incapacità assoluta di resistere al richiamo dell'acqua.. Si affrettò ad attraversare le pozze lasciate dalla marea nella sua ritirata verso il largo fino a raggiungere i primi flutti, onde lievi da sfiorare a piedi nudi per accoglierne la frescura sulla pelle con sollievo e delizia.
Lasciò le dita libere di frugare tra il mare e la sabbia e sollevare sfumature di terra, di verde e briciole d'oro in un rimescolio continuo ed ipnotico che la inchiodava al suolo, tra spire scintillanti e sbuffi di spuma impazzita, ladra di colori.
Il movimento fluido attorno alle caviglie la irretiva, la malia sconcertante di quel tocco lieve la stregava.
L’acqua la solleticava .
L' avvolgeva.
Le sorrideva ammiccante.
L'afferrava, invitandola a rincorrere le increspature che sbattevano veloci contro le sue gambe esplodendo in getti di schiuma.
L'ammaliava con un gioco provocante, una sfida lanciata a suon di tocchi leggeri come dita di un bambino. Tocchi capricciosi che la stuzzicavano, la tormentavano e si ritraevano, in attesa.
La tentazione era irresistibile, il desiderio di abbandonarsi a quell'improbabile gioco a rimpiattino, inarrestabile. Un entusiasmo infantile le esplose negli occhi in un battito di ciglia, le infilò le scarpe nella borsa e la prese per mano. Le attaccò un paio d'ali al cuore e la fece balzare tra le onde con il volto sereno e gli occhi accesi, la fece ridere degli schizzi che le ricadevano sul viso e le schiarivano l'animo, lo ammorbidivano, lo confortavano come la compagnia di un vecchio amico.

Solo quando si rese conto di aver infradiciato ben più del bordo avvoltolato dei pantaloni si fermò di colpo, soffocando un'imprecazione. Si predispose a tornare all'asciutto, decretando a malincuore la fine di quel gioco improvvisato.
Ma anche il mare aveva smesso di giocare.
Dita di vento ne avevano lisciato la superficie e ora dondolava placido attorno alle sue gambe, strusciava intrigante e maliardo contro la pelle umida, si spingeva piano sotto la stoffa blu in un'implacabile lusinga, si faceva tocco d'amante, pretenzioso e seducente. Il mormorio delle onde mutò in un sussurro delicato, un richiamo misterioso da ascoltare ad occhi chiusi per assaporarne la meraviglia, gustarne tutta la calma e la dolcezza. Parlava di fruscii lontani e indistinguibili, tanto labili da perdersi nella brezza recante all'improvviso sentori di terra umida, di foglie e di bosco. Parlava di bisbigli d'amanti in una notte chiara, di promesse eterne, di paure da non provare, di stelle ritrovate.

Doveva essere piovuto poco distante - uno di quegli acquazzoni veloci a metà tra la pioggia e il temporale - perché il profumo si fece più intenso. Lo inalò a fondo, senza aprire gli occhi, intenta a coglierne ogni fragranza. Erba e lavanda, sapone e muschio, terriccio e cuoio finché la gola non si chiuse attorno ad un nome che non conosceva. Spalancò le palpebre, turbata, e lanciò il capo all'indietro inspirando più volte, le girava la testa.
Tra le nuvole giacevano piume violette, gettate dal sole che si apprestava a lasciarle in balia di una luna languida e pallida, quasi insignificante nel tripudio di colori del crepuscolo.
Le pareva di riuscire a stare in piedi solo grazie alla presa solida e gentile dell’acqua attorno alle caviglie mentre lo stesso cielo che aveva accolto l'ultimo respiro di migliaia di uomini vorticava in un turbinio di sfumature rossastre.
Poi quel cielo le crollò addosso.
Ne avvertì tutto il peso al centro del petto.
Fece vibrare il cuore dello strazio di un intero popolo, del grido di tutto un Paese, delle follie di ogni Tempo. Sferzò ogni fibra con violenza di grandine, gelò i pensieri, annullò gli intenti e le strappò un gemito d'angoscia feroce facendole stringere la mano a pugno attorno ad un appiglio invisibile di cui riusciva però ad avvertire i piccoli calli sul palmo, alla base delle dita.
Era piombo denso e opprimente eppure tanto labile da disperdersi nel frullo d'ali dei piccioni che s'involavano alla ricerca di un riparo per la notte.
No, lì non c’erano i grassi piccioni di Parigi, solo gabbiani che remavano in un alito di vento accorso da lontano a sollevarle i capelli, accogliere il suo grido e disperderlo nel cielo di infiniti mondi. E lasciarla stremata tra le onde che la cullavano nel loro dondolio perpetuo.

Accidenti a te, Françoise! Non impari mai... - accertata la stabilità sulle gambe, maledisse l’ostinazione a non ascoltarsi a fondo. Avrebbe dovuto andare a riposare in compagnia di un analgesico invece di scendere in spiaggia!

Ancora scossa si avviò verso il paese a passo lento e testa bassa. Un riflesso molesto proveniente dalla spiaggia stretta tra le falesie puntava direttamente i suoi occhi e, nonostante la mano tesa a proteggerli, non riuscì ad individuare la posizione di quella sorta di specchio che rifletteva gli ultimi respiri del sole direttamente sul suo viso. Solo a ridosso del lungomare, dove la sabbia era asciutta e il confine raggiunto dall'alta marea appena visibile, notò un cavalletto fotografico piazzato tra pannelli riflettenti e tutta l'attrezzatura di un professionista. In ginocchio, chino a rovistare in una borsa zeppa di arnesi che non conosceva, c'era un uomo a piedi nudi. Indossava pantaloni cargo verde marcio e una t-shirt bianca colma del suo fisico prestante. Gli si parò di fronte, decisa a chiedere spiegazioni dell'obiettivo che era certa fosse puntato direttamente sul suo volto, sperando di non doversi impelagare in una baruffa con uno sconosciuto. Ci mancava solo quello!
I piedi bianchi e affusolati furono la prima cosa ad entrare nel campo visivo dell'uomo. Lo vide sobbalzare poi, percorsa la sua figura a ritroso fino al volto accigliato, infilò una mano nei capelli scuri e distolse lo sguardo, ridendo.

- Mi avete scoperto...scusatemi, non ho resistito alla tentazione di avervi più vicina... - il gesto tradiva un discreto imbarazzo ma scopriva gli occhi che riflettevano il mare. O forse era il contrario.

- Prego? - no, non aveva capito ma i tratti di quell'uomo la confondevano e le spruzzavano lo sguardo di stupore, inatteso, fugace, quasi piacevole.

- Lo zoom...dovete scusarmi, mi sembrava di conoscervi. Adesso le elimino tutte comunque, qui davanti a Voi. Le foto, intendo... – l'uomo indicò l'obiettivo telescopico montato sulla fotocamera, inciampando nelle parole. Lo vide concentrarsi sull'orizzonte e allargare le narici nel tentativo di afferrare qualcosa che, evidentemente, gli sfuggi. Scrollò il capo perplesso, poi sorrise - ...a meno che non le vogliate Voi...

Non sapeva cosa rispondere, accadeva raramente che qualcuno riuscisse a disorientarla. Inarcò un sopracciglio per celare lo sconcerto dietro il suo collaudato tono professionale.

- Spero non abbiate l'abitudine di andare in giro a fotografare sconosciuti...

- Un po' sì visto che è il mio lavoro...sempre con i dovuti consensi s'intende – rispose, placido, continuando ad armeggiare nella borsa.

- State lavorando anche adesso? - cercò il suo volto, Françoise, sotto le ciocche di pece, stupita dalla serenità che emanava. Era tangibile, si sarebbe potuta afferrare. Per un momento lo invidiò.

- Sì, ho promesso un servizio su questi luoghi. Ci sono nato, li conosco bene e credo di poter garantire un punto di vista unico. Non sapete quante volte ho saltellato tra le onde, da bambino, come facevate Voi poco fa.

Stava anche per mettersi a correre, in verità, e raggiungerla, nell'unico istante in cui l’aveva vista vacillare. Ma non lo disse.

- Vivete ancora qui? - la incuriosiva quell'esistenza diversa dalla propria. Avrebbe voluto le raccontasse com'era vivere lontano da una metropoli, com'era stato crescere in riva al mare, conoscere le onde fino a farsi chiamare per nome. A lei sarebbe piaciuto.

- No...sì - ammise, infine. Sul volto pallido ma finalmente disteso, lesse tutte le domande che non gli avrebbe fatto e, spinto da una fiducia irrazionale, abbandonò ogni titubanza - In realtà viaggio molto. E' il bello o il brutto di lavorare per National Geographic ma non riesco a pensare di vendere la casa dove sono cresciuto. Ogni tanto devo tornare qui, è come un appuntamento a cui non voglio mancare...- chiuse la zip della borsa, si rialzò e iniziò ad armeggiare con il cavalletto.

- Un appuntamento...- bisbigliò lei, rapita...che pensiero bizzarro...eppure...

- Magari con Voi...- nonostante il balbettio appena udibile, l'uomo colse il sussurro ma, dopo un'occhiata furtiva, si pentì subito del suo stesso azzardo. Non voleva indurla ad andarsene, sarebbe stato perennemente zitto piuttosto. Ma lei non sembrava offesa, solo vagamente smarrita.

- Sono qui per il convegno... - con il capo accennò alla collina dove svettavano le torri bianche dell'albergo arrossate dal tramonto, faticando ad abbandonare il filo di un pensiero che...

- Ah quello...sì, ne ho sentito parlare. Mi devo aspettare di veder spuntare una pistola dalla vostra borsa, Tenente? O Maggiore? Non sono molto pratico di queste cose...- le sorrise, ammirato. Che tutta quella grazia si potesse ingabbiare in una divisa militare proprio non ci aveva pensato e di cose ne aveva pensate tante da quando l'aveva vista passeggiare in mezzo al mare.

- Colonnello...e al momento l'unica cosa che spunta sono le scarpe... - rise suo malgrado, Françoise, afferrando una delle décolleté che sbucava attraverso la zip non chiusa a dovere, arrendendosi all'ironia di quell'uomo, capace di far capitolare rovinosamente anche la sua abituale compostezza.

- Beh, con quei tacchi aguzzi potreste accecare un uomo! Il porto d'armi l'avete, vero?

- Certo che...- puntò gli occhi nei suoi, spiazzata. Poi le labbra si distesero insieme, come fossero tirate dallo stesso filo e le spalle di entrambi iniziarono a tremare, a scuotersi e sussultare in modo convulso fino a colmare la spiaggia con scoppi di risa impossibili da quietare. Quando uno si indeboliva, l'altro lo rinvigoriva finché la vicinanza dei corpi, arrivati a sfiorarsi tremito dopo tremito, e la complicità del momento non zittirono entrambi. L'uomo però non smetteva di sorridere, forse perché anche lei non riusciva a fare altro.

- Allora, queste foto? Le volete vedere? O posso tenerle per me? - lui distolse lo sguardo, si piegò sulle ginocchia ed iniziò a riporre gli attrezzi nel borsone di tela. Era un altro azzardo, lo sapeva.

- Non ne ho nemmeno una in casa... - non aveva mai gradito, Françoise, vedersi in fotografia. Le sembrava che quelle immagini statiche non potessero rispecchiare il continuo movimento del suo animo. E non si piaceva mai.

- Vi faccio un ingrandimento se volete, così lo potete appendere. Questa è molto bella...ma il merito non è mio...- le si riportò accanto e, pigiando i tasti della Reflex, fece scorrere le immagini fino ad un ritratto intriso di un'essenza intensa e morbida che lei, dentro di sé, non aveva mai colto. Sembrava radiosa con la camicia leggera gonfia di vento e la stoffa tagliata dai raggi di luce. E nuda, solo per i suoi occhi.

Un brivido caldo le colorò le guance.

- Sarà di questa luce e di questo mare, allora...non sembro neanche io... - glissò sulle parole dell'uomo, fingendo di non cogliere l'apprezzamento intrinseco. Lui la assecondò.

- O forse dei pensieri che Vi hanno dipinto sul volto quei tratti dolci e sereni...

Quali fossero non avrebbe saputo dirlo. Però li avvertiva, vaghi, ancora lì, tra lei e lui, insieme ad una tensione vibrante che acquistava consistenza ad ogni respiro.

- Poi mi dovrete dire dove la devo spedire...- osò l'uomo, temendo una rispostaccia. Ne ottenne mezza.

- Di solito non do il mio indirizzo agli sconosciuti...

- Touché...io sono André, professione fotografo, nato il 26 agosto 19... - tese la mano destra sfoderando un'espressione monella e impertinente - ...può bastare o devo esibire un documento?

- Come? - sgranò gli occhi, lei

- Come...cosa? Scherzavo...sul documento. Tutto il resto è vero.

- No, niente...Françoise...io mi chiamo Françoise - lo sconcerto e la sua mano scivolarono in quella ambrata di lui in una presa salda, stretta al punto di avvertirne le piccole callosità sul palmo, alla base delle dita.

- Bene Françoise, adesso che ci conosciamo, ti posso dare del tu?

- Sì, adesso sì...

Adesso...

- Vi...cioè...ti mostro anche le altre. Magari ne preferisci una diversa, o più di una. Dai, siediti!

Si accomodarono sulla sabbia allungando le gambe verso l’acqua. Con dovizia di dettagli e passione, lui iniziò a spiegare i segreti delle angolature e la magia della luce, gli effetti dei filtri, il motivo di uno scatto, la sua interpretazione di ogni inquadratura, trasformando ogni immagine in una finestra sul suo cuore. Profumava di salsedine e, affacciata a quella finestra, lei vide se stessa protesa sull'infinito.

Gomito a gomito, chini sulle stesse fotografie, adesso sapeva di sempre.

Non si preoccuparono dell’abbraccio tra il giorno e la notte, sopra le loro teste né della risalita della marea che depose una carezza salata sui loro piedi accostati.


(*) Baccalauréat, corrisponde al nostro Esame di Maturità

Speravo di riuscire a pubblicare la seconda parte molto prima. Non è andata come credevo ma ci ho guadagnato un disegno. Grazie Galla88!
So che le storie AU non sono molto gettonate perciò ringrazio anche chi ha avuto voglia di fermarsi a leggere e chi ha condiviso con me le sue impressioni, qui o in privato, su questo sproloquio.


   
 
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