Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: TeKalliste    11/02/2024    4 recensioni
Mefistofele chiese: «Cosa offri?».
«Qualsiasi cosa, potrai scegliere tu e io non negozierò. Mi faccio suora, mi butto nell'acqua santa, ti porto la testa del fottuto arcangelo Gabriele, tutto quello che ordini, senza fiatare».
Mefistofele si fermò a riflettere, corrugando le labbra, ricambiando alla fine lo sguardo fisso e di inquisitorio di Crowley. Poi tirò fuori dalla tasca un quaderno rilegato in pelle rossa, succhiò la punta di una stilografica e scrisse.
«Cosa chiedi?».
«Chiedo che il contratto con me annulli quello con Aziraphale e che cadano tutti gli obblighi che esso comportava. Non so quali fossero i termini, né come sia andata a finire, ma lascialo in pace, il suo patto si chiude col mio».
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Crowley rovinò sul pavimento, confuso, e tentò di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava, nonostante i suoi occhi gialli fossero offuscati dalla pioggia e dal dolore.
«Siamo alla libreria, sei al sicuro qui. Ci sono io con te».
Crowley si lasciò andare, accasciandosi e rannicchiandosi su uno dei tappeti, mentre una chiazza di pioggia e sangue si allargava sotto il suo corpo. Teneva gli occhi chiusi, serrati, e tentava di stringersi nelle spalle con mani sempre più deboli. Tremava come una foglia, ma non diceva una parola.
Aziraphale gli girò intorno un paio di volte, restio a toccarlo, per paura di fargli di nuovo male. Tentò di capire dove fosse la ferita e quanto fosse grave. Ma il completo nero di Crowley non aveva strappi e, bagnato di pioggia com’era, non permetteva di riconoscere il colore del sangue.
L’angelo accese il caminetto con un gesto della mano e vi tirò più vicino il tappeto, così che Crowley potesse scaldarsi. Dopo essersi seduto per terra accanto a lui, gli sollevò con delicatezza la testa e la poggiò sulle proprie gambe.
«Angelo, lasciami stare… riportami a casa e lasciami lì». Per tutta risposta, Aziraphale accarezzò piano la testa di Crowley.
«Avevo detto… che non volevo più vederti… ero serio…». Le carezze continuarono.
«Ti prego, stanne fuori. Ti prego…». Crowley iniziò a piangere. Erano lacrime sottili di paura e debolezza, che non poteva più trattenere, nonostante i sommessi singhiozzi gli causassero spasmi di dolore.
Aziraphale si sentiva morire: non capiva e non poteva nulla. Qualcosa di terribile era successo a Crowley e lui non era stato lì, era arrivato troppo tardi. La creatura di Dio che più gli stava a cuore in tutto l’universo sanguinava tra le sue braccia e lo respingeva, troppo debole per andare via, ma abbastanza in forze da opporsi al suo aiuto. Aziraphale sentiva di non poter fare niente, se non tremare con lui.
«Angelo, ti prego…». Crowley continuava a ripeterlo ogni volta che riusciva a trovare fiato per parlare.
«Non importa cosa ci siamo detti l’ultima volta, hai bisogno di me adesso, lascia che ti aiuti».
«No…». Crowley tentò di alzarsi di scatto, facendo leva sul bracciolo di una poltrona accanto a lui, ma lo sforzo gli causò una fitta così lancinante da non riuscire neanche a urlare, solo tossire e rantolare, cercando di riprendere aria, aggrappato alla seduta in velluto rosso. Quando riuscì di nuovo ad alzare lo sguardo, si accorse che Aziraphale si era inginocchiato accanto a lui. Con occhi vitrei, l’angelo chiese: «Crowley, stai
morendo?».
Le parole attraversarono come una lama il poco spazio che separava i loro volti, una lama dritta al cuore di Crowley: «Io… non lo so».
Per la prima volta dall’inizio dei tempi, Aziraphale provò un’emozione nuova, sconosciuta agli angeli e non fatta per loro: la paura viscerale di chi si trova di fronte all’irreparabile. Abbandonò il contegno mantenuto fino ad allora e iniziò a gridare: «Dimmi che ti è successo, dimmelo!». Nessuna risposta. Tornò ad abbassare la voce, tremante e rotta, stringendogli la mano: «Ti prego. Non essere testardo stavolta, solo stavolta. Lasciati aiutare. Mi dispiace per quello che ti ho detto l’ultima volta, mi dispiace ancora di più per ciò che non ti ho detto». Crowley continuava a tacere, ma anche questo gli creava dolore.
«Mi volevo spiegare con te. Il patto con Mefistofele l’ho accettato solo perché mi avrebbe permesso di stare con te. Non so come, ma lei avrebbe fatto in modo che il Paradiso non interferisse più. In cambio voleva che rubassi una mela dall’Eden, e l’ho fatto, ma mi sono pentito. Non gliel’ho data, ce l’ho ancora io». Crowley trovò il coraggio di alzare lo sguardo e cercare gli occhi di Aziraphale, sgranati e lucidi.
L’angelo continuò: «Ero venuto a cercarti per dirti questo, stasera. Mi sei venuto in mente tu, e la faccia che avresti fatto quando l’avessi scoperto. Non volevo deluderti di nuovo. Non mi importa se sono nei guai, se ho Mefistofele alle calcagna. Tu sei il solo di cui mi importi». La paura di perdere Crowley stava spingendo Aziraphale a parlare, come non aveva mai fatto e non avrebbe fatto mai, come se le parole che pronunciava potessero agganciare la parte di Crowley che si voleva arrendere e tirarla fuori dall’oscurità. «Non c’è demone all’inferno, né angelo in paradiso che possa costringermi a tradirti o a farti del male. Permettimi di aiutarti, permettimi di sistemare le cose, una volta per tutte. E se scopro chi ti ha ridotto così, ti giuro, solo Dio lo potrà…». Si fermò, intercettato da un sospetto: «Non è stata Mefistofele, vero?».
«Non devi più preoccuparti di lei» rispose Crowley, sottovoce.
«Che vuol dire? Crowley, parlami. C’entra Mefistofele?».
«Non è più un problema, ho sistemato tutto io». Per la prima volta, Crowley accennò un sorriso.
«Crowley… che hai fatto?».
«Un patto. Ho saldato il tuo debito. Sei libero».
Aziraphale cominciò a capire, e più gli diveniva chiaro quello che era accaduto, più aveva paura a domandare: «Qual era il prezzo?».
Crowley gemette di dolore, soffocando le lacrime che, al ricordo, tornavano ad affiorare. Poi alzò la testa verso l’angelo e sorrise di nuovo, un sorriso più spavaldo, ma più tremante: «Le ali».
Quelle parole risuonarono nella testa di Aziraphale come il batacchio in una campana. Per un attimo non riuscì a formulare un pensiero coerente, tantomeno una frase. Si sedette per terra, appoggiandosi sui palmi di entrambe le mani: «Mio Dio…».
Per la seconda volta nella serata, e nella sua vita, emerse in lui un sentimento che agli angeli non è dato di provare: un rimorso oscuro, inarrestabile, che si spandeva come petrolio nella sua anima altrimenti cristallina, infrangeva ogni buona intenzione, macchiava il suo cuore e tutto l’amore in esso contenuto.
Crowley aveva previsto la disperazione in cui sarebbe precipitato il suo angelo, se l’avesse scoperto, e non era mai stata sua intenzione essere salvato da lui. Ma adesso che lo vedeva lì, incapace persino di parlare a causa dello shock, avrebbe solo voluto esser morto tra le grinfie di Mefistofele. Allungò, con molto sforzo, una mano, e cercando le dita dell’altro: «Angelo, ascolta, non è colpa tua…».
Aziraphale ne fu improvvisamente scosso: «Ne riparleremo, ora non c’è tempo per questo. Ti prego, fammi esaminare le ferite. Posso ancora fare qualcosa».
«Sono ferite demoniache, non so se…».
«Devo almeno provarci. Ti prego».
Crowley annuì, poi finalmente si lasciò andare, recuperando un po’ di forze nell’incoscienza. Aziraphale gli sollevò con premura la testa, che aveva abbandonato sul cuscino della poltrona, e lo aiutò a sdraiarsi supino per terra. Con un affilatissimo tagliacarte, a portata di mano su un tavolino da tè, tagliò la camicia nera del demone e scoprì la sua schiena bianca, per esaminare le ferite: al posto delle lucide ali corvine, sulla schiena di Crowley si trovavano solo due monconi, che si alzavano ed abbassavano velocemente, al ritmo irregolare del suo respiro. I bordi della ferita erano netti, ma il suo interno era lacero e profondo, come se le ali fossero state prima incise, e poi strappate.
Quando gli angeli caddero dal paradiso, Aziraphale si era voltato dall’altra parte. Non aveva assistito, non aveva partecipato alla loro condanna e alla loro tortura. Non aveva mai visto niente del genere. Se il bisogno di aiutare Crowley non fosse stato l’elemento più forte, quella vista sarebbe bastata a farlo sentir male. Ma l’unica cosa da fare in quel momento era valutare i danni.
Le due ferite sembravano pulite, in superficie, ma da esse si dipanavano a raggio striature nere, che correvano lungo la schiena di Crowley come rampicanti velenose. Pulsavano ed emanavano un calore talmente intenso che, quando provò a sfiorarne una, Aziraphale sentì le dita scottare. Erano le stesse striature che molti angeli si erano procurati durante la guerra, che molti portavano ancora come ricordo indesiderato. Significavano solo una cosa: la lama che aveva tagliato le ali a Crowley era stata arroventata sul fuoco infernale. Il modo per curare ferite simili era spesso inefficace, e azzardato da usare su un demone, ma era anche l’unica strada che Aziraphale conosceva, e doveva agire, perché un danno di tale estensione non lasciava molto tempo, neanche al corpo di un demone.
Lanciò un cuscino a Crowley, ancora semicosciente: «Quando inizierò il miracolo, mordi questo fortissimo e cerca di non gridare, o farà più male». Poi si alzò, recuperò un’ottocentesca boccetta di profumo e se ne spruzzò poche gocce sulla punta delle dita: era acqua santa.
Ritornò a inginocchiarsi accanto a Crowley, tenendo le mani sollevate come un chirurgo pronto a operare: «Dio, ascoltami stavolta, ti prego ascoltami. Non sono stato un buon angelo, lo so, ma non si tratta di me. Questo demone ha dato le ali e rischiato la sua vita per salvare una creatura del paradiso. Questo demone è stato altruista e si è sacrificato, come ci hai mostrato tu con tuo figlio. Se ti ricordi di quando era un angelo che accendeva le stelle, se hai mai amato la tua creatura Crowley, ti prego, ti prego, permettimi questo miracolo». E, detto questo, poggiò la punta delle sue dita benedette sulle ferite del demone.
Ne scaturì immediatamente un lampo di luce che spazzò via libri, mobili e suppellettili tutt’intorno. Dalle ferite iniziarono a uscire lunghe ombre nere, come parassiti estirpati da una forza superiore. Man mano che tali frammenti demoniaci venivano strappati alla schiena di Crowley dalla luce del paradiso, essi sguisciavano via, tra le assi del pavimento e verso l’Inferno.
Aziraphale non avrebbe saputo dire se Crowley stesse soffrendo o meno, poiché le sue orecchie risuonavano di statica, trilli, armonie, voci del cielo. Non avrebbe neanche saputo stimare il tempo che ci mise il miracolo a compiersi, o quanto egli fosse rimasto stordito dopo di esso.
Quando si riprese, la schiena appoggiata a uno stipetto che avrebbe dovuto trovarsi dall’altro lato della stanza, Crowley era ancora sdraiato per terra, svenuto, o forse addormentato, con la testa sul cuscino di polveroso velluto rosso. La sua schiena non sanguinava più, le ferite erano ancora aperte, ma cauterizzate, e le striature nere avevano lasciato spazio a cicatrici rosso scuro, dalla trama di fulmine. Figura di Lichtenberg, ricordò Aziraphale. Lo aveva letto in qualche libro.
Materializzò delle garze e le avvolse intorno al petto di Crowley. Poi lo prese delicatamente fra le braccia e lo sollevò da terra, attento a non toccare le ferite. Lo portò in camera e lo sistemò a letto. Quando fece di nuovo caso alla bufera di vento e pioggia che infuriava fuori, gli rimboccò le coperte: «Attento, non prendere altro freddo». Crowley socchiuse gli occhi e gli sorrise debolmente.
Aziraphale recuperò una sedia di raso azzurro, dallo schienale imbottito, e un libro dalle decine che stavano in bilico sul suo comodino. Si sedette accanto al letto, poggiò una mano vicino a quella di Crowley e si mise a leggere.
Non passò molto tempo prima che le lacrime gli impedissero di leggere le parole stampate sul foglio. La tensione e la necessità di rimanere lucido erano sparite. Rimanevano solo paura e rimorso, le nuove emozioni che non conosceva, e non sapeva affrontare.
Crowley si era gettato tra le grinfie di Mefistofele, una dei demoni più potenti dell’Inferno, solo per aiutarlo, per riparare a un casino a cui non aveva preso parte e questo, Aziraphale non riusciva ad accettarlo.  Non lo aveva salvato da una disgrazia, non gli si era gettato davanti per parare un colpo mortale. Aveva cercato Mefistofele, ci aveva fatto un patto, aveva ceduto le sue ali, quasi perso la sua vita. Lo aveva fatto senza battere ciglio. Come gli avevano preso le ali? Sicuramente Mefistofele aveva degli aiutanti, non poteva aver fatto quel lavoro da sola. Prima di tutto avrebbe scoperto chi fossero i complici e poi tutti quanti avrebbero conosciuto la sua spada fiammeggiante, neanche l’arcangelo Michele avrebbe potuto essere paragonato per ferocia a… a cosa? Non era neanche stato in grado di difendere Crowley. Non era bastato il suo amore, figurarsi se sarebbe mai bastato il suo odio. Si sentiva patetico, e inutile. Non era lì con lui, mentre gli strappavano le ali, perché lo aveva deluso, e Crowley l’aveva insultato, e gli aveva sbattuto la porta in faccia, e detto di non farsi vedere mai più. Sarebbe stato meglio. Se non l’avesse mai incontrato, o non avesse mai tenuto a lui, niente di tutto questo sarebbe mai successo. La semplice idea di guardarlo negli occhi al suo risveglio gli faceva rivoltare lo stomaco. A causa sua, Crowley aveva perso una parte di sé, nella maniera più letterale possibile, e niente sarebbe mai stato più lo stesso. Mefistofele era stata solo l’esecutrice materiale, ma la causa diretta del dolore di Crowley, delle cicatrici che si sarebbe portato addosso di lì all’eternità, era lui e soltanto lui, Aziraphale.
Quando si sentì stringere la mano, si accorse che non stava più piangendo, ma singhiozzando. Crowley era sveglio, e aveva intrecciato dolcemente le proprie dita tra le sue. Aziraphale ritrasse la mano con uno strappo, e chiuse il libro, dalle pagine macchiate di lacrime.
«Angelo…».
«Come ti senti, Crowley?».
«Fa male, ma non sembra più che Lucifero mi stia squartando i dorsali».
«Bene», rispose Aziraphale, forzando un sorriso tra le lacrime. Crowley gli riprese la mano, con tutta la fermezza che la sua condizione fisica permetteva: «Angelo».
«È tutta colpa mia. Tutta. Avevi ragione, non dovrei più vederti. Hai perso le ali per me, questo sarà per sempre, dovrai ricordarti per sempre cosa ti ho fatto, non voglio peggiorare ancora la situazione. Sappi solo che non me lo perdonerò mai, se serve a qualcosa».
«Angelo, non ho la forza per questa discussione».
«Hai ragione, scusami». Aziraphale fece per alzarsi, ma Crowley non mollò la presa sulla sua mano: «Ascoltami. Non mi interessa delle ali. Mi interessa che tu sia al sicuro. Tu non conoscevi Mefistofele, e io la conosco anche troppo bene. È qui che ci siamo fregati entrambi. Ma non importa ora. Tu sei al sicuro, mi interessa solo questo. E mi dispiace».
«A te? E per cosa?».
«Per quello che ti ho detto l’altra sera. Non è vero che non voglio più vederti, non è vero che sei un egoista, un idiota e una delusione. Cioè, che sei un idiota è vero, il resto no. Mi hai salvato la vita. Ti ho sentito prima: hai interceduto per me con Dio. Io avrò anche fatto un patto con Mefistofele, ma non mi sono compromesso con Lei per un demone. Dimmi se non è da idioti questo».
«Sarei andato dritto al Suo cospetto per salvarti, lo sai».
«E allora che vuoi che siano un paio d’ali». Crowley sorrise, Aziraphale ricambiò finalmente la sua stretta di mano. Non si sentiva ancora pronto a sorridere di rimando, ma calmò il pianto e sostenne lo sguardo del demone. I suoi occhi brillavano meno del solito, ma erano più dolci e morbidi, le sottili pupille più dilatate.
«Perché ti ha chiesto proprio le ali?».
«Perché lei non ne ha».
«Cioè?».
«Mefistofele aveva le ali più belle del Paradiso, quando era un angelo. Avresti dovuto vederle: erano immense, bianche screziate d’oro e argento. Nessuno la batteva nel volo. Per questo, durante la guerra era il capo dei manipoli d’assalto. La catturarono, e prima di scagliarla all’Inferno, le strapparono le ali. Io sono… ero rimasto uno dei pochi demoni alati. Non so dirti di più però».
«Ma perché hai accettato una condizione simile?».
«Prima di tutto, perché con Mefistofele poteva andarmi molto peggio, fidati. E poi perché non ho bisogno delle ali, in fondo. Ho una Bentley e un angelo che può portarmi in braccio».
A questo punto, anche il sorriso riuscì a tornare sulle labbra di Aziraphale.
«Dai, ora riposati».
Crowley si sistemò su un fianco e chiuse gli occhi, la sua mano ancora nella mano dell’angelo. Aziraphale riprese a leggere.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: TeKalliste