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Autore: Elisempreeli    18/02/2024    0 recensioni
Flusso di coscienza nato da un viaggio in treno, tra mancanze, buchi e spazi da riempire.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È un vuoto che sembra non esaurirsi mai. Più lo riempi, più pesa. Più lo riempi, più diventa grande. Mi sono sempre chiesta con cosa, io, avessi potuto risolvere questa mancanza che sento ormai da quando ne ho memoria. Ma soprattutto mi domando il perché io sia nata con questo buco nel petto, e immagino di averlo, un cuore, fosse solo per il fatto di provare il dolore derivante da questo vuoto. È un dolore che ti prende in pieno petto, ma che si irradia in tutto il corpo, in tutti gli organi, in tutte le ossa, fino a non capire più dove inizia né dove finisce. È probabile che con questo vuoto, io, debba conviverci, debba ritenerlo parte di me, una fossa lungo il percorso nella quale ogni tanto cado, ma che più passa il tempo più ricordo di evitare per non farmi male. Ho sempre ritenuto che un vuoto dovesse essere riempito poiché sinonimo di incompletezza, di imperfezione, di difetto, ma la verità è che quella parte mancante mi ricorda che sono umana, che ho dei bisogni, delle fragilità, delle debolezze che non posso disconoscere dal mio essere. E finché sarò in vita, non posso pretendere di mettere a tacere tutto questo, perché significherebbe astenersi dal vivere, e se non pensi a vivere inevitabilmente pensi a morire. È un vuoto che pesa, che ti schiaccia, a volte ti impedisce di respirare da quanto è greve, eppure tu continui a nutrirti attraverso quello stesso vuoto, fino a diventarlo tu stesso. E come si fa, mi dirai, ad uscirne? Come si può smettere di essere una mancanza per se stessi e divenire l'entità piena che ci aspetta? Una volta entrati, anzi, inglobati da quel buco nero, cosa si deve fare per non perdersi? Posso dire che già in partenza si è persi, in virtù del fatto anche solo di percepire una mancanza. Ma il lato positivo, se così si può definire, è che oltre a sentirla riesci anche a vederla, il che non è poco. È proprio lì che incombe l'errore, perché vedendo il vuoto cerchi subito di riempirlo, senza nemmeno pensare se quello che intendi buttarci dentro sia troppo, non importa, dev'essere tappato per bene, tutto deve sembrare perfetto. Così ti riduci a fare fare fare solo per colmare una cavità senza fondo, perdendo tutto ciò che ci finisce dentro senza viverlo davvero. E se quel vuoto rimanesse, appunto, vuoto? Se ci fermassi un attimo ad osservarlo e a cercare di comprenderlo, parlarci anche, solo per sentire l'eco dei nostri pensieri che paradossalmente potrebbero farsi più chiari e allo stesso tempo sempre più lontani fino a scomparire. Si può vivere con un cratere simile, derivante dal terremoto delle nostre insicurezze? Evidentemente sì, altrimenti il mondo non sarebbe popolato da esseri umani alla forsennata ricerca di riempitivi. Ma c'è differenza tra vivere per una mancanza e vivere nonostante essa. Dipende da te scegliere con quale parola riempire quello spazio, decidere quale ruolo dare ad esso, se permettergli di prendere il tuo posto o se riconoscerti, invece di vuoto a perdere, vivo ad insistere.
   
 
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