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Autore: Europa91    22/02/2024    2 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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XX Stagione - Changer la vie




 

«Il a peut-être des secrets pour changer la vie?

Non, il ne fait qu’en chercher, me répliquai-je.»*

Une Saison en Enfer 





 

Realtà originale


Charles Baudelaire rimase per qualche secondo ad osservare la figura del biondo essere artificiale steso sul letto, a pochi metri da lui. Dopo l’esperienza di quella seconda Wonderland provava sentimenti contrastanti verso il rivale. Indubbiamente lo odiava, anche se quello che detestava maggiormente era se stesso. 

Nonostante le parole di Rimbaud, Baudelaire non riusciva a rassegnarsi.

Avrebbe riscritto la realtà a proprio favore, regalandosi quel lieto fine che lui e Paul meritavano.

Fu in quel preciso istante che sembrò notare per la prima volta, il taccuino tra le braccia di Black.

«Cosa hai intenzione di fare?» domandò Carroll intercettando la direzione del suo sguardo,

«Sembra essere un oggetto importante per lui» si limitò a rispondere, sfilandoglielo dalle mani. 

L’inglese non si oppose. Se Baudelaire desiderava proseguire su quel sentiero non era affar suo. L’aveva messo in guardia più di una volta ma il Poète non sembrava intenzionato ad ascoltarlo. Neppure la prospettiva dell’Europole o di Hugo pareva spaventarlo. Quella testardaggine poteva rivelarsi pericolosa. Per tutti loro. 

In quel momento, Charles gli ricordava un bambino ferito, non ragionava con lucidità ma per capriccio.

Durante quella seconda fantasia Arthur Rimbaud lo aveva respinto, preferendogli quel demone tentatore dall’aspetto angelico. Il Poète aveva mostrato di essere andato avanti, solo Baudelaire sembrava ancora legato a quel passato lontano.

Le parole e le espressioni di Rimbaud gli tornarono alla mente, come le immagini di un vecchio film. Era insopportabile, una lenta agonia. Vedere quanto il moro amasse l’essere artificiale e di come questi non sembrava accorgersene lo faceva impazzire.

Osservò Black per una manciata di minuti prima di decidersi a sfogliare quel quaderno. Riconobbe immediatamente la calligrafia ordinata e composta. Poteva appartenere solo ad una persona.

Paul

Quello doveva essere suo. Prese a leggerne qualche riga.

“La natura del mio lavoro mi impedisce di avere delle relazioni” [...]

“Una persona come me può davvero guidare qualcuno? Non posseggo una risposta a questa domanda. Ma se potessi farlo? Io, che utilizzo un nome in codice dopo aver gettato via il mio passato e la mia vecchia identità. Poter fare qualcosa per un'altra persona, per una nazione, per un amico. Questo pensiero da solo è sorprendentemente esilarante” […]

“Paul, il giorno in cui leggerai questo diario sarà il giorno in cui conoscerai il tuo segreto. Prego che quel momento ti porti la vera felicità”**

Charles Baudelaire soffocò un’imprecazione tra le labbra. Era incredibile come poche righe riuscissero a trasmettere perfettamente i sentimenti che Rimbaud provava verso quel mostro. Non era nulla di esplicito ma ogni parola rivelava la natura del legame che lo univa a quella bestia.

Dopo la seconda Wonderland, Charles aveva iniziato ad accettare l’affetto che l’ex amante provava verso Black. Non era uno stolto, anche un bambino avrebbe compreso quanto il suo Paul tenesse a quella creatura. Per questo ogni riga di quel taccuino era l’equivalente di una pugnalata al petto.

«Va tutto bene?» domandò Carroll avvicinandosi a lui. Charles gli pose il quaderno, invitandolo a leggere,

«Il mio francese è pessimo, che c’è scritto?»

«Nulla, è solo l’ennesima prova dei sentimenti di Paul per Black»

«Forse in questa realtà sarà diverso» tentò, anche se sembrava il primo a non credere alle proprie parole

«Non mi serve la tua pietà» L’inglese in fondo aveva mostrato più di una volta di simpatizzare per la causa di quel mostro,

«Abbiamo un ultimo tentativo» Baudelaire annuì

«Ho bisogno di un po' di tempo» ammise, andando ad isolarsi in un angolo della stanza. La tentazione di chiamare Stendhal non era mai stata tanto forte, in quel momento Baudelaire avrebbe solo desiderato avere il superiore al proprio fianco. Henri sicuramente non si sarebbe risparmiato, rimproverandolo per le proprie azioni ma una parte di Charles era certa che lo avrebbe anche incoraggiato ed esortato a non gettare la spugna. Non ora che era così vicino ad ottenere ciò che si era prefissato.

Aveva provocato lui quella serie di eventi, era stato Baudelaire a cercare Verlaine e richiedere il suo aiuto. Il desiderio di ottenere quella pagina e salvare Rimbaud però aveva avuto la precedenza su tutto, anche sul proprio buonsenso. Charles avrebbe mercanteggiato per la propria libertà anche se il recente coinvolgimento dell’Europole poteva rappresentare un problema così come cambiare le carte in tavola.

Quell’Organizzazione era guidata da Dumas e quell'individuo pareva decisamente più pericoloso e scaltro di Hugo. Charles aveva scoperto solo grazie al potere di Carroll come l’ex numero due dell’intelligence francese fosse sopravvissuto e avesse creato quell’Agenzia come facciata per perseguire i propri scopi. 

Alexandre Dumas restava una figura sibillina in quella storia. Nella seconda Wonderland si era presentato come un amico, un benefattore, guadagnandosi la fiducia di Verlaine e Rimbaud, per poi tradirli e uccidere quest’ultimo senza esitazione. Baudelaire non riusciva ancora a comprendere i suoi scopi né la natura del legame che condivideva con il leader dei Poètes. Victor Hugo era stato stranamente comprensivo verso il biondo e lo aveva coinvolto nei propri piani senza alcun dubbio o tentennamento, dopo oltre dieci anni di lontananza. Era quest’aspetto a turbarlo maggiormente. L’Europole poteva essere una spina nel fianco ancor più della Torre dell’Orologio ma il coinvolgimento di Dumas ribaltava la situazione.

Sicuramente il Diavolo Nero (come era stato soprannominato in gioventù) aveva molti assi nella manica che non aveva ancora mostrato. Ciò a cui Baudelaire aveva assistito in fondo non era altro che una fantasia, ciò che sarebbe potuto essere.

Strinse il cercapersone nella tasca dei propri pantaloni, ripensando al triste epilogo di quella storia. Anche in quella realtà Stendhal era rimasto al proprio fianco, pronto a supportarlo. Lui invece era finito in coma dopo aver cercato di proteggerlo.

Sperò di non aver coinvolto il proprio superiore nell’ennesima follia. Non se lo sarebbe mai perdonato.

 

***

 

Wonderland

 

-qualche stagione prima-

-luogo non specificato- confine franco-tedesco



 

“Se io fossi stato un semplice essere umano utilizzato come cavia per gli esperimenti del Fauno? Un uomo normale dotato di un’Abilità Speciale come voi?” 

 

Arthur Rimbaud utilizzò la propria Abilità per illuminare l'infinito corridoio che stava percorrendo. Non aveva faticato a raggiungere il sotterraneo dell’edificio che fungeva da base all’ennesimo movimento antigovernativo che minacciava l’ordine della propria nazione. Avrebbe tanto voluto che gli scopi dei Poètes fossero così patriottici, in realtà dietro quell’operazione vi erano state numerose pressioni economiche. Il Vecchio Continente sembrava sul piede di guerra e ogni nazione stava cercando di prepararsi meglio ad un conflitto che appariva inevitabile.

Victor si era limitato ad affidargli quel caso, sfoderando il proprio miglior sorriso e utilizzando la solita scusa:

Sei il solo in grado di completare questo incarico

Rimbaud si era sistemato meglio la sciarpa intorno al collo e aveva accettato quei documenti senza battere ciglio. Dopo la morte di Charles Baudelaire aveva giurato a se stesso che si sarebbe impegnato per diventare il migliore. I sentimenti, le emozioni, non portavano a nulla, erano solo d’intralcio. Ripensò a come avesse ridotto il cadavere di una delle guardie poste all’ingresso del sotterraneo. Lo aveva reso un burattino grazie alla propria Abilità e ci aveva giocato utilizzandolo come scudo. In fondo quello era il vero volto dell’intelligence. Rimbaud era solo un assassino al servizio dei potenti. Dopo aver eliminato altri due individui raggiunse quello che aveva tutta l’aria di essere un laboratorio. 

Fece un paio di passi in avanti notando solo in un secondo momento come il pavimento fosse interamente ricoperto di sangue.

Maledisse Hugo e le informazioni ricevute.

«Aiutami» fu allora che l’udì. Una voce giunse raggiunse le sue orecchie debole come un sussurro. Doveva ignorarlo. Non poteva lasciarsi distrarre, aveva una missione da completare. Liberare un civile sarebbe stato controproducente oltre che una perdita di tempo.

«Mi dispiace ma devo eseguire gli ordini» si limitò a rispondere con tono monocorde

«E questi ordini ti impediscono forse di salvare delle vite?» Rimbaud prese un lungo respiro prima di replicare,

«Sono una spia, per il bene del mio Paese sono disposto a tutto»

Seguirono alcuni secondi di silenzio, 

«Se cerchi il Fauno stai andando nella direzione sbagliata» 

«Fauno?»

«L’uomo che ha permesso tutto questo»

«Tu chi sei?» domandò il moro, avvicinandosi ad una delle celle completamente avvolte dall’oscurità, seguendo il suono di quella voce

«Un semplice esperimento, il prodotto della sua follia» Rimbaud fece un passo in avanti.

Nulla lo avrebbe mai potuto preparare ad una simile visione. Il prigioniero era incatenato al muro con numerosi tubi e flebo che entravano ed uscivano dal corpo. Pareva una bambola.

Aveva lunghi capelli biondi e occhi di ghiaccio. Era bellissimo.

Il moro si sorprese per i suoi stessi pensieri, accostandosi alle sbarre che li dividevano, prendendole tra le mani.

«Fermerò questo Fauno» promise, cercando di regolare i battiti del proprio cuore. Sembravano impazziti dopo quella visione. 

Rimbaud stava provando una serie di emozioni contrastanti. Rabbia, verso l’uomo che aveva permesso quello scempio, empatia per il prigioniero ma anche il desiderio di salvarlo, di stringerlo tra le proprie braccia, proteggerlo da quel mondo crudele. Per una frazione di secondo si dimenticò persino della propria missione, ma le parole del biondo lo riportarono bruscamente alla realtà.

«Questo posto è un labirinto, potresti perderti. Liberami e ti prometto che ti aiuterò» Rimbaud storse il naso, cercando di mascherare la propria sorpresa.

«Anche volendo non saprei come fare. Potrei ucciderti» l’esperimento gli sorrise,

«Non morirò per così poco. Ho sopportato di peggio» Rimbaud fece per andarsene. 

Non era una buona idea. La voce di Baudelaire nelle sue orecchie continuava a sussurrarglielo.

Hugo non gli aveva fornito nessuna informazione su di un possibile prigioniero. Sapeva solo che in quella struttura si svolgevano ricerche sulle Abilità Speciali.

«Mostrami il tuo potere» esordì all’improvviso, lasciando il biondo di stucco.

«Sei una cavia giusto? Che Abilità possiedi?»

«Controllo la gravità» il moro non sembrò troppo convinto ma aveva bisogno di una scusa qualsiasi per giustificare le proprie azioni.

«Dentro di me alberga un mostro in grado di distruggere ogni cosa» Rimbaud scoppiò a ridere prima di utilizzare il proprio potere per liberarlo. Il biondo cadde a terra non riuscendo a reggersi sulle proprie gambe. 

Arthur aveva previsto tutto. Si tolse il pesante cappotto, appoggiandolo sulle spalle magre del biondo che si fece immobile, quasi spaventato da quel gesto.

«Non sei abituato al contatto umano vero?» domandò la spia. Il prigioniero scosse la testa. Fu allora che Rimbaud lesse per la prima volta la targa posta accanto l’ingresso della cella.

Black No.12

Impossibile.

Quel ragazzo era l’arma che il suo Paese stava cercando. Imprecò.

“Non è una missione impegnativa, ma sei l’unico al quale possa affidarla. Il solo che gode della mia piena fiducia. Black No. 12. Devi recuperarlo, è un’arma incredibile che potrebbe impedire lo scoppio della Guerra o persino ribaltarne le sorti a nostro favore”

Le parole di Victor gli tornarono alla mente insieme a quel sorriso scaltro che da sempre contraddistingueva la pragmatica figura del leader dei Poètes Maudits. Rimbaud fissò il biondo ancora seduto a terra, tremante e insanguinato. Si strappò le maniche della camicia, utilizzando quel tessuto per medicare le ferite all’apparenza più gravi, facendo ricorso anche alla propria Abilità per bloccare possibili emorragie.

«Che stai facendo?» domandò Black, regalandogli l’ennesimo sguardo terrorizzato e confuso dato dalla vista di Illuminations.

«Cerco solo di impedire che tu muoia dissanguato»

«No, intendevo perchè lo fai?» 

«Non volevi aiutarmi a sconfiggere il tuo aguzzino?» il prigioniero abbozzò un sorriso

In realtà Rimbaud non sapeva perché avesse agito in quel modo. Una brava spia avrebbe dovuto ignorare quella richiesta di aiuto, proseguire verso il proprio obiettivo e lasciare ad altri il compito di salvare i civili. 

Il suo primo errore era stato quello di incrociare lo sguardo di Black. 

«Non credo di riuscire a camminare» le parole del biondo lo riportarono nuovamente al presente.

«Come?»

«Ho detto che non riesco a reggermi in piedi»

«E che ti aspetti che faccia, vuoi forse che ti porti in braccio?» Black gli sorrise,

«Pensavo a spalle, ma non preoccuparti. Al prossimo incrocio gira per tre volte a sinistra poi due a destra, troverai il laboratorio principale. Io me ne starò qui ad attendere i rinforzi. Sempre che prima non muoia dissanguato»

Rimbaud alzò gli occhi al cielo. Non sarebbe arrivato nessuno. Lo sapevano entrambi.

«Non dire assurdità» si limitò a rispondere prima di chinarsi e caricarselo sulle spalle. Black era ancora più leggero di quello che pensava. Di nuovo il suo cuore perse qualche battito al contatto con la sua pelle. Era così freddo. Come una statua di marmo.

«Grazie» mormorò contro al suo orecchio. Una sensazione di calore immediatamente pervase il corpo della spia facendolo avvampare. Era la prima volta che accadeva. Tutto il gelo avvertito qualche istante prima sembrava scomparso.

«Non mi hai ancora detto il tuo nome» proseguì il biondo, stringendosi maggiormente contro di lui,

«Arthur Rimbaud»

«Grazie Arthur» La spia non rispose. In quella missione nulla stava andando come previsto.

Dopo qualche minuto, finirono con il raggiungere il laboratorio principale. Una volta riconosciuto il proprio esperimento il Fauno sorrise iniziando a recitare una strana poesia.

Rimbaud ebbe la prontezza di allontanarsi prima che il biondo iniziasse a perdere il controllo. Capì di dover eliminare lo scienziato. Non aveva tempo da perdere, l’intera struttura minacciava di cedere sotto gli attacchi di Black. Quel mostro sembrava aver perso ogni contatto con la realtà. Il suo sguardo era vitreo e inespressivo, come se il Fauno stesse controllando la sua volontà. Fu allora che la spia comprese le parole di Victor e del perché lo avesse definito un’arma.

Utilizzò la propria Abilità per ripararsi dalla distruzione provocata dal biondo, riuscendo in qualche modo a colpirlo, arrivando a fargli perdere i sensi. A quel punto doveva solo sbarazzarsi del Fauno, l’uomo che aveva reso possibile una tale follia.

«Se mi uccidi nessuno potrà mai controllarlo» Arthur arricciò il naso, regalandogli un’espressione di puro disgusto,

«Non ha bisogno che qualcuno lo controlli, Black è un essere umano e come tale dotato di libero arbitrio»

«Non lasciarti ingannare dal suo aspetto, Black No.12 è una bestia. Un Dio della Distruzione in grado di distruggere ogni cosa.»

«Io vedo un solo mostro in questa stanza e non è lui»

Bastò un colpo di pistola per mettere fine a quella discussione. 

Rimbaud si avvicinò al biondo ancora profondamente addormentato. Recuperò delle garze, cercando di tamponare il resto delle sue ferite. Da qualsiasi angolazione, Black appariva bellissimo e indifeso. Ai suoi occhi non era altro che una vittima di quella follia. Rubò diversi appunti della ricerca del Fauno, sia cartacei che digitali e si affrettò a lasciare la struttura.

 

***

 

Qualche ora dopo

 

«Sapevo di poter contare su di te. Sei il mio agente migliore» le parole di Victor non gli erano di alcun conforto. Terminò in fretta quella telefonata, concentrando la propria attenzione sul viso di Black ancora profondamente addormentato. 

Aveva prenotato una camera in un albergo di un paese vicino, in attesa di ricevere altre disposizioni.

«Cosa ne sarà di lui?» aveva domandato al proprio superiore, non riuscendo a celare una punta di preoccupazione. 

«Dovrai occupartene tu. Black è una risorsa preziosa, devi insegnargli a come essere una spia» Arthur stentava a credere alle proprie orecchie,

«Non sono tagliato per essere un insegnante, non saprei nemmeno da dove iniziare»

«Non lo ero neppure io eppure ti ho reso la spia più potente d’Europa» Rimbaud avrebbe voluto obiettare ma Hugo non gliene lasciò il tempo,

«Grazie alla tua Abilità dovresti riuscire a tenerlo sotto controllo» proseguì con un tono fin troppo entusiasta

«Ma Vic»

«Potresti iniziare con il dargli un nome. Ad una spia serve un nome in codice e Black è orribile non credi?»

Come sempre Hugo non gli aveva lasciato possibilità di scelta. Forse era la punizione per averlo salvato, per aver infranto per l’ennesima volta le regole. 

No. Black era un’arma pericolosa. Arthur aveva assistito in prima persona al rilascio della sua Abilità e per poco non era stato travolto da quel potere. Qualche giorno prima aveva avuto un diverbio con Hugo, ma nonostante questo aveva accettato di partire per quella missione. Non avrebbe permesso ai propri sentimenti di interferire con il lavoro.

Quel ragazzo era diventato una sua responsabilità.

Doveva pensare a un nome, peccato che non gliene venisse in mente nessuno. Si perse ad osservare i lineamenti di quel viso perfetto.

Paul

La voce della propria coscienza, fin troppo simile a quella di Baudelaire, lo fece sorridere.

Paul

Un tempo, quello era stato il suo nome. Erano anni che quell’appellativo non gli tornava alla mente.

Paul era il nome che i suoi genitori gli avevano dato. Rappresentava il proprio passato, una stagione della sua vita che avrebbe tanto voluto dimenticare e seppellire in un angolo remoto della propria mente. Era un vocabolo che in quel momento gli suonava estraneo. Negli anni era come se Arthur avesse perso ogni diritto di usarlo. Paul Verlaine era morto oltre dieci anni prima in un piccolo paesino delle Ardenne.

Tornò a posare lo sguardo sulla figura addormentata davanti a lui.

Paul

Black doveva avere un nome e per un istante gli parve che quello fosse perfetto.

Fu allora che il biondo si svegliò. 

«Buongiorno» lo salutò la spia cercando di non spaventarlo.

«Fa attenzione, ti ho medicato ma le ferite potrebbero comunque riaprirsi e tornare a sanguinare» Paul lo osservò confuso.

«Dove ci troviamo? Che ne è stato del Fauno?» 

«Siamo al sicuro, quell’uomo è morto, non ti farà più del male»

«Avrei voluto ucciderlo con le mie mani»

«Ricordi cosa è successo?» il biondo scosse la testa,

«Ho perso il controllo vero?» Rimbaud annuì, anche se non poté fare a meno di notare l’espressione affranta comparsa sul viso dell’altro.

«Non conservo alcun ricordo del mio passato. Ho sempre vissuto in quel laboratorio. Sono un mostro» iniziò prendendosi il volto fra le mani.

«Ho letto gli appunti del Fauno. Ti ha rapito da un orfanotrofio quando non avevi che pochi mesi e ti ha usato come cavia per i suoi esperimenti, insieme ad altri innocenti» fece una breve pausa «Apparentemente sei il solo che abbia raggiunto l’età adulta, dovresti avere circa vent’anni» si scambiarono l’ennesima occhiata,

«Paul» iniziò Rimbaud dopo qualche secondo, sussurrando quel nome quasi con timore

«Come?» la spia prese un lungo respiro,

«Ho deciso che da oggi il tuo nome sarà Paul. Paul Marie Verlaine, ti piace?»

«Perché mi stai dando un nome?» quella reazione lo colse del tutto impreparato. Paul sembrava quasi offeso. La spiegazione di tale comportamento non tardò ad arrivare.

«Io non merito di possedere un nome. Io non sono un essere umano, sono un esperimento, un mostro»

Rimbaud gli tirò uno schiaffo. Non poteva rischiare un attacco di panico o peggio, che perdesse il controllo della propria Abilità. 

Verlaine si portò una mano a coprire la guancia lesa. I suoi occhi bramavano delle risposte. Arthur però non era sicuro su come procedere. Aveva agito d'impulso, senza riflettere. Come non capitava da tempo.

Lo afferrò per un braccio, portandolo davanti ad uno specchio posto accanto al letto matrimoniale sul quale il biondo era stato messo a riposo. Paul era ancora debole, riusciva a stento a reggersi sulle proprie gambe.

«Ora guarda e dimmi, cosa vedi?» il biondo si voltò con uno scatto che Arthur non aveva previsto. Sentì i suoi capelli solleticargli il viso ma il moro lo fermò ed obbligò a concentrarsi sul proprio riflesso;

«Noi» fu la risposta annoiata che ottenne mentre con una mano cercava il suo supporto. Rimbaud non si fece pregare, lo strinse maggiormente a sé, zittendo i pensieri molesti partoriti dal proprio subconscio.

«Guarda meglio. Siamo uguali. Sei un essere umano esattamente come lo sono io»

Verlaine gli regalò un’espressione da prima donna offesa che lo fece solo sorridere. Era bellissimo anche così imbronciato. Non riusciva a smettere di pensarlo.

«Noi non siamo uguali» sottolineò. Arthur si limitò a posargli una mano sul capo, ricordando un episodio della propria infanzia. C’era stato un tempo in Dumas aveva fatto lo stesso con lui, per tranquillizzarlo dopo una marachella, quando disperato attendeva di ricevere una punizione da parte di Hugo. 

«Non fare lo stupido. Sei stato allevato da un pazzo in un laboratorio e hai vissuto come un burattino nelle sue mani ma ora, ora hai la possibilità di vivere la tua vita. Di decidere quale strada percorrere. Sei il solo artefice del tuo destino» non era propriamente vero. Arthur aveva intuito quali fossero i piani di Hugo, ma per il momento non era necessario che anche il biondo li conoscesse.

Doveva solo conquistare la sua fiducia.

«Perché dovrei vivere la mia vita? Io non sono nemmeno certo di sapere cosa significhi»

Rimbaud prese un lungo respiro. L’ennesimo di quella giornata. In fondo aveva ragione. Paul non conosceva nulla del mondo esterno. Era come un bambino, che lui avrebbe dovuto istruire.

«Te lo insegnerò. Ti hanno affidato a me. Diventerai una spia al servizio del Governo francese e saremo compagni» il biondo rimase per qualche secondo ad osservare il proprio riflesso, incurante di quelle parole. Avvicinò una mano alla sua in cerca di maggiore stabilità.

A quel contatto il cuore di Rimbaud perse un battito, esattamente come era accaduto al laboratorio. Ogni volta che Paul lo sfiorava in quel modo, il suo cervello smetteva di funzionare. Erano troppo vicini. Allontanarsi però non era un’opzione. Black era ancora debole, doveva lasciargli del tempo per riposare, come per elaborare tutte quelle nuove informazioni ed accettare la situazione. 

Fu allora che il biondo riprese a parlare,

«Perché proprio Paul?» quella domanda lo prese in contropiede, ma cercò di non darlo a vedere

«Mi sembrava un nome adatto a te» rispose senza esitazione, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Paul seguì ogni suo movimento come ipnotizzato.

«Apparteneva a qualcuno importante vero? Forse, qualcuno a cui tenevi?» Arthur abbassò il capo preferendo rimanere in silenzio.

Non poteva rispondere a quella domanda. Dopo la morte di Charles, Rimbaud aveva deciso di rinunciare a qualsiasi sentimento, anche all’amore. 

«Ho solo pensato che fosse perfetto per te» mentì. Non era necessario che Verlaine conoscesse quella storia, Baudelaire apparteneva ad una stagione passata della sua vita, una parentesi che aveva cercato di dimenticare con tutte le proprie forze.

Il biondo però non parve accontentarsi di quelle parole. Strinse maggiormente la presa sulla sua camicia, avvicinandosi ulteriormente. Rimbaud aveva provato a fuggire da quelle iridi dal colore impossibile che in quel momento non sembravano intenzionate a volergli dare una tregua. Paul era testardo, lo aveva compreso sin dall’inizio, forse per questo era sopravvissuto tanto a lungo.

«Non provare ad ignorarmi in questo modo» mormorò offeso

«Primo insegnamento, forse ti sembrerà strano ma sappi che il mondo non gira intorno a te» il biondo non si arrese, ma rispose facendo avvicinare maggiormente i loro visi. 

«Perché hai accettato questo incarico? Anzi perché mi hai liberato?» domandò con rabbia a pochi centimetri dalle sue labbra.

La verità era che neppure Rimbaud lo sapeva. Quando aveva visto quella figura incatenata a quella parete, una parte di lui lo aveva esortato a distogliere lo sguardo, erano stati quegli occhi di ghiaccio ad abbattere ogni sua difesa. 

Per una frazione di secondo, Black gli aveva ricordato Charles. Allora Arthur non aveva potuto far nulla per salvare il proprio migliore amico ed amante. Il peso di quella colpa ancora accompagnava i suoi passi ma allo stesso tempo lo spronava a non ripetere il medesimo errore. Rimbaud non poteva sapere come proprio Paul fosse l’arma tanto desiderata da Hugo, né quali piani il leader dei Poètes avesse in serbo per loro.

«Un anno fa ho perso una persona cara. L’ultima volta che ci siamo visti fu proprio attraverso le sbarre di una prigione, simile a quella dove eri incatenato. In quell’occasione ne sono andato, mi sono voltato e l’ho abbandonato al suo destino» confessò tentando di sfuggire al peso di quello sguardo bramoso di risposte.

Paul gli regalò un sorriso stanco, ancora acerbo, prova del fatto che non fosse abituato ad aprirsi in quel modo con qualcuno. Quella era una delle conversazioni più lunghe che avesse mai avuto.

«Non sono nessuno, solo un esperimento»

«Quando la smetterai di vederti in questo modo?»

«Perchè tu come mi vedi?»

Rimbaud trattenne il fiato. Ancora una volta si trovò a corto di parole mentre osservava la testa bionda di Paul appoggiata contro la propria spalla. Doveva essere esausto, la baldanza di qualche minuto prima sembrava essersi dissolta.

«Sei il mio partner» concesse, accarezzandogli i capelli dorati trovandoli inaspettatamente morbidi al tatto. 

Il biondo si limitò ad alzare un sopracciglio confuso, in un tacito invito a spiegarsi meglio;

«Da oggi lavoreremo insieme» spiegò con un filo di voce, cercando di mettere a tacere qualsiasi altro pensiero. Paul chinò il capo cercando nuovamente il suo sguardo.

Arthur non avrebbe mai dimenticato quel sorriso. Fu il primo che Verlaine gli rivolse. Giurò a se stesso che da quel momento avrebbe fatto il possibile per occuparsi di quel ragazzo, perché potesse accettarsi come essere umano. Paul meritava di vivere un’esistenza serena, quella vita che gli era stata rubata. Non era un’arma o un mostro senza cuore come il Fauno o Victor sostenevano.

Il pensiero di aver ucciso un individuo simile lo fece sorridere a sua volta. Erano insieme da nemmeno ventiquattro ore e il freddo che da sempre attanagliava il suo animo era scomparso. 

Allungò la mano volendo accarezzare quella del compagno ma si ritrasse all’ultimo. Quella per Paul non poteva essere altro che un’infatuazione passeggera. Non doveva lasciarsi coinvolgere. Il ricordo di Charles bastò a frenare qualsiasi altra fantasia.

 

***

 

Parigi

 

Victor Hugo aveva appena congedato il proprio segretario personale quando il cellulare nella tasca dei suoi pantaloni prese a suonare. La missione che aveva affidato a Rimbaud si era conclusa con successo, il Fauno e il suo gruppo di fanatici erano stati sconfitti e lui aveva potuto mettere le mani sulla loro ricerca. Tutto stava procedendo secondo i piani.

«Ho appena ricevuto i documenti di Arthur» esordì, continuando ad osservare distrattamente il paesaggio al di fuori della finestra del proprio studio. L’autunno era alle porte e le prime foglie avevano iniziato a cadere dagli alberi. Quella visione aveva un che di nostalgico, gli portò alla mente ricordi di un passato lontano, che il leader dei Poètes credeva di aver dimenticato.

«Esperimenti sulle Abilità Speciali» concluse il suo interlocutore, riportandolo alla dura realtà.

«Sembra che l’umanità non impari mai dai propri errori» concesse appoggiando una mano sul vetro della propria finestra,

«A cosa devo questo tono?» era incredibile che l’altro se ne fosse accorto, ma in fondo era la persona che meglio lo conosceva al mondo. 

«Non manca molto. Presto una nuova guerra si abbatterà su questo continente»

«Non era quello che volevi? Ciò che stavi aspettando?» Hugo prese un lungo respiro

«Tu più di tutti dovresti sapere di come io non abbia mai desiderato la guerra»

«Allora dovresti smetterla di provare a recitare la parte del cattivo, sai che non ti si addice, Vic»

«Voglio solo impedire che quella tragedia si ripeta» 

Un sospiro, seguito da qualche istante di silenzio.

«Dimmi piuttosto, come sta Arthur?» Hugo tornò a sorridere

«Gli ho affidato il compito di controllare Black. Nell’ultimo periodo si è gettato a capofitto sul lavoro ma penso che ce l’abbia ancora con me per la storia di Baudelaire»

«Non capisco perchè tu abbia inscenato la sua morte»

«Vuoi davvero affrontare un simile discorso, Lex? Proprio tu?» 

«Sai cosa intendo. Capisco che tu abbia voluto proteggerlo ma…»

«Mi ha ricordato noi» Dumas non rispose, comprendendo perfettamente dove l’altro volesse andare a parare

«Tu eri il mio punto debole e io il tuo. I nostri nemici lo hanno scoperto e tu sei dovuto morire»

«Sai che non è stata la sola ragione che mi ha spinto a prendere una simile decisione» aveva provato a farlo per il bene di entrambi, senza successo. 

«Volevo proteggerlo» era la risposta più semplice, la sola che Victor Hugo poteva offrirgli. 

«Mentendogli? Facendo credere ad Arthur di aver ucciso il suo amante quando invece lo hai arruolato tra i Poètes?» Dumas come al solito non si risparmiava. Era il solo che fosse mai riuscito a far sentire Victor Hugo in errore. Nonostante fossero trascorsi molti anni, il diavolo nero sapeva sempre dove colpire.

«Non credevo possedesse un’Abilità Speciale» si trovò ad ammettere il Leader dei Poètes con un’alzata di spalle,

«Mentre ora gli hai affidato quell’esperimento»

«Badare a Black servirà a distrarlo»

«Oppure potrebbe innamorarsi anche di lui»

«Lex ti prego»

«Stavo scherzando» Hugo fece una pausa, continuando ad osservare le foglie mosse dal vento

«Un paio d’anni. Questo è il lasso di tempo che ci separa dallo scoppio del conflitto. Prendila come una previsione basata sulla mera statistica. Questa volta non intendo perdere»

«Non perderai. Ti stai preparando per questo scontro da tutta una vita»

«E tu sei ancora al mio fianco»

«Non è vero. Sono fuggito dall’altro capo della manica» Hugo sorrise. Dumas poteva anche aver finto la propria morte ma la loro relazione non si era mai veramente conclusa. In pochi conoscevano la verità su quel rapporto, sulla natura di quel sentimento che li univa e il cui filo sembrava impossibile da recidere.

«Il mese prossimo si terrà una conferenza a Ginevra»

Non serviva aggiungere altro. Quella città aveva significato molto per entrambi. 

Bastava solo nominarla perché i ricordi di quei giorni felici raffiorassero nelle loro menti.

«Aspettami» sussurrò Dumas prima di riagganciare. 

Hugo si lasciò cadere sulla poltrona della propria scrivania completamente sconfitto. Ancora una volta aveva finito col cedere di fronte ai propri sentimenti. 

In quella realtà Victor Hugo aveva sempre conosciuto il piano di Dumas, anzi lo aveva aiutato nel fingere la propria morte. Era stata una scelta che al momento aveva condiviso ma del quale presto si era pentito.

Alexandre Dumas aveva deciso di dedicare la propria vita alla vendetta, voleva scoprire i mandanti dell’assassinio di suo padre, gli stessi che in seguito avevano attentato anche alla vita di Hugo. 

Victor non si era opposto. In fondo anche lui aveva un proprio obiettivo. Dumas padre gli aveva affidato la guida di un’organizzazione. I Poètes Maudits erano deboli, schiacciati dalle altre potenze e ridotti al ruolo di gregari sulla scena internazionale. C’erano voluti anni prima che potesse riportarli agli antichi splendori. Hugo aveva tessuto le proprie alleanze con i vicini inglesi della Torre dell’Orologio, con i tedeschi capitanati da Goethe, aveva preso contatto con la Guild oltreoceano e con le organizzazioni di Cina e Giappone. Aveva creato una solida rete di informatori che agivano nell’ombra, preparandosi a quel conflitto che tanti anni prima gli era stato profetizzato. 

Dumas non lo aveva abbandonato. Avevano continuato a scambiarsi informazioni, sostenendosi a vicenda. Delle volte però il peso di quella lontananza forzata si faceva sentire. Victor era il primo a cedere, obligando l’amante a raggiungerlo in questa o quella città europea.

Ginevra era la meta preferita, essendo stata la culla del loro amore.

Hugo ricordava quel periodo come il più felice della propria vita.

Un leggero bussare lo riportò alla realtà. Mallarmé comparve sulla soglia del suo ufficio con una serie di documenti tra le mani.

«Perdonatemi Monsieur, questi provengono dal nostro contatto sui Pirenei, mentre questi dal fronte tedesco, necessitano della vostra firma»

«Oh giusto, come se la passa Stendhal?»

«Il comandante della sezione interrogatori non è ancora rientrato dalla missione nel sud ovest della Germania»

«La foresta nera non è un luogo piacevole. Rimbaud invece ha preso contatto?» domandò con finto disinteresse,

«Ripartirà fra un paio di giorni, è preoccupato per la salute di Black e non vuole sottoporlo a sforzi inutili» Hugo alzò gli occhi al cielo. In questo Arthur somigliava a Lex, possedevano un cuore a differenza sua.

«Prepara il mio jet privato, voglio essere a Ginevra entro l’ora di cena»







 

*Ha forse dei segreti per cambiare vita? No, non fa che cercarne mi rispondevo 

**pezzi tratti dalla Novel Stombringer e tradotti da me. Non mi sono inventata nulla è davvero Rimbaud che scrive

 
  
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