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Autore: Enchalott    24/02/2024    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il cielo dell’Irravin
 
La sella aveva superato lo scrupoloso esame di Valka: Nuskan aveva obbedito, le ali si erano mosse in simultanea, nessun fastidio dovuto ai finimenti. Per Shaeta, che l’aveva osservato dal basso, il volo era stato pura gioia.
«Ti piacerebbe montare?» aveva domandato il reikan una volta a terra.
«Mmh no, mi sono quasi rotto il collo.»
«Ben detto, quasi. Considerato che manchi d’addestramento e che le tue condizioni non erano ottimali, sei a metà dell’opera. Prendi.»
«M-ma Nuskan è stanco, avrà fame…»
«Meglio, così non ti coinvolgerà nelle mattane dell’esordio. E poi resisterà. Con tutti i bocconcini che gli allunghi, mi stupisco che non sia una palla piumata!»
Shaeta aveva impugnato le redini con il batticuore.
«Gli stallieri mi vedranno.»
«Il Kharnot ti ha proibito di volare?»
Al diniego, Valka aveva chiuso il discorso e gli aveva mostrato come issarsi in arcione e le posture corrette di talloni e staffe.
«Ricorda che un vradak percepisce come stringi la sella, i comandi vengono dopo. Avvertendo la tua paura, farà di testa sua e non ti permetterà mai più di guidarlo.»
Mai?
Shaeta aveva rimuginato fra sé.
«A meno che» lo aveva anticipato il reikan «Non riconquisti la sua fiducia.»
«Se fossi in pericolo, proverei timore a prescindere dalla mia volontà.»
«Ecco la differenza tra un Khai e un Minkari» aveva riso l’altro.
«Grazie, molto esaustivo. Non ti resta che atterrirmi per far imbestialire Nuskan e vedermi precipitare. Gradisci dei biscotti durante lo spettacolo?»
«Lo farei per dimostrarti che rimarresti lassù» il demone aveva incrociato le braccia, fiero della propria affermazione «Sei caduto quando il sottopancia ha ceduto, non eri nel panico.»
«Sì, ma ero anche rimbambito dal veleno. Forse la paura non è esalata a fiotti per i riflessi annebbiati e lui non l’ha avvertita.»
«Mh, usi la testa. Esistono sistemi per esorcizzarla, quella volta ne hai sperimentato uno fuori norma. Certo non puoi ricorrervi in battaglia.»
Shaeta era stato catturato da un’enorme meraviglia.
«Quindi i Khai non temono nulla perché la escludono dalle emozioni?»
«Per indole è difficile che ne siamo preda, tuttavia ci alleniamo a evitare la casualità. L’interiorità non obbedisce sempre alla determinazione: se hai paura hai paura, in tal caso non devi lasciarti cogliere impreparato.»
Lui aveva pensato a Dasmi, scendendo a fondo nelle ragioni del suo insuccesso: i predatori alati la terrorizzavano e non era riuscita a dominarsi. Quello, non la prestazione scadente, era stato lo smacco intollerabile.
Ecco perché hanno solo due possibilità. Se fallisci, non sei adatto a combattere poiché l’armata non deve avere punti deboli.
Valka aveva lasciato intendere di essere in consonanza con lui.
«Hai capito ora?»
«Sì. Se Nuskan avesse avuto ali perfette, l’avrebbe disarcionata comunque» aveva risposto sulla scia del ragionamento «Ehm, scusami, forse non alludevi a…»
«Esatto. Un esempio di cosa non fare.»
Si erano guardati per un lungo attimo.
«Quindi, qual è il modo migliore per affrontarla?»
«Relegarla in un angolo. Annullarla. La paura è più grande del pericolo, ti mostra un serpente mentre in realtà stai guardando una corda marcia. Trova il tuo sistema.»
«Tu come ci riesci?»
«Sono allenato alla meditazione, il vuoto emotivo mi isola dal superfluo. Combattere non è roteare la spada, è vincere senza estrarla dal fodero.»
«Non molto khai come aforisma.»
«Significa che se sfoderi per paura hai già perso» aveva sorriso il suo tutore «Fa’ spazio, si sale tra le nuvole.»
 
Alla luce calante del tramonto le piume brune di Nuskan erano lingue di fiamma. Shaeta finì di strigliarlo e ripose la bardatura, riservandogli un’ultima carezza.
Da qualche settimana gli esercizi di volo erano parte della quotidianità, il degno finale delle faticose giornate. Valka era inflessibile, al minimo errore lo strapazzava e non tollerava atteggiamenti rinunciatari o tentennamenti.
Nel cielo dell’Irravin si sentiva libero: scorgere dall’alto le rovine della sua città tuttavia non lo staccava dalle responsabilità e i suoi piedi rimanevano ben piantati al suolo.
So chi sono. Ricostruirò Minkar, impiegherò ogni risorsa per avviare un mondo ove si possa vivere in pace. Non deluderò né Mahati né me stesso.
La pesante pacca sulla spalla lo riscosse.
«Ancora a chiederti come mai ti insegno a volare?» motteggiò il suo tutore.
«No, il motivo è chiarissimo. Sei così ottuso che quando il Kharnot ha stabilito che vivessi come un Khai, lo hai preso alla lettera.»
Il secondo colpo lo fece vacillare, ma il sogghigno del reikan designò che partecipare da pari al gioco lo svagava.
«Attento o ti sottopongo al saakyo. L’Haiflamur non restituirebbe le tue inutili ossa, le occulterebbe per la vergogna.»
Shaeta si era più volte interrogato su quel luogo inospitale e sull’iniziazione dei giovani demoni, ma la fantasia non lo aveva assistito, dacché il suo era un mondo di foreste e montagne.
«Non mi hai raccontato com’è andata» azzardò.
«E come no? Stavo per crepare!»
«Poco dirimente, ma non insisto. È che quell’esperienza mi incuriosisce.»
Valka trasse un sospiro spazientito, ma gli occhi brillarono di divertimento.
«Al compimento dei sedici anni, il tuo clan o i tuoi superiori ti imbottiscono di narcotico e ti abbandonano nell’Haiflamur senza né acqua né cibo. Hai spada, arco e cervello per tornare vivo a Mardan. Dopo un paio di giorni mi sono imbattuto in un byasar: mi sono accorto tardi che era una femmina con prole al seguito. I piccoli di quella specie sono aggressivi, uno mi ha attaccato alle spalle, piantandomi l’aculeo nel collo» si sfiorò la cicatrice «Da lì in poi non ricordo.»
«Piccoli…?»
«Quanto un lupo di media stazza. A prescindere dall’immunità ai veleni, se il cuore non si ferma prima, la tossina ti paralizza e diventi il loro pasto.»
«Dèi! Chi ti ha salvato?»
«Il celeste Belker.»
Il principe inarcò un sopracciglio all’evidente presa in giro.
«Non scomodare gli Immortali. Deduco che il deserto non sia così disabitato.»
«Già» ammise l’altro «A Mardan mi hanno dato per morto, sono passate settimane.»
«Perché non hai richiamato Aysah?»
«Chi, come me, proviene da un clan minore, non può permettersi un vradak. Solo i rampolli dei clan eletti si esercitano già forniti di cavalcatura alata, io l’ho conseguita per merito durante l’addestramento. L’alternativa era comprarla.»
Shaeta corrugò la fronte. Come erede al trono aveva fruito di privilegi sui quali non aveva mai riflettuto e le parole dell’amico stridevano se confrontate con il tenore della sua vita precedente. Avvertì il peso delle disparità sociali e non tacque l’interrogativo scomodo sortogli durante il resoconto.»
«Ti hanno aiutato i ribelli?»
«Kansha kamiya, no! Mi avrebbero corrotto la mente e ora sarei un traditore inviso al signore delle Battaglie. Qualche anima solitaria ha provato pietà per me.»
«Che ragione avrebbe avuto a riportarti a casa senza farsi riconoscere?»
«Non ne ho idea» il reikan alzò le spalle come se non fosse importante «Un consiglio spassionato: non nominare gli hanran con leggerezza, sarebbe spiacevole se la tua pur legittima curiosità raddrizzasse le orecchie sbagliate. Ti penserebbero uno di loro e Mahati ti toglierebbe l’appoggio.»
«Oh, c-certo.»
Il principe formulò l’assenso anche se i dissidenti lo intrigavano sin da quando Kalika vi aveva fatto riferimento. Nonostante la voglia di soddisfare la curiosità, non insisté per rispetto al suo custode.
«Ceni con me?» domandò questi.
«Mi piacerebbe, però mi spetta servire Dasmi e Kayran.»
«Etarmah! Staranno logorando il materasso, non patiranno la tua mancanza. È una scusa per evitare le mie dorei
Shaeta arrossì fino alla radice dei capelli.
«No, perché?»
«Perché ci sei andato a letto e ti trovi nella posizione - tutta minkari - di chi non sa se ripetere o scansare per non apparire superficiale.»
«Non è vero!»
«Lo è eccome! Ti fai troppi problemi a differenza loro.»
«Come se non lo sapessi» biascicò il principe.
Valka si voltò incredulo.
«Cioè?» infierì «C’è stato un seguito?»
«Dobbiamo proprio parlarne?!»
«Nae, se ti imbarazza tanto. Chiederò alle ragazze, non lesineranno i particolari.»
«Ienaarak
«Mandami all’inferno finché ti pare, stai facendo la figura del moccioso.»
«È facile staccare giudizi! Io non sono un Khai, esaurisco le energie e la mattina sono uno straccio! Dasmi mi ha rivolto delle domande scomode!»
Il reikan lo scrutò in silenzio. Poi scoppiò a ridere.
«Scusa, scusa!» sghignazzò all’espressione furente dell’altro «Che importa a Dasmi se o chi ti sbatti?»
«Non vede l’ora di cogliermi in fallo. Anche se non sono uno schiavo, con me applica quei precetti. Talena e Liyse ci rimetterebbero.»
Lo sguardo di Valka si fece intenso, come se avesse colto una cripticità, poi corrugò la fronte con una nuova vena di spasso.
«Fammi capire, ti accoppi con entrambe?»
«È… è successo un paio di volte.»
«Non hai pensato di limitarti a una? Paventi che l’esclusa si offenda?»
«Ecco…»
«Sei stupido o cosa!? Prendi quella che ti piace di più! Alternale! Nemmeno io tengo il piede in due scarpe, cadrei dalla sella nonostante il sangue daama
«Va bene, piantala di gridare!»
Il cavaliere alato scosse la testa ma non nascose l’ammirazione.
«Comunque è un ottimo esercizio per tenere testa alle femmine khai.»
«Non credo avrò occasione di appurarlo e non ci tengo.»
«Com’è quel vostro proverbio? Chi disprezza compra?»
«Hai visto una delle vostre guerriere “comprare” un Minkari?»
«Non si sa mai.»
Lo prese per il braccio e seguitò con la lezione privata.
 
Dasmi era inguainata nella tenuta di volo e sbirciava cauta tra la cortine della tenda.
«Kayran non è nei paraggi» la fece sobbalzare Shaeta.
«Per l’inferno, strisci come un oyūre! Voglio evitate mia madre e le sue prediche!»
«Nemmeno lei è al campo.»
«Sei peggio di una dorei quanto a indiscrezioni.»
«Essere al corrente della posizione di uno dei generali di stormo è un dato militare. Di solito si appresta ad attaccare i miei concittadini, difficile ignorarlo.»
«Ti manca sapere dov’è tua madre per completare il quadro.»
Il ragazzo incassò l’appunto sgarbato e la squadrò.
«Non mi hai chiesto del tuo fidanzato. Scarso interesse o piena fiducia?»
«Ha passato la quarta asheat, non seccarmi.»
Shaeta aggrottò la fronte, come se l’informazione lo toccasse da vicino.
«Tu no? Lo hai tradito?»
«Non mi hanno ancora messa alla prova, però è quello che ho intenzione di fare.»
«Magra consolazione. Fossi in te conserverei la dignità.»
«Che t’importa!? Hai paura che ti mandino a tentarmi?»
«Per niente» sogghignò lui «Cioè, avviene solo tra Khai, no?» si corresse.
Dasmi rimase a fissarlo interdetta, poi soprassedette.
«Sella Nuskan, muoviti!»
Il principe si aprì in un sorriso, dimenticando le diatriba.
«Sarà contento di volare. È in forma, la bardatura è ottimale, vedrai!»
«Non mi interessa il tuo parere» ringhiò lei spingendolo fuori.
 
Il predatore da guerra avvertì l’odore familiare, saltò sullo steccato e arruffò giocoso le piume, lasciandosi imbrigliare.
La sinfonia cambiò quando Dasmi provò a montarlo: strattonò la fune e fece scattare il rostro in un palese tentativo d’attacco.
«Anase! Non così fratellino! Chla! Chla, da bravo» il principe lo trattenne a stento, imprecandole contro «Metti via lo staffile, se non vuoi che ti strappi un braccio!»
«Non darmi ordini!»
«Preferisci che lo lasci!?»
La guerriera arretrò e suo malgrado accettò il suggerimento.
«Ecco il frutto delle tue moine! Una bestiaccia indisciplinata e ottusa!»
«Nuskan non è né stupido né disubbidiente! Non hai la sua fiducia e avverte la tua paura. Così non riuscirai neppure ad avvicinarti!»
«Non ti permettere, lurido moccioso! Se ci riesci tu…»
Il vradak aprì le ali ostile e Shaeta fu costretto a trattenerlo una seconda volta.
«Quando si vola la presunzione va mollata a terra. Vuoi passare l’esame o discutere con me?»
Dasmi sbarrò gli occhi al tono autoritario: quello di un cavaliere alato o di un futuro re. Si sentì avvilita ma il desiderio di conseguire un minimo obiettivo la sostenne.
«D’accordo» borbottò in un flusso d’orgoglio «Dacché l’hai rovinato, sistemalo.»
«Tanto per cominciare non è un oggetto. L’unica soluzione è montare in due, così darà retta a me e modererà l’istinto aggredire te. Come non capirlo…» aggiunse.
«Divertente. La tenuta da saltimbanco minkari è rimasta al padiglione?»
«Insieme alla tua atarassia. Vogliamo procedere?»
Dasmi inalò il fiato inviperita: non vantando altre opzioni, assentì brusca.
Shaeta fece chinare l’animale e si issò in arcione. Lei ammirò l’assoluta perfezione del movimento con una fitta d’invidia e lo sconforto le occupò il petto.
Non ho mai raggiunto quel livello, mi preoccupo di evitare il becco e gli artigli, di cosa pensano gli altri, di quanto accadrà lassù… lui invece non prova alcun timore. Come ci riesce? È solo un ragazzino prigioniero…
Il cielo dell’Irravin era cristallo turchese, non aveva nulla del polveroso zafferano della sua terra. Ammiccava invitandola a realizzare i sogni.
«Vieni.»
La mano tesa del giovane sembrò l’unica gentilezza in un’esistenza di frustrazioni e doveri. Un nodo le chiuse la gola, scacciò le lacrime che parevano voler uscire ogni volta che era sola con lui e si aggrappò alla stretta con il batticuore.
Si ritrovò in sella senza realizzarlo, come se avesse attraversato un varco temporale.
Quando è diventato così forte?
«Non starmi incollato!» enfatizzò, percependo la sua pressione contro la schiena.
Nuskan stridette indignato e la ragazza si rassegnò a non avere voce in capitolo in quel trio male assortito.
«È una sella da guerra, dove vuoi che mi metta?» brontolò Shaeta «Non siamo molto pesanti ma con due cavalieri faticherà a sollevarsi. Tienine conto prima di adirarti.»
Le corresse la posizione delle braccia, le sue dita scivolarono sul cuoio come una carezza e si serrarono sul punto in cui anche lei stava tenendo. Dasmi pronunciò incerta l’ordine di decollo ma Nuskan non si mosse.
«È uno scherzo?» fremette stizzita.
«Me lo chiedo anch’io! Ti pare il modo di impartire un ikyhak
Il vradak partì come una scheggia, cogliendoli alla sprovvista. Il principe scoppiò a ridere e serrò le ginocchia, reggendola salda quando la vide traballare. La sentì rigida e intervenne con una nuova rettifica.
«Che ci trovi di tanto divertente?!» sibilò lei «A terra le pagherai tutte!»
«A disposizione. Intanto non trattenerlo mentre sale, per lui è uno sforzo.»
La costrinse ad allentare e ad abbassare i talloni. Nuskan acquisì l’assetto e compì un paio di giri in libertà. Era veloce, non scartava, il collo robusto non mostrava tensione e non si torceva per lacerare il sottopancia. Le zampe erano allineate, gli artigli a riposo. Pareva un altro.
«Che ne dici di guadagnare quota?» propose Shaeta «Siamo bassi, in formazione si sale molto più di così.»
«Invece durante un attacco si vola radenti, non te ne sei accorto?»
Il riferimento alle incursioni contro Minkar innervosì il principe, che tuttavia ignorò la provocazione.
«Prima devi raggiungere l’obiettivo, che di solito non è amichevole. Sali!»
Dasmi oppose resistenza. Se l’avesse accontentato, sarebbe stata colta dal malessere come nell’occasione precedente e avrebbe perso il precario controllo in sua presenza, umiliazione maggiore del dover ripetere l’esame. Il ricordo dell’orizzonte distorto, del vuoto che la ingoiava, delle proporzioni sfalsate la bloccò del tutto.
Shaeta aggrottò la fronte, stupito dall’indecisione di una guerriera che si diceva nata per volare. Nuskan era tranquillo, non aveva motivo di esitare. Le aveva dimostrato che obbediva, la confidenza sarebbe giunta con un pizzico di pazienza. Comprese che il problema non era l’antipatia per gli uccelli.
Ha paura dell’altezza, i vradak ne sono l’emblema. Non c’è altra spiegazione.
Considerando che era una Khai e che avrebbe inteso le buone maniere come pietà, optò per il trattamento d’urto che gli era stato riservato sin dagli esordi e si dispose alla variazione d’assetto.
«Aghaer
Nuskan s’innalzò in poderosi battiti d’ala, guadagnando in pochi secondi una decina metri.
Lei paralizzò dal terrore: le redini rimasero tra le dita del ragazzo quando le mani presero a tremare. L’abisso sottostante era vicino, la attendeva famelico, la chiamava a sé come in una malia. Gli abiti s’inzupparono di sudore, nelle tempie rintoccarono pulsazioni rapide, si sentì soffocare e perse l’orientamento.
«Sto cadendo! Tienimi! Tienimi!»
Il principe fu preso alla sprovvista dalla violenta reazione. Moderò l’andatura dell’animale, portandolo a planare senza scossoni.
«Non stai cadendo!» accompagnò la rassicurazione serrandole il braccio alla vita «Siamo in rotta, hai le staffe. Stringi le ginocchia, il vradak è sotto di te.»
«Fammi scendere!» si divincolò come se volesse lanciarsi giù in un impeto di follia.
«Chlan’ei
Shaeta ficcò i finimenti tra i denti e la trattenne con entrambe le braccia: rantolava come fosse in fin di vita, cerea e fuori di sé. Si sentì responsabile, s’identificò in lei ricordando le proprie paure e la difficoltà sperimentata per sconfiggerle. L’intelletto gli suggerì che la compassione non l’avrebbe favorita, così come era stato per lui.
«Apri gli occhi» comandò, meravigliandosi del tono perentorio che riuscì a modulare «Stiamo rasentando le chiome dei karūgi, è come essere a terra.»
«No! C-Chlakuri! Abbassati! Abbassati!» urlò lei disperata.
«Non atterrerà senza una radura e tu non lo guiderai senza le redini» le forzò le dita e ve le pose «Avanti! Trova il limite di tolleranza, ti basta superarlo di un fars
Dasmi si decise ad ascoltare e sbatté le palpebre. La foresta baciata dalla primavera era un tappeto smeraldo e scorreva veloce sotto la pancia di Nuskan. Provò a tirarlo su, ma il capogiro peggiorò all’istante.
«Non ci riesco!»
«Guarda avanti, dritto tra le sue scapole!  Il resto non esiste, concentrati su te stessa. Devi conoscerti per vincerti, ammettere un’imperfezione e lottare per cancellarla. Il primo obiettivo sei tu, non il tuo avversario!»
La ragazza si raccolse, ma il vento e la velocità erano interferenze insormontabili.
È così che ha affrontato la sua inadeguatezza? Pretende di impartire una lezione a me, che sono… sono la vergogna del mio clan. Mia madre ha ragione, posso solo aprire le gambe e sperare che dal mio corpo esca un vero reikan.
«So cos’è» la voce pacata dell’erede minkari spezzò l’autocommiserazione «L’ho visto accadere ad alcuni arcieri durante le esercitazioni, prima che voi attaccaste l’Irravin. Guardavano giù dagli spalti e si sentivano male perché non erano avvezzi all’altezza. La vertigine è un blocco della mente, non è viltà.»
Uno strano conforto occupò il petto di Dasmi, ammansendo i battiti furibondi.
«Io… io ho sangue daama, non sono una patetica minkari!»
«Allora combatti! Un fars alla volta, meno se necessario!»
«Perché a te non succede?!»
«Non saprei, predisposizione forse. Mi arrampicavo sugli alberi, le mie stanze erano in cima alla reggia, ci sono nato. I tiratori scalavano per gradi la torre onde abituarsi.»
«Gli scalini non si muovono!»
«A trovare scuse sei una campionessa! Con Nuskan, con Kayran, con tua madre e persino con te!» sbottò Shaeta, scrutando in basso a caccia di un punto d’atterraggio Individuò un minuscolo spiazzo erboso e il vradak vi si posò senza scossoni.
«Scendi» le impose «Vediamo di trovare una sporgenza che fa al caso nostro.»
Dasmi era senza fiato, le gambe come gelatina non l’avrebbero retta: rimase in arcione anche quando il ragazzo smontò.
Al defluire dell’impasse, in lei deflagrò una miscela di collera e vergogna. Esporre una pecca a un avversario era indecoroso, che lui stesse attribuendo la sua paura a cause remote apparve una manifestazione di stucchevole misericordia. Lasciare che la sostenesse sarebbe stato raschiare il fondo.
Si forzò a scendere, reggendosi ai finimenti come una principiante. Il suolo risultò una benedizione, il silenzio della foresta un dono degli Immortali. Sfoderò appena fu in grado di controllare il proprio corpo.
Shaeta la fissò interrogativo e non andò in guardia.
«La spada!» gli ringhiò contro «Sguaina o ti ammazzò senza aspettare!»
«Ti ha dato di volta in cervello?» sospirò l’altro incrociando le braccia sul petto.
«Sporco bastardo, hai osato trattarmi da inferiore! Laverò l’onta con il tuo sangue!»
«No. Ho osato mostrarti che non sei infallibile e mettere a disposizione la mia esperienza. Attacca pure, Nuskan non la prenderà bene e ti sarà difficile rientrare.»
Dasmi sussultò, realizzando di trovarsi vicina al predatore, che la scrutava con occhi grifagni. Si scostò rapida per sottrarsi alla portata del rostro: un passo e crollò a terra, vinta da un’intensa fiacchezza.
Ah, lo sapevo…
Shaeta levò gli occhi al cielo blu dell’Irravin, indeciso se avvicinarla e farsi prendere a schiaffi o lasciarla lì e sentirsi in difetto.
Vinse il cuore di cavaliere. Si inginocchiò, le sfilò la lama dalle dita e non incontrò resistenza.
«È il kingashi» mormorò «Ti senti svuotato. A me succede in continuazione, hai visto che ho dormito due giorni dopo che mi hai frustato ed ero sempre stanco quando…»
Si interruppe allibito: gli occhi malachite della giovane donna erano pieni di lacrime.
Quando lo afferrò per la casacca, attese il ceffone come una forma di iwatha, ma lei si gettò contro il suo petto, scoppiando in un pianto disperato.
 
Shaeta pensò di essere precipitato in un’allucinazione: era forte e sicuro di sé, mentre un’indomabile Khai singhiozzava prostrata tra le sue braccia. Impiegò in istante a convincersi che era reale: precipitò nell’imbarazzo, ma la trasse a sé, confortandola come avrebbe fatto con un’amica.
Il pianto si placò poco alla volta, il senso di precarietà al contrario accrebbe. Avrebbe scontato nel peggiore dei modi il fatto di averla vista in quello stato, toccata da pari, compresa. Stranamente non gli importò.
«Chi ti ha insegnato a volare?» domandò lei, la voce ancora tremula.
«Valka.»
«Ecco perché sei tanto stupido. Stai aiutando chi raderà al suolo il tuo regno.»
«Di me pensa ciò che vuoi. Ma Valka è un’eccellenza, non permetterò che lo denigri.»
Dasmi trasse il fiato e si staccò da lui, passandosi le mani sulle guance umide.
«Non ti capisco.»
«Lo so.»
«Farai rapporto ai miei superiori?»
«Tsk, come ti viene in mente?»
«Ti crederebbero anche se sei un ostaggio. Ti stimano, curi i loro vradak
«Manterrò il segreto.»
«In cambio di cosa?»
«Prometti di non maltrattare Nuskan e di impegnarti per diventare reikan
Dasmi rimase interdetta e continuò a fissarlo. Scosse la testa.
«Sì, sei davvero un idiota.»
«E tu? Vuoi restarmi addosso per sempre o ti decidi a rialzarti?»
Lei imprecò, avvampò e finalmente si raddrizzò.
   
 
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