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Autore: aubrunhair    25/02/2024    10 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
Non ci aveva mai prestato attenzione. Non le era importato che parlassero di lei, erano le regole del mondo. Anche ultimamente c’era chi la guardava in modo diverso se la incontrava, ma Oscar confidava nel fatto che non fosse ancora così evidente da essere chiaro a tutti. Il suo dovere, poi, non la teneva ogni ora del giorno a corte ed era facile evitare occhi, bocche e orecchie indiscrete. E neppure quella volta sarebbe stata tanto diversa dalle altre, se non fosse stato per la malizia che aveva percepito. Più viscida, più giudicante. Sprezzante perfino dell’ipocrisia che guidava la vita di corte.

La contessa di Polignac aveva un conto in sospeso con lei. Aspettava soltanto il momento giusto per chiuderlo. Non le era bastato portarle via Rosalie, no. Perché Rosalie se n’era andata nel frattempo e se non avesse passato quegli anni accanto a una persona tanto caparbia non avrebbe imparato ad avere abbastanza amor proprio da fuggire. Indirettamente, era colpa sua se le fossero saltati i piani. Di nuovo.

Fu tranchant nel suo commento, quando la vide arrivare nella Galleria degli specchi. A voce bassa perché udissero solo le persone intorno a lei; e Oscar, in quel preciso istante, era proprio intorno a lei. Non poteva che essere così: quella donna era ovunque nei paraggi si trovasse la regina ed era dai sovrani che si stava recando. Aspettò il momento giusto madame Jolande di Polignac – che la superasse di pochi passi, accanto al suo attendente.

- Madamigella non è la vergine di ghiaccio che abbiamo immaginato. Buono a sapersi.

Si voltò e il suo viso era torvo. Guardò le altre dame ridere dietro i ventagli, le stesse che solitamente la riempivano di inutili lusinghe.

- Come dite, prego?

Strinse i pugni, ma dentro di sé la sentì tutta la rabbia che montava. Era un limite che ovviamente avrebbe superato prima o poi, d’altronde aveva già dato prova di freddezza d’animo.

- Oh, volevo solo congratularmi, capitano. - Nascondeva abilmente la cattiveria tra le pieghe della cordialità. - Siete molto fortunata, sapete? Si vede ancora poco e immagino che ciò vi aiuti nel vostro compito. A proposito, andate ancora a cavallo? È molto pericoloso…

- Da quando in qua vi preoccupate per me, contessa? - Si trattenne per decenza, perché in certe trappole non intendeva cadere. Non così facilmente.

- Come siete suscettibile, madamigella! Certo, nel vostro… stato è comprensibile. Ci siamo passate tutte. Finalmente vi siete arresa all’essere una donna. - L’ultima speranza che qualcuno non avesse avuto anche solo il sospetto venne meno nell’istante in cui la contessa aveva sottolineato quella parola, “stato”, e poi tutto il resto si trasformò in tesserine del domino in caduta libera. Chiunque fosse nella Galleria si girò verso di loro. - Mi chiedo però chi sia il fortunato. Non abbiamo sentito parlare del vostro matrimonio e come sapete le notizie corrono…

- Ciò che avviene nella mia vita non è di vostro interesse.

L’altra sorrise, ma la fulminò con lo sguardo. Che si spostò sull’uomo alle sue spalle, in silenzio ma visibilmente irritato dalla conversazione. Restò un istante su di lui, che fosse stato nobile avrebbe incluso ma certe cose per la contessa erano sacre e tenerlo fuori le avrebbe comunque dato la possibilità di infastidirla.

- Permettetemi di dissentire, capitano. - Accorciò la distanza a zero. - Siete troppo vicina alla regina perché possiate pensare che la vostra reputazione riguardi voi e voi soltanto.

Oscar spostò un braccio per bloccare sul nascere qualsiasi reazione di André, ché non si sarebbe mai permesso di rispondere ma sapeva che cosa stava passando nella sua mente.

-Se vi interessa veramente il bene di sua Maestà, non dovreste trattenermi qui.

Si congedò dalle presenti. Non era la voglia di discutere ancora a mancarle, né il tempo. La disturbava il doversi difendere dagli attacchi di una come la contessa. Spregevole e arrivista. Poche volte in vita sua aveva pensato tanto male di qualcuno.



Versailles era anche quello e sembrava volersi superare di volta in volta. Era toccato a lei adesso, di nuovo. La guerra con l’amica della regina durava da tempo oramai e non le risparmiava attacchi.

Anche se c’era un’altra guerra che la preoccupava di più, dall’altra parte del mondo. Una guerra di cui veniva informata formalmente insieme a ministri e ufficiali e che le rimaneva dentro silenziosa, aggrovigliata ai propri pensieri.

Che al fronte si sparasse non era una novità. Che il contingente francese non si fosse imbarcato per rimanere fermo era un’altrettanta verità. Ma non poteva non rivolgerglisi ogni mattina pregandolo di non morire, perché non sarà dipeso da lui sopravvivere o meno ma quella era l’unica strategia che conosceva per aggrapparsi ad una speranza. Se si fosse difeso, se si fosse nascosto a dovere…

Era per quello che era stata chiamata. Per ascoltare i dispacci provenienti dall’America e i ragionamenti del re, dei ministri e degli ufficiali su obiettivi militari che sotto nascondevano persone. Tante persone, compresa quella che occupava ancora la sua mente e il suo cuore.

Oscar entrò in una grande stanza che dava sul lato est dei giardini. Il cielo si stava rannuvolando fuori dalla reggia, ma non sembrava minacciare pioggia a breve.

André l’aspettava fuori, come ogni volta in cui l’impegno era ufficiale e lui non aveva il permesso di assistere. Qualcosa si sentiva lo stesso, però. Qualche parola veloce, ma nulla di più. Una sola frase gli arrivò distinta quando per un attimo la porta si aprì per far uscire un uomo in uniforme che lo ignorò.

Gli inglesi si stanno spostando verso sud.

L’uscio si chiuse e si ristabilì il silenzio. Ma quel breve istante gli fu sufficiente per scorgere Oscar, seduta a fianco del ministro degli Esteri, e pensare che le cose sarebbero dovute andare diversamente.

Finì dopo più di un’ora l’incontro, quando il re e la regina si allontanarono e con loro il seguito di gente impettita che lo ignorò ancora.

Uscì per ultima Oscar ed era come se ogni singola parola si fosse riversata sul suo volto. André non la incalzò per sapere cosa fosse successo, non lo aveva mai fatto da quando il contingente francese era partito.

Pur nella troppa delicatezza dell’argomento, le notizie essenziali gli giungevano. Tramite Oscar, l’unica informata, che sviscerava la questione quel tanto che poteva. E che riusciva, soprattutto. Un poco alla volta, ché aveva bisogno di elaborare e metabolizzare. Ma le notizie alla fine in parte gli giungevano.

Gli arrivavano prima ancora i suoi lunghi silenzi successivi ai colloqui mensili. Le lasciava il modo di trasformare i nomi trascritti nei bollettini di guerra nell’idea che se non c’era quello che le interessava significava che fosse ancora vivo. O disperso… Che non significava per forza la morte. Così, almeno, si ripeteva.



- È arrivata una lettera per te.

Sulla soglia della camera, la voce di André sovrastò lo scoppiettio del fuoco nel camino. Era primavera già da quasi un mese, eppure faceva ancora freddo tra le mura di palazzo Jarjayes.

Oscar era seduta sulla poltrona rossa della sua camera, l’unica che le sembrasse davvero comoda, ad aspettare la cena. Leggeva, o almeno ci provava dato che la sua mente fuggiva. Non riusciva a seguirla, la perdeva. Quando poi la riacciuffava e la obbligava a soffermarsi sulle parole stampate, quella ripartiva.

Andava da lui. E aveva paura.

Non avere notizie certe di qualcuno dall’altra parte del mondo a cui teneva e di cui avrebbe per sempre portato con sé una metà esatta era soffocante, specialmente nelle sere dopo i colloqui di guerra.

Dov’era adesso?

Che cosa stava facendo?

La pensava?

L’aveva mai pensata?

Aveva avuto il tempo e il modo per farlo?

Non pretendeva di occupare uno spazio molto grande dentro di lui, ché quello era destinato a una donna che non era lei e lo sapeva bene. Ma un angolo, uno soltanto, sì. Se non in nome di quella sera, per gli anni di amicizia che avevano condiviso. Se lo meritava dopotutto, no?

Se lo meritava? O era il giusto prezzo per non essere stata corretta nei confronti della regina?

André non era sicuro che fosse quello il momento giusto. Perché forse il momento giusto neanche esisteva per quel genere di cose. Ma se avesse aspettato ancora sarebbe stato peggio. E quella lettera le andava consegnata.

- Grazie.

Oscar chiuse il libro e osservò la busta. Le mani cominciarono a tremare. Lo guardò sconvolta.

Era stata spedita da una località ignota. Non c’era il mittente, ma la calligrafia sul fronte era inconfondibile. Carta spessa, non troppo raffinata. Sigillo senza stemma.

Squarciò di netto l’estremità superiore. Vide che c’erano due fogli: recavano i loro nomi. Le bastarono per sentire che l’aria adesso mancava.

- Prendi pure, questo è per te. - Gli parlava di fretta. Ogni momento speso lontana da quella pagina scritta di corsa era sprecato. - Puoi andare.

André se ne andò, ma le dedicò un’ultima occhiata prima di chiudere la porta e lasciarla da sola.

Le venne istintivo lasciare che una mano scivolasse sulla pancia, ancora piccola ma già un poco evidente dalla camicia. La nonna sosteneva che fosse troppo piccola per trattarsi di un maschio, mentre la cuoca aveva smentito categoricamente perché già si poteva vedere che era tonda e quindi non sarebbe potuta essere una femmina. A lei non interessava granché delle teorie di cui le riempivano la testa molte delle donne che frequentavano quel palazzo. Finché poteva continuare la propria vita, andava tutto bene…

Lui sorrise appena, se ne andò.

Oscar rimase un momento con il foglio aperto, ma non lesse.

Come prima di un tuffo. La sensazione era la stessa. Lo stomaco chiuso, la testa vuota, una vertigine sottile ma tagliente.

Riposò lo sguardo sulla missiva. Il respiro si fece nuovamente corto. Adesso capiva perché aveva dovuto aspettare tanto per sapere di lui.

La guerra infuriava e che fosse ancora vivo a quanto pareva era un miracolo. Vedeva cadere i suoi compagni ogni giorno e di striscio la sorte lo aveva risparmiato. E il sangue che imbrattava il suolo americano non portava via ma acuiva le sue sofferenze. Il dolore per essersi lasciato indietro la donna che amava e per averne probabilmente illusa un’altra.

Lei, il suo migliore amico.

Le chiedeva scusa, le prometteva che non la avrebbe mai dimenticata. La ringraziava per quell’unica sera e per i cinque anni precedenti. E la teneva sempre tra i pensieri, perché un militare brillante come lei avrebbe fatto comodo all’esercito ribelle.

Oscar appoggiò la lettera su tavolino. Lenta. Lentissima. Doveva convincersi di aver letto bene. Non che pensasse di aver sostituito nel giro di qualche ora la regina Maria Antonietta dal posto d’onore nel suo cuore.

Ma questo era per lui. Un soldato. Un amico. L’alibi, la copertura perfetta. La spalla su cui piangere per un’altra.

Una sola volta le aveva chiesto se non si fosse mai sentita sola nella sua uniforme. Ma all’epoca a lei non interessava nient’altro che quell’uniforme.

All’epoca… Tre anni fa.

E come gli avrebbe risposto? Non c’era l’indirizzo e in quanto soldato, prima che donna, comprendeva la ragione.

Ciò nonostante, se avesse potuto rispondergli non avrebbe infarcito due pagine di risentimento. Le avrebbe bagnate con le lacrime che adesso si trovava a versare. Perché innamorarsi di lui pur sapendolo di un’altra era stata una debolezza, cedere al suo abbraccio una sciocchezza, ma i sentimenti non seguono una logica e di sicuro non la sua.

E se anche un giorno fosse riuscita ad allontanarsi da ciò che nutriva per quell’uomo distante e in costante pericolo, non avrebbe mai potuto smettere di volergli bene. Sinceramente. Non avrebbe potuto essere altrimenti.

Per questo, la vita doveva andare avanti. Perché quella che stava arrivando meritava che almeno lei fosse presente con il corpo, con la testa e con il cuore. Glielo doveva.

Per la prima volta da che ricordava, non infilò la lettera nel cassetto con quelle che riceveva, ma la guardò prendere fuoco lentamente nel camino.

La carta che bruciava aveva un nonsoché di catartico. Bisogna distruggere per poter ripartire. E lei, Oscar, aveva adesso intenzione di ripartire. Da sé, dal proprio bambino. Un passo alla volta.

E poi la solita richiesta.

Fersen, non morite.

 
 
 
Note: grazie per la lettura! Avrete notato che cambio le cose in corsa, infatti adesso l’indice dei personaggi è un po’ diverso, ma la storia rimane uguale a come l’ho pensata.
   
 
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