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Autore: EmmaJTurner    01/03/2024    5 recensioni
Un cancello aperto illegalmente; un'accusa di terrorismo interno; una botanica, un ragazzino e un gatto in fuga in pieno inverno. Cosa potrà mai andare storto.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Spazio dell’autrice

Avviso (innocuo) ai lettori: questo capitolo è lungo quasi il doppio di un mio capitolo standard… ma non me la sono sentita di spezzarlo in due. Brace yourself e abbiate pazienza — e se avete consigli su cosa tagliare, fatemelo sapere!

Prima di iniziarlo vi consiglio la lettura del capitolo revisionato della Parte I intitolato “Botanica, Spacciatrice di Erbe” se vi interessa la backstory di un personaggio che farà qui una breve apparizione. Non è fondamentale, comunque. Però è divertente ritrovare i Logan e Meli litigherelli dell’inizio :D



 

CAPITOLO 6 - Esoterico e Dintorni

Un ululato agghiacciante svegliò Meli di soprassalto.

“Che cazzo è stato?” domandò Logan. Meli non poteva vederlo nel buio, ma era certa che l’ammazzamostri si fosse alzato a sedere con la spada sguainata — se ne avesse avuta una.

La botanica ascoltò con attenzione per qualche secondo, poi si rilassò. “Sono i tizi della 16. Lo fanno così”.

Un altro grido da fantasma squarciò il silenzio; seguito, stavolta, da un ansimare spezzato e un regolare thud thud thud.

“Speriamo che finiscano in fretta. Ieri sono andati avanti per ore” concluse la donna tornando a raggomitolarsi sotto le scoperte. Theo, ormai abituato a quella routine, non si era nemmeno svegliato.

Gli ansiti angosciati continuarono per qualche minuto. 

“Questo non è scopare, è un esorcismo” borbottò Logan inorridito.

Con un ultimo urlo strozzato i rumori della camera a fianco si acquietarono. Meli, ormai sveglia, rimase accoccolata nel buio. 

Il camino era spento, la stanza gelida fuori dalle coltri di lana. Tese le orecchie nel rinnovato silenzio. I rumori di passi e di risolini complici in corridoio le dissero era mattina presto: i clienti della notte uscivano scompigliati, quelli del turno del mattino entravano smaniosi.

“Qual è il piano per questa nuova splendida giornata in fuga dalle autorità, ammazzamostri?”.

Logan le rispose con un mugugno insoddisfatto. Poi, acido, aggiunse: “Mi pare che tu sia un po’ troppo di buon umore per la situazione del cazzo in cui ci troviamo”.

Aveva ragione. Ma per la prima volta in settimane Meli aveva dormito benissimo; si sentiva positiva, carica e speranzosa. 

Dopo essersi lamentato del gatto che durante la notte gli aveva camminato sul petto e morsicato i gomiti, Logan le ricordò di essere disarmato e senza un soldo, e che prima di fare qualunque cosa avrebbe dovuto rifornirsi dall’unica armeria disposta a fargli credito.

“Qui in città?”.

“Sì”.

“Dove?”.

“Un giro di mercato nero”.

“Una persona fidata?”

“Sì”.

“Quanto fidata?”.

“Le affiderei la vita”.

Quel le, che sottintendeva una personalità al femminile, le fece rizzare le orecchie e smuovere qualcosa nel petto. Se pochi istanti prima era stata certissima di dirgli di arrangiarsi a comprare la sua ferraglia, adesso provava il forte desiderio di vederla con i suoi occhi, questa persona di cui Logan sembrava fidarsi ciecamente.

“Vengo anch’io”.

Logan sbuffò. “Come, addobbata da lucciola?”.

“Non fare lo spiritoso. E servirà un travestimento anche per te”.

“Non c’è la mia faccia sui volantini”.

“Non ufficialmente, ma ti hanno già arrestato una volta. Non ti lascio andare da solo”.

Quella dichiarazione bisbigliata rimase ad aleggiare nel silenzio buio della celletta. Meli si pentì del tono perentorio — e quasi… possessivo? — ma ormai era fatta.

“D’accordo” cedette infine Logan. “Troveremo un modo”.

***

Meli sollevò il piccolo specchio a mano e si studiò l’acconciatura. Dag aveva fatto di nuovo un ottimo lavoro. 

I capelli erano intrecciati sulla nuca in un elaborato chignon, mentre ciocche arricciate col ferro le incorniciavano la fronte e i lati del collo. Il trucco era leggero, alla moda, con un finto neo sul mento e una sfumatura di rosa su entrambe le guance. 

Si lisciò l’abito color prugna. Era troppo stretto per lei: i lacci del corsetto erano allentati sul davanti per permetterle di respirare. La gonna ampia la faceva sentire esageratamente ingombrante e le maniche larghe di pizzo bianco le davano il prurito. 

Ma non diede voce alle sue lamentele: quello era l’abito che Dag le aveva fornito e Meli lo aveva accettato senza fare domande — preferiva non sapere da dove veniva. Si sistemò sulla testa un cappellino di feltro con tesa ripiegata e ornato di piume; una collana di perle e un ventaglio rosa completavano l’insieme.

Posò lo specchio e si voltò verso Logan.

L’ammazzamostri, già senza trucco nero, e si era tirato indietro i capelli mettendo in mostra la mandibola sbarbata. Indossava una giacca scura con un fazzoletto di seta annodato sotto il mento — che nascondeva la cicatrice del nekorai — e un paio di pantaloni di velluto a coste infilati dentro gli stivali di pelle.

Stava… bene. Meli impedì ai propri pensieri di indugiare ulteriormente sulla mandibola nuda di Logan.

Lui si accorse che lo stava guardando. Finì di sistemarsi i polsini di pizzo e la studiò con altrettanta attenzione, ma non fece commenti.

Theo si lamentò che ormai era guarito e che voleva uscire anche lui. Fu stroncato subito dallo sguardo inflessibile di tutti gli adulti e i gatti presenti. Sapevano che prima o poi avrebbero dovuto farlo uscire di lì, ma era un problema che si sarebbero posti dopo aver risolto gli altri dodicimila che li tenevano per la gola.

“Starai qui con Dagmaris oggi. Noi torneremo tra un paio d’ore al massimo” lo rassicurò Meli.

Accettando la sconfitta con un broncio dignitoso, Theo tornò ad aggredire la colazione.

Un bussare tamburellante li avvertì che Dagmaris era tornata.

“Oh, siete pronti”. Dopo aver accuratamente richiuso la porta Dagmaris consegnò loro i pezzi mancanti del travestimento: un paio di mantelli e un cappello per Logan. Poi mise fianco a fianco i due compagni e girò loro attorno, studiando e sistemando pizzi, bottoni, capelli e cravatte.

Infine, soddisfatta, si fermò ad ammirarli con un pugno sotto il mento. “Siete davvero carini”.

Meli alzò gli occhi al cielo. “Non importa se siamo carini. Pensi che ci riconosceranno?”.

“Se non attirerete l’attenzione su di voi, probabilmente no. Tieni giù il mento — così, ecco — e usa il ventaglio per nascondere il viso. Devi sembrare una timida e morigerata signorina altoborghese”.

Logan sbuffò una risata e Meli gli rifilò una gomitata nelle costole.

“Ecco, questo è esattamente quello che non devi fare” commentò Dagmaris costernata — ma sotto sotto divertita — dai modi rozzi dell’amica. Le sistemò un’ultima volta il cappello più in basso sulla fronte e, dopo averle rassettato il fazzoletto di pizzo che nascondeva la scollatura, diede la sua benedizione: potevano affrontare la città di Andaréz alla luce del giorno.

Alla luce del giorno per modo di dire: il cielo era coperto di nuvole cariche di pioggia e una nebbiolina infida risaliva dagli angoli delle strade. Ma per Meli, chiusa nel fetore di fumo e oli floreali da quasi una settimana, poter sentire l’aria ghiacciata di dicembre sulla pelle fu una liberazione.

Erano ancora davanti alla porta fallica de La Lucciola Felice quando si accorse che Logan le stava offrendo il gomito. “Un vero gentiluomo” commentò divertita. Si appese al braccio con una mano guantata.

Logan roteò gli occhi e non la degnò di una risposta.

Camminando in silenzio, Meli lo scrutò da dietro il ventaglio. Con il cappello piumato calato sulla fronte e il fazzoletto al collo, Logan pareva quasi un uomo rispettabile. Quasi, perché negli occhi e nelle movenze restava per Meli il circospetto predatore che aveva fatto a pezzi innumerevoli bestie nei sotterranei di Darren e che era volato giù avvinghiato a un Parassita dal belvedere di un’abbazia incastonata nella montagna.

Però si mimetizzava tra la gente “normale” meglio di quanto pensasse; questo doveva concederglielo.

Dal decimo quartiere bastava attraversare il quarto per arrivare al cuore della città, dove la Piazza dei Signori si estendeva in un piastrellato di marmo bianco tra la cattedrale di Santa Bertilla e il palazzo del Podestà, un edificio pacchiano con logge classicheggianti in pietra bianca e statue di santi ad ogni angolo. Tutta la piazza era attorniata in realtà da un un tripudio di palazzi in discutibile stile neozoldino e portici colonnati con volta a botte. 

Da Piazza dei Signori ci si collegava a Via della Miracolata, la via principale di Andarèz che, dritta come un fuso, attraversava tutta la città. La strada lastricata era gremita di persone, un colorato e rumoroso avvicendarsi di signorotti locali occupati a discutere delle rendite dei territori oltremare, giovani servette con le borse della spesa, vecchie nobildonne loquaci e gli occhi svelti; e ancora mercanti, mendicanti, borseggiatori, venditori di caldarroste e vino speziato — il cui caldo profumo arrivava a ondate alle narici di Meli. Un prete in piedi su uno sgabello leggeva a voce alta dei passi dell’Apocalisse; una vecchia sirena con un occhio solo, seduta su un mucchio di cenci al bordo della strada, interpretava le linee della vita per due navok o per i ricordi d’infanzia prima dei tre anni. Un volantino caduto a terra annunciava a tutti l’attesissimo evento della sagra dello gnocco presso il settimo quartiere.

Meli e Logan si infilarono nel flusso di persone.

“Perché passiamo per il centro?” stava dicendo Meli con una certa apprensione, il viso celato dietro il ventaglio.

“Più gente abbiamo attorno, meno sarà facile notare proprio noi”.

“Mi sembra un’idea del cazzo, se permetti”.

“Attenta a come parli, signorina elegante e timorata di Dio”.

Meli sbuffò.

“E meno sospiri e più sfarfallamenti di ciglia, prego”.

Combattendo l’istinto naturale di alzare gli occhi al cielo, Meli fece presente il suo scontento affondando le unghie nel braccio di Logan; inutilmente, considerati i morbidi guanti di daino di lei e gli strati di vestiti eleganti che lui indossava.

“Credi di essere più bravo di me anche in questo?” gli sussurrò con un sorriso falsissimo.

“Non lo credo. Lo so”.

Si spostarono a lato della strada per far passare una carrozza con cavalli ornati di piume e finimenti dorati. Spiando le signorine eleganti sedute all’interno, seminascoste dalle tendine di pizzo, Meli dovette ammettere a sé stessa che lì, in mezzo ai colonnati di pietra e al vociare delle vie affollate, era fuori dal suo elemento. 

“Facciamo in fretta. Non mi piace stare qui”.

“Ti ricordo che tutta questa situazione è solo colpa tua. Io ti avevo detto che annunciare l’esistenza della… cosa era una pessima idea. Se mi avessi ascoltato ora non saremmo qui a fare questa sceneggiata”.

Meli alzò il viso verso di lui e sfarfallò le ciglia. “Sì, è tutta colpa mia se un bambino è ancora vivo” lo rimbeccò con un sorriso acido.

“Un bambino che non avresti dovuto portarti appresso. Devi ancora spiegarmi che diavolo ti è saltato in mente” bisbigliò lui arrabbiato.

Meli si sentì sprofondare. Era arrivata l’ora della verità. Per fortuna erano in pubblico e Logan avrebbe dovuto tralasciare buona parte degli insulti. Tornò a guardare la strada davanti a sé. 

“Suo padre lo picchiava” mormorò.

Logan sbuffò. “Quindi? Un sacco di ragazzini vengono battuti e vengono su bene”.

“Come te? Ah, lo vedo”. 

Logan non apprezzò quell’allusione a una sua eventuale infanzia turbolenta. Il che fece pensare a Meli di averci azzeccato in pieno. Si pentì subito di quel commento indelicato.

“Scusami”. Meli abbassò la voce e si affrettò a spiegare: “Non potevo lasciarlo. Ricordi cosa ha detto la… ragazzina in rosso? Che il sangue faceva così schifo che il can- la cosa nemmeno lo assorbiva. E la belladonna, ieri notte… ha avuto effetto anche su di lui. L’ho visto. Aveva gli occhi appannati”.

“E allora?”.

“E allora la belladonna agisce solo su individui che hanno già raggiunto la maturità sessuale. Oppure…”.

La gola le si serrò; all’improvviso, continuare a parlare diventò fisicamente doloroso. Non era un’idea nuova: era una teoria che aveva elaborato diversi giorni prima, ma che aveva sempre scartato con tutte le sue forze — pensieri troppo bui per essere confessati ad alta voce. Adesso, però…

“Oppure?” la incalzò lui irritato.

Meli si raddrizzò e a voce bassissima rispose: “Oppure coloro che… hanno perso… l’innocenza contro la loro volontà”.

Aspettò che la consapevolezza di quella informazione si insinuasse nella mente arrabbiata di Logan. Quando accadde, la sua espressione di pietra tremò e cedette. L’ammazzamostri abbassò lo sguardo.

“Che schifo”. 

“Non posso riportarlo indietro”.

Camminarono in silenzio per qualche minuto. Aver condiviso quell’orrenda supposizione con qualcuno sembrò averne allergerito un poco il peso. Logan non aveva insistito con l’idea di liberarsi di Theo; sembrava aver compreso la gravità della situazione. Seppure sempre devastata all’idea del dolore inflitto al bambino da coloro che avrebbero dovuto amarlo e proteggerlo, Meli si sentì un po’ meglio: aveva fatto la cosa giusta a portarlo via con sé. 

Imboccarono una laterale di sinistra e continuarono lungo la via tra botteghe e palazzi residenziali. Entrarono in un androne dove ingressi di negozi si aprivano su entrambi i lati.

Arrivarono davanti ad un locale con una porta di legno nero e cesti di chincaglierie esotiche esposti all’esterno. La targa appesa diceva Da Lyn. Esoterico e Dintorni.

“Aspettami qui”.

“Qui? Perché?”.

“Ci metterò un minuto. Lasciami… intercedere”.

Meli lasciò ricadere la mano e osservò Logan fase pressione su tre punti precisi della porta nera, la quale si aprì senza un suono e lo inghiottì.

Inspiegabilmente a disagio per essere rimasta sola, Meli finse di interessarsi agli oggetti in esposizione mentre tendeva le orecchie per origliare. Stava studiando la forma di un teschio di pixie trafitto da un chiodo arrugginito quando udì una voce femminile.

“Logan! Mi hai fatto prendere un colpo”. La voce era rauca, rasposa; la voce di una vecchia dedita ai vizi del fumo e dell’alcol.

“Come cazzo ti sei conciato? Sembri uno di quei damerini al ballo di Mezzinverno”.

Seguì un borbottio sommesso che Meli non riuscì a seguire. Aspettò parecchio prima di sentire un sonoro “Che?!” e poi di nuovo un mormorio concitato.

Inquieta, lasciò vagare lo sguardo sulla merce. Registrò il cartello Qui ricarica gemmeluce e l’etichetta Prendi tre paghi due su un cesto pieno di paletti di frassino. Ne stava valutando l’acquisto quando la porta si aprì. La testa dotata di cappello piumato di Logan le fece cenno di entrare.

Meli lo seguì all’interno del negozio immerso nella penombra e permeato da un curioso odore di legno, polvere e… pelliccia muffita? Ritrovandosi di colpo davanti gli occhi terrorizzati di un cervo imbalsamato, Meli pensò di averci azzeccato. Abbassò la testa per evitare le corna dell’animale e proseguì nello stretto spazio tra i mucchi di caos che si ergevano da entrambi i lati. Armi e amuleti erano gettati alla rinfusa dentro bauli; c’erano sedie di vimini accatastate l’una sull’altra, attaccapanni carichi di borse, abiti e mantelli; feticci umanoidi con gli occhi vuoti e veri capelli umani appiccicati sulla fronte. Ossa di dimensioni enormi erano appese al soffitto mentre insetti infilzati sotto vetro decoravano le pareti; corna di rosperonte e artigli di strige erano ammucchiati nelle scansie insieme a barattoli polverosi con etichette in una lingua sconosciuta. 

Attenta a non toccare nulla Meli superò la carcassa mummificata di un bigaaso con le fauci spalancate e, stordita dalla confusione — Zeno al posto suo avrebbe già avuto un attacco apoplettico — si affiancò a Logan.

“Lei è Lynette”.

Certa di trovarsi di fronte una vecchia megera con i denti gialli e l’artrite, Meli rimase sconcertata dal… nulla. Non c’era nessuno in quella baraonda polverosa. Per un istante pensò che l’ammazzamostri fosse impazzito del tutto e che avesse cominciato a discutere con i fantasmi, quando la voce rasposa parlò di nuovo.

“Sul tavolo”.

Meli fece due passi avanti seguendone il suono. E quasi inciampò dalla sorpresa, perché Lynette era tutto il contrario di ciò che si era aspettata di vedere.

Per cominciare, era alta un palmo. E sì, era una femmina, ma non era vecchia — non nel modo umano di intendere la vecchiaia, almeno. Aveva riccioli color lavanda e indossava un corto vestito di petali gialli. La sua pelle chiarissima emetteva un alone dorato. Stava seduta sul bordo di un boccale di peltro sul tavolo ingombro di oggetti, con le gambe nude accavallate e un’espressione arcigna sul minuscolo viso.

Lynette era una fatina.

“Oh, guarda un po’. La terrorista” disse la fata.

Meli rimase a bocca aperta. Non era cosa comune vedere una fata in città, e meno comune ancora era sentirla sputare sentenze dal bordo di un boccale di idromele. Era lei il contatto fidato di Logan? Meli nascose il suo sconcerto meglio che poté. 

La fatina scavallò le gambe e si sporse verso i nuovi arrivati. Due ali di farfalla dagli intricati disegni viola e oro si aprirono con eleganza sulla sua schiena. “Quindi sei tu la famosa botanica” sentenziò dopo averla studiata a lungo.

Meli lanciò un’occhiata interrogativa a Logan, che la ignorò bellamente e disse invece alla fata: “Sono qui per le armi”.

La fatina si voltò verso di lui. “Cosa cerchi?”.

“Tutto. Non ho più niente. La Guardia mi ha ripulito dopo avermi arrestato”.

Logan raccontò a Lynette quello che Meli già sapeva. Aggiunse solo dei dettagli su una particolare spada d'argento e un set di stiletti con manico in madreperla che sembravano importanti ai due interlocutori. Finito il tragico resoconto, Lynette incrociò le braccia al petto.

“Mi stai dicendo quindi che vorresti le mie armi senza pagare?”.

“Ti pagherò. Solo, non oggi”.

“Sai cosa fanno le fate agli spergiuri”.

“Non ho giurato, infatti”.

La fatina, a braccia incrociate sul bordo del boccale di idromele, lo fissò torva. Poi guardò Meli, roteò gli occhi e si librò in aria. Un alone di polvere brillante rimase dove poco prima era seduta.

“Su. Di qua. E mi devi un enorme favore, hai capito?”. 

Si avventurarono più a fondo nella penombra della bottega, dove casse, bauli e cesti di vimini erano ammucchiati fino al soffitto. Armi di ogni genere erano accatastate alla rinfusa insieme a mucchi di stoffa, boccette misteriose, pupazzi inquietanti e gemmeluce spezzate. 

Mentre Logan rinveniva, soppesava e roteava spade diverse, Lynette svolazzò accanto alla faccia di Meli. La fatina odorava di iris, vecchi mobili e alcol scadente.

“Sei tu quella che cercano, quindi. Per il bambino, ufficialmente. Ufficiosamente, per il cancello”.

Scombussolata, Meli sbatté gli occhi. Sa del cancello…?

“Rilassati. Non è stato quel cretino lì a dirmelo. Le fate percepiscono le modifiche dei flussi magici nel territorio. E un cancello aperto crea un bel casino nel flusso. Sapevamo da tempo di queste aperture non autorizzate”.

“Lo… sapevate?” trasecolò la donna.

“Oh sì. Fate, demoni, imp, driadi, anguane, balsìk. Lo sanno tutti. Le voci corrono veloci. Amiamo i pettegolezzi”.

“E perché non lo denunciate alle autorità?”.

La fatina scoppiò a ridere. “Le autorità? Lo sanno già, sciocca. Tengono tutto nascosto per evitare il panico generale, una guerra civile, o peggio. Vogliono risolvere la cosa senza che nessuno lo sappia. Anche se non hanno la minima idea di come fare, probabilmente… Per questo ti danno la caccia”.

“Non sono stata io ad aprirlo”.

“Oh, so anche questo. Il livello di magia in te è ridicolo: non potresti far saltare un borzocco. È stata una mutaforma, mi è stato riferito”.

Meli era senza parole. Enorme segreto sti gran cazzi.

“Se lo sanno tutti, non posso essere l’unica ad aver visto quella tizia!”.

La fatina si strinse nelle spalle. “Probabilmente no. Ma gli esseri umani non si interessano della mia gente. E comunque pare che ben pochi restino in vita dopo aver visto quello che hai visto tu” aggiunse con indifferenza.

Meli pensò ai bambini trovati morti nei fiumi o schiavizzati nei bordelli. Le passò ogni voglia di chiacchierare.

Dopo lunghe e ponderate analisi Logan concluse la sua selezione. Andò al bancone con le braccia cariche di una varietà di cose affilate, due cinture, una collana e un mantello che aveva tutta l’aria di essere stato abbandonato lì da un mendicante.

“Sono quasi quattrocento navok di roba” calcolò la fata.

“Uno sconto per un amico?”.

“Sconto un corno. Mi devi ancora centocinquanta per quella pistola”.

Andarono avanti un po’ a bisticciare. Meli, dopo essersi ripresa a fatica dalla precedente conversazione, decise che era l’ora di intervenire.

“Posso pagare io”.

Sia Logan che Lynette la guardarono stralunati.

“Non è necessario…” cominciò Logan.

“Ce li hai in contanti?” tagliò subito la fata.

Meli recuperò le monete da un minuscolo portafoglio di cotone nascosto in una tasca della gonna. Porse i navok alla fata che li contò facendoli levitare davanti a sé.

“... questi sono solo ottantasette”.

“È tutto quello che ho con me. Ma posso proporti un pagherò”.

“Le scartoffie delle vostre banche non hanno valore per me”.

“Non parlo di soldi. Una Rosa Eterna”.

A Meli si strinse il cuore a solo pronunciare quel nome. Pregò di non aver fatto un’enorme cazzata.

I minuscoli occhietti di Lynette dapprima si spalancarono, poi si fecero avidi e sottili.

“Stai dicendo la verità? Una vera Rosa Eterna dall’Abbazia?”.

“Sì”.

“Come è possibile? Quelle rose sono controllate dai monaci giorno e notte”.

“Ci siamo trovati all’Abbazia in un momento… propizio”.

La fatina la scrutò sospettosa. Guardò anche Logan, che confermò con un cenno di assenso.

“Quando?”.

“Ne sto facendo una talea. Se tutto va bene, e se sopravviverò a questo disastro, per la prossima primavera ne avrò una pianta mia in fioritura”.

Lynette era molto tentata e vicina a cedere; lo si poteva vedere da come si mordicchiava le labbra e brillava più intensamente. Una Rosa Eterna per una creatura del piccolo popolo era un oggetto di inestimabile valore, magico e simbolico oltre che monetario.

La fata ci rifletté ancora qualche istante, poi tese una minuscola manina dorata in direzione di Meli.

“Una Rosa Eterna, la prossima primavera, in cambio delle armi qui sul bancone”.

“Una Rosa Eterna vale come tutto quello che hai qui dentro” osò Meli.

Lynette strinse gli occhietti, ma non negò. 

“D’accordo. Qualora vi servisse altro, sono qui. Ma devi prometterlo”.

Non servì che calcasse il tono sull’ultima parola, come non servì che le ripetesse la frase con cui aveva già minacciato Logan. Anche Meli sapeva cosa facevano le fate agli spergiuri. 

Prima che Logan potesse fermarla, Meli prese la manina tesa tra due dita e disse: “Una Rosa Eterna, a primavera, in cambio del tuo aiuto. Lo prometto”.

Ci fu un attimo di silenzio sospeso. Lynette brillò più forte e Meli sentì una scossa partire dalle dita e arrivarle al petto. 

“Molto bene” concluse circospetta la fatina. Sembrava incredula da quanto era appena successo. Spezzò il contatto, fece sparire i navok ancora galleggianti per aria e si girò verso l’ammazzamostri. “Bravo, Logan. È sempre bene avere amici ricchi. Ricchi e imprudenti”.

Logan le disse qualcosa in una lingua che Meli non capì, ma avrebbe potuto scommettere che fosse qualcosa di poco lusinghiero.

L’ammazzamostri indossò il mantello logoro, agganciò una spada alla cintura e si nascose addosso una serie di pugnali, stiletti e coltelli. 

Si accordarono per il ritiro del resto della merce nei giorni successivi.

“Quando vuoi, mi trovi qua. Bevo, conto i soldi e vendo merda illegale a altri scappati di casa come te”.

Meli cominciava a capire come mai quella fatina e Logan andassero tanto d’accordo. Erano uguali.

Uscirono dal negozio con la testa pesante e il portafogli leggero. Superato l’androne tornarono a imbastire la loro scenetta teatrale, con le braccia allacciate e i visi vicini nascosti dagli oggetti di scena.

“Non dovevi farlo” le disse appena furono per strada. Meli capì dal suo tono che oscillava tra l’essere colpito per l’audacia e preoccupato per l’avventatezza.

“Le armi ci servono. E io mantengo le promesse”.

“In questo caso, dovrai per forza”.

Meli pensò alla piccola scossa al cuore che aveva provato mentre stringeva la mano alla fatina. Oh sì. Avrebbe dovuto. 

“Capisco perché siete amici”.

“Sono quasi certo che non sia un complimento”.

Meli si strinse nelle spalle. Forse, in effetti, non lo era.

Arrivarono all’affollata via principale. Si mescolarono a un gruppo di suore in tunica verde e a diverse coppie di signori ben vestiti. Logan era molto più sicuro di sé ora che aveva una spada al fianco. Pareva persino più alto. 

Erano quasi arrivati alla piazza quando Meli si accorse di un una testa bianca a capo della colonna di suore. Una chioma di capelli candidi e intrecciati e, sotto di essa, un viso giovane, abbronzato e familiare… con occhi neri che incrociarono i suoi.

Meli fece scattare il ventaglio e si voltò verso Logan. “Dobbiamo levarci da qui!” bisbigliò con urgenza.

Allarmato, il mezzelfo si fermò e si guardò attorno. “Che succede? La Guardia?”.

“No, c’è una persona che conosco. Mi ha visto!”.

“Ti ha visto? Ma porca di…”.

“Sssh e coprimi!”.

Meli si spostò a lato strada, agguantò Logan per i fianchi e lo usò come scudo umano. Eilei, sacerdotessa dell’Ordine del Cardo di Costoi e ex amica d’infanzia di Meli, stava squadrando la folla con occhi rapaci. 

“Chi?”.

“La suora. Quella con i capelli bianchi. Ci sta guardando — non ti girare, perdio!”.

“Cosa fa?”.

Meli spiò da sopra la spalla dell’uomo. “Mi sta cercando. Deve aver capito che ero io. Si avvicina”.

Logan non attese. La avvolse con un braccio protettivo e la sospinse verso l’altro lato della strada, lontano dalla piazza. Camminarono a passo sicuro mescolandosi al viavai di persone e si infilarono in una laterale piuttosto affollata. Meli si appiattì con la schiena addossata al muro di mattoni e Logan si posizionò strategicamente di fronte a lei, i visi coperti dai cappelli piumati.

Attesero. 

L’aveva riconosciuta? L’avrebbe denunciata? Tanta fatica per essere beccata da quella sfigata di Eilei, tra tutti?! 

Presa dai pensieri furiosi, Meli si accorse troppo tardi di quanto fosse vicino il viso di Logan al suo.

Troppo vicino, considerò, esagitata. Ed era rispettabile il modo in cui l’aveva intrappolata contro il muro, con un gomito accanto al volto per nasconderlo ai passanti? Non conosceva le ultime mode in fatto di etichetta della classe borghese, ma era quasi certa che non lo fosse — rispettabile. Lo sguardo le cadde sulla bocca socchiusa di lui. Per un folle istante, Meli pensò che l’avrebbe inchiodata lì sul muro e baciata.

Non accadde, ovviamente. Era Logan, perdio; che le veniva in mente?

Logan la fissò accigliato. “Perché hai quella faccia?”.

Meli, accaldata e rossa in viso, aprì la bocca e la richiuse. “Niente” squittì infine.

Rimasero così a lungo: in quieta e minacciosa allerta, lui; a fingere di non essere stata appena travolta da una valanga di sensazioni improbabili, lei. Per tutto il tempo Meli si sforzò di guardare ovunque a parte il viso di Logan a un palmo dal suo. Si sentiva strana e accaldata sotto gli strati di abiti costosi. 

Doveva essere stato l’incanto della fatina. Sì. Doveva essere quello.

“Le suore sono entrate nella cattedrale”.

Ah. Giusto. Eilei. Non avrebbe mai pensato di incontrarla a Andaréz. Ma Natale era vicino, in effetti; probabilmente si trovava in città per celebrare il Mezzinverno e l’Avvento con il resto della comunità religiosa. 

“Bene. Andiamocene di qui” concluse Meli con fin troppa impazienza. 

Spinse via Logan da sé — il suo torace piacevolmente solido sotto le dita — Dio, cosa le veniva in mente — e scrutò la folla prima di rimettersi in marcia.

La mano di Logan la riagguantò subito e la obbligò a rallentare. Meli accettò di nuovo il suo braccio e vi si appese con emozioni contrastanti.

Rientrarono a La Lucciola Felice dopo essersi scambiati poche altre parole di circostanza. Logan era impassibile come sempre: se gli ultimi avvenimenti avevano scosso qualcosa in lui, si guardava bene dal mostrarlo.

Trovarono Theo come lo avevano lasciato: in salute e con un broncio annoiato. Fu molto felice di vederli e li subissò subito di domande.

“Dove siete stati? Cosa avete preso? Mi fai vedere?”.

Meli lasciò Logan a destreggiarsi con le chiacchiere relative all’artiglieria. In quel momento le sue preoccupazioni erano altrove. Nello specifico, come soffocare la ridicola sbandata che stava pericolosamente mettendo radici nel suo cervello.

Non ascoltò nulla riguardo coltelli, spade e stiletti avvelenati, ma registrò una specifica domanda entusiasta di Theo.

“Allora, quando partiamo?”.

Attese la risposta di Logan. Lo vide arrabattarsi per trovare un modo carino per dire al bambino che non aveva nessuna intenzione di impelagarsi in una quest per salvare il mondo. Non lo trovò.

“Non è una missione adatta a un bambino” disse solo.

Ma Theo, piccola volpe, lesse tra le righe. Spalancò gli occhi. “Non avete intenzione di andare!”.

Logan non negò l’accusa e ebbe perfino la decenza di mostrarsi mortificato. Theo si voltò verso Meli, che aveva ancora in faccia un’espressione atterrita.

“Anche tu…! Ma dobbiamo…! Dobbiamo trovarla! Dobbiamo sconfiggerla!”. 

“Theo, devi capire che…” cominciò Meli senza avere la minima idea di dove sarebbe andata a parare.

“Non volete fare niente!” sbottò il ragazzino. Lacrime di rabbia cominciarono a rigargli le guance. “Noi… il cancello… do-dobbiamo…”.

La voce di Theo scemò fino a spezzarsi del tutto, e un sonoro singhiozzare riempì la celletta. Meli si portò una mano al petto: aveva percepito con dolorosa chiarezza il proprio cuore spezzarsi in due. Guardò Logan: anche la sua consueta imperturbabilità stava vacillando.

Meli si avvicinò al ragazzino. Desiderava abbracciarlo, ma si trattenne.

“Theo. Noi non siamo soldati, né maghi. Non abbiamo le capacità necessarie per… salvare il mondo” mormorò con voce dolce, prendendo in prestito la medesima espressione che lui aveva usato il giorno precedente.

Theo la guardò. Aveva il naso rosso e lacrime in bilico sulle lunghe ciglia.

“Se non lo facciamo noi, nessuno lo farà”.

Sbem.

Meli non trovò la forza di ribattere. Cercò sostegno da parte di Logan, ma anche lui, per la prima volta, pareva insicuro della sua posizione.

Theo intentò allora un discorso di grande carica emotiva, ma presto i balbettamenti e i singhiozzi ebbero il sopravvento. La tensione si spezzò del tutto quando Polpetta si rotolò ai piedi di Theo per farsi coccolare. Il bambino tirò su col naso e si chinò ad accarezzarlo.

Un silenzio mesto avvolse i presenti. Meli si sentì pesante e fragile come un vaso di vetro sull’orlo del baratro. Desiderò poter rubare il dolore dagli occhi lucidi di Theo e di metterlo sulle proprie spalle. 

Ma non era possibile.

   
 
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