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Autore: Cj Spencer    03/03/2024    2 recensioni
La battaglia di Mistvale è vinta.
L'invasione è scongiurata.
Ma questo è solo il primo atto. Daemon sa di non poter aspettare troppo tempo. Perché mentre loro esitano il nemico si riorganizza, e un nuovo attacco potrebbe avvenire in qualunque momento.
E' giunto il momento di mandare un segnale forte e chiaro a tutta Erthea: chi minaccia lo Stato Libero non resterà impunito.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“In guerra, mezze misure e indecisione

sono garanzia di fallimento.”

(Napoleone Bonaparte)

CAPITOLO 1

L’AQUILA DI EIRINN

 

 

Dai tempi delle Guerre Sacre Erthea non aveva mai visto un conflitto così lungo come quello che vedeva contrapposti le forze imperiali e i gruppi separatisti capeggiati dai Baroni.

Da dieci anni i territori orientali dell’impero erano una polveriera, un immenso campo di battaglia in cui si consumava una interminabile guerra civile.

Tutto era cominciato con l’ascesa al trono dell’attuale imperatore, che aveva ben pensato di risolvere la spaventosa crisi economica che aveva portato l’Impero sull’orlo della bancarotta promulgando una serie di pesanti riforme fiscali.

Come se non bastasse l’Imperatore aveva dimostrato di voler cambiare radicalmente il modo in cui lo Stato gestiva la cosa pubblica, riportando il potere nelle mani del senato ai danni di governatori ed amministratori delle province più lontane e remote, che negli ultimi duecento anni si erano visti accordare privilegi sempre maggiori.

E la gente di tutto ciò era stata molto felice, perché non solo una volta tanto erano stati i nobili a subire i colpi peggiori dalle nuove tassazioni, ma una legge apposita aveva impedito a questi ultimi di rifarsi delle perdite andando a loro volta ad aumentare la tassazione locale sui territori che amministravano.

Sfortunatamente, in politica le cose di rado vanno come si vorrebbe, e un nobile ingordo abituato a godere appieno delle sue ricchezze e del suo potere può diventare un nemico pericoloso, anche per un sovrano.

Forse Sua Maestà aveva sovrastimato l’ammirazione che il popolo aveva iniziato a provare per lui, o forse si era persuaso a credere che le sue riforme lo avrebbero messo al sicuro dalle critiche per ciò che le circostanze lo avevano costretto a fare.

Perché un abitante di Saedonia può sopportare le tasse, la povertà e la fame, ma non sarà mai disposto a rinunciare alla cosa più importante che possiede: il suo orgoglio di cittadino del più grande impero mai visto.

La cessione di una parte dei territori occidentali a Connelly con la fine della Guerra del Flor e la fine della Guerra Fredda con l’Unione al prezzo di svariati milioni di goldie erano umiliazioni che in pochi erano disposti ad accettare.

E i nobili dell’est, le terre più lontane, isolate e sperdute del grande Impero, erano stati abili a mascherare le loro ambizioni in una sorta di guerra santa contro un sovrano accusato di essere un incapace, che aveva svenduto il suo impero ed il suo popolo ai suoi peggiori nemici.

In fin dei conti era lì che, secondo le leggende, il Signore Oscuro aveva fatto la sua comparsa, e secondo gli abitanti di quelle terre era stato solo grazie al sacrificio dei loro antenati se l’Impero era sopravvissuto.

Non c’era voluto molto perché quella che era nata come una semplice zuffa tra i feudatari locali e il governo centrale si tramutasse in una vera e propria rivolta che da dieci anni insanguinava le foreste, le montagne e le valli dell’est.

E la mente dietro a tutte le sconfitte patite fino a quel momento dalle legioni era una sola, quella di Julius Severus, dodicesimo Barone di Glasnet.

Uomo ricchissimo e dal lignaggio illustre, apparteneva alla più nobile e rispettata aristocrazia militare dell’Impero, una di quelle famiglie di cui i bambini leggevano le gesta sui libri di scuola.

Non era solo un feudatario colto e molto potente, ma anche un brillante stratega, ed era forse l’unico tra i Baroni ribelli a credere sinceramente nelle menzogne che i suoi sodali si raccontavano per mascherare le loro vere intenzioni.

Sette generali si erano succeduti al comando delle cinque legioni che da un decennio tentavano di stroncare la ribellione, ma nonostante ciò la situazione nel corso del tempo non si era minimamente sbloccata.

Città e regioni venivano perse e riconquistate in continuazione, talvolta nel giro di poche settimane, ma la capitale della rivolta Glasnet e il suo castello restavano lontani, come un miraggio irraggiungibile.

Da alcuni mesi il comando era passato al Generale Flavio Tibullo. Era un militare di lungo corso, stimato da Sua Maestà, che si era fatto una reputazione come ammiraglio della flotta imperiale combattendo i pirati.

Ma era essenzialmente un uomo di mare, incarnazione di un’aristocrazia di guerra legata a idee antiquate, e che seguiva alla lettera il tipico approccio imperiale alle battaglie: numeri soverchianti, rullo compressore e avanzamento brutale, a prescindere dalle perdite.

Una cosa del genere poteva andare bene per avere la meglio su eserciti stranieri o quando si aveva a che fare con le flotte pirata, ma mal si sposava con una situazione come quella dell’est. Ogni volta che una regione cadeva, i baroni e i loro eserciti semplicemente si ritiravano in quelle più vicine, formando nuove barriere difensive che dovevano essere nuovamente sfondate, con conseguente enorme dispendio di truppe e risorse.

E intanto le linee di rifornimento si allungavano, a differenza di quelle del nemico, non si riusciva a contenere le perdite, il terzo o quarto assalto si impantanavano, arrivava l’inverno, si era costretti alla ritirata, il nemico rioccupava in parte o totalmente i territori persi, e si ricominciava daccapo la primavera successiva.

Aria era consapevole di dove stesse andato e dei moltissimi problemi che avrebbe dovuto affrontare, ma di certo non si aspettava una situazione così drammatica.

Dopo dieci anni le legioni imperiali avevano riconquistato meno della metà dei territori ribelli, e da almeno due l’offensiva si era di fatto arenata al limitare della regione di Falderad.

La vecchia strategia dell’attaccare a testa bassa ormai aveva smesso di portare anche i successi più limitati; le truppe erano stanche, gli ufficiali demotivati, e la convinzione che non si potesse sperare di avanzare oltre si stava facendo strada anche tra i più ottimisti.

Il secondo in comando si chiamava Oreste Flaminio, e da qualche anno era diventato uno straniero nella sua patria, da quando la sua città natale Tagrea era stata ceduta a Connelly.

Per fortuna la sua famiglia a differenza di altri nobili della stessa regione aveva preferito l’esilio alla sottomissione al Principato, altrimenti oltre ad una bellissima città l’Impero avrebbe perso anche una delle menti militari più brillanti che Aria avesse mai conosciuto.

Ma era solo il capo di una famiglia nobile minore, e per di più della provincia, pertanto nonostante i molti anni spesi sui campi di battaglia lui per primo sapeva che quella posizione era il massimo al quale avrebbe mai potuto aspirare.

Quando parlava con lui o incrociava il suo sguardo Aria quasi si vergognava al pensiero che lei un giorno avrebbe potuto salire al ruolo di Generale, mentre Oreste non sarebbe mai potuto essere più che un semplice Comandante, perennemente agli ordini di qualcuno con più titoli ma assai meno qualità di lui.

«Quanti talenti abili come il vostro sono andati persi per colpa del classismo dell’Impero?»

E Oreste non era il solo; nei pochi mesi trascorsi al fronte, Aria aveva conosciuto non meno di cinque giovani ufficiali altrettanto capaci, ma costretti dal proprio lignaggio a vestire i panni di semplici subalterni, spesso alle dipendenze di superiori che capivano di guerra come lei capiva di ricamo.

Aria apparteneva ad un mondo in cui anche ai nobili di più basso rango era possibile aspirare a raggiungere la vetta della piramide, a condizione di avere le qualità necessarie per riuscirci, e per lungo non era riuscita a spiegarsi perché anche nell’Impero non potesse essere così.

Ricordava ancora come si era sentita il momento in cui, durante l’accademia militare, aveva capito che il rispetto che tutti le portavano non derivava dai suoi meriti, ma solo dal cognome che portava, e che anche se fosse stata l’ultima della classe le cose non sarebbero state diverse.

Quindi si era imposta di essere la migliore in tutto quello che faceva; le manifestazioni esagerate di stima e le amicizie interessate la facevano arrabbiare come se non più di prima, ma almeno quando si guardava allo specchio poteva dire a sé stessa di meritare quei complimenti, per quanto ipocriti potessero essere.

Anche per questo non capiva perché essere nobili di prestigio o appartenere a qualche famiglia reale fosse l’unico requisito per poter aspirare ad una carriera promettente; perché una persona non poteva essere gratificata in funzione di quanto impegno metteva in ciò che faceva?

Ma anche se l’Imperatore sembrava stare facendo del suo meglio per permettere anche a piccoli nobili e perfino borghesi arricchiti di ritagliarsi la loro fetta negli ambienti politici, l’esercito con tutte le sue tradizioni restava un monolito impossibile da scalfire.

Anche per questo, una volta finiti gli studi, aveva scelto quella strada, piuttosto che tornare a casa e prendere il comando dell’esercito come avrebbe voluto suo padre.

Dall’ammissione della schiavitù alla corruzione tra i nobili, nel corso degli anni la sua patria aveva fatto proprie troppe cose dell’Impero che non le piacevano; e visto che Saedonia ed Eirinn ormai erano legati indissolubilmente, le cose sarebbero solo peggiorate se non fosse stato l’Impero a cambiare.

Anche lei come l’Imperatore era convinta che bisognasse procedere gradualmente, soprattutto in un posto allergico ai cambiamenti come l’esercito, così all’inizio si era ripromessa di non fare niente di avventato.

Ma ora le cose erano diverse.

Ora non si trattava più solo di provare a cambiare le cose; ora in gioco c’era il destino della sua patria.

Di colpo tutti quei propositi avevano perso importanza; tutto quello che contava era risolvere la questione coi baroni il prima possibile e rivolgere subito tutte le attenzioni al sud, prima che suo fratello malconsigliato dal loro zio facesse qualcosa di irreparabile.

Ma come fare?

Come fare per scardinare un modo di pensare e condurre la guerra vecchio di cinquecento anni che nessuno aveva voglia di rimettere in discussione?

Alla fine aveva capito che c’era solo una cosa da fare.

Ma prima di commettere un atto del genere, di cui conosceva bene le conseguenze, voleva tentare tutte le strade; non tanto perché temeva per sé stessa, quanto piuttosto per non coprire di vergogna la sua famiglia, per non parlare dell’Imperatore, che non sarebbe stato da biasimare qualora avesse deciso di rimangiarsi la sua promessa.

Quando poi, gettando il cuore oltre l’ostacolo, aveva manifestato le sue intenzioni alle persone giuste, era rimasta stupita da come la maggior parte di esse, a cominciare da Oreste, non solo non l’avessero dissuasa, ma si fossero mostrate d’accordo con lei, ammirandola per aver trovato il coraggio di fare ciò che loro avevano solo osato immaginare.

Così, alla fine, aveva preso la sua decisione.

Ma prima di passare ai fatti, voleva fare un ultimo tentativo.

Una volta a settimana il Generale Tibullo convocava il consiglio di guerra cui prendevano parte i suoi consiglieri e i comandanti delle cinque legioni al suo comando coi rispettivi subalterni.

«Generale, vi prego. Questa strategia non ci sta portando da nessuna parte, serve solo a farci perdere tempo e a sacrificare per niente i nostri soldati.»

«Sto iniziando davvero a stancarmi delle vostre rimostranze, Capitano Montgomery. Siete qui solo da qualche mese e già pretendete di sapere tutto?»

«Il nemico controlla il territorio. Lo conoscono e lo sfruttano molto meglio di noi. Ogni volta che avanziamo loro abbandonano le posizioni più esposte per riposizionarsi su quelle più favorevoli, l’offensiva si arena, noi siamo costretti a ritirarci, e anche quando la sorte ci arride guadagniamo al massimo poche miglia. Se vogliamo avere qualche speranza dobbiamo essere noi a dettare le condizioni, non loro.»

«Generale, forse dovrebbe ascoltarla.» disse Oreste. «La sua strategia potrà sembrare bizzarra, ma ha senso.»

Forte del sostegno del suo superiore, Aria incalzò.

«I Baroni si dicono uniti, ma in fin dei conti sono solo un gruppo di individualisti che pensa prima di tutto i difendere i propri possedimenti. Quando non avanziamo, ognuno di loro tiene i propri soldati vicino a sé nei rispettivi feudi. Da dove ci troviamo ora abbiamo la possibilità di lanciare offensive contro tutte le regioni che stanno tra noi e Glasnet. Un attacco coordinato lungo svariate direttrici, e non daremo ai nostri nemici tempo e modo di organizzare una difesa comune. A quel punto il Barone Severus resterebbe con solo con le truppe dei feudi orientali a sua disposizione, che anche messe insieme sarebbero pari alle nostre.»

«Dividere le mie legioni? Mi auguro che stiate scherzando! Non si è mai sentita una cosa del genere! Dovrei mettere le mie forze in mano a qualche nobile da quattro soldi figlio di un banchiere o di qualche mercante arricchito? Faremo come si è sempre fatto. Uniremo le nostre forze, avanzeremo e sconfiggeremo chiunque si metterà sulla nostra strada. Solo così si ottiene la vera gloria.»

«Solo così si è certi della sconfitta, piuttosto! Ormai l’estate sta finendo, e questa sarà la nostra ultima offensiva! Se falliamo dovremo aspettare l’anno prossimo, e queste legioni servono altrove!»

«Adesso basta, Capitano! Non mi importa se è stato l’Imperatore a mandarvi qui! Un’altra parola e vi farò sollevare seduta stante dal vostro incarico!»

Allora, si disse la ragazza, non c’era davvero altro da fare.

«Speravo di non dover arrivare a tanto, ma a quanto pare non mi lasciate scelta.»

Ad un suo cenno uno degli ufficiali fece un segnale, e subito dopo una decina di soldati entrarono nella tenda con le armi spianate circondando il Generale e i suoi fedelissimi.

«Che significa!?»

«Generale Tibullo, comandante dell’esercito. Generali Dario e Glabro, comandanti della Quarta e Sesta legione. Da questo momento vi dichiaro sollevati dai vostri incarichi, e con il consenso del Generale Oreste assumo il comando di questa operazione. Sarete posti agli arresti nei vostri alloggi fino al termine delle operazioni, quindi sarà Sua Maestà a decidere di voi.»

«Maledetta! Questo è alto tradimento! Arrestatela subito!»

Ma nessuno gli obbedì. Del resto, a parte i detti Glabro e Dario, tutti gli altri Generali avevano già le idee molto chiare su chi era più meritevole della loro lealtà.

«Portateli via.»

«Non potete farlo! Finirete tutti sul ceppo del boia! Lasciatemi!»

Tutti i Generali si affrettarono a lasciare la tenda per confrontarsi coi propri uomini e calmare gli animi, lasciando sola il nuovo comandante e il suo secondo.

«Spero che tu sia consapevole di quali saranno le conseguenze per tutti noi.»

«Hai la lista che ti avevo chiesto?»

«Stiamo già provvedendo. Entro stasera avremo arrestato tutti gli ufficiali che li sostenevano.»

«E le truppe?»

«Non preoccuparti, ci seguiranno. Ormai hanno imparato a conoscerti. E comunque sanno di non rischiare niente fintanto che obbediscono agli ordini.» poi l’attempato generale ammiccò «A condizione ovviamente che questa operazione porti i risultati sperati.»

«Convoca un nuovo consiglio di guerra per domani mattina. E da ordine di cominciare a smantellare il campo.»

«Ai vostri ordini, Comandante.»

 

Il Barone Severus era così affezionato alla propria folta barba rossa che ogni mattina passava delle ore a prendersene cura.

I suoi soldati ci scherzavano sempre sopra, e dicevano che se un giorno il Generale si fosse mostrato in pubblico con la barba incolta allora voleva dire che la sconfitta era imminente.

Dirigere e fare andare d’accordo un’accozzaglia di nobili più interessati a sé stessi che alla causa non era un compito facile, ma era anche per questo che il Consiglio dei Baroni aveva scelto lui come comandante supremo: chi meglio di un veterano della guerra con Connelly che si era visto strappare i propri successi con quella pace vergognosa poteva difendere meglio gli interessi dei separatisti e guidare le loro forze in battaglia?

Severus sapeva meglio di chiunque altro che quella non era una guerra come le altre. Era una guerra di logoramento, in cui l’unico modo per vincere era spingere l’Impero a ritenere il proseguimento delle azioni abbastanza dispendioso da non voler procedere oltre.

E poi?

Il Consiglio si era fatto tante di quelle fantasie negli anni che avere un’idea chiara di cosa avrebbero effettivamente chiesto quando l’Imperatore avesse accettato di negoziare era quasi impossibile.

Qualcuno parlava apertamente di secessione, qualcun altro proponeva un vassallaggio semi-indipendente; per ora Severus si accontentava di concludere la guerra il prima possibile, e qualcosa dentro di lui gli diceva che non ci sarebbe voluto molto.

Ormai era un decennio che quel conflitto si trascinava stancamente da un anno per l’altro, e dalle voci che giungevano dalla capitale si capiva che il Senato non era più disposto a perdere milioni di goldie in quell’impresa senza futuro.

La volontà dell’Imperatore di togliere il potere ai governatori per darlo ai nobili di Maligrad piuttosto che a sé stesso gli si stava ritorcendo contro.

Bisognava solo resistere un altro po’, forse solo un altro inverno.

Poi, tutto d’un tratto, il momento decisivo sembrò essere finalmente arrivato.

Qualche giorno prima un messaggero aveva portato la notizia che l’esercito imperiale aveva iniziato a smantellare il campo, segno che il suo comandante era determinato con quell’ultima offensiva a completare l’avanzata, o quantomeno a portarla il più avanti possibile, senza alcuna intenzione di tornare sui propri passi in caso di fallimento.

Tutte le mattine prima di colazione, e al pomeriggio durante la pausa per il tè, il Generale teneva un consiglio di guerra con i suoi due sottoposti, i Colonnelli Ofelia e Primus, per fare il punto delle campagne e pianificare le prossime mosse.

«Buongiorno, signori.» disse con la sua solita voce squillante e risoluta

«Buongiorno, pad… volevo dire, buongiorno Signor Generale.» disse rispettosamente Primus «E permettetemi di essere il primo ad augurarvi buon compleanno.»

«Apprezzo il pensiero, ma era meglio se evitavi. Serve solo a ricordarmi che sto invecchiando.»

«Buone notizie, Generale.» disse Ofelia mentre il padre infilava gli occhiali per dare un’occhiata ad alcuni rapporti. «Il nuovo carico di armi è arrivato questa notte. La distribuzione ai soldati è già in corso, e sarà completata entro oggi.»

«Ottimo. Ci vogliono bene in Volkova

«Il Gran Re è sempre contento quando qualcuno dà dei dispiaceri all’Imperatore.»

Il generale notò poi che i segnalini sulla grande mappa delle operazioni erano stati spostati rispetto al pomeriggio del giorno prima, e ne chiese conto ai suoi due figli.

«Un rapporto arrivato stanotte ci ha informati che il nemico ha iniziato ad avanzare lungo la Via Franchigia.» disse Ofelia

«Quanti sono?»

«Due legioni. Probabilmente le altre sono rimaste indietro ad ultimare lo smantellamento del campo. Le stiamo tenendo d’occhio, avremo un nuovo rapporto entro stasera.»

«Che notizie dai Baroni Melk e Ortis?»

«Hanno lasciato i rispettivi domini con i loro eserciti e si stanno muovendo come ordinato.» rispose Primus «Se il tempo non li rallenta arriveranno alla Valle di Falken entro quattro giorni.»

Non era la prima volta che la valle diventava il campo di battaglia dell’ennesimo scontro tra le truppe dei Baroni e l’esercito imperiale, e Severus trovava quasi riprovevole che anche dopo tutte quelle sconfitte il nemico si intestardisse a voler passare da lì. Tutto perché era la via più rapida verso il cuore del dominio ribelle.

«A quanto pare sarà un’altra facile vittoria.»

«Non essere troppo sicuro di te, figliolo. Ogni battaglia è unica, e non è detto che le cose vadano sempre allo stesso modo. Inviate dispacci anche ai Baroni Eraclio e Udrecht. Che radunino le loro forze e si preparino ad una eventuale avanzata.»

«Vi aspettate una resistenza superiore?» chiese Ofelia

«Non voglio correre rischi.»

 

Da buon soldato il Barone Severus detestava le occasioni formali, ma non poteva certo rifiutarsi di presenziare al ricevimento per il proprio compleanno.

Quella sera nel palazzo di Glasnet si era radunata quasi tutta la meglio nobiltà ribelle, o almeno quella che non doveva preoccuparsi di difendere i propri feudi dall’ennesima avanzata dell’esercito imperiale.

Per la prima volta dopo tanto tempo regnava l’ottimismo, la convinzione che se fossero riusciti a resistere ancora uno, massimo due anni, allora finalmente le loro rivendicazioni sarebbero state ascoltate.

Nella sala da ballo, ognuno degli invitati spendeva il tempo come più gli aggradava, chi danzando, chi conversando, chi dando fondo alle pietanze.

L’ospite d’onore cercava di svicolare ad ogni possibile occasione, intrattenendosi a parlare solo con altri ufficiali e condottieri; Ofelia, in uniforme e con la spada alla cintura, risultava accattivante e minacciosa allo stesso tempo; Primus metteva a frutto le sue doti di inguaribile sciupafemmine corteggiando una giovane dietro l’altra.

Sembravano esserci tutte le premesse per una serata incantevole e serena, allietata dalla musica, dal cibo e dalla spensieratezza.

E invece, per molti di loro quello sarebbe stato l’ultimo momento felice della loro vita.

Il primo a notare l’arrivo dell’esploratore capo, esausto, coperto di fango e pioggia e con l’espressione sconvolta, fu lo stesso Severus, che aspettava solo l’occasione buona per poter svicolare.

Pochi minuti dopo Primus venne interrotto dalla sorella nel bel mezzo di una danza.

«Nostro padre ha convocato il consiglio d’urgenza. Dobbiamo andare subito.»

Ma intanto la notizia aveva già fatto il giro degli invitati, ed era una notizia di quelle capaci di sconvolgere anche la persona meno interessata alle sorti della guerra.

«Le armate del Baroni Melk e Ortis sono state intercettate lungo la strada per Falken.» disse il messaggero dopo che il Generale e i suoi figli si furono appartati in una stanzetta accanto alla sala da ballo. «Il nemico li ha sorpresi in ordine di marcia e li ha sbaragliati. Il Barone Melk è finito in mani nemiche, il Barone Ortis invece è caduto in battaglia.»

In un colpo solo la ribellione aveva perso due dei suoi capi più autoritari e simbolici.

Ma la cosa davvero sconvolgente era il modo in cui quella sconfitta era maturata.

Già non era normale che un’armata procedesse separatamente, ma in mille e più anni di storia le campagne militari erano sempre state decise da un’unica battaglia, con due generali uno di fronte all’altro alla testa dei rispettivi eserciti.

Da quando in qua un Generale imperiale aveva così tanta fiducia nei suoi uomini da affidare loro non solo il compito di marciare separatamente, ma addirittura di attaccare per conto proprio?

«A che punto è Virilus? Ci sono notizie di lui?»

Il Barone Virilus era il signore delle terre in cui sorgeva la Valle di Falken, ed era anche il più caro amico e collaboratore del Generale, uno degli iniziatori assieme a lui della rivolta a cui altri si erano successivamente aggiunti.

«A quest’ora dovrebbe aver già raggiunto la valle.» disse Ofelia

«Mandategli subito un messaggero per avvisarlo dell’accaduto. Ditegli che deve fortificare la valle con tutto quello che ha. E ditegli che lo raggiungeremo entro cinque giorni.»

«Sissignore.»

«Inviate messaggeri in ogni provincia. Voglio tutti i Baroni qui a Glasnet domani sera per un consiglio generale.»

Mandati via gli ospiti Severus andò quindi a dormire, lasciando ordini perentori di svegliarlo qualora fossero arrivate altre notizie importanti.

Ma una notizia importante arrivò solo la mattina dopo, mentre il Generale e i suoi figli facevano colazione; ed era una notizia che non avrebbero mai voluto ricevere.

«Il Barone Virilus è morto, Generale! Il nemico lo ha sorpreso a Falken nella notte, mentre stavano ancora approntando le difese!»

«Ma com’è stato possibile!?» sbraitò Primus, ormai convinto come la sorella di trovarsi in un brutto sogno. «Gli ultimi rapporti dicevano che il nemico era ad almeno trenta miglia di distanza dalla valle! Come hanno fatto ad arrivare lì così in fretta?»

«Devono aver marciato anche di notte.» disse cupamente Severus. «Ed essendo solo due legioni la loro avanzata è stata molto più agile.»

I loro peggiori incubi stavano diventando realtà.

In dieci anni le legioni imperiali non erano mai andate oltre la Valle di Falken, né erano riuscite ad uccidere nessuno dei capi della rivolta. Questo nuovo comandante, chiunque fosse, aveva ottenuto in tre giorni quello che i suoi predecessori non avevano ottenuto in un decennio.

E non era ancora finita.

Come Severus temeva la lealtà di molti Baroni era tutto fuorché certa; fu così che prima ancora di mezzogiorno molti altri esploratori giunsero con la notizia che pressoché tutti i Baroni delle regioni più occidentali si stavano arrendendo uno dopo l’altro senza neanche combattere, lasciando l’esercito imperiale libero di avanzare senza ostacoli lungo tre diversi fronti.

Quella sera, al consiglio generale tra tutti i comandanti ribelli, oltre al padrone di casa c’erano appena cinque Baroni seduti al tavolo; Lady Ottavia, Lord Dias, e i Generali Vorenus, Brenicus e Abelardo.

«Inutile prenderci in giro, amici miei. La situazione è drammatica. Quasi tutte le province più a ovest sono cadute o si sono arrese, e al momento il nemico avanza senza incontrare praticamente resistenza.»

«Sono solo un branco d’idioti se si illudono che l’Imperatore avrà pietà di loro.» disse Vorenus. «Quando abbiamo preso in mano la spada sapevamo bene che questa strada poteva portarci solo alla vittoria o al patibolo.»

«Vorrei sapere perché hanno aspettato tanto per scagliarci contro questo Generale.» disse Abelardo «Sappiamo almeno di chi si tratta?»

«Ho sentito delle voci secondo cui ci sarebbe una donna alla guida dell’esercito.» disse Brenicus «La figlia del Granduca di Eirinn, a quanto dicono.»

«Che cosa facciamo, Severus? Ormai l’esercito imperiale è quasi giunto ai confini della mia provincia.»

«Tranquilla Octavia, non ti abbandoneremo. Vi prometto che non procederanno oltre nella loro avanzata.»

«A cosa stai pensando?» chiese Dias

«Il nemico attualmente sta avanzando lungo tre direttrici. Ma tutte le strade che stanno percorrendo convergono qui. E questo è un passaggio obbligato, visto che da qui si controlla il ponte che passa sull’Asmar. Senza questo ponte il nemico dovrebbe spingersi molto più a nord per poter oltrepassare il fiume, perdendo tempo. Questa pianura sarà ideale per lo scontro. La foresta impedirà l’accerchiamento, e da questa collina domineremo il campo di battaglia.»

«Se tengono quest’andatura saranno lì in meno di una settimana.» disse Abelardo «Saremo in grado di organizzare le difese in così poco tempo?»

«Abbiamo già a disposizione trentacinquemila uomini. Siamo in inferiorità numerica, ma non sarebbe certo la prima volta. Vorenus, quanto tempo ti ci vorrebbe per radunare le tue forze?»

«I miei quindicimila soldati come sai sono quasi tutti volontari e coscritti. Visto che tra poco ci sarà la vendemmia li avevo mandati a casa per occuparsi dei campi. Per richiamarli, riarmarli e portarli a ovest…»

«Puoi farcela ad essere lì entro una settimana?»

«Sicuramente.»

«Allora è tutto nelle tue mani, amico mio. Noi andremo lì, prenderemo possesso della pianura e ci prepareremo alla battaglia. È vitale che tu ci raggiunga in tempo.»

«Conta su di me, non ti deluderò.»

«E voialtri, preparatevi. Voglio fino all’ultimo soldato disponibile. Se necessario armate anche gli schiavi e promettetegli la libertà in caso di vittoria. Io l’ho già fatto con i miei. Dobbiamo vincere solo quest’ultima battaglia. Se riusciamo a sopravvivere anche a questo, allora vorrà dire che Gaia è davvero al nostro fianco, e a quel punto neanche l’Imperatore potrà più negalo.»

 

La valle dell’Asmar, era il punto in cui la catena montuosa di Galath che segnava il confine nordorientale tra l’Impero e il Granducato di Eirinn si diradava in un susseguirsi di vaste pianure, intervallate lungo il corso del fiume da campi coltivati e fitte foreste.

Era un fiume impetuoso, difficile da oltrepassare, quindi ogni attraversamento di grandi dimensioni era un tesoro da difendere a tutti i costi.

Dal colle che dominava il campo di battaglia Severus poteva vedere alle sue spalle il grande ponte di pietra da cui erano passati e a sinistra il piccolo villaggio di Hoselveck.

Come previsto dagli esploratori le tre armate erano confluite nella pianura tramite altrettante strade da est, nord e sud, arrivando con sconvolgente coordinazione attorno a mezzogiorno del settimo giorno e fissando il loro campo a circa due miglia di distanza.

I soldati erano sicuramente esausti per la lunga marcia, che doveva essere stata interrotta solo per combattere o per brevi momenti di riposo, e lo scoppio di un temporale era stato per il nemico un motivo ulteriore più che valido per posticipare la battaglia al giorno dopo.

Tanto meglio, si era detto Severus, visto che Vorenus in questo modo avrebbe avuto sicuramente tutto il tempo per arrivare con i rinforzi.

Al sorgere del sole, al termine di una notte che il Generale spese dormendo il più piacevole sonno della sua vita, le due parti si posizionarono sul campo di battaglia pronte allo scontro.

Severus aveva disposto le sue truppe su due linee, con i veterani davanti al centro al comando del figlio e i soldati più giovani schierati subito dietro, guidati da sua figlia. Il Generale Abelardo comandava l’ala sinistra, mentre sulla destra era schierata la cavalleria di Brenicus, inclusi duemila dei famigerati cavalieri nordici, in cui Severus riponeva grandi speranze. Le riserve coscritte dei Baroni Octavia e Dias completavano lo schieramento.

L’esercito imperiale rispondeva con una formazione a dir poco atipica, nella quale quello che saltava immediatamente all’occhio era che il comandante nemico aveva schierato solo quattro legioni, rendendo la differenza numerica assai più contenuta rispetto a quanto previsto.

Effettivamente per tutto quel tempo i rapporti degli esploratori avevano parlato sempre di sole quattro legioni in movimento –la quarta, la quinta, l’ottava e la nona rispettivamente–, mentre la settima sembrava come scomparsa nel nulla. E le cosa ovviamente inquietava Severus, che temendo di vedersela comparire dal nulla da un momento all’altro aveva preferito tenersi da parte più riserve del solito, pronte ad essere schierate appena fosse stato necessario.

Aria dal canto suo aveva schierato la nona legione a sinistra, la quinta e la sesta al centro, la cavalleria tra il centro ed il fianco e la nona a sinistra. Concludeva il tutto una nutrita schiera di ausiliari e mercenari a fare da riserve.

«Perché ha schierato i veterani della quarta su un fianco e le reclute della nona dalla parte opposta?» si chiese giustamente Severus. «Se la nostra cavalleria dovesse riuscire a sfondare, quel fianco sarebbe esposto.»

C’era sicuramente qualcosa sotto, tant’è che il Generale rinunciò subito all’idea di dare inizio alla battaglia con una prima carica di cavalleria leggera come era sua abitudine.

Narrare lo scontro tra eserciti che si affrontavano secondo la dottrina militare di Saedonia non era sicuramente il sogno di un novellista; niente assalti di barbari che si lanciavano come una mandria di bufali contro le ordinate linee imperiali, accolti da lanci di frecce e decimati dalle armi da assedio, niente cariche eroiche che assestavano il colpo di grazia.

Era uno scontro logorante e faticoso, con due linee di fanti che si affrontavano in formazione serrata fino a che una delle due cedeva alla pressione e si ritirava, cedendo il posto a quella subito dietro. Il primo comandante che esauriva le linee, o la cui cavalleria andava in rotta permettendo a quella avversaria di attaccare il fianco, o le cui ali cedevano lasciando il centro sguarnito aveva perso.

Tutto qui. Al massimo ci si poteva mettere un po’ di strategia per cercare di massimizzare i propri sforzi, ma alla fine era essenzialmente l’esperienza a determinare il vincitore.

Ma evidentemente, pensava Severus, la signorina Montgomery doveva aver saltato quella lezione all’accademia, altrimenti avrebbe schierato i veterani della quarta al centro invece che su di un lato.

Alle nove del mattino la battaglia ebbe inizio.

E contrariamente a come era abitudine per i vecchi comandanti –ad eccezione di Severus ovviamente– fu la cavalleria ad aprire le danze, avanzando al trotto seguita appresso dalla nona e dalla sesta e formando così una sorta di punta di freccia puntata contro il fianco dello schieramento nemico.

Anche il resto dell’esercito imperiale si mosse di lì a breve, in una sorta di linea obliqua con il fianco destro più avanzato di quello sinistro sinistro, una grossa fetta di ausiliari a supporto di quest’ultimo e la restante parte, sicuramente veterani, a chiudere il varco al centro.

Neanche un pazzo avrebbe portato avanti il suo intero esercito senza tenersi da parte almeno un po’ di riserve; Aria, pensò Severus, doveva essere molto intraprendente o molto incosciente per commettere una tale imprudenza.

Ableardo comandò ai suoi uomini di restare fermi ad aspettare l’urto, facendo scagliare raffiche di frecce appena i nemici furono abbastanza vicini. Nel momento in cui il trotto divenne una carica i soldati alzarono le lance, e anche se ci voleva ben altro per impensierire i cavalli e i cavalieri imperiali quel muro acuminato riuscì a restare compatto, assorbendo l’impatto della cavalleria e successivamente quello della fanteria senza sfaldarsi e impegnando il nemico nel corpo a corpo.

I veterani della Quarta Legione rischiavano però di essere una gran brutta gatta da pelare persino per Ableardo e i suoi uomini, così quando la sua linea non sembrò in grado di contrastare l’assalto senza perdere terreno Severus ordinò ad Ofelia di andare a dar loro supporto con metà del centro.

La manovra, pur non riuscendo nel tentativo di prendere il nemico sul fianco, sortì però l’effetto sperato, e pian piano la linea imperiale sembrò perdere coesione, prima arrestandosi e quindi iniziando persino a cedere, arretrando di alcuni metri.

Per evitare che gli ausiliari veterani potessero portare supporto e nel mentre chiudere anche il varco apertosi nel centro, il vecchio Generale ordinò anche a Primus di avanzare; e il giovane, che non aspettava altro, si scagliò assieme ai suoi uomini contro il nemico come un toro infuriato, dando prova ancora una volta del suo coraggio e del suo talento come guerriero.

«Per il momento abbiamo arrestato l’avanzata. Continuiamo a spingere.»

«Cosa facciamo sul fianco destro?»

Da quella parte le truppe imperiali avevano gradualmente rallentato l’avanzata, forse perché spaventate dal fatto che sia al centro che sulla destra i loro compagni apparivano in difficoltà.

«Non sono una minaccia per ora, e stanno marciando in formazione serrata con i picchieri in prima fila. Attaccarli adesso non farebbe altro che danneggiare la nostra cavalleria. Inoltre da dove si trovano possono bloccare facilmente un attacco sui fianchi del centro. Dite a Brenicus di restare fermo.»

Peccato che Brenicus fosse un tipo irruento e focoso tanto quanto i suoi cavalieri, che non ci pensava minimamente a rinunciare alla sua parte di gloria in quell’epico scontro.

Così, alla vista delle legioni che dopo aver perso tutto lo slancio sembrarono iniziare persino ad arretrare, non ci pensò due volte a fare un’altra delle sue famose mattate.

«Suonate la carica!»

«Ma Generale, non abbiamo ricevuto ordini.»

«Al diavolo gli ordini, basta un ultimo colpo e quella massa di rammolliti scapperanno come tanti conigli! All’attacco, miei prodi! Il nemico è davanti a noi!»

Naturalmente Severus non fu per nulla felice di vedere tutti i cavalieri del suo esercito partire all’attacco senza autorizzazione, lasciando il fianco destro completamente sguarnito.

«Maledetta testaccia di legno!»

L’arrivo di una simile carica avrebbe fatto scappare chiunque, ma pur essendo in buona parte giovani reclute con poca esperienza, incredibilmente, le truppe imperiali rimasero salde.

I picchieri piantarono saldamente le armi nel terreno, formando una selva di punte contro cui molti cavalli andarono ad impalarsi assieme ai loro cavalieri. Quindi, una volta assorbito adeguatamente l’urto, le tre linee che procedevano una dietro l’altra si aprirono come un ventaglio, creando una sacca in cui Brenicus e i suoi uomini, pur riuscendo a non essere circondati, si ritrovarono a venire attaccati su tre lati.

Ma i cavalieri nordici non si erano guadagnati la loro fama di diavoli a cavallo senza una ragione; la loro esperienza, nonché apparente assenza di paura permise loro, malgrado la situazione, non solo di resistere, ma addirittura ad un certo punto perfino di prevalere, iniziando a spingere con forza il nemico sempre più indietro fin quasi alle sue posizioni di partenza.

Sarebbe bastato che una sola delle tre unità impegnate in combattimento andasse in rotta per lasciare Aria e il suo stato maggiore pericolosamente scoperti. Ma nonostante ciò la giovane Montgomery non sembrava intenzionata a spostarsi su posizioni più sicure, rimanendo immobile ad osservare lo svolgersi della battaglia circondata dai suoi uomini.

«Ha fegato. Questo glielo concedo.»

La situazione si era quindi capovolta, coi ribelli che spingevano e le legioni imperiali che cercavano di mantenere la posizione.

E proprio in questo momento arrivò una notizia più che gradita.

«Generale, alcuni abitanti del villaggio dicono di aver visto truppe in arrivo da nord-est!»

«Finalmente Vorenus è arrivato. Inviategli un messaggero. Appena arriva deve attaccare subito il  fianco destro nemico.»

«Sì, Generale!»

«È un’occasione perfetta, Severus. Mandiamo avanti le riserve.»

«Niente affatto, Dias

«Ma…»

«C’è ancora una legione là fuori di cui non sappiamo niente. Per quanto ne sappiamo potrebbe sbucare fuori ovunque e in qualunque momento.»

«I nostri esploratori non ci hanno riferito niente.» disse Octavia. «Potrebbero persino essere a miglia da qui.»

«Non intendo restare a corto di uomini se prima non avrò una chiara idea di cosa posso aspettarmi. Si tratta solo di pazientare qualche altra ora, finché non arriverà Vorenus

Così la situazione rimase sostanzialmente in stallo, con le forze ribelli incapaci di assestare il colpo finale e le legioni troppo provate dall’avanzata e dallo scontro prolungato per riguadagnare terreno.

Severus dal canto suo non sapeva come comportarsi; la logica suggeriva di sfruttare il momento e mandare avanti le riserve per spingere ulteriormente, ma l’istinto d’altro canto gli diceva di aspettare, preoccupato com’era che quella testa matta di cui aveva sentito così tanto parlare avesse qualcos’altro in serbo per loro.

Purtroppo neanche nei suoi incubi peggiori avrebbe potuto prevedere quello che Aria aveva in mente.

Anche se la Volkova finanziava generosamente le attività dei ribelli, e gli stessi Baroni non erano sicuramente dei poveracci, armare ed equipaggiare decine di migliaia di uomini di certo non costava poco.

Capitava così molto spesso che gli eserciti ribelli fossero equipaggiati in modo molto disomogeneo, a volte riutilizzando le stesse uniformi imperiali a cui venivano semplicemente staccate le insegne.

Ecco quindi che specialmente per dei contadini poco abituati a veder passare dei soldati fosse facile scambiare una vera legione imperiale per soldati alleati, soprattutto se non portava insegne.

La verità era che Vorenus e i suoi uomini, già il giorno prima, erano stati sorpresi, assaliti e spazzati via nel bel mezzo della marcia; la Settima Legione si era mossa con una velocità mai vista prima, guadando il fiume più a nord e spostandosi attraverso i boschi per piombare sul nemico quando questi meno se l’aspettava.

Che i contadini e la gente del posto li avessero confusi per truppe ribelli dirette verso la battaglia era solo una coincidenza molto fortuita e molto gradita, che ebbe l’unico effetto di palesare quanto stava accadendo quando ormai era troppo tardi.

«Non è Vorenus!» esclamò Severus alla vista dei nuovi arrivati che apparsi da oltre il colle si apprestavano ad attraversare il ponte. «È il nemico!»

Prima ancora che si potesse pensare di fare qualcosa la Settima Legione aveva già oltrepassato il fiume e si preparava ad entrare in battaglia.

Tutto quello che Severus poté fare fu ordinare a metà delle sue riserve di correre subito in aiuto del fianco sinistro prima che questi potesse venire attaccato alle spalle. Effettivamente la manovra riuscì e la situazione rimase tutto sommato sotto controllo, ma la cosa davvero drammatica era che ora la principale via di fuga in caso di sconfitta era stata tranciata.

E purtroppo non servì molto prima che anche i soldati in battaglia se ne rendessero conto, con tutte le inevitabili conseguenze; alla baldanza fece posto la paura, la fiducia nella vittoria divenne timore di sconfitta.

Così la situazione si capovolse nuovamente, e con la sola eccezione della cavalleria di Brenicus tutto il resto del fronte ribelle ricominciò a indietreggiare, mentre le truppe imperiali diventavano sempre più audaci.

Se non altro quasi tutti i soldati ribelli erano veterani, che conoscevano la posta in gioco e che erano disposti a combattere fino alla morte se necessario, ben sapendo cosa poteva succedere a chi veniva catturato se quel giorno il comandante nemico fosse stato di cattivo umore.

La battaglia rischiava di congelarsi, tornando ad essere uno scontro di attrito in cui era la volontà a prevalere.

Occorreva un colpo risolutivo.

Che puntualmente arrivò.

Arrivò nella forma di due grandi unità di cavalleria, che apparvero quasi dal nulla sul campo di battaglia alla destra di Severus sotto il comando di Oreste in persona.

Il Generale non poteva saperlo, ma quelle unità si erano staccate dall’armata già da diversi giorni, e seguendo alla lettera gli ordini avevano compiuto un lungo giro, portandosi a est del campo di battaglia giungendo sul posto persino prima dell’arrivo dei due eserciti; e una volta qui avevano atteso, ben nascoste dietro ad un colle boscoso, l’ordine di attaccare.

Ad uno squillo di trombe, gli oltre mille cavalieri si scagliarono prepotentemente sia contro la cavalleria di Brenicus, colpendola alle spalle, che addosso alle poche riserve rimaste a disposizione di Severus, travolgendole prima che potessero provare a reagire.

A quel punto, le conseguenze furono rapide e inevitabili.

Sempre più spaventati e confusi, tutti i settori dello schieramento imperiale persero coesione, lottando disperatamente non più per vincere ma solo per cercare di salvarsi fino a ritrovarsi isolate le une dalle altre.

Sulla sinistra, le riserve subirono un aggiramento da parte della Settima Legione, finendo a lottare schiena contro schiena con loro compagni fino a ritrovarsi completamente accerchiati.

A sinistra, la cavalleria continuò a lottare strenuamente, ma incalzata da tutte le direzioni subì uno stillicidio che si trasformò in fuga disperata nel momento in cui i soldati videro Brenicus tirato giù da cavallo e finito a colpi di lancia.

Solo il centro resisteva, ispirato da Primus, e sembrava che nonostante tutto quella parte del fronte potesse resistere un altro po’, magari ispirando con il suo esempio anche tutti gli altri.

Non fosse altro che a quel punto, quasi a voler chiudere la questione una volta per tutte, Aria fece una cosa che nessun altro generale prima di lei aveva fatto negli ultimi duecento anni; sguainata la sciabola, sventolando contemporaneamente la bandiera imperiale e il vessillo di famiglia, si lanciò personalmente alla carica.

Primus e i suoi uomini vennero travolti e tranciati come erbacce dalla falce, e fu Aria in persona a decapitare con un colpo preciso il comandante avversario per poi puntare dritta verso il cuore dello schieramento nemico.

Isolato, con il suo esercito disperso o in rotta, con negli occhi l’immagine del figlio morto in combattimento, il vecchio Generale non ebbe altra scelta. Nello stesso momento in cui Dias si piantava il pugnale nel petto e Octavia ingeriva il contenuto del suo anello, la bandiera ribelle venne ammainata, e prima ancora che la carica di Aria potesse raggiungerli Severus e la sua guardia avevano già deposto le armi.

E così, la Battaglia di Hoselveck era conclusa.

Un’operazione durata dieci giorni aveva messo fine ad una guerra civile che andava avanti da dieci anni.

Il simbolo della Famiglia Montgomery era un’aquila bifronte. Per questo, nel giro di pochi giorni, in ogni angolo dell’impero tutti avrebbero parlato solo di lei: dell’Aquila dell’Eirinn.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Come promesso eccomi di ritorno a circa un mese di distanza con il quarto volume di questa mia light novel.

Ho voluto aspettare più tempo di quanto inizialmente previsto per mettermi in pari con la pubblicazione della versione inglese su wattpad, pertanto da ora in poi le storie dovrebbero essere rilasciate in contemporanea.

Con questo quarto volume la storia mette definitivamente il turbo, gli eventi inizieranno a susseguirsi con una certa rapidità e si andrà nel vivo dell’azione nel vero senso della parola.

A onor del vero, a circa metà di questo volume vi sarà una importante digressione che potrebbe aprire la strada a degli sviluppi inaspettati, ma ve ne parlerò meglio al momento opportuno.

A presto!^_^

Cj Spencer

   
 
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