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Autore: Johnee    08/03/2024    0 recensioni
Una storia parallela alla trama principale di Inquisition che concerne: due nevrotici, i traumi™, gufi appollaiati su trespoli impossibili e la ricerca della reciprocità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cullen, Hawke, Inquisitore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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33 – Prospettiva diversa


 

-Bizzarro. Davvero bizzarro.-
Cullen ignorò la voce e raggiunse Lavellan, che aveva appena terminato il suo sesto giro di corsa.
Si trovavano nel campo d'allenamento interno, alla caserma, perché l'area montuosa circostante era stata sorpresa da un temporale improvviso, iniziato a metà mattinata di un giorno particolarmente afoso e che si era protratto per i tre giorni successivi, senza alcuna intenzione di smettere. Intraprendere i sentieri alberati in quella situazione comportava il rischio di essere colpiti da un fulmine, quindi Lavellan e Cullen avevano deciso di comune accordo di rimandare il tentativo di salto qualora le condizioni meteorologiche li avrebbero assistiti.
Allora, Cullen aveva coinvolto il Toro, Blackwall e un paio di soldati per installare un percorso a ostacoli propedeutico all'acrobazia che Lavellan sarebbe andata a svolgere. Percorso che lei aveva affrontato sempre più brillantemente, eliminando gradualmente la fatica che aveva provato nei giorni precedenti.
La sua performance perfetta però forniva a Cullen un certo grado di perplessità. Non riusciva a capire come fosse possibile che Lavellan fosse in forma smagliante, eppure non riuscisse a compiere un volteggio che era ben poca cosa rispetto a ciò che le aveva preparato.
A dire il vero, il nuovo regime alimentare le aveva persino fornito più forza nelle gambe, garantendole una spinta e una resistenza maggiori.
-Ottimo lavoro.- disse Cullen, porgendole un asciugamano.
Lei se lo strofinò sul viso, poi se lo schiaffò sulla spalla. -Questa è robetta. Te la faccio camminando all'indietro, a occhi chiusi.- replicò, guardandolo di sottecchi. -Non c'è l'imprevisto.-
-Vuoi che ti rincorra con un bastone?- scherzò lui, incrociando le dita dietro alla schiena.
-Magari stanotte.- lo punzecchiò Lavellan. -Per te sono pronta per tornare sul campo?-
Cullen passò un'occhiata approfondita su di lei, prima di rispondere. -Fisicamente, si.- rispose. -Come ti senti, di testa?-
Lei prese un respiro profondo. -Va a situazioni. Il fatto che mi stiate sempre addosso mi costringe a... fare quello che devo fare.- spiegò, arretrando appena. -Penso che sia arrivato il momento che mi sforzi a far funzionare le cose da sola, senza coinvolgervi.-
-Hai i mezzi per farlo.-
-Significa che ora non ha più bisogno di te, lo sai vero?-
Cullen ignorò quell'intervento esterno, sforzandosi di sorriderle. -Possiamo comunque continuare con i pranzi e le cene. È una tradizione che aiuta tutti, a quanto pare.-
Lavellan ridacchiò, guardandosi attorno con un velo di malinconia in uno sguardo altrimenti sereno. -I problemi sembrano meno grandi, quando hai il tuo clan radunato attorno a un pasto caldo.- disse. -Per quello per me è sempre stato difficile aprirmi su certe cose che mi passano per la testa. I problemi degli altri sembrano sempre enormi, se comparati ai miei. Non ho mai realizzato che privarli di una voce li avrebbe resi così pesanti, dentro di me.-
-Eccola che ricomincia con la passione di Andraste!-
Cullen si impedì di dare adito all'ennesimo intervento acido che gli capitava di sentire.
-Non è facile abbandonare la diffidenza del tutto, ma con voi mi sento al sicuro.- concluse Lavellan.
-È reciproco, Lav.-
Lavellan gli rivolse un bel sorriso. -Lo so ed è il dono più grande che questa esperienza mi abbia dato.-
-Hai capito, l'ingrata? L'esperienza, non tu che l'hai aiutata ogni volta che ne avevi l'occasione.-
Cullen si voltò verso la fonte dell'intervento, per rivolgerle un'occhiata patibolare.
Hawke era seduto su una cavallina ginnica alla sua destra, con le gambe penzoloni e un sorriso malizioso sotto i baffi. -Finalmente!- disse, appoggiando le mani sulle cosce nello sporgersi verso Cullen. -Ora dille che ha rotto il cazzo con tutte queste pantomime da martire e parlate di cose davvero importanti.-
Cullen prese un respiro profondo, poi spostò lo sguardo su Lavellan, che lo osservava con una punta di apprensione.
-Che succede?- gli domandò.
Cullen minimizzò scuotendo il capo. -Una cosa da niente.-
-Niente?!- gemette Hawke, per poi scoppiare a ridere. -Vedi la gente morta!-
-Non è morto.- lo corresse Cullen, istintivamente.
Lavellan sollevò le sopracciglia, mentre lui stringeva le labbra, rendendosi conto di aver dato voce a ciò che stava pensando.
-Chiudiamo qui l'allenamento.- affermò lei, prendendolo per mano. -Andiamo a prepararci per il consiglio.-
Lui ritrasse il braccio, indietreggiando di un passo. -No, continua. Ci... ci vediamo lì.- borbottò, per poi dirigersi di gran carriera verso l'uscita. Lo sguardo preoccupato di Lavellan pesava sulle sue spalle come un macigno.
La proiezione di Hawke schioccò la lingua sul palato, con evidente disappunto. -Diamine, devo proprio insegnarti tutto? Ora penserà che sei nel mezzo di un'allucinazione e diventerà più insistente di quanto non lo sia stato tu in quest'ultima settimana.-
Cullen serrò la mascella, cercando di concentrarsi sul percorso che stava intraprendendo per ritornare al suo ufficio.
-Perché non le dici di me e basta?- insistette Hawke, che trotterellava al suo fianco, come un bambino in gita al mare. Di nuovo, Cullen provò a ignorarlo, ma durò poco.
Si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle, procedendo verso la scrivania per appoggiarci entrambe le mani. Prese un respiro profondo, a occhi chiusi, ripetendo a se stesso che Hawke non era reale, ma solo il risultato di un periodo stressante.
Quando sollevò le palpebre, però, si ritrovò di nuovo a fare i conti con Hawke, nel riflesso esatto della posa che lui stesso stava mantenendo. La sua mente aveva creato un'imitazione talmente realistica da risultare terrificante.
-Non sei stressato, sei spaventato.- lo corresse Hawke, impedendo al suo interlocutore di scindere il contatto visivo. -Lo so perché ogni volta che il contenitore nella tua testa si apre, io esco fuori per primo.-
Cullen deglutì. -No.-
Hawke inarcò un sopracciglio. -No?-
-La prima ad apparire, durante un'allucinazione è sempre Cassandra.- spiegò Cullen, arrendendosi all'idea di dover comunicare con qualsiasi problema si stesse manifestando di fronte a lui. -Perché è lei che deve tenermi sotto controllo.-
-Ora però è diverso, lo sai bene.- disse Hawke, appoggiandosi a sedere sul bordo della scrivania. Era il posto che occupava quando conversavano e quell'immagine mandò la testa di Cullen ancora più in confusione.
-Sono settimane che le cose vanno bene.- mormorò, con un accento di disperazione. -Perché adesso?-
Hawke si strinse nelle spalle. -Perché non riesci a gestire le cose come vorresti. La stai aiutando e lei si è dimenticata che anche tu hai bisogno di aiuto.-
-Non ho bisogno d'aiuto. Sto benissimo!- protestò Cullen, indignato.
Hawke si indicò, con aria divertita. -Fatti due calcoli.-
Cullen si passò entrambe le mani sul viso, pesantemente. -Creatore, aiutami! Eri una piaga da vivo e ora che sei...- si interruppe, per sbuffare.
-Da vivo? Oh, questa è carina!- esclamò Hawke, per poi emettere una risata sonora. -Bastardo incoerente! Continui a rimproverare Varric perché parla di me al passato e tu che fai? Metti la data di morte sulla mia urna a tradimento!- si alzò, per fare il giro della scrivania. -Hai troppi conflitti irrisolti nella testa, Culls. Hai bisogno di stare per conto tuo e riflettere.-
Cullen scosse la testa. -Non posso, Hawke. Devo aiutarla, per il suo bene e per il nostro bene.-
-Nostro? Globale o di coppia?-
-Una cosa non esclude l'altra.-
Hawke ridacchiò. -Ah, che grande uomo! Sempre a cercare di salvare tutti nel modo più eroico possibile.- disse, appoggiandogli le mani sulle spalle. -Hai visto anche tu che non ha davvero bisogno di te.-
-Cazzate! Ha bisogno di supporto e io sono il suo compagno. È mio dovere offrirle tutto l'aiuto di cui necessita.-
Hawke gli rivolse un'occhiata madida di rassegnazione. -Ti sta annichilendo, Culls. Lei che parla tanto di reciprocità, dovrebbe rendersi conto che il tempo che ti sta rubando potresti usarlo per curare quelli che sono meno fortunati di voi. Andiamo! Hai visto di quanta gente inutile si circonda? Si, quelli che ti svegliano di soprassalto durante la notte mentre ravvivano il suo caminetto, o quelli che le aprono le tende la mattina perché non è in grado di fare due passi senza che qualcuno le pulisca il sudore dalla fronte.- gli puntò un dito contro. -Lei è diventata tutto ciò che disprezzi e tu sei suo complice.-
Cullen scosse la testa, con convinzione.
-Con tutta la stoffa che usa per i suoi vestiti potreste vestire i profughi di mezzo Ferelden e con il tempo che perde la mattina a imbellettarsi, potresti andare e tornare da una qualsiasi Enclave e portare del vero aiuto a quelli che dice di stare rappresentando. E il suo segretario? Chi ha bisogno di un fottuto segretario? Se davvero è la donna più intelligente e organizzata che conosci, perché non è in grado di ricordarsi gli appuntamenti?- Hawke gli si parò davanti, afferrandogli il bavero del mantello. -Sei così accecato dall'amore che non ti rendi conto di quanto sia deleterio il suo stile di vita. Per te, per primo.-
Cullen rimase a fissarlo, inebetito dall'astio di cui le sue parole erano imbevute. -Lo penso davvero?-
-Dimmelo tu.-
In risposta, Cullen gli rivolse un'occhiata impregnata di disprezzo. -Posso essere oggettivo. Sto solo montando la situazione perché...-
Hawke alzò gli occhi al cielo. -Perché hai notato che la stai assecondando troppo e stai perdendo te stesso nel processo.- aggiunse, con un'evidente nota di disappunto nel tono di voce. -Sei innamorato perso di lei, lo so, ma devi costringerti a rivedere le tue priorità.- ribadì. -Devi stare bene per fare del bene.-
-Non posso, devo aiutarla a venirne a capo. Lo sai cosa significa affrontare un cambiamento del genere.-
Hawke allargò le braccia, con enfasi, per poi appoggiarsi le mani sul petto. -Stai parlando con un'allucinazione, Culls!- esclamò, alzando il tono di un'ottava. -Devi scegliere: o assecondi la tua compagna passivamente, rischiando di mandare all'aria tutto quello per cui hai lavorato, oppure prendi le distanze e riprendi da dove ti sei fermato.- fece una pausa. -C'è gente là fuori che ha davvero bisogno di te. I tuoi soldati hanno bisogno di te.-
Cullen chinò la testa, realmente in difficoltà. -Posso fare spazio per entrambi.- insistette, sentendosi in difetto nel fallire a dare una parvenza di convinzione alle sue parole.
Hawke alzò le mani in segno di resa. -Vedi te.- disse. -Anche se sai benissimo come la penso.-
Cullen sospirò. -Sono io quello che pensa, Hawke. Tu sei un'allucinazione.- disse, stancamente. -E neanche troppo convincente, dato che sono giorni che mi appari davanti e non mi hai fatto neanche uno scherzo.-
Hawke inclinò appena la testa. -Con la fantasia che ti ritrovi, non me ne viene in mente neanche mezzo.- si giustificò. -L'angolo del tuo cervello da cui esco è un chiasmo di sensi di colpa e fantasie omoerotiche.-
Cullen contrasse il viso in una smorfia infastidita. -Un vaso di vermi alla volta, Hawke, o non ne usciamo più.-
Quest'ultimo ridacchiò, scuotendo la testa con aria divertita.
Cullen accettò quella reazione con un mezzo sorriso. -Mi manca.- mormorò.
Hawke si sporse per appoggiargli una mano sulla spalla. -Allora non ti arrendere.- disse, poco prima di sparire, in un battito di ciglia.

Aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi a fare i conti con un sonoro batticuore, nella penombra della stanza dell'Inquisitrice.
Alla sua sinistra c'era un mormorio sommesso, localizzato a qualche passo dal letto, e voltandosi verso le scale, vide che Lavellan stava discutendo con il suo segretario di fronte a quello che sembrava un documento ufficiale.
-Che succede?- domandò Cullen, dopo essersi messo a sedere. Notò con la coda dell'occhio, stagliate sulla stoffa dei paraventi, una sagoma che ravvivava il fuoco e un'altra che sostituiva la caraffa d'acqua vuota con una piena fino all'orlo, sopra la scrivania.
-Notizie da Caer Bronach. Buone notizie.- rispose Lavellan, congedando il suo segretario con una pacca sul braccio, prima di ritornare a letto. -Charter ha riferito che non c'è traccia di Templari Rossi da Crestwood alla Costa. Intensificare le ronde ha aiutato.- gli spiegò, stringendosi nella vestaglia.
-Non poteva proprio aspettare domani mattina?- domandò lui, infastidito.
Lavellan inarcò un sopracciglio. -Ho chiesto di essere aggiornata sulla situazione in tempo reale.- rispose.
-Valeva la pena disturbare il tuo sonno per una cosa del genere?-
-Sì.-
Cullen si passò una mano dietro al collo, nervosamente.
Lavellan gli appoggiò una mano sulla spalla, intuendo che si stesse portando appresso le conseguenze di un brutto sogno. Stando bene attenta a non urtargli le gambe, si appollaiò di fronte a lui. -Va tutto bene, vhenas?- chiese, cercando le sue mani sulle coperte.
Cullen si crogiolò nel fastidio abbastanza a lungo da stufarsene, poi, una volta ripresa la calma per affrontare una conversazione, strinse la presa. -Lav, partirai a breve. Devi riposarti il più possibile, o arriverai a Emprise a pezzi.- la rimproverò.
Lavellan lo osservò con cura, quindi gli rivolse un sorriso pacato. -Hai ragione. Dirò a Shaan di aggiungere le notizie che arrivano durante la notte nel plico del mattino.- disse. -Mi dispiace averti svegliato.-
Cullen, lieto che l’avesse ascoltato, le baciò le mani, poi si distese nuovamente. -Non preoccuparti, ero già sveglio.- la rassicurò.
Lavellan si infilò sotto le coperte, al suo fianco. -Vuoi parlarne?- gli chiese, carezzandogli i capelli con dolcezza.
Cullen si rigirò sul letto, voltandosi nella sua direzione. -Ora che mi sei vicina, non sento più il bisogno di lamentarmi.- disse, in un sussurro.
Lavellan si accoccolò tra le sue braccia, con un sorriso compiaciuto. -Me ne ricorderò domani, in sede di consiglio.- scherzò, appiattendo la guancia sul suo petto mentre sollevava lo sguardo su di lui.
-Mi rimangio quello che ho detto.-
-Troppo tardi.-
Cullen gemette un verso di disapprovazione, ritornando a sdraiarsi supino. Lavellan gli fu subito appresso, ridendo. Salì a cavalcioni sul suo bacino, raddrizzando la schiena per slacciarsi la vestaglia.
Lo sguardo di Cullen si perse tra le sue curve, con aria rapita. -E chi dorme più, adesso?- commentò, a ridosso delle sue labbra, prima che si abbandonassero a un bacio appassionato.
Dal di là dei paraventi, un rumore di cocci infranti e un’imprecazione.
Cullen si mise a sedere di scatto e avvolse subito Lavellan nella vestaglia, cercando di coprirla il più possibile. Nonostante fossero schermati adeguatamente dai paraventi, la protesse con il suo corpo finché non si fu resa presentabile.
-Mi dispiace.- balbettò una vocina, accompagnata da un rumore sferragliante.
-Non ti preoccupare, ci penso io domani.- disse Lavellan, mentre Cullen affondava un’espressione tesa tra le mani e si massaggiava la fronte.
La persona però continuò a raccogliere i cocci e finì il lavoro, andandosene molto dopo essere stata tranquillizzata. Lasciò il mezzanino squittendo un altro “mi dispiace” e si chiuse la porta alle spalle.
Lavellan allora si azzardò a guardare in viso Cullen, trovando ad aspettarla un’espressione terrificante.
-Non è possibile.- scandì lui, stringendo le coperte tra le dita.
Lavellan sospirò. -Non ti preoccupare. Domani mattina mi inventerò qualcosa per sistemare le cose.-
-Bene, così verrò accusato di disturbare la quiete. Di nuovo.- protestò lui.
Lavellan mantenne la calma. -Sto cercando di venirti incontro.-
-No, tu non ti rendi proprio conto di quello che sta succedendo.- tornò alla carica lui, voltandosi completamente nella sua direzione. -Non sono qui per perdere tempo, sono qui per darti una mano. Non puoi concentrarti sulla tua salute con tutta questa gente intorno a stressarti.-
Lavellan si inginocchiò sul letto, davanti a lui. -L'unica persona che mi sta stressando qui dentro sei tu.- lo corresse, con una nota di fastidio nel tono di voce. -Io te l'avevo detto che passare la notte qui sarebbe stata una pessima idea, ma tu non hai voluto ascoltarmi.-
-Ah, io ti starei stressando? E le venti persone che entrano ed escono dalla tua stanza alle peggio ore della notte?-
-Sono di famiglia e stanno facendo il loro lavoro.-
-Beh, perché punzecchiare il focolare durante la notte è un lavoro estremamente impegnativo che richiede addirittura tre persone diverse per essere svolto. Guarda, è secondo solo al tizio che ti raddrizza i documenti sul tavolo!-
-Cullen, come gestisco il mio staff è affar mio.-
-Non è uno staff, è personale inutile che fa roba inutile! Che te ne fai di tutta questa gente? Sei così pigra da non riuscire a piegarti un lenzuolo da sola?-
Lavellan lo fissò per qualche secondo, basita, poi sollevò l'indice nella sua direzione, con un'espressione in viso talmente seria da fare invidia a un Custode Grigio. -Ora mi ascolterai attentamente e giuro sull'anima della mia Guardiana che se mi interrompi ti sbatto fuori.- iniziò. -La maggior parte della gente che lavora nel mio staff non ha niente, non è niente e là fuori ha la stessa speranza di sopravvivere di uno scarafaggio dal calzolaio. In più, è profondamente traumatizzata.- prese fiato. -Qui possono imparare un lavoro, crearsi dei contatti, trovare abbastanza sicurezza in se stessi per reagire e, una volta nel mondo umano, hanno delle credenziali abbastanza valide per guadagnare qualcosa. Non osare più, nemmeno per scherzo, usare la parola “inutile” riferita alla mia gente.-
-Era ovvio che non intendessi quello! Volevo dire...-
Lavellan sollevò l'indice nuovamente, per zittirlo. -Mi hai appena accusato di essere pigra, ingrata nei tuoi riguardi e incapace di gestire il mio staff. Nessuno ti costringe a stare qui e ho fatto qualsiasi cosa fosse in mio potere per accontentarti, riparando alle situazioni che ti creavano disagio mano a mano che me ne accorgevo. Dato che siamo adulti e siamo ben oltre l'imbarazzo di aver paura di dirci le cose in faccia per non ferirci, è incredibilmente ingiusto che tu mi aggredisca in questa maniera.-
-Lasciamo perdere, per favore.-
-No che non lasciamo perdere! Tu ti scusi. Poi possiamo lasciare perdere.-
Cullen si passò una mano sul viso, stancamente. -Io sono qui, lontano dalla mia zona di conforto, a cercare di darti una mano a superare un problema difficile e devo pure prostrarmi?-
Lavellan sbuffò una risata tutto fuorché divertita. -Ah, quindi solo perché mi stai aiutando sei legittimato a trattarmi come un’imbecille?-
Cullen fece per replicare, ma si impedì di farlo, resosi conto che il suo orgoglio lo stava portando a ferire entrambi. Prese un bel respiro profondo, per distendere i nervi, poi spostò la testa altrove. -Non volevo mancarti di rispetto, Lav.- disse. -Mi dispiace.-
Lavellan rilassò gradualmente la postura. -Così va meglio.- disse, in un soffio. Rimase in silenzio abbastanza a lungo, per permettere a entrambi di processare la situazione razionalmente. -Dispiace anche a me.- disse, dopo un po'. -Se sei arrivato ad aggredirmi in questo modo, significa che sei al limite.-
Si scambiarono un'occhiata macchiata di desolazione, mentre le loro mani si cercavano sopra la coperta, alla ricerca di conforto.
-Come posso venirti incontro?- domandò Lavellan, stringendo la presa.
Cullen esplorò il suo viso con lo sguardo, cercando di decifrare la sua espressione nella penombra. -Non lo so proprio, amore mio.- ammise. -Non posso portarti via da qui, se non per qualche ora. Allo stesso tempo, non posso restare, o rischierei di impazzire.- fece una pausa, per raccogliere le idee. -Sono pronto a fare il passo successivo, ma non posso permettere che la nostra storia sia così esposta. Capisci quello che intendo?-
Lavellan annuì piano. -Per quello non volevo che venissi. Sapevo che avrebbe rovinato tutto.- disse, con un filo di voce. -Avrei dovuto insistere di più.-
Cullen la guardò dritta negli occhi. -Non sarà una litigata a cambiare quello che provo per te e quello che voglio con te.- la rassicurò.
Lavellan contrasse il viso in una smorfia che era un misto di paura e sorpresa, poi si riebbe. -Ero certa che...- disse, per poi zittirsi.
Cullen si sporse per baciarla, mettendo a tacere definitivamente l’opzione di separarsi. Lei, che a quel punto della sua vita era talmente abituata a farsi scaricare al primo segnale di crisi, andò letteralmente in cortocircuito. Rimase in silenzio a fissarlo con tanto d’occhi, sicura di trovarsi davanti a una chimera, criniera, corna e serpenti inclusi.
Si riebbe solo quando Cullen la scosse, preoccupato che stesse per avere una crisi di qualche tipo. Considerato che di fronte a lui c’era un agglomerato di traumi e brutte esperienze grosso quasi quanto il suo, sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa.
-Scusa, ero convinta che stessi cercando le parole per lasciarmi.- disse, sentendosi ridicola a dare voce al suo timore.
Cullen distese i muscoli del viso. -Sarei molto stupido a farlo.- ammise, tranquillamente. Cercò un suo abbraccio e lo ottenne. Entrambi ne avevano un bisogno vitale, soprattutto a causa di ciò che quel litigo presupponeva.
-Non ho mai amato così tanto nessuno in vita mia. A volte, questa cosa mi manda in crisi.- mormorò lui, appoggiando la fronte sulla sua.
Lavellan capiva benissimo a cosa si riferisse. -Pensi che affidarti troppo a me rischi di annullare ogni tuo progresso, soprattutto adesso che entrambi stiamo vedendo la luce. Che quello che c’è tra noi possa distrarti troppo dal tuo compito, quando ci sono così tante cose da fare.- elaborò.
Cullen raggiunse il suo viso con una carezza. -Siamo in due?- chiese, con l’insicurezza nei lineamenti.
Lavellan accennò un sorriso. -Già. Forse Shaan ha ragione a dire che dovremmo rallentare. Più aumentiamo il passo di marcia, più sale la paura di fare un passo falso e perderti. Perderci.- si corresse. -Non penso che sopravviverei alla botta.-
Cullen chinò lo sguardo sulle loro mani allacciate. -Nemmeno io.-
Un silenzio assorto li assalì. Non avevano mai trovato scogli nella loro relazione, vivendola minuto per minuto con la certezza che fossero un incastro perfetto. Purtroppo, non avevano tenuto conto che se avessero voluto passare allo stadio successivo, avrebbero dovuto rinunciare a molti aspetti della loro vita che fino a quel momento li avevano contraddistinti e che avevano dovuto lottare con le unghie e con i denti per ottenere.
In testa loro, ogni soluzione aveva breve termine e rischiava di covare altri problemi insormontabili che conducevano verso un’insoddisfazione delle singole parti che a lungo andare li avrebbe divisi.
-Non posso cambiare le cose senza metterli in difficoltà.- spiegò Lavellan, dopo un po’. -La mia gente dipende da me e non posso tenerli in giro per Skyhold senza uno scopo, o senza dargli i mezzi per cavarsela una volta che saranno fuori da qui.-
Cullen deglutì. -Voglio che sia ben chiaro che non ti sto chiedendo di scegliere tra me e loro.-
-Lo so.- Lavellan chinò il capo, chiudendo gli occhi e stringendo la mascella. -Così come a me non verrebbe mai di chiederti di sacrificare tutti gli sforzi che hai fatto per guarire solo per amore.- esalò il respiro dal naso, nervosamente. -Non so davvero come comportarmi.- dichiarò, tornando a instaurare il contatto visivo con una certa frustrazione nello sguardo.
Cullen per una volta si prese carico del ruolo di individuo più razionale della coppia. -Dobbiamo fare un passo indietro e ritrovare la nostra individualità. Vedere le cose da una prospettiva diver...- si zittì, ritraendo il capo, colto da un’illuminazione.
Lavellan indossò uno sguardo speranzoso.
Lui scivolò giù dal letto velocemente, recuperando al volo la camicia mentre aggirava un paravento per dirigersi verso la terrazza. Lavellan osservò la sua marcia senza capire le sue intenzioni, finché lui non fu di ritorno, zoppicante e con gli stivali sottobraccio. Di sicuro, aveva calpestato una scheggia di coccio sfuggita dall’opera di pulizia.
-Vestiti.- le disse, facendole cenno di scendere dal letto.
Lavellan, curiosa di natura, lo assecondò, così come lo assecondava tutte le volte in cui agiva d’impulso. Ne valeva sempre la pena.
E il fatto che non si fosse pettinato e avesse lasciato l’armatura nelle sue stanze, le fece sperare che qualsiasi cosa sarebbe successa, lui era disposto a tutto pur di salvare la situazione.
Lo seguì al di là dalla porta e quando ebbero raggiunto il primo piano, entrambi vennero accolti da una costellazione di occhi luminosi.
-Va tutto bene.- li rassicurò Lavellan, concentrandosi su due figure in particolare. Shaan infatti stava curando le dita di una cameriera molto giovane che piangeva a dirotto.
Cullen frenò la sua marcia, assumendo un’espressione desolata. -Davvero, non è successo niente. Nessuno è arrabbiato con te.- confermò, per poi continuare la discesa. Lavellan gli corse appresso, con lo sguardo inquisitore di Shaan ad accompagnarla.
-Ci hanno sentiti, suppongo.- borbottò Cullen, che macinava gradini a velocità sostenuta.
Lavellan non ebbe problemi a stargli appresso. -Non pensarci.- tagliò corto.
Ricevette un lamento di disapprovazione in tutta risposta.

Uscirono dal vestibolo del salone, fino al cortile. Dal cortile raggiunsero i cancelli. Dai cancelli il ponte. A quel punto, Cullen rubò una torcia dalla guardiola, sotto lo sguardo curioso dei soldati di ronda.
Lavellan intuì subito dove la volesse condurre.
-Sei serio?- gemette, osservando dubbiosa la patina di umidità che rivestiva il ponte nella sua interezza. Per fortuna, il cielo era coperto a sprazzi, quindi l’unica luna visibile e le stelle riuscivano a fornire una sorta di illuminazione diffusa. Per lei, almeno.
-Sono serissimo.- rispose lui, senza voltarsi, certo che gli stesse camminando di fianco. -Sono passati troppi giorni, quindi la scommessa l’ho persa, ma ha smesso di importarmi quando ho visto la mole di miglioramenti che hai fatto nell’arco di pochissimo tempo.- spiegò. -Stasera sono sicuro che ce la farai.-
Lavellan ammiccò, spalancando le braccia. -Vhenas, è buio pesto e il terreno è talmente fangoso che la rincorsa me la sogno.- protestò.
-Farai il salto. Oggi.- ribatté lui, con una determinazione che zittì ogni protesta.
Dato che lei ci vedeva abbastanza, prese la testa della fila non appena inforcarono il sentiero. Non si rese conto che non solo il fiato aveva smesso di rompersi, ma anche la sua andatura si era fatta più sicura.
Per aiutare il suo compagno a vederci meglio, si sforzò di sfilarsi il guanto che le proteggeva la mano sinistra, permettendo all’Ancora di fornire luce laddove la torcia non arrivava.
Una volta alla radura, le previsioni di Lavellan si concretizzarono. La vegetazione copriva quella poca luce che fornivano luna e stelle, inoltre il terreno era così spugnoso che gli stivali affondavano fino al tendine del calcagno.
Mentre Lavellan osservava le situazioni morfologiche con aria incerta, a ridosso della preoccupazione, Cullen mise la torcia in equilibrio su un masso e si mosse verso la parete rocciosa. -Fai un tentativo.- la invitò.
-Vhenas...-
-Assecondami, per favore.-
Lavellan saggiò il terreno con la punta degli stivali, alla ricerca di un percorso stabile, ma non lo trovò. Provò a correre per un metro, ma il terreno era così irregolare da farla barcollare. -Devo farlo da ferma.- annunciò, sorpassando Cullen per portarsi a ridosso dell’ostacolo.
L'erba era appiattita in più punti, segno che qualcuno si era trattenuto lì molto recentemente. Un biscotto schiacciato e dei tagli freschi di spada sulla corteccia di un pino furono ottimi indizi per capire l'identità di quelle persone.
Si sfilò la giacca, lanciandola a terra bruscamente, poi prese a fare qualche saltello sul posto, per distendere i nervi.
La parete di roccia parve alzarsi di un chilometro mentre Lavellan la guardava.
Cullen non disse nulla, limitandosi a osservarla con attenzione.
Lavellan prese un respiro profondo, poi saltò.
Riuscì ad afferrare un appiglio più basso rispetto a quello a cui di solito si affidava. Usò le punte dei piedi per darsi la spinta e raggiungere il suo solito punto di partenza, quindi si issò, saltò verso l’appiglio successivo e approfittò della spinta per darsi la rincorsa verso quell’appiglio che nei giorni precedenti era diventato la sua nemesi.
Poté sentire la granulosità della roccia sulla punta delle dita mentre precipitava nel cespuglio di fragoline.
Rimase imbambolata a fissarsi la mano destra, mentre Cullen la raggiungeva.
-C’ero quasi.- disse lei, mostrandogli la mano.
Lui le porse un braccio per aiutarla a rimettersi in piedi. -Ho visto.- commentò, come se stesse rilasciando un respiro che aveva trattenuto troppo a lungo. -Prima di riprovare, seguimi.-
Una volta in piedi, Lavellan si ritrovò la mano sinistra allacciata in una stretta delicata. Invece di condurla nuovamente alla parete, Cullen la portò a cinque metri di distanza da essa e prese a osservarla.
-Smetti di guardare la soluzione logica e agisci per convenienza.- le suggerì, senza smettere di tenerle la mano.
Lavellan strinse lo sguardo, esplorando la parete rocciosa per cercare di vederla da una prospettiva diversa. Era quello che faceva ossessivamente ogni volta che le capitava di restare da sola con i suoi pensieri, quindi non riuscì a trovare un’utilità concreta a quell’esercizio.
-Vengo qui ogni sera, e ogni volta mi chiedo perché cavolo ti sei impuntata su quell’ostacolo.-
-Perché è l’unico modo di salire in sicurezza.- spiegò lei.
-E quello?- domandò lui, indicandole un appiglio a due metri di elevazione dalla rientranza che lei usava per prendere la rincorsa e saltare verso l’appiglio che mancava di afferrare.
Lavellan scosse il capo. -Perché è troppo friabile, non reggerebbe il mio peso se lo usassi per issarmi. Perderei la presa e non avrei modo di recuperare semmai cadessi.-
-Non devi usarlo per issarti, devi usarlo come appoggio temporaneo per arrivare lì.- le indicò un appiglio poco più in alto.
Lavellan a quel punto era confusa. -E come dovrei arrivarci?-
-Correndo in verticale.- le rispose Cullen, tranquillamente.
-D’accordo che sono agile, ma non ho ancora sbloccato la levitazione.-
Cullen le rivolse un sorriso dubbioso. -Oggi pomeriggio ti ho vista fare un salto mortale all’indietro, centrare un bersaglio in volo e percorrere una parete intera di corsa. Se non l’hai sbloccata, ci sei vicina.-
Lavellan si strinse nelle spalle. -Come ti ho detto, quel genere di pratica non è applicabile nella vita reale.- indicò la sua nemesi. -Quello è l’imprevisto di cui parlavo prima. La cosa che separa la tecnica dalla sua applicabilità sul campo.-
Cullen passò uno sguardo divertito su di lei, poi prese a ridacchiare.
-Che cosa ho detto di tanto esilarante?- protestò Lavellan, esasperata.
-Che se in missione ti ritrovassi in una situazione del genere- racchiuse la radura con un gesto circolare del braccio -useresti tutto quello che si trova intorno a te anziché concentrarti unicamente sulla salita.-
Lavellan aggrottò la fronte, iniziando a osservare l’ambiente da un’altra prospettiva. Nella sua testa, il percorso su cui si era impuntata si arricchì di nuovi appigli da considerare, dati da una betulla, che cresceva a un metro di distanza dal punto in cui appoggiava il piede destro per iniziare i volteggi, e un abete bianco, il cui tronco massiccio era poco distante dal cespuglio di fragoline sul quale atterrava regolarmente.
-Oh.- esalò sommessamente, ricordandosi che il secondo era lo stesso albero sul quale tirava i resti dei biscotti di Sera quando si ritrovavano per allenarsi. Era circondato da alberi più giovani, i cui tronchi erano più glabri e meno resinosi.
Cullen le lasciò la mano, per incrociare le braccia sul petto. -Ce l’hai?- le chiese.
Lavellan, una volta finito di esaminare il tassello mancante, annuì con decisione. Si mosse verso l’abete, saltellò sul posto per constatare la solidità del terreno ed emise un verso di pura soddisfazione.
Allora, prese una breve rincorsa, si aggrappò alla base di un ramo con un cat leap, si issò su di esso e lo usò come trampolino di lancio per un altro volteggio. Usò il tronco di un abete più giovane per raggiungere un ramo più alto dell’abete di partenza, si dondolò abbastanza per sfruttare lo slancio e afferrare un ramo più spesso, che le avrebbe permesso di raggiungere una nodosità della corteccia abbastanza solida da concederle di fermarsi e analizzare la situazione.
La sua nemesi era poco più in alto. Avrebbe dovuto salire ancora.
Cullen la osservò arrampicarsi senza sforzo, raggiungere l’altezza del suo ostacolo e sorpassarla di qualche metro. Quando la vide fermarsi, trattenne il fiato.
Lavellan non osò deconcentrarsi, nonostante avesse la vittoria a portata di mano.
In un angolo recondito del suo cervello, c'era una voce fioca che le elencava tutte le volte che aveva provato e fallito, ma il bosco attorno a lei era più rumoroso.
-Vola dritto e non vacillare, piegati senza romperti, uniti siamo più forti della solitudine.- mormorò, in elvhen.
Mentre scioglieva le braccia, Cullen guardò lei, poi la parete di roccia, con una grande aspettativa nello sguardo.
Per un attimo, la vita si fermò, facendo sprofondare il tempo nel silenzio.
Poi Lavellan saltò verso la parete.
-Sì!- gridò Cullen, indicandola. -Sì!- ripeté, mentre lei non si dava il tempo di festeggiare per concludere il lavoro.
I movimenti del suo corpo anticiparono la paura di fallire, permettendole di visualizzare gli ostacoli e usarli a suo vantaggio.
Saltò, volteggiò, usò la rinnovata forza che aveva nelle gambe per darsi la spinta e trattare quella parete insormontabile come una stupidissima scala, perché non era niente in confronto a quello che veniva dopo. Non era niente in confronto al contesto.
Non si sorprese di essere arrivata in cima, piuttosto, provò un enorme senso di pace, per la prima volta dopo secoli.
Prese un respiro profondo, a occhi chiusi, trattenendo l'aria nei polmoni il più possibile prima di rilasciarla, depurandosi così da tutto ciò che l'aveva costretta con la faccia a terra fino a quel momento. -Ma melava halani, Andruil.- mormorò, sommessamente.
Le fronde dei pini applaudirono la sua impresa con un fruscio composto.
Si sedette sul ciglio della parete di roccia, agitando una mano in direzione di Cullen. Quest’ultimo la guardò con fierezza, realmente contento che ci fosse riuscita, dopo giorni di tentativi andati a vuoto. Se lo meritava.
Le rivolse un bel sorriso, facendole cenno di raggiungerlo.
Lavellan ricambiò, davvero grata, poi discese la parete, finalmente consapevole che il peggio fosse passato.
-Che ti avevo detto?-
Lavellan non rispose, preferendo stringerlo tra le braccia.
Tra il sussurrare degli alberi e il sibilare del vento tra le fronde, si scambiarono uno sguardo carico di soddisfazione, poi di speranza.

Una volta tornati nelle stanze dell’Inquisitrice, fangosi e scarmigliati, si abbandonarono a sedere sul bordo del letto, con un sospiro di sollievo.
-Una volta mi hai detto di non volere niente che io non potessi darti.- disse lui, con una nota di stanchezza nel tono di voce. -E finora, mi sembra di averti sempre dato tutto quello che potevo. Anche di più, a costo di annullarmi.-
-Non è quello che intendevo e di certo non è quello che voglio, vhenas.- dichiarò lei, raccogliendo la sua mano per stringerla.
-Nemmeno io. E vale per entrambi. Non voglio che la mia presenza sia un problema, e non voglio che il nostro rapporto diventi un ostacolo per te.- fece una pausa. -Hai visto di che cosa siamo capaci, quando lavoriamo insieme.-
Lavellan gli rivolse un sorriso malinconico. -Siamo inarrestabili.-
-Diamine, sì!- esclamò Cullen, guardandola con occhi carichi d’affetto. -Riusciremo a trovare una soluzione, dobbiamo solo… cercare una prospettiva alternativa.-
Lavellan ricambiò lo sguardo. -Facciamo come dici, allora.- disse. -Se dici che ho i mezzi per proseguire da sola, ti credo.-
Scese un silenzio duro e freddo, doloroso come una scheggia di vetro appena calpestata.
Continuavano a tenersi per mano, stringendo forte la presa perché nessuno dei due aveva intenzione di allontanarsi dall'altro. Nonostante si trovassero di fronte a un bivio senza indicazioni, preferivano restare a osservare i cartelli vuoti, anziché percorrere le strade di fronte a loro singolarmente, affidandosi all’idea di una futura congiunzione.
Lavellan si schiarì la voce, con grande difficoltà. -Io, ah... se vuoi andartene adesso, a me sta bene.- disse, rauca. -Non voglio trattenerti un secondo di più, sapendo che stare qui ti rende infelice.-
Cullen esitò, perché da un lato quelle parole gli stavano togliendo un gran peso, dall'altro lo ferivano ferocemente al cuore. Istintivamente, la abbracciò con tutta la forza che aveva nelle braccia, sperando che in quella maniera si dislocassero in un mondo parallelo, dove pestarsi i piedi a vicenda era un problema solo per il ballo.
Lei ricambiò, aggrappandosi alla sua schiena per trattenerlo il più possibile nel suo, di mondo, prima che ritornasse a essere orribilmente solitario nella sua confusione.
Rimasero abbracciati a lungo, per poi scambiarsi un bacio che sapeva di sale e di inevitabilità, finché Lavellan non riuscì a trovare la forza di allontanarsi.
-È temporaneo. Giusto il tempo di trovare una soluzione.- mormorò lui, prendendole il viso tra le mani. In cuor suo però sapeva che senza le condizioni per respirare, anche la pianta più resistente è capace di avvizzire.
Lavellan prese un respiro profondo, a occhi chiusi, colpevole di aver fatto lo stesso identico pensiero. -Lo so.- disse, avvolgendogli i polsi tra le dita per liberarsi. -Manca poco all'alba, vhenas.- aggiunse, con un filo di voce.
Cullen annuì, sciogliendola subito dalla presa per procedere a rivestirsi. Sentì di non avere le forze di farlo adeguatamente, perché la tristezza di Lavellan lo attirava come la più potente delle calamite e lui si odiava profondamente per aver ceduto all'egoismo, in quel momento estremamente fragile per lei. Allo stesso tempo, però, sapeva che entrambi ne avrebbero beneficiato, quindi si fece coraggio e finì di indossare l’armatura.
Una volta in ordine, si voltò verso di lei, con il cuore in gola. Fece per dire qualcosa, ma Lavellan lo dissuase, rivolgendogli un sorriso struggente e malinconico. -Non preoccuparti, me la caverò.- lo rassicurò.
Cullen si soffermò a osservarla per diversi istanti, prima di parlare. -Lo so.- rispose, semplicemente, poi si fece violenza e prese la via delle scale (ironicamente vuote), per impedirsi di correre da lei e nullificare una risoluzione necessaria.
Lavellan rimase immobile a fissare i suoi stivali, talmente concentrata a ripetersi di non essere lei il problema da non avere la forza di spogliarsi e rimettersi a letto.
Più se lo ripeteva, andando controcorrente rispetto alla frana che erano i suoi pensieri in quel momento, più il suo corpo si infiacchiva.
Sollevò lo sguardo giusto perché Shaan era entrato nel suo campo visivo. Si era accucciato di fronte a lei, con aria interrogativa.
-Ha solo bisogno di spazio.- si affrettò a rispondergli, asciugandosi le lacrime. -E non c’è niente di sbagliato in me.- concluse, come se stesse recitando una poesia a memoria.
Shaan imprecò sottovoce, mentre la tristezza si impossessava dei suoi lineamenti. -Ir abelas, lethallin.- disse, raccogliendo le sue mani tra le proprie.
-Lasciami sola, per favore.- disse lei, senza reagire al tocco.
-Banal.- rispose lui, avvolgendola in un abbraccio.
Lavellan non ci provò nemmeno a divincolarsi. Piuttosto, si strinse a lui e si concesse di abbandonarsi a una sacrosanta disperazione.


 



 
💅Gloss💄
Ir abelas, lethallin: Mi dispiace, amica mia.
Banal: Mai.


-Note-
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Beh, che dire follettine e follettini, c’è del “ah, ma forse se corro addosso a un muro coi freni rotti ci sbatto forte”, assieme a un bell’assortimento di cucchiai. Just bear with me

 
   
 
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