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Autore: Glenda    08/03/2024    3 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Luxei sapeva che quel giorno prima o poi sarebbe arrivato, ma aveva sperato di non trovarsi di fronte proprio lui. Quel ragazzo – era un uomo, ormai – gli aveva concesso cieca fiducia: aveva messo la sua vita nelle mani di quattro Persuasori, gli uomini che in teoria avrebbe dovuto temere più di tutti e da cui avrebbe fatto meglio a nascondersi per sempre. Lo aveva fatto per un ideale, perché pensava di non potersi concedere un futuro felice se quel futuro non era concesso anche agli altri.

“Leu…”

La discromia degli occhi aveva sempre conferito al suo volto un’espressione inquietante, ma il suo sorriso sfacciato la sdrammatizzava: era stato così fin da piccolo, accattivante, egocentrico e provocatorio.

“Uff! Quanto mi hai fatto camminare! Se non sapessi che hai la pellaccia dura, ti avrei dato per morto. Ma è evidente che sei vivo e vegeto, quindi avrai anche un sacco di spiegazioni da darmi!”

Quel mattino Luxei era uscito per recarsi a Villanuova a fare una commissione e, prima di aver percorso pochi passi fuori dall’enclave, Leu l’aveva intercettato: pareva sfinito e aveva l’aria di uno che ha viaggiato per giorni, ma questo non bastava a togliergli dal viso un’irriverente cipiglio di sfida.

“Non dovresti essere qui!”

Non erano le parole che avrebbe voluto rivolgergli: avrebbe piuttosto voluto abbracciarlo, chiedere perdono e poi… E poi niente, perché le cose non sarebbero mai andate così.

“Perché non dovrei? Siamo in mezzo alle terre selvagge, quaggiù: come ci resisti? E comunque, se avessi voluto essere proprio spudorato avrei bussato alla porta dell’enclave ed avrei chiesto di te! Che ci sarebbe stato di male? Sono solo una tua vecchia conoscenza che passava per caso da queste parti, magari uno dei tuoi amanti o uno dei tuoi numerosi figli illegittimi lasciati in giro per il mondo, perché no?”

Era diventato ancora più logorroico di come lo ricordava: parlava con una velocità tale che spesso si mangiava qualche lettera.

“Le mie vecchie conoscenze non dovrebbero sapere che mi trovo qui, appunto.”

“Nemmeno i figli illegittimi?” e gli fece l’occhiolino.

A Luxei sfuggì un sorriso intenerito.

“Nemmeno quelli.”

“Che peccato! Vabbè, questo almeno tranquillizzerà Iruvàn: ma non credo gli basti!”

Sentir pronunciare quel nome ebbe l’effetto di una coltellata.

“Come sta?” chiese, fingendo naturalezza.

“Come vuoi che stia? È Iruvàn. Motivato, appassionato, tormentato, implacabile e pronto a tutto, in una parola: esaurito. E tu non lo aiuti.”

“Xau è con lui, adesso? Iruvàn vede ciò che vedi tu?”

“No. Ma niente ti assicura che io non ti stia mentendo. Beh, a meno che tu non provi a leggermi, così valuteresti quanto bravo sono diventato a resistere! Chissà se sarei capace di chiudere la mia mente a Luxei in persona, il grande Persuasore di Ricordi, la spia che tutti i Nove avrebbero voluto al proprio servizio!”

Si erano rivisti da pochi minuti e già voleva parlare di politica.

Era per politica che Leu era diventato uno di loro: per politica era stato pronto a far saltare l’anonimato che lui e il fratello avevano mantenuto per anni, salvandosi così la vita. Odiava le Famiglie, odiava i Persuasori, odiava il modo in cui veniva amministrata la giustizia, odiava un potere che sbandierava il concetto di Umanità e poi privilegiava pochi fortunati e decideva arbitrariamente, in base ad un sistema tutto teorico, chi fosse umano e chi no.

“Non leggerò nei tuoi pensieri, Leu.”

“Ed io invece pagherei per leggere nei tuoi.”

Si fece serio, lo fissò negli occhi, e poi ruotò lo stesso sguardo in giro, ad accertarsi che fossero soli.

“Dobbiamo parlare,” disse “e non qui in mezzo alla strada. Hai diritto di darci una spiegazione credibile sul perché stai ancora giocando a fare il reietto nell’Oltrefrattura dopo che la Serratura si è rotta.”

La spiegazione sarebbe stata tanto semplice, ma non per questo credibile, e soprattutto non accettabile.

La spiegazione – quella onesta, chiara al suo cuore – era che non se la sentiva più: tutto ciò che avevano progettato insieme e che allora gli era sembrato giusto, oggi gli faceva orrore. Non voleva diventare un assassino e non voleva che lo diventassero loro: non voleva che quel crimine venisse commesso. Aveva vissuto gli ultimi quindici anni ignaro dei propri intenti, della propria rabbia, della congiura che aveva ordito lui stesso e quegli anni erano stati i migliori della sua vita. Aveva amato essere un reietto nell’Oltrefrattura, aveva amato fare l’addestratore in quell’enclave dimenticata da Dio, ma più di ogni altra cosa aveva amato Yèlveran. Accanto a lui, l’odio si era svuotato, le priorità si erano capovolte e nel suo animo si era insediata una certezza: quella che avevano deciso di compiere non era violenza necessaria, era solo crudeltà gratuita.

Come dirlo a Leu?

Come dirlo a Iruvàn, che per la loro causa aveva sacrificato tutto?

Non poteva essere onesto. Doveva mentire ai suoi complici ed amici per guadagnare altro tempo, il tempo che serviva a Yèlveran per sventare una strage e per mettere se stesso al sicuro.

 

Erano passati più di vent’anni da quando aveva conosciuto Iruvàn: a quel tempo Luxei era da poco diventato addestratore ed era stato assegnato all’enclave in cui quel giovane promettente stava perfezionando la Persuasione del Cuore. La prima impressione che ne aveva ricevuto era stata che avesse scelto quell’arte per comodità: aveva fascino e carisma da vendere, abile comunicatore, disinvolto in tutti i contesti, seducente e magnetico, sapeva bilanciare perfettamente empatia e distacco e giocare a stregare il prossimo era per lui una specie di passatempo. Gli altri lo guardavano con invidia e un po’ di sospetto: proveniva da un piccolo villaggio di campagna all’estremo sud, lontano da qualsiasi centro abitato degno di tale nome, e, per quanto l’accesso alle enclavi non fosse limitato da alcuna barriera sociale, per quanto a qualsiasi individuo che ne avesse i requisiti fosse permesso di apprendere una Persuasione, il fatto che dei selezionatori si fossero recati a cercare materiale umano in un paese di quattro case era un evento piuttosto singolare.

Ma per Luxei, l’ultimo degli uomini che si sarebbe lasciato incantare dal troppo fascino personale, guadagnarsi la fiducia di quell’allievo ammaliante e manipolatore divenne subito una sfida. Avvertiva che dietro il suo atteggiamento ostentatamente sicuro si celavano fantasmi e che le sue doti erano assai superiori rispetto a quelle dei suoi compersi.

“E dunque, Iruvàn, chi è stato a scovare il tuo talento?”

“Congratulazioni, sei il primo uomo che me lo chiede.”

“Non capisco dove si trovi il merito: ho solo fatto una domanda.”

“Una domanda che tutti hanno paura di fare, perché la storia che c’è dietro è torbida e drammatica e a nessuno piace parlare di storie torbide e drammatiche: meno che mai qui, nel regno dell’equilibrio e del dominio di sé. Ma questo è ciò che mostriamo alla luce del sole: nel profondo del cuore umano, invece, niente è più stuzzicante di una storia orribile… Ci eccita sviscerarla, rimuginarci, riempire i vuoti… È un vero orgasmo mentale: non trovi?”

“Non sempre. E comunque dipende da quale sponda stai: se fai parte dei beati e incoscienti che tanto capita sempre agli altri è un conto, se invece la storia orribile da raccontare è la tua, allora è un’altra faccenda.”

“Ci sono anche le persone che svendono le proprie storie orribili solo per alimentare il piacere perverso di altri, per ricevere attenzioni, o per elemosinare pietà…”

“E tu stai girando intorno alla mia domanda per non ricadere in una di queste categorie, o solo perché nascondi dei segreti?”

“Leggilo nella mia mente.”

“Non posso. Mi è vietato, come lo sarebbe a te cercare di guadagnarti il mio favore con le tue abilità.”

“Non ne ho bisogno. Ho già il tuo favore.”

“Ah sì?”

“Sì. Perché io mi diverto a mettere gli altri alla prova, e tu trovi stimolante essere sfidato.”

“Non provocarmi: sarebbe un bel guaio se fossi io a mettere alla prova te. Di solito vinco.”

“Fallo. Leggi la mia mente. Te lo sto chiedendo io.”

“Perché?”

“Perché mi costa fatica rispondere alla tua domanda, ma tutto sommato desidero che tu abbia la risposta.”

“Ti darò un consiglio da addestratore: è molto più facile plasmare i discorsi che i pensieri. Per quanto un Persuasore possa arrivare a costruire intorno alla propria mente serrature eccellenti, per sviare o mentire sarà sempre più efficace imparare a usare il linguaggio nel modo giusto. Le parole hanno un grande potere e noi possiamo avere un grande potere su di esse. Dai nostri pensieri, invece, qualche spiffero passa sempre: i sentimenti di cui non si è coscienti, i rimossi, la memoria dei sensi… non si può bloccare tutto. E tu, che io sappia, non hai nemmeno iniziato a studiare la Persuasione dei Ricordi. Tieni al sicuro ciò che vuoi che resti privato, anziché sfidare un Persuasore molto più esperto di te per dimostrare a te stesso che sai resistergli.”

Passò del tempo prima che Iruvàn gli concedesse la sua fiducia, tempo che usò per prendergli le misure e comprendere fino a che punto valesse la pena essere onesti con lui. Luxei lo sapeva e si lasciava studiare: avviato all’Arte fin da bambino, imbevuto di valori come la segretezza, il riserbo, il senso di superiorità di casta, aveva fatto della fede nella chiarezza la sua prima forma di ribellione. Luxei non era il tipo di uomo che parlava per enigmi o che opponeva ad allievi troppo curiosi frasi fatte come domani capirai. Nessuno poteva scommettere sul domani, e lui riteneva che le domande lasciate senza risposta del passato fossero diventate le fondamenta del decadimento presente: chi si teneva strette le risposte si teneva stretto anche il potere, ma un potere fatto di non detti era destinato a reggersi sulla superstizione. Anche Iruvàn ne era, in fondo, una vittima: i Persuasori che lo avevano scovato si erano recati al suo villaggio non per selezionare, ma per catturare una Maledizione. La Maledizione in questione era un ragazzo di tredici anni, un suo compagno di giochi ed uno dei dei suoi migliori amici. Nonostante la paura dei più, i familiari e i coetanei presero le sue difese: non aveva fatto nulla di eclatante o di pericoloso, aveva solo il potere di ritrovare gli oggetti smarriti… Come poteva essere una minaccia per la comunità? Ma nessuno ebbe il coraggio di contestare l’autorità dei Persuasori, tranne Iruvàn, che li fronteggiò entrambi nel tentativo, pur vano, di mettere alla prova la dottrina col buon senso. L’esito di quell’arringa fu scontato, la Maledizione venne condannata e i Persuasori eseguirono il rito di purificazione sul posto, in modo che ogni seme di dubbio fosse spazzato via.

Ma nessuna conseguenza ricadde su Iruvàn: al contrario, l’anno dopo, uno di quegli stessi individui si presentò ai suoi genitori con un compenso chiedendo l’autorizzazione di valutare se il figlio avesse i requisiti per essere addestrato come Persuasore.

“E perché hai accettato? Non provavi disprezzo per quell’uomo?”

“Questa è una domanda trabocchetto, Luxei. Ma, come immaginerai, mi è stata già fatta prima di essere ammesso a questa enclave.”

“Non vuoi rispondermi?”

“Ti risponderò come ho risposto allora: che sì, ero rimasto turbato, e che sì, avevo trovato tutt’altro che umano condannare a morte un ragazzo davanti agli occhi dei suoi stessi familiari, ma che l’opportunità che mi veniva offerta era la più grande occasione che mai avrei avuto nella vita e che rifiutarla sarebbe equivalso a sputare su un dono. Posi una sola condizione prima di accettare: ammisi con franchezza che, se messo in una situazione come quella a cui avevo assistito, non mi ritenevo in grado di eseguire una condanna. Loro mi rassicurarono dicendomi che erano ben altre le arti per cui ero predisposto. Arti sociali.”

Luxei sorrise: era vero che era dotato per le «arti sociali» e tuttavia c’era dell’altro celato dietro quel discorso così ben costruito.

“E oggi pensi queste stesse cose?”

“Leggi nella mia mente, Luxei. Leggi. Così, se dovessi trovarci qualcosa di discutibile, anche solo una piccola macchia nella mia ortodossia, potrò dire che sei stato tu a sbagliare.”

“Non ti fidi di me, eh?”

Fidarmi? Di un Persuasore? Vorrebbe dire che non mi avete insegnato niente.”

“Nessun problema. Mi fido io per tutti e due.”

“Fossi in te non lo farei.”

“Ma tu non sei me, mentre io sono io. E ciò che penso io è che le Maledizioni siano esseri umani e dunque ucciderle sia, di fatto, in contraddizione coi principi fondamentali della Grande Legge. Vedi? Non ho nessuna paura ad ammetterlo davanti a te.”

 

Iruvàn era diventato un Persuasore con l’intento di portare il marcio alla luce e Luxei inseguiva una teoria tutta sua sulle affinità tra Maledizioni e Persuasioni. Insieme erano giunti alla conclusione che, finché l’autorità fosse rimasta nella mani dei Persuasori, non c’era alcuna possibilità che una posizione filosofica diversa sulla natura delle Maledizioni, e quindi sul trattamento che doveva essere loro riservato, venisse anche solo presa in considerazione. Il sistema di valori su cui si reggeva la società affondava le radici nel Mito della Frattura: la terra era il regno dell’Umano, il sottosuolo del Non-Umano, ma quando il confine che divideva i due mondi si era spezzato, un rigurgito di forze incontrollate si era riversato fuori dalla voragine contaminando l’umanità e le Maledizioni ne erano l’incarnazione. Le Nove Famiglie vantavano di discendere da coloro che erano scesi in battaglia per ricacciare il Male negli abissi e i Persuasori incoraggiavano questa credenza affinché la gente comune si sentisse, di fatto, protetta da chi esercitava il potere.

Ai Persuasori era comodo nascondersi dietro quel potere.

C’erano loro alle spalle di ogni scelta politica, erano loro a indirizzare l’operato di ogni singola Famiglia, il Consiglio dei Nove non era che un fantoccio nella mani delle enclavi di Feuzte, ma il loro rimanere nell’ombra gli consentiva di mantenere un’immagine mistica ed idealizzata, dunque incontestabile.

Le Famiglie erano quelle che tenevano in piedi il sistema che i Persuasori manovravano da dietro le quinte, per questo erano anche il punto debole della struttura: erano loro a dover cadere per prime, in quanto simbolo non solo di autorità ma anche, per molti, di oppressione.

Luxei ed Iruvàn stabilirono che avrebbero colpito i Nove, e lo avrebbero fatto in modo esemplare, davanti agli occhi di tutti, usando la Persuasione dell’Aria affinché l’evento venisse percepito come il segno del loro fallimento e della loro punizione. Certo, molte persone sarebbero morte. Certo, probabilmente degli innocenti sarebbero rimasti coinvolti, ma il sacrificio di pochi non era un prezzo troppo alto da pagare perché l’umanità aprisse gli occhi. Strinsero un patto, raccolsero complici fidati, organizzarono una rete di contatti e di spionaggio fino ad allestire in ogni dettaglio la congiura che avrebbe dovuto cambiare il mondo.

Ma poi era arrivato Yèlveran…

 

“Che cosa significa me ne chiamo fuori? Ti sei rimbecillito, Luxei?” il volto di Leu era più esterrefatto che arrabbiato: quelle parole dovevano apparirgli impossibili, uno scherzo, il delirio di un malato. “È accaduto qualcosa che non puoi dirci? Qualcuno forse…”

“No, Leu. Non è successo niente: nessuno mi ha scoperto, siete e rimarrete al sicuro.”

Ma non era la verità. Quando Àtsuran fosse venuto in possesso del messaggio, nessuno sarebbe stato davvero al sicuro: la sua unica certezza era che, in nome del debito che l’amico aveva nei suoi confronti, il trattamento a loro riservato sarebbe stato clemente. Àtsuran avrebbe trovato il modo di sventare la congiura e poi insabbiare tutto con discrezione, come aveva già fatto altre volte. Inoltre, non gli aveva rivelato l’identità di Xau e Leu: il loro coinvolgimento non sarebbe neppure risultato.

“E allora spiegami cosa ti ha fatto cambiare idea! Non ti interessa più lottare per i miei diritti?” e si batté una mano sul petto con veemenza “Sei stato tu a dirmi che spettava a me difendere la mia umanità, sei stato tu a trascinarci in un piano che metteva a rischio le nostre vite: non puoi lavartene le mani e fare come se nulla fosse successo. Ti rendi conto di tutta la gente che abbiamo coinvolto? Noi abbiamo lavorato per la causa ogni giorno ed ogni notte, mentre tu te ne stavi in panciolle in un luogo sicuro, per di più ad addestrare futuri servi del potere!”

Luxei non aveva idea di cosa Iruvàn avesse fatto in quei quindici anni: in verità, lo aveva immaginato chiuso nell’enclave di Zaosha, intento a studiare la Persuasione dell’Aria, in attesa, come lui. Ma nel profondo sapeva che era un pensiero stupido, e le parole di Leu non facevano che rendere chiare cose che avrebbe già dovuto immaginare: Iruvàn non era un uomo fatto per attendere, lui era energia, era movimento.

“Abbiamo salvato otto persone: otto Maledizioni, oltre a Xau e me, tutte pronte a sostenerci. Hanno poteri forti e Iruvàn li ha addestrati! Sarebbero capaci di fare la pelle a qualsiasi Persuasore!”

L’impeto di quelle parole gli suonò violento, inaspettato: il suo cuore ebbe un tuffo.

“Hai… ucciso qualcuno?”

L’indifferenza negli occhi di Leu fu già una risposta, a cui seguirono altre parole, altrettanto taglienti e piene di rancore.

“Di questo ti preoccupi? Se ho mai tolto la vita a uno dei bastardi che la toglierebbero a me senza l’ombra di un dubbio o di un rimorso?”

“Leu…”

“Sì. Una volta. Capita che per salvare la vittima si debba ammazzare il carnefice.”

“È stato Iruvàn a chiedertelo?”

“Iruvàn non ha bisogno di chiedere. Gli basta desiderare.”

Non gli era difficile credere a quella affermazione, ma ciò che sottintendeva lo faceva rabbrividire.

“Usa la Persuasione del Cuore su di voi: non siete voi a scegliere!”

“Siamo noi a permettergli di usarla, perché lo merita.”

“Ma è lui che non dovrebbe!”

“Davvero?” gli occhi di Leu si ridussero a due mezzelune “E i suoi ricordi, allora? Tutte le volte che hai cancellato pezzi della sua memoria e scombussolato l’ordine dei suoi pensieri solo perché potesse accedere alla Persuasione dell’Aria, allora anche tu non avresti dovuto.

Aveva ragione. Lui stesso faceva parte del sistema che aveva pensato di distruggere: lui che aveva manipolato i ricordi di Iruvàn e che, con la stessa presunzione, aveva utilizzato il suo potere su Yèlveran.

Yèlveran, dannazione.

Iruvàn non doveva sapere cosa ne fosse stato di lui e soprattutto non avrebbe dovuto mai e poi mai incontrarlo. Era ancora un ragazzo, non era forte abbastanza per resistergli e c’era ben più di un modo in cui Iruvàn avrebbe potuto strumentalizzarlo.

“Lui ha bisogno di te” riprese Leu, interpretando il suo silenzio come un ripensamento “o non riuscirà a mantenere la sua copertura. Vieni con me. Tu hai iniziato e tu devi finire: non ti permetterò di tirati indietro.”

Allungò una mano verso Luxei con negli occhi un piccolo barlume di speranza e al tempo stesso tutta la determinazione e la rabbia che lo avevano tenuto in vita.

In che modo non me lo permetterai, mio amato Leu? Mi trascinerai con la forza? Mi ucciderai? Sei venuto fin qui indifeso e solo, convinto di parlare con un amico: per sbarazzarmi di te mi basterebbe cancellare il ricordo del nostro incontro, o peggio, rivelare all’enclave che sei una Maledizione...

Quante parole crudeli avrebbe potuto dirgli. Quanto ciascuna di quelle pesava solo per il fatto di averla pensata.

Rimase di nuovo zitto.

“Cazzo, ti sei mangiato la lingua?! Che ti è successo? Non posso credere, non voglio credere che tu sia diventato come loro!”

Silenzio.

Leu trattenne a stento le lacrime, poi lo colpì con uno schiaffo.

Luxei incassò.

“Scoprirò quello che non mi dici!” gli urlò contro “Scoprirò ogni cosa, traditore!”

 

Era vero: era un traditore.

Tutti i Persuasori erano così, erano votati al tradimento. Lui, Iruvàn, Xeiratog, Yurlan, Àtsuran, persino Garlan e i tanti altri che aveva conosciuto. Era la loro stessa identità a renderli tali e a fargli percepire la falsità e il cinismo come virtù: tutti ugualmente individualisti, ermetici, ambigui ed infidi, con gli occhi sempre aperti e il cuore sempre chiuso.

Tutti tranne Yèlveran.

Yèlveran era completamente diverso, ed il merito non stava nei suoi insegnamenti: semmai era stato quel ragazzino triste ad insegnare a lui.

Dodici anni al suo fianco gli avevano dimostrato che la società, l’educazione ricevuta, gli uomini, le sventure, i fantasmi non possono uccidere la gentilezza, se alla gentilezza viene dato valore.

Sì, Yèlveran gli aveva restituito la gentilezza e quella gentilezza aveva stravolto tutto: le sue vecchie idee, i suoi desideri, la sua rabbia, il suo cuore.

  
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