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Autore: aubrunhair    12/03/2024    8 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9
-  Generale Jarjayes! Madame!

Il valletto si precipitò dentro la sala da pranzo, dove sapeva avrebbe trovato i signori all’ora della colazione.

Un rapido inchino al loro cospetto, aveva il fiato corto per la cavalcata. Non poteva permettersi di perdere tempo.

L’uomo lasciò la tazza da tè sul piattino e si alzò di scatto. Sua moglie lo emulò.

- Cos’è successo? Parla!

Lo aveva riconosciuto. Era stato scelto personalmente da lui per andare alla villa in Normandia insieme alla figlia e parte della servitù. E se quel giovane era tornato in tutta fretta, doveva essere successo qualcosa.

- Vostra figlia…

- Cosa le è capitato? - C’era un misto di rabbia e paura nella sua voce e il fiatone dell’altro non faceva che acuirle entrambe. L’avrà anche ricoperta di insulti, maledetta in ogni modo, ma rimaneva sangue del suo sangue e non voleva le succedesse niente di male.

- Vostra figlia ha partorito, signore.

Madame Jarjayes giunse le mani davanti al petto. Si ricordò che era ancora agosto e quando guardò il marito si trovarono entrambi sconcertati.

- Come sarebbe a dire? È troppo presto!

- Un mese prima… Lo so… Ma… c’è un’altra cosa… che dovete sapere…

Il generale lo obbligò a sedersi e bere un bicchiere d’acqua prima di svenire. Aveva già esaurito la pazienza ed erano solo le otto.

- Tre giorni fa, signore… È…

- È…?

- È nato un maschio!

L’uomo guardò di nuovo la moglie.

- Un maschio… - ripeté incredulo. - Un maschio!

Finalmente c’era un maschio con il proprio cognome sotto quel tetto! Un bambino a cui non avrebbe dovuto mentire nessuno su chi fosse davvero.

Di colpo la vergogna venne spazzata via, lavata da un colpo di spugna. Il casato sarebbe proseguito, la dinastia non era più destinata a scomparire con la sua ultima figlia!

Forse non l’avrebbe ancora perdonata del tutto. Doveva comunque provargli di meritare la sua grazia. Però si era impegnata per fare ciò che le aveva chiesto e bisognava dargliene atto.

- Preparatevi, nel pomeriggio si parte.

L’intero viaggio non fece altro che immaginare il futuro del primo vero maschio della famiglia Jarjayes. E lo vedeva già adulto in uniforme da generale, come la propria.

Un altro erede al servizio delle loro maestà, un altro nome insignito dei più alti riconoscimenti.

Quella sconsiderata era riuscita di nuovo a cavarsi fuori da un guaio tutta intera. E nel migliore dei modi.

Non sapeva neanche quale fosse il suo nome, ma per lui era già un militare graduato.

Non conosceva il suo nome. Presi dalla notizia, si erano dimenticati di chiederlo. E il valletto ormai era lontano dalla loro carrozza. Si augurò avesse scelto bene, con criterio. Il prete non l’avrebbe battezzato se le fosse saltato in mente di fare chissà quale altra pazzia. E lui stesso non voleva rovinarsi l’umore pensando a dover rimediare, eventualmente.

La sua mente era un libro aperto per Madame Jarjayes. Era al suo fianco da troppo tempo per non sapere cosa suo marito pensasse. E si era tranquillizzata all’udire le parole del valletto. Non poteva non soffrire alla sola idea di dover rinunciare sia alla figlia che alla nipote, che amava già incondizionatamente dal momento in cui aveva scoperto del suo arrivo. Non si era permessa di sperare che fosse femmina. Non aveva neanche pregato Dio che fosse maschio, però. Gli chiedeva soltanto che le tensioni si distendessero il giusto per tornare a vivere sereni. E che facesse rendere conto al generale che un bambino è una benedizione a prescindere. La dinastia poteva adeguarsi ancora una volta.

Lo vedeva perso nelle riflessioni – già immaginava di cosa si trattasse – e gli posò una mano, leggera, sulla sua. Cosa poteva farci? Era così: quando aveva un pensiero non lo lasciava più andare. Qualsiasi esso fosse. E doveva ammettere che anche la loro ultima figlia non era poi troppo diversa. Aveva solo altri orizzonti, ora più che mai. Com’era giusto che fosse.



- Non lo so, Oscar, forse non gli piaccio. È la seconda camicia che mi bagna…

André pareva sconsolato mentre tornava nel salotto indossando un indumento pulito. Portava un vassoio con una tazza di infuso, l’appoggiò al tavolino davanti alle poltrone.

Oscar rise e seguì la nonna rientrare sulla scena del crimine con il colpevole cambiato e profumato.

- Ha già capito che ti deve tenere d’occhio! - commentò l’anziana.

Le prime quarantotto ore erano trascorse e nessuna delle indicazioni del dottore era stata lasciata da parte. Era stato tenuto al caldo Frans, ben stretto nelle coperte. Il balcone, il giardino e il mare erano stati permessi soltanto dal terzo giorno, iniziando pochi minuti alla volta, perché si potesse abituare alla temperatura esterna. Controllato ogni momento, mai tenuto da solo nemmeno un secondo. E nutrito, tanto, perché il medico ogni giorno si raccomandava di tenerlo bene a mente che il bambino era nato un mese prima e bisognava dargli modo di recuperare. La povera Marguerite avrebbe avuto necessità di qualcuno che l’aiutasse nel gravoso compito. Tanto più che Marie si era già prodigata a informarsi su una seconda balia, per essere certa che tutto procedesse a dovere.

- Ma non posso pensarci io? Sono sua madre.

- Una donna del tuo rango, ma sei impazzita? Comportati come tale almeno per una volta!

Era stata la risposta un po’ a tutto in quei giorni trascorsi in Normandia, fin dall’arrivo. Ma a lei era sempre sembrato di comportarsi come una persona del proprio rango. Fin troppo nell’ultimo periodo, ché non le avevano dato la possibilità di alzare un dito e lei si era indisposta più volte. E per stanca che fosse ancora, non capiva cosa ci fosse di male nel prendersi cura di suo figlio.

Innumerevoli erano state anche le tisane e gli infusi che le venivano serviti. Se ne prospettavano molte anche nel futuro, che le piacessero o meno. Tutte diverse – tutte roventi peraltro e guai a lasciarle raffreddare troppo! La nonna sosteneva strenuamente la loro utilità per potersi riprendere dopo il parto e il dottore le aveva dato manforte.

Quella sera era la volta dell’infuso all’ortica e non c’erano santi in paradiso che la proteggessero: doveva berlo tutto.

- Ma a cosa serve?

André glielo bisbigliò quasi, con circospezione, perché l’altra donna non lo sentisse. Lo avrebbe di sicuro rimproverato di essere troppo polemico.

Le passò la tazza, ebbe cura di farle sapere che era calda nonostante lo sapesse già da sola.

Oscar guardò il liquido di quell’indecifrabile colore e lo avvicinò con cautela alle labbra. - Dice che fa passare il dolore…

- E funziona?

L’altra alzò le spalle e bevve piano. - È comunque meglio del laudano.

Marie non fece in tempo a riprenderli che una delle cameriere entrò nella stanza. Annunciò l’arrivo del valletto mandato a dare la lieta notizia e, subito dopo, quello dei signori.

Oscar posò la tazza e si alzò in piedi, ancora un po’ dolorante ma in forze.

Erano tre mesi ormai che non li vedeva e nonostante tutto (o forse proprio per tutto) ne aveva sentito la mancanza. Perfino del padre. Che comunque li aveva risparmiati e confinati in un esilio “dorato”. Se l’era tolta da davanti agli occhi, per riflettere meglio. Adesso poteva vederla di nuovo.

E infatti quando si ritrovarono uno davanti all’altra furono tante le emozioni e difficili da dosare nell’esprimerle. Ma nessuno dei due avrebbe osato piangere davanti agli altri.

Una preoccupazione che Madame Jarjayes non si pose. Entrò nel salotto e le lacrime sgorgarono spontanee. Prima ancora di capire dove fossero i destinatari delle sue preghiere a Dio. E poi la vide la sua ultima bambina, accanto alla poltrona, corse da lei e l’abbracciò con delicatezza. Sapeva cosa provasse, ci era passata cinque volte!

Il generale si avvicinò a loro. Quando la moglie gli lasciò spazio, pose entrambe le mani sulle spalle della figlia e la guardò fiero negli occhi.

Fiero, sì.

Fiero perché lei aveva scongiurato il peggio.

- Hai fatto un buon lavoro.

Un buon lavoro. Ché ottimo avrebbe presupposto un regolare matrimonio e tante altre cose…

- Grazie, padre.

Erano rimasti loro tre in salotto. E il piccolo Frans, tra le braccia della sua vera nonna, seduta sul divanetto di velluto bordeaux.

La donna lo guardava e non credeva ai suoi occhi. Ne aveva altri di nipoti, certo, ma nessuno assomigliava alla propria figlia come lui.

Marie gli aveva liberato le braccia dalle coperte. Le muoveva scomposto, apriva le mani per afferrare l’aria. Sbadigliava felice. Il ritratto della salute, anche se piccolo.

- Ha il sangue della famiglia Jarjayes, verrà su forte! - sentenziò il generale. Schiarì la voce, che aveva dato sfogo a un po’ troppo entusiasmo per essere il loro primo incontro. - Come hai deciso di chiamarlo?

- Frans Auguste.

Andava così orgogliosa di quel nome. Scelto da lei, lei in persona. La prima grande decisione pensata e supportata solo da se stessa. Il nome di suo figlio.

Il generale aprì lo sguardo su di lei e lo mostrò in tutto il suo azzurro, emozionato. Ripeté ad alta voce, come un annuncio ufficiale: Frans Auguste De Jarjayes.

- Prevedo un grande futuro per lui.

- Grazie, padre. Grazie davvero.



Dovevano certamente prendere confidenza con l’immagine della loro figlia che teneva tra le braccia un bambino così piccolo. E suo. Ma sembrava a entrambi che, nonostante il comprensibile essere e sentirsi impacciata del momento, stesse facendo di tutto per mettersi a proprio agio. Era solo strano sapere che fino a poco tempo prima impugnava una spada o una pistola.

Ma lei lo mise in chiaro fin da subito: sarebbe tornata alla vita per cui aveva sacrificato tanto. Lo doveva al padre e anche a se stessa. Il tempo necessario per riprendersi. Poi si sarebbe comportata come una qualsiasi persona del suo rango insignita di grado militare. Non aveva mai saltato una lettera inviata dal tenente Girodelle, sapeva cosa stesse succedendo a Versailles e a Parigi. Nonostante le rimostranze della madre – e prima ancora quelle della nonna.

Il generale si sentì orgoglioso di udire quei progetti. Perché sapeva che lei non li avrebbe disattesi. Ma non poté non mettersi in pensiero. Se le fosse accaduto qualcosa, come militare ne avrebbe pensato in termini ben diversi che come padre (e nonno). Avrebbe dovuto sostituirla nel crescere il bambino. Anche se nel viaggio aveva già studiato come procedere con la sua educazione. Ma gli sarebbe potuto mancare l’unico genitore presente e lui non avrebbe saputo davvero compensare. Nessuno l’avrebbe fatto.

- André, ricordi cosa ti ho detto la mattina della visita dei Delfini a Parigi?

Il generale lo aveva fatto chiamare nella sala lettura. Doveva parlargli da solo.

L’altro non ricordava con esattezza ciò che gli era stato chiesto. Erano passati diversi anni. Preferì non mentirgli.

- Temo di non rammentare, mi dispiace.

L’uomo gli fece cenno di non preoccuparsi. Si alzò e raggiunse uno scaffale, tirò fuori il primo libro che trovò e lo aprì.

- Quella mattina mi ero reso conto di stare invecchiando… - Piegò le labbra in un mezzo sorriso sarcastico. - Per la prima volta provavo preoccupazione per Oscar.

Ora ricordava André. E ricordava anche di essersene stupito, perché il suo padrone non si era mai mostrato spaventato da niente.

- Debbo mestamente ammettere che la sensazione non è scemata. Al contrario, mi trovo nella scomoda situazione di esserlo ancora di più. Sia invecchiato che preoccupato.

- Non dite così, signore.

- Tu sei troppo gentile, André. Ma è così. E adesso che Oscar ha avuto un figlio, non posso che dirmi ancora più in pensiero. Se dovesse accaderle qualcosa…

Fece una pausa e sospirò. Chiuse il libro con un tonfo, lo ripose al suo posto.

- Devi prestare ancora più attenzione adesso, hai capito?

André annuì in silenzio.

- Devi proteggere Oscar e proteggere Frans. L’uno dipende dall’altra. Lo sai molto bene cos’ha dovuto affrontare per arrivare dov’è ora. Comprendo che mia figlia non intenda abbandonare le Guardie Reali, ma i rischi che corre non sono pochi. Non lasciarla mai da sola, è chiaro?

La voce s’era fatta grave e imperiosa. Non era un consiglio. Era un ordine da non mettere in discussione nemmeno un minuto.

- Devi essere la sua ombra come e più di prima.

- Certamente, signore.

- È tutto, puoi andare.

André lo ringraziò e imboccò la strada per uscire dalla stanza. Prima di aprire la porta, però, venne chiamato un’ultima volta.

- Mi pare evidente che il bambino non sia figlio tuo. È troppo biondo…

L’altro capì cosa intendesse il generale. Non gli avrebbe mai chiesto scusa, non sarebbe stato un gesto degno. Ma prese quelle parole come se lo fossero. Salutò e se ne andò.

Gli sembrò una richiesta superflua, la sua. Non l’avrebbe mai lasciata a prescindere, a maggior ragione adesso che non era più da sola. Non era trascorso giorno, in diciannove anni, in cui il bene di Oscar non fosse la priorità massima di André. L’unica differenza, ora, riguardava la necessità di farle spartire il primato insieme a Frans, ma sapeva non ci sarebbero state proteste.

In altri termini, ma le parole del generale non erano comunque troppo diverse da quelle che gli aveva scritto il conte nell’ultima sua lettera. Gli aveva raccomandato di lasciarla libera di fare di testa propria ma ti non permetterle di rischiare.

Di restarle accanto sempre. E lo ringraziava, per tutto. Senza specificare altro.

Non aveva mai avuto motivo di pensare davvero male di Fersen. Benché fosse a conoscenza dei taciti sentimenti di Oscar nei suoi confronti e ne soffrisse, perché la portavano lontana da sé. Ma quella lettera, in cima a tutta la vicenda, gli aveva fatto riconsiderare alcune cose sulla sua persona. Non aveva di sicuro bisogno che lui, il conte svedese favorito della regina, glielo dicesse di supportarla. Prima ancora di essere il suo compito, era la sua natura.



Rimasero in Normandia pochi giorni i signori Jarjayes. Il tempo di assicurarsi che madre e figlio stessero bene. E di riorganizzarne il futuro prossimo e quello più lontano. Conte e prima erede da soli per trovare una soluzione che funzionasse per tutti.

Non aveva idea di quanto le sarebbe servito con precisione per ritornare come prima della gravidanza. Avrebbe dovuto riprendere a tirare di scherma, sparare e soprattutto andare a cavallo. E il dottore le aveva imposto particolare cautela per tutto, specialmente quest’ultima attività. Almeno sei settimane di riposo, almeno. Che il suo corpo aveva necessità diverse da quelle della sua volontà.

Oscar valutò perciò di darsi tempo fino alla fine di dicembre per decidere. Con l’inizio del nuovo anno avrebbe stabilito come procedere. Ma di sicuro sarebbe tornata a palazzo Jarjayes, su questo era intransigente. Voleva incontrarlo di persona Girodelle per avere i resoconti da palazzo, si era stancata delle lettere.

Il generale le concesse di tenere la nonna e André con sé in Normandia. A casa di persone esperte e capaci ne avevano e loro sarebbero stati più utili lì alla villa. Poi, però, tornò su una delle condizioni che aveva posto a maggio. Gliela ribadì, anche se era ancora presto.

- Questo bambino ti chiamerà per nome. Non accetto che la situazione cambi.

Le sue parole la trafissero dentro più che a maggio. All’epoca aveva ingenuamente ritenuto fosse un pensiero dato dalla foga del momento. O forse ci aveva sperato. Invece era serio tre mesi prima così come lo era adesso.

Lei accettò, che le aveva già permesso troppo per i suoi canoni. A quel punto doveva solo adattarsi.

- Frans porta il mio cognome e pertanto ho voce in capitolo in merito. È illegittimo, se non ha un uomo da chiamare padre… non vedo perché debba chiamarti madre.

L’aggiunta era peggiore della premessa.

- Volete che io gli taccia la verità?

- No, Oscar. L’ho già fatto una volta quell’errore, la verità non va nascosta perché prima o poi viene comunque fuori. Pretendo, però, che ti chiami per nome.

Era una follia. Sembrava che quell’uomo sapesse reagire alle situazioni scomode soltanto con scelte azzardate. Ma così aveva deciso. E così doveva essere. Non poteva lasciargliele vinte tutte.

Oscar ripensò per giorni a quella frase, quando ormai i suoi genitori erano già a palazzo.

Se non ha un uomo da chiamare padre… non vedo perché debba chiamarti madre.

Lei era stata allevata per combattere e non per diventare madre. Avere avuto un figlio (maschio!) non avrebbe mai cambiato davvero le cose. Ed era bene che se lo ricordasse, secondo l’opinione del generale.

Più ci rifletteva e più le pareva uno strappo insanabile.

Non voleva immaginarselo il futuro, quando il suo bambino avrebbe parlato e mai pronunciato quella parola nei suoi confronti. Pregò soltanto che il bene che gli voleva e gli avrebbe voluto per sempre fosse a sufficienza per dimostrargli che loro due erano madre e figlio a prescindere dai termini con cui si chiamavano.

Voleva potergli garantire una vita il più normale possibile, ma a quanto pareva non le era possibile. Era quello il pensiero che la teneva sveglia di notte.  Quando si alzava dal letto e lo guardava dormire; o se era sveglio lo cullava come l’istinto le suggeriva. E si rendeva conto che quel piccolo avvolto nelle coperte bianche un po’ placava i suoi tormenti soltanto esistendo.
 
   
 
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