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Autore: pansygun    16/03/2024    0 recensioni
My first obsession is you.
My second is having sex with you.
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DISCLAIMER: questa storia ha rating 🔞 per i contenuti espliciti in essa descritti (sesso).
A mio discapito, se siete sensibili vi invito a non affrontare questa storia.
• SPOILER per chi non avesse letto il fumetto o guardato l'anime! •
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{Deku x Bakugo}
Angst
Mild-spicy
• • •
Tutti i diritti riservati ©️ veciadespade | 2023
I personaggi originali di My Hero Academia sono di proprietà di Kōhei Horikoshi.
Genere: Comico, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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You are the cure for all my scars


 

ATTENZIONE!
Il vecchio capitolo "Never alone" che avete già letto è stato inglobato in questo, come da idea originale.
Mi urtava il fatto di aver dovuto pubblicare per forza una cosa non completa...
Vi chiedo pertanto di portare pazienza e rileggervi la prima parte per avere un po' un quadro generale e il senso di tutto il capitolo.
Non vogliatemene, ma quando l'autore si mette in testa certe cose sapete bene che è difficile smuoverlo...

Portate un po' di pazienza, perché spero ne valga la pena ^^
Buona lettura

____________________________


Guarda i girasoli: s’inchinano al sole, ma se vedi uno che è inchinato un po’ troppo significa che è morto. Tu stai servendo, però non sei un servo. Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore; Lui serve gli uomini, ma non è servo degli uomini.
⁓ da “La vita è bella” ⁓

13 luglio
 
 
Il sole era alto nel cielo e la pioggia afosa di un paio di giorni prima sembrava un lontano ricordo, perso nei meandri del tempo.
Oltre le punte delle sue scarpe rosse la città sonnolenta sembrava ridestarsi dal riposino pomeridiano ad un ritmo estremamente lento. Cosa che lui non aveva minimamente fatto e che agognava dal giorno prima.
Non aveva chiuso occhio, ma non tanto per il caldo infernale dato dal condizionatore rotto per l’ennesima volta, quanto più perché era stato sveglio a finir di compilare i report conclusivi del periodo di affiancamento con Dynamight, per il proprio reintegro nel “sistema eroi” giapponese. In questo, forse, apprezzava di più l’America e le sue procedure più snelle e meno burocratiche.
Sentì un breve scoppiettio e vide sfrecciare alla sua sinistra un lampo arancione, seguito da denso fumo grigiastro: «Muoviti schiappa!».
Sbuffò. «Ho sonno!».
Lo vide voltarsi, a mezz’aria, i capelli biondi arruffarsi ancora di più mentre un ghigno accattivante gli si dipingeva sul volto, mentre dai palmi cominciavano ad essere rilasciate piccole esplosioni controllate. «Non è una scusa, Merdeku!».
Fu una delle rare volte in cui quel nomignolo non lo infastidì, perché sapeva che non c’era cattiveria nelle sue parole.
Non si erano più sfiorati in quei due giorni, anche se Izuku avrebbe voluto prenderlo perfino sul lavandino della cucina mentre sciacquava le tazze. Ma sapeva di essere un caso perso e che l’astinenza prolungata gli giocava brutti scherzi. E no, una sega condivisa non contava.
Così incurvò le spalle e si decise a muovere le gambe, simulare un piccolo scatto prima di fluttuare a velocità crescente verso quel terremoto biondo che se la rideva e lo incitava a raggiungerlo, facendo quasi a gara a chi andasse più veloce, mantenendo un occhio sempre vigile sotto di loro, scrutando le strade trafficate e i vicoli deserti.
All'improvviso, però, fu Deku a udire una cacofonia di rumori e urla che echeggiava anche a diversi metri dal piano stradale, tra i palazzi. Un’occhiata d’intesa e un boato più forte: Dynamight aveva fatto dietrofront con un’esplosione, precedendolo. Digrignò i denti, frustrato, perché, per quanto fosse diventato forte, Kacchan era più veloce. Ogni. Volta.
Si appoggiò a un’insegna spenta, sentì il plexiglass scricchiolare sotto le scarpe, prima di darsi la spinta con Fa Jin e raggiungere l’amico a tutta velocità, sfruttando i fasci scuri di energia di Black Whip per virare all’ultimo su una laterale, provando una scorciatoia per raggiungerlo.
Fu questione di secondi, tra il suo arrivare sulla strada principale e l’udire il fragore di un’esplosione e di vetri in frantumi che coprivano le grida dei passanti.
Le sirene della polizia erano vicine, ma non riusciva a vedere molto con la nuvola di polvere, se non un veloce lampo arancione passava nel grigiore del fumo.
«Dynamight!», si ritrovò ad urlare, sospeso a fluttuare a mezz’aria per qualche istante, prima di scrollare la testa e scendere velocemente, le braccia alzate ad accompagnare la caduta dolce contro l’asfalto, correndo poi a mettere in salvo alcuni civili, afferrando chi per la vita, chi trasportandolo in braccio in un posto sicuro.
Posando a terra un ragazzo impaurito, si voltò, le orecchie tese a un lamento, gli occhi tirati in due fessure per vedere chi barcollava tra i detriti di quello che, un tempo, era un edificio basso tra i palazzi alti della zona amministrativa di Urakawa.
La punta del piede si piegò sull’asfalto, energia che sfrigolava ancora sotto le suole pesanti delle scarpe e lo portava a scattare verso l’uomo magro, in giacca e cravatta, che stava per accasciarsi al suolo. «Ehi! Coraggio!», lo incitò, mentre quello respirava a fatica e indicava la voragine nel muro da cui ancora piovevano calcinacci e fiotti d’acqua dai tubi divelti.
«Il ca-caveu…».
«Caveu? - anche Deku guardò in quella direzione - Era una banca?»
L’uomo annuì, tremante, non staccando gli occhi vitrei dal volto dell’eroe che l’aveva soccorso, che però continuava a cercare nella confusione il collega eroe e a controllare che non ci fossero altri feriti gravi. «Hanno fatto saltare il caveu! Hanno preso degli ostaggi.», esclamò l’uomo dalla zazzera di capelli brizzolati, tenendo saldamente Izuku per le braccia, a volersi aggrappare a lui con tutte le sue forze.
«Ti porto in un posto sicu-».
Fu questione di millesimi di secondo, qualcosa simile a un battito di ciglia, a un respiro trattenuto. Di uno sguardo e di un ghigno.
Di un grido, che lo fece ruzzolare tra i detriti e la polvere con la stessa forza di un proiettile sparato ad alta velocità contro un muro.
Dolore. Dolore un po’ ovunque: le spalle, la testa, la schiena, le gambe aggrovigliate ad altre gambe, un peso avvinghiato al petto e qualche colpo di tosse.
«Cristo se sei idiota!».
La voce graffiata di Kacchan lo rimproverava e lui non aveva capito neppure bene perché. «Alza il culo e inseguiamolo!».
«Inseguire?».
Si sentì sollevare di peso per la tuta, un gridolino di sorpresa soffocato da un gemito di dolore nel rimettersi in piedi con così poco preavviso, con la testa che pulsava, intontita dalla botta ricevuta.
«Il villain!», si ritrovò la faccia urlante di Kacchan a un palmo dalla propria: «Che cazzo, Deku! Sei talmente imbambolato che non riconosci neppure un villain quando ce l’hai di fronte?», lo incalzò, sputacchiando saliva sulla sua pelle impolverata e sudata.
«Un vi-villain?».
«Sì, cazzo! Quello del portavalori!», e indicò la figura magra che si allontanava in fretta, dando ordini a destra e a manca ai complici, che emergevano dal fumo con borsoni colmi di denaro; uno di loro, più grosso degli altri, aprì la bocca e un fascio di energia pura rischiò di colpire i due eroi che si scansarono appena in tempo, sciogliendo invece il muso della macchina dietro di loro.
Stavolta il tempo si dilatò, con la stessa velocità con cui quel criminale si posizionava su una moto e partiva per mettersi in salvo: Izuku era caduto in uno stato quasi catatonico e seguiva febbrilmente il movimento di quella figura magra che si allontanava man mano.
I suoi piedi si mossero, pronto per lanciarsi all’inseguimento, ma la mano guantata di Katsuki lo bloccò: «Deku!».
Gli occhi verdi di Izuku acquisirono un bagliore innaturale, un verde elettrico, mentre onde di energia lo avvolgevano e sfrigolavano attorno alla sua figura, piccole lingue scure che pian piano si formavano sulla pelle del volto. «Mollami.», gorgogliò a denti stretti, la mano che stringeva con forza quella di Katsuki per fargli lasciare la presa, prima di scaraventarlo dall’altra parte della strada nel tentativo di salvare Dynamight da un nuovo attacco di plasma sparato ad alta velocità.
Quando Katsuki si rialzò, un paio di costole sicuramene incrinate, si guardò attorno. «Merda!», gli sfuggì, voltandosi a vedere i danni che quel fascio di energia aveva provocato, prima ancora di realizzare che Deku era sparito
«Cazzo!», e batté un pugno per terra, frustrato per quell’assenza, prima di rialzarsi con fatica.
Si guardò attorno e vide un pugno di agenti scendere dalle volanti che erano appena arrivate sul posto, completamente attoniti e spaesati. Lanciò un grido per attirare la loro attenzione: «Ehi! Voi!».
Quelli voltarono la testa nella sua direzione. Poteva vedere la confusione nei loro volti. La stessa confusione che c’era in quei trecento metri quadri di strada, calcinacci e urla spaventate. «Invece di stare lì come statue muovete un po’ il culo e seguite Deku!». I tre agenti si guardarono l’un l’altro, incapaci di capire se dovessero ubbidire a quell’ordine dato da uno eroe o se seguire le direttive del capo del Distretto.
Incassarono la testa nelle spalle a sentire un nuovo grido di Dynamight: «Cristo santo! Vi muovete o no?». Fu quello a farli smuovere, a farli risalire sulla volante e ad attivare il tracciatore della tuta di Deku sul computer di bordo.
«Vediamo di darci una mossa, mezza sega!», berciò Dynamight, tornando a respirare e attivando delle esplosioni potenti sui palmi delle mani, visibilmente alterato e pronto a lanciarsi nello scontro con quel villain fuori misura, che stava di nuovo prendendo fiato per vomitare ancora plasma nella sua direzione. «Ho cose più importanti da fare che stare dietro a te e alle tue stronzate!».
 
 
«FERMATI!».
La gola gli faceva male quando gridava, perché l’aria tiepida gli seccava l’ugola ad ogni respiro affannato che faceva, mentre tentava di star dietro a quella moto, lanciata a una velocità folle lungo le strade su cui il traffico si intensificava e su cui lui non riusciva più a correre come voleva.
Aveva provato a usare il suo Black Whip per fermarlo, per frenare quella corsa e disarcionare il conducente. Ma nulla. Sembrava tutto inutile.
Aveva paura che la moto finisse di traverso, che prendesse una macchina, magari una familiare, con dei bambini come passeggeri, e che l’impatto uccidesse sul colpo tutti quanti.
Pur nella sua corsa forsennata era cauto e il suo cervello, forse, correva anche più veloce di lui, ipotizzando ogni pericolo, ogni disastro.
Non si rese nemmeno conto di aver oltrepassato il centro, la zona commerciale che cominciava a ripopolarsi dopo la sonnolenza del pranzo. Non si era reso conto di star fiancheggiando la baia, i capannoni, i cantieri, fino ad arrivare alla zona del porto, dall’altra parte della città.
Distante da tutto e da tutti.
Imprecò mentalmente. Si diede dell’idiota, perché quella aveva tutta l’idea di essere una trappola. E mentre saltava da un tetto all’altro senza perdere di vista la moto, si disse anche che tornare indietro non poteva.
Non avrebbe lasciato che scappasse anche questa volta. Non a due giorni dalla sua partenza.
Non poteva avere un demerito proprio alla fine del suo nuovo periodo di prova…
Le ginocchia gridarono pietà quando aumentò la frequenza dei passi prima di saltare con Fa Jin e oltrepassare la moto con quel balzo. L’asfalto si crepò all’impatto, ma non gli importava, perché lì non c’era nessuno e non avrebbe avuto chissà che grosse conseguenze se avesse distrutto qualcosa. Forse.
Sperò con tutto il cuore che tutti gli operai fossero a pranzo, che non ci fosse nessuno. Che se distruggeva un capannone, sotto le travi che sarebbero crollate, on ci fosse un buon padre di famiglia che si spacca la schiena per portare a casa quattro soldi.
Le ruote della moto slittarono, mentre l’uomo provava a schivarlo quasi in derapata, ma perse il controllo del mezzo e lo lasciò andare, uno stridio metallico nel suo scivolare contro dei container e schiantarsi contro di essi con un boato sinistro di lamiere piegate.
Izuku ebbe il tempo solo di osservare distrattamente quell’impatto, prima che l’attenzione fosse di nuovo tutta sul villain che ora faticava a rialzarsi, ammaccato e dolorante.
«Sei in arresto, Shui!». disse con voce alta e ferma. Aveva dato una letta veloce al fascicolo che Hawks gli aveva passato, ma quel nome gli era rimasto impresso più di tutto il resto.
Shui.
Lo pronunciò con un tono carico di tutto il disprezzo di cui era capace.
«La violenza verso un eroe durante il servizio attivo è punita con la reclusione da sei mesi a cinque anni.», recitò poi con perizia.
«Oh, ma io non ho proprio fatto un cazzo, Deku!», tentò di giustificarsi il criminale che, preda di un terrore sordo che lo attanagliava nel profondo, che gli scorreva nelle vene e che gli lasciava gli occhi spalancati e puntati contro l’eroe; e fece l’unica cosa di cui fosse capace: lo chiamò ancora, guardandolo dritto nei suoi occhi verdi, sperando che il suo potere psichico facesse effetto subito e che lo mettesse fuori uso con solo un attacco.
Si aspettava una reazione simile a quella del biondino di qualche giorno prima: panico, terrore, impossibilità a muovere un muscolo. Un ghigno gli si formò sul volto, mentre se ne stava ancora seduto a terra, un braccio mollemente posato sul ginocchio piegato, con la spavalderia di chi sa bene di avere già la vittoria in tasca.
Ciò che purtroppo non aveva previsto era la velocità con cui l’eroe aveva rilasciato una fitta nebbia, che l’aveva fatto tossire come un dannato, facendogli dubitare perfino di averlo colpito col suo quirk.
«Sei stato tu, Shui?», ma la domanda era pura retorica, pronunciata con un tono più basso, più serio. Più inquietante, perché non sapeva da che parte arrivava.
A-a fare cosa?», chiese, strizzando gli occhi alla ricerca dei lampi verdi che Deku emanava e il panico si fece ancora più strada nelle sue viscere e lo costrinse ad alzarsi, preda di un nervoso che gli faceva addirittura battere i denti, voltandosi a più riprese per vedere dove fosse finito quel maledetto eroe.
«A ferire Kacchan.», esalò. La voce ora calma, quasi atona, che ancora non capiva da dove provenisse.
«Chi? Non so di che cazzo stai parlando, Deku!».
All'improvviso però una strana sensazione travolse Izuku. Era come se qualcosa di pesante e cupo lo sopraffacesse e gli gelasse il cuore nel petto. Non riusciva a respirare bene e non per colpa del fumo: non riusciva a pensare correttamente e gli sembrava di non potersi muovere se non come un automa.
Fu come se nella sua mente serpeggiasse un sentimento pronto a corroderlo, una paura che voleva consumarlo completamente. Non riusciva a dargli un senso, non riusciva a capire perché all'improvviso provasse tutto quel terrore da essere quasi paralizzato, da non controllare più la cortina di fumo che lo avvolgeva e che, ora , si stava diradando a vista d’occhio.
«Cosa c'è che non va, grande eroe?», lo provocò il villain, barcollando e godendosi la vista del paladino che se ne stava in piedi, immobile, attonito, confuso dal suo subdolo potere. «Dov'è tutta la tua spavalderia adesso?».
Strinse gli occhi e si prese la testa con le mani, tirando i capelli per tornare in sé.
"Izuku."
Cercò di respingere la paura, di trovare una parvenza di forza nel proprio cuore. Ma non servì a niente: si sentiva completamente sopraffatto.
Poi, proprio quando pensava di non poterne più, una voce fece breccia nel caos nella sua mente.
"Ragazzo."
All'inizio era una voce debole, che a malapena sovrastava i propri lamenti, lo stridore dei denti sui denti, serrati dai muscoli della mascella contratta.
«Sei debole anche tu, in fondo.».
Quel richiamo si confondeva con quella voce roca, aspra, ed era debole quella vocina, appena udibile sopra il battito del suo cuore che pulsava forte. Ma poi la voce divenne più nitida, più chiara, finché non fu tutto ciò che riuscì a sentire.
 
"Giovane Midoriya!"
Alzò gli occhi e le iridi chiare di All Might lo guardavano con apprensione, mentre la sua presa salda gli teneva il volto, il resto del corpo avvolto da denso fumo nerastro. Provò a parlare, ma non ci riuscì. Era come la prima volta in cui era entrato in quella dimensione, in cui un denso fumo nero lo avvolgeva, lasciandogli scoperti solo gli occhi verdi.
Solo che ora di anni ne aveva otto in più e gli sembrava stupido essere tornato tanto indietro, aver regredito in tutti i suoi piccoli, sudati progressi.
"Izuku, puoi farcela."
Era la voce di Nana quella che ora udiva, forte e ferma accanto a lui, una mano poggiata su quella che doveva essere la spalla. Un sostegno silenzioso arrivò anche da parte del sesto possessore, che lo fissava con le sopracciglia arcuate in un’espressione serena, quasi canzonatoria. “Siamo qui, Izuku”, lo incoraggiò En.
E pian piano gli si fecero tutti attorno, uno alla volta, con ogni parola che gli rivolgevano, Izuku sentiva una scintilla di speranza accendersi dentro di sé.
"Non sei solo, ragazzo mio.", Daigoro gli affondò una mano nei capelli, in una carezza rude, con un sorriso bonario sul volto: "Ti sei allenato tanto anche per questo e sei più forte di quanto pensi."
Izuku chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, concentrandosi sulle parole delle vestigia. Lentamente sentì la sua paura iniziare a placarsi, il cuore battere con maggiore calma, il respiro farsi meno affannato.
"Ci faremo carico di questo per te, ti aiuteremo. Ma tu non devi mollare.", disse fermamente All Might, tenendogli una mano sulla guancia, in un gesto paterno che gli era mancato così tanto in tutti quegli anni. Riuscì ad annuire, sentendosi più leggero, mentre anche Bruce gli posava il pugno sulla spalla, un gesto distaccato e uno sguardo indecifrabile. Fu solo quando Kudo gli toccò la mano con riluttanza che avvertì una sorta di brivido lungo tutta la schiena.
“Sai, non serve che ti affanni così.”, gli disse, con quel tono aspro che aveva ormai imparato ad apprezzare. Izuku non riusciva ancora a parlare e lo guardò, interrogativo, sentendo le dita gelide intrecciarsi e stringersi alle proprie, come se quella, più che un incoraggiamento, fosse una carezza cercata e gradita da entrambi.
Kudo gli si avvicinò all’orecchio e la sua voce si fece un sussurro perso nello sfrigolamento dell’energia che lo avvolgeva: “Credi che non abbia mai visto cosa fai, ragazzino?”. E Izuku si irrigidì a vedere il sorrisetto di scherno su quel volto sfregiato, mentre a circondare quella specie di stanza diroccata c’era solo la proiezione di ciò che in realtà stava pensando: una sfilza di imprecazioni e di balbettii.
Oh cazzo!
“Oh cazzo si! Però è stato divertente, vero Kudo?”
“Per niente, Nana.”, abbozzò quello, un arrossamento lieve su quel volto sempre impassibile.
Li sentiva ridacchiare tra di loro e, improvvisamente, si rese conto che, forse, l’idea che aveva avuto per anni che quella fosse una dimensione del tutto separata dal suo pensiero e fosse una sorta di subconscio, non era poi così esatta.
D’un tratto, però, la sua attenzione cadde su Yoichi, il primo possessore, accasciato in ginocchio accanto a lui, che aveva lasciato la presa sul suo corpo d’energia per prendersi la testa tra le mani. Kudo, al suo fianco, si limitava ad accarezzargli la testa e parte della schiena ad ogni invocazione del suo nome. “Sono qui, Yoici. Sono qui. È solo una cosa passeggera…”, ma la convinzione era scarsa nel suo tono di voce e lo sguardo affilato che rivolse a Izuku gli fece quasi gelare il sangue nelle vene, mentre quel fumo denso e scuro pulsava e lo stringeva ancora.
“Possiamo solo alleviare l’effetto della paura, per cui vedi di muoverti, ragazzino!”, gli ricordò Kudo. E fu come se un lampo partisse da quegli occhi così simili a quelli di Kacchan, risvegliandolo e riportandolo prepotentemente indietro…
 
Gli occhi di Deku si strinsero forte prima di riaprirli e osservare quella figura trasandata che gli puntava un coltello alla gola. Per quanto aveva perso conoscenza?
Per quanto era stato lì, fermo, in balia di quel villain?
«Non sono debole.», scandì, a denti stratti, paralizzato ancora sul posto senza sapere bene come fare a schiodarsi da lì.
«No? Allora perché sei fermo e ho io il coltello dalla parte del manico?».
Si guardò attorno e vide un altro paio di scagnozzi che erano accorsi al porto per dargli man forte, mentre la punta dell’arma gli pungeva la pelle e un rivolo di sangue gli colò da sotto il pomo d’Adamo fino allo scollo della tuta, mescolandosi al sudore e alla polvere. «Non fare lo stupido con me, Shui.», lo avvertì, la voce bassa e pericolosa, le iridi verdi scurite dalla palpebra abbassata e dall’ombra delle sopracciglia. «Hai quasi ammazzato degli innocenti con quella moto oggi. E non ti conviene puntarmi un’arma contro. Lo sai anche tu.». La mano destra si mosse con calma innaturale fino a prendere il polso del villain senza alcuna forza.
«Tutti sono deboli contro Mahi, eroe!».
«Ma-mahi?».
La risata che ricevette in risposta lo fece rabbrividire, quasi quanto la punta del coltello che gli sfregava di nuovo la pelle, lasciandogli un taglio poco profondo ma che bruciava terribilmente la pelle, mentre Shui si allontanava di un paio di passi, lasciando campo libero ai due energumeni che, lo vedeva, pregustavano solo il fatto di avere Deku lì, alla loro mercè.
Vide Shui voltargli la schiena, li coltello lanciato brevemente in aria, come se fosse un giocattolo, la voce alta per farsi udire a distanza: «Mahi è un bel potere, anche se tu lo sopporti bene.». Lo vide voltarsi di nuovo nella sua direzione nell’esatto momento in cui l’omaccione pelato gli afferrava i capelli e lo strattonava, provocandogli una smorfia rallentata di dolore. «Credo mi godrò la scena da qui, Palsy. Tu e tuo fratello fate pure come se io non ci fossi! Ah!».
Le mani facevano fatica a raggiungere il braccio dell’uomo che lo teneva per i capelli, un dolore atroce alla testa e al braccio che cercava disperatamente di alzare ma che qualcuno di più alto e grosso di lui aveva già strattonato prima di sferrargli un potente destro sull’addome. Un’ondata di dolore attraversò il corpo di Izuku, che sussultò in agonia. I suoi tentativi di reagire furono inutili, limitati da quel potere subdolo che lo teneva incatenato, rallentato.
“Ragazzo!”
Izuku alzò lo sguardo a colui che lo teneva ancora quasi appeso, le punte dei piedi che sfioravano l’asfalto rovinato e macchiato di quello spazio tra i capannoni.
E lì, indifeso e vulnerabile, non poté fare altro che sopportare l'assalto di quei pugni che arrivavano, poderosi, e s’infrangevano sulla sua carne senza sosta.
L'abilità di Shui che induce paura aveva già fatto il suo lavoro, amplificando i suoi terrori a livelli insopportabili. La combinazione della paralisi di quell’altro villain e dei colpi che stava subendo… Era tutto troppo da gestire per il giovane eroe, che si sentiva scivolare via, la sua energia che defluiva a ogni colpo feroce, come se quello fosse il potere di colui che lo stava trattenendo.
Izuku strinse i denti e i pugni, combattendo contro se stesso, perché ogni volta che stringeva gli occhi gli sembrava di vedere le vestigia, a una a una, che si accasciavano come fiori esangui. E quella visione era tanto raccapricciante da costringersi a tenere gli occhi aperti, spalancati, che bruciavano tra la calura e il sudore, mentre riusciva a malapena ad alzare le braccia e a proteggersi il volto dai pugni.
“Izuku! Reagisci!”.
Ogni colpo che riceveva era un grido disperato nella sua testa.
Si sentiva patetico. E, per quanto non fosse così, lui si sentiva debole. Più debole di quando i poteri manco ce li aveva.
All'improvviso, un'esplosione assordante echeggiò nel vicolo ed entrambi i cattivi si immobilizzarono, evitando per un pelo un proiettile vagante che si conficcò nel muro dietro di loro. Approfittando della loro breve distrazione, Izuku fece appello a ogni grammo di forza che ancora possedeva e si costrinse ad avvicinare le dita, schiccherando l’aria, provocando un rinculo breve e decisamente poco potente per i suoi standard, facendo però cadere i due criminali distratti come i birilli di un bowling malandato.
Crollò al suolo con un lamento soffocato, le costole forse rotte, il dorso della mano a pulirsi piano la bocca dalla saliva e dal sangue. Provò a rialzarsi nel più breve tempo possibile, ma i suoi movimenti erano lenti e faticosi, anche se sapeva che doveva scappare, recuperare forze e fiato.
Mentre si trascinava per terra, Izuku lanciò un'occhiata alle sue spalle e vide i due criminali fare fatica a rialzarsi e ne fu compiaciuto, tanto che un sorrisetto gli incurvò le labbra a vedere pure Shui visibilmente scosso, i suoi occhi spiritati ancor più spalancati e guardinghi, l’espressione carica d’ansia nel guardare verso la direzione dello sparo.
«Mani in alto!».
«Siete in arresto!».
Ma Izuku lo sapeva che la voce tremolante di quei poliziotti, per quanto alta fosse, avrebbe attirato solo disgrazie e non avrebbe mai fatto da deterrente per quei criminali, così come le pistole che stavano puntando contro i due scagnozzi.
Uno dei due agenti, vedendo un criminale alzarsi troppo in fretta, sparò di nuovo, colpendo l’uomo alla gamba, strappandogli un urlo disumano, mentre perdeva d’equilibrio e tornava a terra, a premersi le mani già insanguinate sulla coscia per fermare il fiotto rossastro che ne usciva.
La paralisi che aveva colpito Deku si indebolì e lui percepì in quello un'opportunità: usò l'adrenalina che gli scorreva nelle vene per tirarsi su goffamente e barcollare. Le sue gambe tremavano ad ogni passo, ma si rifiutava di arrendersi, tenendosi l’addome con il braccio sinistro, il destro puntato avanti a sé, le dita pronte a dare un nuovo colpo all’aria nella direzione di Shui.
La testa gli pulsava, la faccia era calda e lo zigomo destro doleva tanto da temere fosse rotto, cosa che lo era sicuramente il labbro. O il naso.
«Sei finito, Shui. Arrenditi!». La faccia di Izuku era un grumo di dolore che si confondeva con quello al costato o al torace, che gettava scariche ad ogni ansito e gli rendeva difficoltoso parlare.
Era questa la sensazione che aveva avuto Kacchan? La serpeggiante paura di morire era questa?
Davanti a lui, il sinistro Shui sfoggiava un sorrisetto arrogante prima di voltare il capo verso i due poliziotti, spalancare gli occhi e richiamare la loro attenzione per poi attivare il suo subdolo quirk sugli agenti accorsi, che erano fuggiti a gambe levate subito dopo, in preda al terrore.
Fatta eccezione per loro tre e per le armi abbandonate che gli agenti si erano lasciati dietro, la zona sembrava deserta. Izuku chinò il capo, un respiro profondo, più doloroso del previsto, decretò la sua rassegnazione, tanto da fargli chiudere gli occhi per un istante.
 
 
Kudo era ancora lì, in piedi accanto a lui, così come Daigoro, la mano premuta saldamente sul suo collo nudo, tanto da poter sentire la pressione di ogni singolo polpastrello non solo nell’anima ma anche realmente, sulla propria pelle.
«Devi concentrarti, giovane Midoriya!», disse disperatamente All Might, accasciato al suolo, ma ancora aggrappato al fumo che gli avvolgeva la gamba.
Non sapeva cosa dovesse fare.
Nonostante la sua stanchezza, Izuku sapeva di non potersi permettere di tirarsi indietro. Era arrivato troppo lontano e non poteva lasciare che Shui o qualsiasi altro cattivo vincesse. Ma il pensiero di fallire proprio ora, quando aveva realmente qualcosa da perdere, quando si sentiva così completamente realizzato, lo riempiva di un terrore che non aveva provato nemmeno durante la battaglia con Shigaraki. Le sue mani tremavano, non solo per la stanchezza, ma per la paura schiacciante che gli attanagliava il cuore.
 
 
Evocando ogni grammo delle sue forze rimanenti, Izuku strinse i pugni e fissò il cattivo davanti a lui. Tutto lo splendore di quel potere che aveva ricevuto era stato neutralizzato, lasciandolo impotente contro un nemico che s’era rivelato astuto e spregevole.
Aveva giurato di essere un simbolo di speranza per tutti, un simbolo del fatto che anche gli impotenti potevano fare la differenza.
Non sapeva come, ma avrebbe trovato un modo per fermare Shui e la sua banda prima che diventasse potente. Per proteggere gli innocenti e dimostrare che c'era sempre un modo per combattere l'oscurità.
Lo scagnozzo, barcollando nella sua corsa disperata l’aveva quasi raggiunto e proprio mentre la mano del cattivo si allungava per afferrarlo di nuovo, Izuku fu improvvisamente inghiottito da un inferno accecante: un'esplosione scosse perfino i capannoni che li circondavano, la sua onda d’urto lanciò via il criminale e lasciò Izuku in piedi, le braccia a proteggersi il volto tumefatto. Prima che potesse rendersi conto di ciò che era successo, una figura atterrò davanti a lui, ansimante e fumante, ma molto viva.
I loro occhi si incontrarono per un breve, teso momento prima che Dynamight gli ringhiasse contro: «Ti avevo detto di inseguirlo insieme, idiota!». Detto questo, si voltò verso il villain, con i pugni serrati e uno sguardo determinato negli occhi.
«Tu... Tu non devi essere qui…», riuscì a dire Izuku, le gambe che ancora tremavano mentre faceva qualche passo verso l’amico.
«Potevi dirlo che volevi divertirti da solo, Deku!», ghignò l’altro, mentre piccole esplosioni si formavano su suoi palmi. Il cuore di Izuku trovò uno spiraglio di gratitudine in quell’angoscia cieca che lo continuava ad avvolgere, come una coltre pesante.
Dynamight e Deku si voltarono l'uno verso l'altro, respirando affannosamente, scrutandosi in volto per un istante di puro sollievo: erano entrambi feriti, ma erano vivi. La tensione che sentiva Izuku, la paura e l'adrenalina, cominciarono a defluire, sostituita da una strisciante stanchezza che minacciava di inghiottirlo del tutto.
«Bene-bene». ghignò Shui, facendo volteggiare abilmente il coltello con una mano per poi riprenderlo e giocarci così un paio di volte. «Due piccioni con una fava!».
Le labbra dell’uomo erano curvate in un sorriso sinistro mentre avanzava verso i due eroi, con evidente disprezzo nello sguardo.
Alzò la mano e a Izuku sembrò che l'aria stessa attorno a lui si deformasse, l’energia si condensasse, opprimendolo, schiacciandolo come un peso soffocante.
«Si stava così bene qui senza voi eroi. Tutti sorrisi e ammirazione e autografi. Patetici. Pensavate di intromettervi per che cosa? Per ristabilire un ordine inesistente?», sibilò Shui, le sue parole grondavano malizia. Concentrò la sua attenzione su Dynamight, che se ne stava un passo di fronte a Deku, le braccia allargate, le gambe divaricate pronte a scattare, in un atteggiamento protettivo verso il ragazzo prodigio, di poco arretrato rispetto all’eroe esplosivo. Lanciò ancora una volta in aria, il coltello, prendendosi tutto il tempo che voleva, mentre Katsuki lo studiava in ogni minimo movimento.
«Sei tu che vai contro l’ordine, testa di cazzo!», lo rimbeccò Dynamight, un braccio portato lentamente di fronte a sé, il palmo aperto e un piccolo anello formato dal pollice e indice dell’altra mano, come se volesse mirare direttamente a quel farabutto.
«Non ti vuoi divertire un altro po’ come l’ultima volta, eroe?», e così dicendo lanciò più forte il coltello in aria, allargando poi le braccia, un ghigno sul volto mentre guardava entrambi.
Stavolta però Deku fu più veloce: un lampo verde, luminoso, brillante, sembrò accecare per un momento entrambi, con Katsuki che si sentiva colpito al centro della schiena e poi preso per la testa e fatto sbilanciare in avanti, un tonfo sordo al suolo senza che avesse facoltà di capire cosa davvero stesse succedendo, mentre un attacco di Deku si affievoliva sul nascere e quell’eroe impavido si bloccava di nuovo, le mani tra i capelli e l’espressione sofferente; il villain rideva sguaiatamente, il coltello di nuovo nella sua mano, un passo dopo l’altro verso di loro.
Fu il turno di Katsuki di rialzarsi in fretta, uno slancio atletico con le braccia e piccole esplosioni che lo riportavano in piedi, il solito ghigno feroce sul volto. Lo stivale grattò sull’asfalto del piazzale, il polpaccio teso da far male, una questione di millesimi di secondo, mentre gridava a pieni polmoni e le esplosioni lo facevano alzare dal suolo e caricare il villain a tutta potenza.
Avrebbe oltrepassato Deku, fatto esplodere il coglione che se la stava ridendo e tut-
La gravità fece il suo sporco dovere, trascinandolo in basso, incapace di muoversi, tanto che ruzzolò di qualche metro, dolorante ed ammaccato, imprecando mentalmente perché neppure la voce sembrava uscirgli dalla gola. Era paralizzato da costrizioni invisibili, tenuto fermo e, di nuovo, fatto piombare in ciò che lui temeva in situazioni come quella: l’impotenza, l’essere totalmente inerme di fronte a un criminale che gli era ora di fronte e continuava a osservare alle sue spalle. Katsuki non riusciva neppure a voltare la testa, iniziando a respirare a fatica, provando solo a socchiudere gli occhi per un attimo per calmarsi… Ma era impossibile.
Un mugugno di dolore gli uscì dalla gola quando Shui, chinato su di lui, gli piantò con forza il coltello nella coscia. «Non sei così arrogante adesso, vero?», a quella presa in giro Katsuki sembrò ringhiargli contro, incapacitato nel reagire. Shui, ridacchiò in modo maniacale.
«Quanta stupidità!», sputò. «Mi chiedo ancora con quale coraggio vi abbiano definito tra i migliori eroi in circolazione. Patetici!».
Poi qualcosa cambiò. Nel mezzo di quel sadico divertimento, il corpo di Izuku, immobile e irrigidito da quel quirk subdolo, cominciò a fremere, a tendersi. I muscoli che si ribellavano a una costrizione tanto forte ed innaturale. I suoi occhi si aprirono di scatto, il capo voltato verso quell’energumeno che già prima l’aveva picchiato e che possedeva il potere Mahi: lo vide allungare una mano, seppur in ginocchio, con la testa insanguinata e malconcio quanto lui. Era quell’uomo che li stava trattenendo entrambi, che impediva loro di muoversi e combattere. Era lui che stava trattenendo così forte Kacchan da quasi farlo smettere di respirare. La rabbia si sostituì alla paura e alle voci nella sua testa che lo supplicavano di non fare nulla, di resistere a quell’istinto primordiale che stava velocemente prendendo il sopravvento su di lui.
Lanciò un urlo disumano, tanto che Katsuki, con la gamba dolorante da cui sgorgava sangue, provò con tutte le sue forze a voltarsi per guardarlo, per gridargli di fermarsi, di stare fermo. Ma le parole morirono in gola assieme al suo respiro.
Izuku si era liberato da quella costrizione invisibile, scattando avanti e a destra come un fulmine, incurante del bruciore ai muscoli per lo sforzo compiuto.
Colpì il villain con una spallata, una potenza d’urto tale da scaraventare l’uomo lontano, sfondando le mura di almeno tre capannoni; un potere che Katsuki non gli aveva mai visto usare contro una scartina di quel calibro… E gemette di dolore per la gamba ferita, accasciandosi di più al suolo e ritrovando aria e respiro prima di estrarre il coltello e premere a fondo sul taglio, piccoli scoppiettii usati per provare a cauterizzare la pelle e limitare la perdita di sangue, pregando che quel coglione (e la sua mira del cazzo) non avesse reciso vasi sanguigni importanti… Tuttavia, appena alzò lo sguardo alla disperata ricerca del villain e di Deku, vide qualcosa che gli gelò il sangue nelle vene e che lo portò a rialzarsi con fatica e dolore, sfregandosi le mani sulle anche prima di portare le braccia all’indietro, caricando una forte esplosione per spostarsi da lì e intercettare il poderoso salto di Deku.
Lo afferrò per la vita con entrambe le braccia, affondando la testa nel suo ventre per ripararsi nella caduta successiva. Ruzzolarono assieme per diversi metri, l’asfalto rotto nell’impatto che si sgretolava in micro-frammenti e pulviscolo che li fece tossire. Il contraccolpo fu forte, ma Katsuki si rese conto che, in quello stato, Deku sembrava inarrestabile, una furia.
«Fermati idiota!», gli urlò in faccia, bloccandolo a terra tenendolo saldamente per le spalle, caricando sul suo torace parte del proprio peso per fermarlo. «Non fare cazzate!».
Ma si rese conto, tardi, che sarebbero state parole vane. Lo vedeva dagli occhi verdi resi vitrei e luminosi dal potere del OFA, da quelle labbra che pronunciavano il suo nome come una litania silenziosa.
Kacchan. Kacchan. Kacchan.
Lo poteva sentire perfino nella sua testa.
Izuku non era più in sé, non agli occhi sgranati di Katsuki che s’era pure azzardato a tirargli uno schiaffone, ricevendo in cambio solo una spinta mentre Deku si alzava e lo contrastava in ogni sua mossa, fintanto che non lo prese per la gola con una mano. La morsa era salda, soffocante, e Katsuki gli graffiò le mani per farlo smettere, afferrandogli e stringendogli il polso, fregandosene pure del romperlo. Ma Deku non voleva soffocarlo, solo lanciarlo distante, lontano, come un insetto fastidioso, facendolo atterrare contro la saracinesca del capannone a fianco.
La rabbia ribolliva dentro Izuku come lava, minacciando di consumarlo completamente. Sembrò quasi che un potere oscuro lo attraversasse mentre allungava la mano con il suo Black Whip attivo, che serpeggiava lontano da lui e raggiungeva Shui, che stava tentando invano di fuggire chissà dove, per agguantarlo e sbatterlo contro il muro di un capannone lì accanto; viticci scuri di energia pulsante avvolsero l’uomo come il glicine fa col suo supporto, stringendolo a formare quasi un bozzolo, interrompendogli la fornitura d'aria quando gli strinsero la gola.
La stessa energia nera che usciva dai manicotti ai suoi polsi lo stava avvolgendo, ricoprendolo di qualcosa di sfrigolante e spaventoso, che sembrava crepargli le braccia e le gambe, l’intero torso, estendendosi perfino alla pelle del volto.
«Ti ricordi adesso?», gridò Izuku, prima di digrignare con rabbia i denti, gli occhi verdi che ora lampeggiavano pericolosamente: «Hai di nuovo ferito Kacchan!», aggiunse, la voce bassa e spaventosamente rabbiosa, un passo ad ogni parola, mentre si avvicinava al villain con aria minacciosa e quei fasci di energia scura sfrigolavano attorno al corpo dell’uomo, in una tortura lenta e dolorosa, fatta di attimi di sollievo e infiniti momenti di dolore.
L'uomo provò a schernirlo, nel breve istante in cui l’aria gli fluiva di nuovo nel petto: «Vuoi che ti chieda scusa, ragazzino?».
«Pensi che le scuse siano sufficienti dopo quello che gli hai fatto passare?» sbottò Izuku, voltando la testa alla ricerca di Katsuki, notandolo riverso a terra che tentava di rialzarsi.
L'uomo rise di nuovo, piano e minaccioso. I suoi occhi parevano brillavano della stessa follia che pervadeva quelli dell’eroe che aveva di fronte, che strinse di nuovo la presa con quei fasci scuri, sollevandolo di mezzo metro da terra, in modo da fissarlo dritto nei suoi occhi grigi, aggiungendo, con voce lugubre: «Non permetterò a nessuno di fare del male a Kacchan.».
 
 
Katsuki si stava rialzando con fatica, col cuore che gli batteva forte nelle orecchie, il sudore gli colava dalla fronte. Si rifiutava di credere a ciò che stava vedendo.
Si rese prepotentemente conto, in quel momento, di essere davvero il punto debole della morale di Deku. E si sentì stupido a non averlo capito prima, durante le esercitazioni a scuola, durante le battaglie o la guerra… Perché aveva pensato che le parole di Shigaraki fossero vuote e non vere?
Deku avrebbe messo da parte tutto ciò in cui credeva per lui, tutto ciò per cui aveva lottato tanto, solo per vederlo salvo.
I miei piedi si sono mossi da soli.
No. non era altruismo. Non con lui. Non dopo tutto quello che gli aveva fatto passare.
E quattro baci e una sega non cambiavano le cose; forse le acceleravano e basta.
Tuttavia, al di là del loro rapporto dell’ultimo periodo, quella consapevolezza fu per lui come una doccia gelata: sapere che Deku avrebbe scelto Kacchan sempre e comunque, anche a dispetto del bene comune, della società, dei civili… Lo destabilizzava. E si sentiva colpevole per questo.
Sentiva di essere per lui una zavorra, un ostacolo e, per quanto fosse lusinghiero il fatto che Deku, il simbolo del bene, avrebbe potuto mandare tutto a puttane solo per lui, per il suo Kacchan… Lo smosse.
Lo smosse tanto nel profondo che si risvegliò dallo stato catatonico in cui era finito dopo essere stato scaraventato contro una saracinesca.
Dynamight si rialzò a fatica, dolorante e sussultò nell’osservare il collega e amico perdere il controllo in quella maniera tanto feroce che stentava a crederci: Deku, l'eroe spensierato e gentile che conosceva, era ridotto a questo?
Non avrebbe mai permesso che rovinasse tutto: né la sua carriera, per aver ucciso un uomo, né la propria per non aver prestato il giusto soccorso. No, non lo avrebbe permesso. Così Katsuki si lanciò in avanti con una breve detonazione, afferrando uno dei viticci e tirando con tutta la sua forza. «Deku, fermati!», gridò.
Uno strattone più forte, come se stesse giocando al tiro alla fune, i palmi delle mani che sfrigolavano a contatto con tutta quell’energia incontrollata.
La punta dello stivale sull’asfalto e uno slancio, agile e disperato, per raggiungere Deku e colpirlo con una forte esplosione sulla nuca, tanto da sbilanciarlo in avanti, fargli sbattere la testa contro il muro e allentare finalmente la presa di Black Whip sul collo del villain.
Lo prese per i capelli e lo staccò dal muro, la faccia sanguinante per un taglio sotto l’attaccatura dei capelli, gli occhi e gli zigomi gonfi per le botte.
«Se ti lasci travolgere dall'odio, allora chi vincerebbe, ah?» gli urlò contro con tutto il fiato che gli rimaneva, pregando gli Dei che quegli idioti dei poliziotti rintracciassero i loro GPS e arrivassero ad arrestare i malviventi in tempi stretti. «Chi vince, ah? Tu o il villain? Non puoi farlo vincere! Non ti puoi permettere di farlo!», e lo scosse forte, scrollandolo ancora dai capelli, incurante se gli stesse facendo male o meno. Glieli avrebbe staccati a ciuffi pur di farlo rinsavire!
«Ma lui…lui…».
«Smettila di balbettare!», lo strattonò ancora, facendolo finire con il culo per terra. Come quando erano ragazzini. Come quando a picchiarlo, a fargli male ci provava un gusto malsano.
«Io sono qui, stupido idiota! Mi vedi?» e gli prese una mano e se la portò sulla faccia «Mi senti? SONO QUI!».
Le parole di Kacchan penetrarono nella corazza di rabbia e paura di Deku, che sospirò profondamente, cercando di controllare la tempesta che si agitava dentro di sé. Black Whip si ritirò con calma, un’ansa alla volta, come un serpente che si rintana nell’oscurità della propria tana. Izuku tremava come una foglia, ma il suo sguardo sembrò tornare lucido. «Se-eei qui, Kacch-an…», balbettò Deku con voce contenuta.
«Non devi permettere a questa cosa di vincere. Tu non sei oscurità, Deku. Non lo sei mai stato! Sei luce. Io e te siamo luce. Siamo eroi, e dobbiamo proteggere tutti, non solo chi amiamo. Me lo hai insegnato tu, giusto?» e Izuku annuì piano a quelle parole, mentre Kacchan, il suo Kacchan, era lì che gli teneva il volto tra le mani. E aveva gli occhi belli e stanchi e la sua voce sembrava come una coccola in quel rimbombo di paure che aveva in testa. «E proteggere tutti significa anche lasciar vivere anche chi non ritieni degno, perché non sei il giudice di niente. Tu non sei il boia! Stai solo aiutando la giustizia. E non è uccidendo un villain che ti sentirai meglio solo perché ha ferito chi ami. Hai capito?».
Katsuki attese. Attese che quegli occhi verdi che lo fissavano, spauriti, si chiudessero e si riaprissero. Attese che quel nerd che aveva di fronte annuisse ancora, con il labbro inferiore stretto tra i denti e le lacrime pronte a sgorgare. «Non è vendetta, Deku. Non lo è mai stata.».
Izuku si sporse in avanti, contro Katsuki. La testa tra le mani e un singhiozzare disperato, mentre la fronte si strofinava contro il petto saldo e affannato del biondo. «Dio… Cosa stavo facendo…», ripeteva come una litania, mentre era Dynamight a lasciare il suo fianco e afferrare per la maglia il pover’uomo che arrancava terrorizzato via dall’eroe, gattonando come un bambino, le gambe che tremavano.
«Non hai intenzione di usare il tuo potere di nuovo, vero?» lo minacciò Katsuki con voce greve e quello scosse il capo, piagnucolando e pregando che nessuno dei due gli torcesse un capello in attesa dell’arrivo della squadra di polizia per la sua presa in custodia e il suo arresto.
 
 
Izuku si sedette su una panchina in sala d’attesa, la schiena appoggiata al muro freddo. Le botte e i lividi che gli deturpavano il corpo stavano pian piano guarendo, grazie a quella brodaglia che gli avevano propinato.
Tuttavia, la ferita che gli faceva più male era dentro, scavata a metà via tra il cuore e lo stomaco, entrambi sembravano suturati a doppio filo, tirati tanto da continuare a dolere anche dopo una dose di calmante doppia rispetto a quella che veniva somministrata a pazienti normali.
Non riusciva a capire perché, nella sua mente, l'immagine di Kacchan in pericolo fosse tanto viva, quando, razionalmente, sapeva che così non era.
Lui era solo nella stanza di fronte, a farsi suturare il taglio sulla fronte e la ferita alla gamba.
Non c’erano villain lì, solo infermiere amorevoli e paramedici indaffarati a prestare le prime cure ai feriti della rapina.
Sapeva che non serviva più essere così guardingo, neppure provare quella rabbia sfrenata che lo aveva consumato al punto di perdere conoscenza tra le braccia di Kacchan.
Il peso di aver quasi ferito il proprio amico, quando invece cercava solo di proteggerlo, di fare in modo che il mondo non glielo portasse via… Quel peso gravava su di lui come una tonnellata di mattoni. Tremò, portando istintivamente le ginocchia al petto e stringendole forte, premendo la fronte sulle ginocchia e martoriandosi il labbro inferiore con i denti. Riaprì la ferita sul lato del labbro, il sapore metallico del sangue gli invase la bocca. Si strinse ancora di più in quel bozzolo di tremori e lacrime trattenute.
Come aveva potuto? Come si era permesso di fargli male?
Non si accorse della porta scorrevole né del brusio leggero accanto a lui.
Si accorse solo di una mano pesante, passata in mezzo a quel groviglio di nodi, sudore e polvere, che erano diventati i suoi capelli: Katsuki gli si era avvicinando zoppicando appena, un sibilo di fastidio ogni volta che caricava involontariamente il peso sulla gamba sinistra.
«Ehi…».
Fu come il canto di una sirena: Izuku alzò il capo, mostrando all’amico gli occhi rossi e gonfi di pianto, il volto ancora arrossato ed escoriato per i pugni ricevuti, e a Katsuki si strinse lo stomaco.
Si era recriminato il fatto di averci messo troppo tempo a raggiungerlo, troppo lento ad intervenire.
La mano calda e ruvida del biondo si spostò sulla guancia gonfia, sfiorandola con una delicatezza di cui non pensava di essere capace, strappando comunque una smorfia di dolore a Deku. «Sto bene.».
Lo vide annuire, mentre lo guardava dal basso con quegli occhioni smeraldini così liquidi e sinceri. «E tu? Tu stai bene?».
Izuku scosse il capo, tuffando di nuovo la faccia tra le ginocchia. «Ti ho fatto del male…», piagnucolò, ancora in parte sotto l’effetto del quirk di Shui.
Gli rimise la mano tra i capelli e tirò un poco, giusto per avere ancora il suo viso e la sua attenzione tutta per sé: «So che non volevi farmi del male.», e fece una pausa lunga, in cui i loro occhi non si staccarono gli uni dagli altri. «E non me ne hai fatto, Izuku. Non più di quanto te ne abbia fatto io.».
Gli si sedette accanto, di peso, spalla destra contro spalla sinistra, mentre Izuku ne seguiva i movimenti come un girasole che segue la sua unica fonte di vita. «Hanno dato quella brodaglia ignobile anche a te?». I capelli verdi di Izuku ondeggiarono mentre lui annuiva e tirava la bocca in una smorfia piatta.
Katsuki ammise a se stesso che non sarebbe mai riuscito ad essere forte come lo era stato Deku con lui. Più che una presa di coscienza, quella si rivelò una recriminazione. Ma non ci diede peso, non mentre gli passava la mano destra sulla fronte e gli sollevava e portava indietro quei riccioli sporchi dal viso, incatenando i suoi occhi vermigli a quell’abisso verde brillante che aveva davanti.
«Scusa se ti ho colpito così forte.», provò a parlare, con tono più basso, cercando di mantenere con lui il più possibile il contatto visivo.
Izuku alzò lo sguardo, i suoi occhi cerchiati di stanchezza e di lividi. «Io… Avrei dovuto controllarmi meglio. Avrei potuto...», e i suoi singhiozzi finirono incastrati in gola e tra i denti.
Per Katsuki era sempre stato così strano vederlo piangere.
Quand’erano piccoli non lo capiva perché piagnucolava sempre, perché diventava così emotivo per un nonnulla.
Quando erano a scuola assieme, forse il male che gli faceva era troppo da sopportare e, anziché urlare o scappare, se lo ritrovava davanti a frignare. E il non reagire lo faceva andare in bestia. Come poteva una persona rendersi al pari di uno straccio solo per avere un briciolo di attenzione?
Poi aveva capito. Alle superiori aveva capito che Deku, forse, sentiva tutto amplificato e non sapeva bene come dare un senso a tutto ciò che provava, incanalando ogni emozione, positiva o negativa, in quei martoriati condotti lacrimali. Allora lì l’aveva compreso, nel suo non riuscire ad esprimersi al meglio, nel suo essere all’esatto opposto rispetto a lui. Ugualmente forti, ma diversi.
In antitesi.
E ora che comprendeva cosa volesse dire avere un terrore cieco che ti dilania, quelle lacrime lo facevano sorridere, perché era quello stupido idiota a produrle: un supereroe di quasi un metro e novanta, muscoli tonici e sorriso sempre smagliante, che frignava come un moccioso per non essere riuscito a controllarsi. C’era oggettivamente dell’ilarità in tutta quella scena.
«No.», lo interruppe Katsuki, passandogli una nocca sotto l’occhio a raccogliere qualche lacrima. «Non eri te stesso. Shui era forte. E subdolo e sapeva bene che tasti premere per farti crollare. Ma lo abbiamo fermato insieme, Deku. Questo è ciò che conta. Non la tua rabbia, o la mia stupidità nell’averti lasciato da solo.».
Izuku riuscì ad abbozzare un debole sorriso, annuendo piano, e Katsuki gli rivolse un raro mezzo sorriso. «Siamo il Wonder duo, giusto? Siamo partner, io e te.».
Rimasero qualche istante in silenzio, l’uno accanto all’altro, gli unici suoni erano dati dal vociare sommesso delle persone nei corridoi o dai loro passi, mentre entrambi avevano la testa reclinata al muro, fissando il soffitto candido. L’odore dei medicinali e del disinfettante che li avvolgeva non dava più così fastidio.
Fu Izuku a strisciare il capo sul muro, avvicinandosi a Kacchan, toccando la testa con la propria. «Non so cosa farei senza di te.».
«Hai fatto tante cose senza di me.».
Izuku gli diede una leggera spinta, per poi cercare di nuovo quel contatto, lo stesso che voleva il dorso della sua mano a contatto con la coscia calda di Kacchan, mentre tirava lentamente a terra le gambe, togliendosi da quella scomoda posizione di auto-protezione.
«Sai che intendo…».
Ci fu un momento di silenzio, di respiri pesanti rilasciati per sollievo. Da entrambi.
«Dopo oggi ne ho una vaga idea…».
Adesso capiva. La rabbia, l'impotenza, il bisogno di proteggere coloro a cui si tiene.
È come un fuoco nelle vene. Un fuoco che si pensa di poter controllare, ma in realtà non è così, perché è lui che controlla te.
Ci fu una pausa pesante, un deglutire ostico per Katsuki prima di porre una domanda scomoda: «Anche quella volta è stato così?».
«Mh?».
«In guerra, dico…». Izuku chiuse gli occhi e si spinse di più contro il suo fianco a quel ricordo doloroso, la gamba sinistra che toccava con forza quella di Katsuki, come a volersi sincerare che fosse davvero lì con lui.
«Peggio, credo. Ho un ricordo vago.», mentì, piegandosi di più contro di lui, accoccolandosi al fianco fino a posargli il capo sulla spalla. «Ma quella volta non ho colpito te…».
Una risatina rilasciò le labbra di Katsuki, la mano destra che andava ad accarezzargli la guancia, in un gesto carino e affettuoso che ad Izuku non sembrò reale, tanto che alzò di scatto la testa e gli afferrò il volto con le mani.
Sotto il palmo sinistro sentì chiaramente la ruvidezza di quella cicatrice che deturpava il volto di Kacchan, che lo rendeva più minaccioso e più attraente ai suoi occhi. Poi lo sguardo, dalla pelle raggrinzita sulla guancia e attorno all’occhio, si spostò sul taglio che aveva sulla fronte, ancora arrossato e stretto tra steri-strip bianchi di sutura.
«Ti ho lasciato un’altra brutta cicatrice…».
«Quali altre mi avresti lasciato, scusa?».
I polpastrelli di Izuku tracciarono i contorni di quella ferita, tornando poi a toccare la pelle ruvida sulla fronte, sullo zigomo destro, fino a dove quella grossa cicatrice si interrompeva, sul collo. «Questa…».
«Non sei stat-», ma Katsuki si interruppe, sentendo un bacio lieve sullo zigomo e poi la fronte di Deku che si poggiava con calma contro la sua guancia.
Il mondo intorno a loro si congelò. Non esistevano infermiere che correvano, né bambini urlanti, o persone che piangevano. Non esistevano gli odori pungenti dei disinfettanti o il ronzio insistente di una ventola d’areazione fuori asse.
Non esisteva nulla se non quel calore condiviso.
Katsuki si mosse di poco, il braccio destro che si spostava lentamente all’indietro, a cingere in una presa salda e sudaticcia la schiena di Izuku, la mano passata avanti e indietro su quella superficie ampia, muscolosa e calda come l’inferno.
Non aveva il coraggio di parlare, non aveva il coraggio di fare null’altro se non stringerselo addosso. Poi sospirò, e con quel sospiro raccolse un po’ di dignità, di forza e una buona dose di imbarazzo: «Alla fine… Mi piace.».
«La cicatrice?».
Katsuki annuì. «Ah-a.».
«Serio?».
«Fa figo.».
«Sei un’idiota.».
Katsuki ondeggiò, un ghigno accattivante sul volto, le orecchie che iniziavano a scaldarsi: «Piace anche a te, ammettilo.».
«Ah-a.», gli fece il verso Izuku, muovendo la fronte sulla sua guancia, arrivando a strusciare il naso contro il tessuto cicatriziale ruvido, l’odore di bruciato che gli irritava le narici. Un sorriso piccolo e genuino gli si formò sulle labbra. «E mi piacciono le tue orecchie da stegosauro…».
Katsuki si scostò bruscamente, accigliandosi: «Orecchie da stegosauro?», berciò, un lieve fastidio nel tono, mentre osservava Deku ghignare.
«Hai presente gli stegosauri, no?».
«Sì. Ma che cazzo c’entra? Hanno le orecchie che sono due cazzo di buchi!».
«Ok.», e gli accarezzò con due dita la sommità dell’orecchio destro. «Ma le placche servono per disperdere calore… Come le tue orecchie, Kacchan!», ridacchiò poi nel vedere l’espressione basita del biondino, prima che gonfiasse le guance e voltasse la testa, incrociando le braccia al petto con un sonoro sbuffo: «Quel quirk ti ha fottuto il cervello… Cristo sei davvero un nerd di merda!».
«Anche tu, visto che sai come sono fatte le orecchie di uno stegosauro!».
Katsuki pensò che allungare una mano sulla faccia di Deku e fargliela esplodere sarebbe stata la giusta punizione per l’ultima di una sfilza di cazzate che aveva fatto in quella giornata. Ma non lo fece.
Si limitò ad essere contagiato da una risata cristallina, gentile, di quelle che piacevano a lui e che gli erano tanto mancate…
Si ricompose solo quando vide Deku passarsi i palmi sulle guance per tirare via le lacrime di quello stupido momento di ilarità.
Battè i palmi sulle cosce e fece forza sulle ginocchia, alzandosi con calma, dolorante, sforzandosi di non esalare neppure un lamento, osservando però l’amico che non smetteva di piangere. «Che hai adesso?».
«Ni-niente… So-sono solo fe-e-elice…», singhiozzò quell’altro.
Katsuki corrugò la fronte, perché non capiva tutta quella immotivata emotività in quel momento: «E piangi? Perché?».
Lo vide tirare su col naso, strofinandolo col dorso della mano: «Perché sei qui, Kacchan.».
Ci mise un po’ per schiodarsi dallo stato catatonico in cui era finito, probabilmente qualcuno avrebbe potuto vedere la sua faccia da ebete, il collo arrossato, le sue orecchie da stegosauro… Ma non gli importava.
Allungò una mano e la passò in quella massa informe che erano i ricci di Deku, strofinandola in una carezza un po’ rude, giusto per attirare la sua attenzione e sorridergli.
«Va bene. Va bene. Ora però che ne dici se andiamo a casa, fenomeno
Lo vide annuire, un sorriso disteso sul suo volto sporco e tumefatto: «Abbiamo sul serio bisogno di una doccia. E di riposo. Perché il tuo piccolo fuori programma mi costerà di sicuro una pila di carte da compilare domani mattina.».
Gli occhi verdi di Izuku si socchiusero e il sorriso divenne una piccola smorfia carica di malizia, consapevole che ciò che sarebbe uscito dalle sue labbra, probabilmente avrebbe reso la sua permanenza in ospedale un po’ più lunga: «Abbiamo? O sei tu che vuoi una doccia come quella dell’altro giorno?».
 
 
I feel the reason as it's leaving me
No, not again
It's quite deceiving
As I'm feeling the flesh make me bad
All I do is look for you
I need my fix, you need it too
⁓ Korn ⁓
 
   
 
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