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Autore: EmmaJTurner    17/03/2024    5 recensioni
Un cancello aperto illegalmente; un'accusa di terrorismo interno; una botanica, un ragazzino e un gatto in fuga in pieno inverno. Cosa potrà mai andare storto.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Polvere di Fata

Alla flebile luce rossastra del corridoio, Meli vide la lama troppo tardi: la guardia che teneva Dagmaris in ostaggio fece irruzione nella celletta insieme a tre colleghi con archibusi spianati.

Meli indietreggiò; un soldato le puntò al petto l’archibuso e le ringhiò di non dire una parola o le avrebbe riempito la pancia di piombo.

Logan fu in piedi in un secondo, coltello in pugno, ma si immobilizzò alla vista del luccichio metallico delle armi da fuoco. 

“Prendeteli tutti e tre” ordinò la guardia che tratteneva Dag con il coltello.

Tutti e tre. Sapevano di Theo. Non erano solo stati beccati, quindi: qualcuno li aveva traditi.

Impanicata, Meli guardò l’amica con una domanda silenziosa negli occhi. Dag, il mento alto già rigato di sangue, ricambiò con occhi supplicanti. La sua bocca si mosse senza fare un suono: Non io.

Meli non si mosse nemmeno verso il bastone appoggiato al muro. Non potevano combattere in quella cella minuscola, e non potevano rischiare che colpi vaganti colpissero Theo. Aspettandosi di essere ammanettata e trascinata via, Meli rimase immobile col cuore in gola. 

Il manrovescio la colpì a sorpresa, così forte da farla barcollare. Si portò una mano alla guancia dolorante, ma un altro pugno allo stomaco le mozzò il fiato. Crollò in ginocchio, con la faccia che bruciava e un ronzio minaccioso nelle orecchie. Stava per svenire.

Logan stava urlando qualcosa. Meli alzò lo sguardo appannato su di lui. Due uomini lo stavano tenendo fermo, ma a fatica; si dimenava come un cane rabbioso e la stava guardando con una luce selvaggia negli occhi.

“Giù le mani da lei!” lo sentì ruggire Meli; ma era come se venisse da un altro mondo, ovattato, lontano. Irraggiungibile. 

Qualcosa di duro le colpì la nuca. E tutto fu buio.

***

Quando Meli si svegliò aveva male dappertutto. Sangue secco le incrostava la bocca e un dolore pulsante dietro la testa le impediva di pensare. Era seduta su qualcosa di piatto, umido e freddo. Cercò di muoversi e si accorse di essere incatenata con le braccia dietro la schiena. Anche le caviglie erano serrate da pesanti manette di ferro. Il buio completo, l’umidità e l’odore di muffa le suggerirono che si trovava in una prigione sotterranea.

Rabbrividì. Indossava solo la tunica che usava per dormire e già sentiva gli arti congelati. Se l’avessero lasciata lì un giorno di troppo sarebbe crepata di freddo ben prima che potessero interrogarla. Perché era per quello che erano lì, adesso ne era certa. Se avessero voluto ammazzarla lo avrebbero fatto nel bordello.

Dov’era Logan? Dov’era Theo? Dag stava bene? Che cosa—

Meli strizzò gli occhi di fronte alla luce verde che si accese all’improvviso davanti a lei. Accecata per qualche secondo, socchiuse una palpebra quel tanto che le bastava per riconoscere il pavimento lastricato della cella, le linee verticali delle sbarre e, al di là di esse, un corridoio dove una figura scura la stava osservando.

“Ah, eccoti qui. Non sei morta. Meglio così; il Capitano sarà contento”.

La figura sparì portandosi via la luce per qualche minuto. Tornò accompagnata da un uomo massiccio che teneva in mano una lampada a olio. Indossava la stessa casacca gialla della Guardia, ma una doppia fascia viola attorno allo stemma della Repubblica sul petto lo identificava come Capitano.

Il Capitano della Guardia di Andarèz era un uomo alto e nerboruto, con barba e baffi brizzolati e una luce per nulla rassicurante negli occhi. Appese la lampada a un gancio sul muro e osservò la prigioniera senza lasciar trapelare alcuna emozione. Meli si sentì minacciata dalla sua sola presenza.

“Melissa Sottoriva, Cassandriola”.

Nome, cognome e matronimico. Merda.

“C’è un’accusa di terrorismo interno a tuo carico. Insieme a una di rapimento di minore e una di attività magiche illecite”.

Meli si morse la lingua per impedirsi di dire qualcosa di stupido. Ad esempio: stronzate.

“Scelta poco furba, quella di entrare in città. O pensavi di riuscire a passare inosservata sotto il naso della Guardia?”.

Meli non rispose. Sarebbe stato inutile e dannoso sprecare fiato per rispondere a domande retoriche.

L’uomo sembrò dello stesso avviso. Le si avvicinò, la afferrò per la tunica e la mise bruscamente in piedi. Le catene sferragliarono sul pavimento di pietra.

“Adesso io e te faremo una piacevole chiacchierata, d’accordo? E se sarai brava e risponderai alle mie domande, forse non ti spezzerò le braccia”.

Meli deglutì e fece un impercettibile cenno con il mento. 

“Brava ragazza. E adesso dimmi: chi sa del cancello?”.

Eccolo, il vero motivo per cui era lì. Era arrivato il momento di parlare.

“Solo io”.

“E il tuo amico? Non mentirmi, tanto arriverò anche a lui”.

A quella minaccia Meli non osò opporre resistenza.

“Anche lui lo sa. E il bambino”.

“Altri?”.

Meli pensò a Dag, Aiden e Reika, ma non osò. Il Capitano si accorse della sua indecisione; la afferrò per la spalla e le diede uno scossone.

“Parla!”.

“Le fate! Le fate lo sanno. Sentono il flusso magico, o qualcosa del genere…”.

“Non me ne fotte un cazzo delle fate. Ci sono altre creature senzienti che sanno che dei cancelli sono stati aperti?”.

Cancelli, dunque. Plurale. Meli strinse i denti e, quasi certa che le fate rientrassero nell’elenco delle creature senzienti stilato nel Trattato delle Specie, aggiunse solo: “No”.

Il Capitano inalò pesantemente e la lasciò andare. 

Meli prese fiato. Le doleva la spalla dove l’aveva strattonata.

“Jilt. Esci”.

Il soldato semplice, in attesa silenziosa nel corridoio, sobbalzò. 

“Ma…”.

“Esci!”.

Meli sudò freddo. Cosa voleva farle, il Capitano della Guardia, che nemmeno i suoi uomini avrebbero potuto assistere?

Non appena il sottoposto sparì, con un cigolio e un tonfo, al di là di una porta che non potevano vedere, il Capitano la prese per il collo e la sbatté al muro. A bassa voce, chiese: “Cosa sai del sangue di drago?”

***

Meli sapeva molte cose del sangue di drago. Ingrediente raro e richiestissimo, ottenerlo era difficile essendo i draghi creature fastidiosamente sfuggenti e inclini al sarcasmo. Era considerato un'ottima — se non la migliore — base per gli antidoti e gli unguenti curativi, nonché molto efficace per eseguire tutta una serie di incantesimi che prevedevano l’utilizzo di sangue di qualche tipo. Ma qualcosa le disse che non era la risposta accademica quella che, con una mano stretta attorno alla sua gola, il Capitano delle Guardie stava esigendo da lei.

“No-non capisco la domanda”.

“Il sangue dei due draghi predestinati. Cosa sai?”.

Ancora più confusa disse, sincera: “Non so niente”.

L’uomo la colpì in faccia con il dorso della mano. “Non mentire, stronza. Tu sei la figlia di Cassandra. Devi sapere qualcosa. O tu o una delle tue cazzo di sorelle”.

Le sue sorelle? Erano in pericolo? L’espressione di panico la tradì.

Gli occhi del capitano si fecero sottili e crudeli. “Ah, non sei tu la sorella giusta allora… chi è? Parla!” minacciò strattonandola per i capelli.

“Non… ne ho idea!” piagnucolò Meli accecata dal dolore.

Una feroce mano guantata tornò a farle pressione sul collo. “Non sono autorizzato ad ammazzarti, ma lo farò se non collabori. Lo farò sembrare un incidente”.

“Giuro che non so niente!”.

Il tono terrorizzato dovette suonare sincero, perché la pressione sulla carotide si allentò un poco. Dopo qualche attimo, l’uomo la lasciò andare.

“Jilt!”.

La guardia di poco prima rientrò sollecita. “Sì, Capitano?”.

“Portami quell’altro. Ho come l’impressione che rompendo qualche osso a lui, a questa signorina qui si sbloccherà la lingua…”

Pochi minuti dopo, con un fracasso di ferraglia, insulti e percosse, un Logan ammaccato e ammanettato fu scaraventato nella cella da due guardie zelanti, le quali, dopo aver ancorato i cappi di Logan al muro e eseguito un solerte saluto militare, sparirono di nuovo.

Logan si alzò in piedi. Con il cuore che le batteva nelle orecchie, Meli cercò nel suo viso la conferma che stesse bene — relativamente bene, perlomeno — ma lui non la degnò di uno sguardo.

Tornò un silenzio di piombo.

“Logan Morovi, Vernaiol” scandì, lento, il Capitano.

Vernaiol, “figlio di schiava”. E nessun cognome: gli era stato assegnato il nome dell’Istituto dove era stato iscritto. Niente di nuovo per Meli, ma sentirlo le fece comunque un brutto effetto.

“Tu sei stato più difficile da trovare nei documenti; le nullità come te si nascondono bene nelle scartoffie. Nato a Porto Venia, figlio di una serva stuprata dal padrone, venduto ai parenti e cresciuto fuori dalla Catena. Rientrato di recente nel Paese con l’autoprofessato impiego di ammazzamostri”.

Logan non diede alcun segno di interesse a quella descrizione. Il Capitano gli si avvicinò fino a incombere su di lui, più alto di tutta la testa e grosso il doppio.

“Allora, ammazzamostri. Cosa vuoi raccontarmi?” cominciò con tono fintamente cordiale.

Con somma sorpresa di Meli, Logan rispose subito. “Del sangue di drago”.

***

Si scoprì che Logan aveva fatto fruttare il periodo di tempo in cui erano rimasti separati. Aveva dato la caccia ai ladruncoli e ai tagliagole dell’intera regione e ricavato — talvolta, estorto — informazioni da ogni squinternato pezzo di feccia disponibile a parlare per qualche soldo e uno sputo di alcol. Aveva così scoperto che il duo “La botanica e l’ammazzamostri” di cui si parlava sembrava avesse a che fare con un vecchio rituale mai sentito riguardo il sangue di due draghi predestinati. Ora, come i draghi c’entrassero con questi due sfigati, le versioni variavano: c’era chi diceva che i due fossero in realtà dei draghi innamorati sotto mentite spoglie; c’era chi diceva che altro non fossero che due abili ladri, e che il sangue l’avevano rubato dall’antro di un vero drago di montagna; e c’era chi, infine, giurava che tutta la faccenda fosse il frutto della fantasia perversa di un mago pazzoide che si era inventato tutto per vendere a peso d’oro due fiale di vino scadente. 

“... ma che questa storia sia vera o no, non è il sangue di drago la questione. È chi lo cerca” concluse Logan con circospezione. Aveva la voce spezzata e respirava a fatica.

Gli occhi del Capitano si assottigliarono. “So chi lo cerca”.

“Non servirà nominarla, allora”.

Nominarl-la. Una lei. La mutaforma? La mutaforma cercava il sangue di drago? Per fare cos—

Meli cercò di nascondere l’improvviso stordimento. Sapeva già per fare cosa. 

Cancelli. Plurale.

“Una bella storiella, ammazzamostri. Una bella storiella di cui, però, ero già a conoscenza. Quello che io voglio sapere è: dove cazzo si trova, questo dannato sangue di drago? Perché molti indizi portano a voi due sfaccendati”.

“Noi non lo abbiamo” dichiarò Logan con voce ferma.

“Non lo avete” ripeté il soldato, portando una mano dietro la schiena. “Continuate a ripeterlo, ma io non ne sono affatto convinto”.

Nel pugno chiuso stringeva ora quello che Meli riconobbe come uno yara, un cilindro di legno che sporgeva da entrambe le estremità del pugno. Arma piccola e discreta, scolpita per adattarsi alle dita di chi la portava, veniva usata per colpire o esercitare pressione su punti vitali del corpo dell'avversario. Un’arma perfetta per fare molto male senza lasciare il segno.

“Allora, signorina” cominciò il Capitano con voce suadente “finiamo la nostra chiacchierata?”.

Prima che Meli potesse rispondere alcunché il capitano sferrò un colpo al diaframma di Logan, che crollò in ginocchio senza fiato; il Capitano afferrò poi l’ammazzamostri per i capelli e gli puntò lo yara in un punto preciso tra la clavicola e la gola.

“No!” urlò Meli.

“No, cosa?” ringhiò il Capitano aumentando la pressione. Logan, con gli occhi serrati e i denti stretti, mugolò di dolore.

“Non…”.

“Capitano!” chiamò una voce dal corridoio.

Il Capitano lasciò andare il prigioniero con un sospiro esasperato. “Che diavolo vuoi, Jilt? Lo sai che non mi piace essere disturbato quando interrogo i prigionieri”.

“Sì, Capitano, lo so, e mi dispiace molto per averla interrotta, so quanto ci tiene. Ma si tratta di… lei, signore”.

“Lei…?”.

“Lei”.

“Lei cosa, Jilt?!” sbraitò il Capitano dopo una bestemmia.

“Oh, è tornata. È di sopra, la sta aspettando”.

Il Capitano serrò la mandibola e, per un istante, sembrò indeciso. Poi riagganciò lo yara alla cintura e diede la schiena ai prigionieri. 

“Tieni d’occhio questi due. Torno subito”.

Ma prima che potesse uscire dalla cella, Logan parlò. “Se cercate il sangue di drago per impedire a lei di averlo…”.

Il Capitano si voltò appena. “Questo non ti riguarda”.

“... siamo d’accordo. Non dovrebbe averlo”.

Il Capitano li scrutò in tralice con un guizzo di interesse; allo stesso tempo, però, non lasciò trapelare se quell’interesse fosse positivo o negativo per l’immediato benessere degli astanti. 

“Se avete tirato fuori quel ragazzino da Darren, di sicuro avete visto qualcosa che non dovevate vedere” dichiarò infine. “Questo basterà a farvi rinchiudere qui sotto a vita. Jilt, la porta”.

Logan si agitò rabbioso contro la restrizione delle catene, ma non aggiunse altro. Il Capitano uscì dalla cella, prontamente richiusa, e sparì al di là del corridoio buio.

***

Sotto la sorveglianza impettita di Jilt, Logan e Meli rimasero in silenzio a elaborare quanto appena successo — e a riprendersi dalle randellate ricevute. Dopo un po’ l’ammazzamostri cercò con lo sguardo l’attenzione di Meli. La donna, con un cenno del mento, chiese “cosa?”. Senza un suono, Logan sillabò “evasione”.

Le sopracciglia di Meli schizzarono in alto, scettiche; ma poi si ricordò che Logan era già scappato almeno una volta da una prigione simile a quella. Annuì lentamente.

Lo vide abbassare il mento e frugare nello scollo aperto della camicia. Stava cercando di afferrare con i denti qualcosa che portava al collo. Dopo un paio di tentativi falliti, Meli gli si avvicinò e gli chiese con gli occhi cosa doveva fare. 

“Spezza la perla” sillabò lui in silenzio.

Meli aggrottò la fronte. Come tutti i piani di Logan finora, le parve una cazzata senza senso. Glielo disse con un eloquente arricciamento del naso.

“Hai idee migliori?” rispose lo sguardo irritato dell’ammazzamostri. Meli sbuffò e dovette ammettere che no, non ne aveva.

“E allora fidati di me” insisté imbronciato.

Meli eseguì. Si chinò fino a raggiungere il petto di Logan con la bocca, frugando tra il collo aperto della camicia fino a raggiungere la pelle nuda.

“Ehi, voi due! Che state facendo? Allontanatevi subito!”.

Meli ignorò gli strepiti della guardia finché non trovò quello che stava cercando: una collana composta da uno spesso filo di cotone e tre perle blu. Prese una delle perle tra i denti e strinse fino a spaccarla in una nuvola di polvere. Sapeva di gesso e le impastò la lingua.

Per un po’ non accadde assolutamente nulla. Meli guardò Logan con espressione dubbiosa, ma lui le fece un cenno rassicurante. 

La guardia continuò a minacciarli a vuoto; poi, senza un suono di avvertimento, una gemmaluce apparve sulla destra, emanando un alone giallo e tondeggiante. Nessuno la portava, però: pareva galleggiare in aria.

La guardia sguainò la spada.

“Ma che diamine…?”

La palla di luce veleggiò fino al soldato, che indietreggiò spaventato dimenando l’arma contro il nulla. Dopo un istante l’uomo cadde a terra in un clangore di armatura.

La luce si affievolì, sfarfallò attraverso la sbarre e arrivò davanti a Meli che, con occhi sgranati dalla sorpresa, si accorse che non era affatto una gemmaluce.

Era Lynette. 

   
 
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