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Autore: lo_strano_libraio    19/03/2024    0 recensioni
Raccolta di One Shot con protagonista Max e amici. La serie è ambientata nella timeline della mia precedente fanfiction, Max Misery, quindi a volte compariranno personaggi anche inventati da me provenienti da quella. Quindi magari, dategli un occhiata ok? 😉
Ho deciso di farla per approfondire eventi minori che avrei voluto aggiungere alla fanfiction, ma l’avrebbero resa troppo lunga e poco coerente. Essendo una raccolta di one shot, l’aggiorneró liberamente quando ne avrò voglia, quindi non sarà una serie regolarissima e costante.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucas Sinclair, Maxine Mayfield
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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26 marzo 1986

 

Max stava facendo zapping, annoiata, morta in volto, buttata sul divano del salotto. Giochi a premi, noiose soap-opera, vecchi film western in bianco e nero; che noia!

Sua madre entrò, e rimase sorpresa nel vederla lì a sbuffare allo schermo. 

“Perché non sei andata alla partita? Ci sono tutti, e gioca Lucas, no?”

“Non ne avevo voglia; e si può sapere comunque perché ci tieni tanto a lui? Non è tuo figlio.”

“Ma è il tuo fidanzatino.”

“No, non lo é: l’ho mollato! E non chiamarlo mai più “fidanzatino”: é imbarazzante.” Susan non sapeva che risponderle, e sospirò dall’apprensione: non era da Maxine fare così. 

“Come sarebbe a dire che non siete più fidanzati?”

“L’ho mollato. Lui cerca di continuo di accollarsi, ma è solo un illuso. Tanto era solo una perdita di tempo…”

“Ma come una perdita di tempo? Maxine, ma ti senti? Lui è un caro ragazzo che ti ama molto; perché devi trattarlo così male?”

“Forse perché sono stufa di tutto e tutti! Sono così stupidi! Dei mocciosi!” Ora Susan la fissava a braccia conserte. 

“Quei mocciosi ci hanno aiutato a fare il trasloco quando Neil ci ha abbandonate, erano tutti presenti ai funerali di Billy, ti hanno consolata in ogni modo, ti sono stati vicini e questo è il tuo ringraziamento?” Max era paralizzata, assalita dai sensi di colpa derivanti dalla constatazione di sua madre. Susan sbuffò e prese la sua borsa in mano.

“Senti, ora devo andare a fare delle commissioni; e santo cielo, non ci credo sia arrivata a dirti questo, ma al mio ritorno desidererei non trovarti qui, ma che tu sia al palazzetto a vedere Lucas giocare; e se i tuoi amici ti proponessero di mangiare fuori, per me andrebbe bene lo stesso. Guarda, ti lascio anche dei soldi sul tavolo. Intese?” Max non rispose, limitandosi a roteare gli occhi. 

Uscita sua madre di casa, pensieri incominciarono ad assalirla: “dovrei andarci veramente? Sono davvero l’antipatica di questa storia?” 

Era quasi sul punto di alzarsi e uscire, quando le sue ansie la bloccarono di nuovo. “Ma che fai? Sarebbe solo una rottura. E poi ti assillerebbero tutti: “Max come va? Max tutto bene a casa? Ti va di farci un giro, Max?” “Però vorrei andarci, o almeno sapere come stia andando la partita.” 

Alla fine, si decise per un compromesso: Max accese e ascoltó alla radio tutta la partita, sbattendo il tacco della scarpa a terra e mordicchiando di il labbro, come faceva sempre quando era nervosa. 

“Ed ecco Sinclair Che segna il canestro della vittoria! Il pubblico è in disibilio.” La ragazzina sobbalzò genuinamente dalla gioia ed esplose in un breve applauso. 

Ben presto una dolce e lieve, ma al contempo, amara tristezza le salí dallo stomaco alla gola: in quel momento sarebbe voluta essere stata con lui, per congratularsi di persona, abbracciarlo e dirgli quanto fosse orgogliosa. 

Il pensiero la portò a chiudere la radio e a stringersi le ginocchia sul letto, walkman sulle orecchie. 

Lacrime calavano sulle sue guance. Max si dondolava cantilenando le parole di “Running Up That Hill”. Si faceva pena da sola.

“Perché? Perché sono così sola? Perché mi rendo, così sola? Perché non ce la faccio a stare più con gli altri? Perché non riesco a essere un adolescente felice come gli altri? Perché?!” Pensava nella sua testa..

E così i suoi tristi pensieri divagarono tra i bei ricordi con Lucas, Undi, mamma e papà in California e tutti gli altri con cui aveva condivido esperienze felici. Ricordi, che le apparivano ormai come distanti miraggi, come se non potessero essere reali. Ma erano davvero avvenuti? 

Dopo un ora, sua madre rientrò e scosse la testa in dispiacere e disapprovazione trovandola in quello stato. Max la guardò con occhi che trasparivano un animo ferito, ma anche arrabbiato, come stesse dicendole: “non mi puoi giudicare.”

“Coraggio, sciacquati il viso e almeno aiutami a cucinare per la cena.” Max spense il walkman, si tolse le cuffie e la raggiunse in cucina. 

Stava avvicinandosi a lei, quando si bloccò nuovamente e lacrime iniziarono a rogarle le guance. Susan si voltò e la raggiunse, confortandola mettendole le mani sulle spalle, abbassandosi alla sua altezza per guardarla dritta negli occhi. 

“Ehi ehi, tesoro. Cosa succede?”

“Mamma, mi dispiace…”

“Maxie, devi dispiacerti solo per te stessa. Perché per quanto soffra nel vederti così, ti stai soltanto facendo del male da sola.” La abbracciò, e Max scoppiò in lacrime sulla sua spalla. 

“Sfogati piccina mia, butta tutto fuori, parla con la mamma.”

“Lucas mi aveva invitata alla partita, aveva anche tenuto da parte il posto migliore prenotato; io però l’ho rifiutato, sono stata una stronza con lui, gli ho detto che la sua partita non era importante, che era stupida.”

“Non gli avrà fatto di certo piacere.”

“Beh, certo che no. Ma non si è neanche arrabbiato: mi ha detto che sono cambiata, che sembro un fantasma; sembro un fantasma, mamma?”

“A volte sì, sembra che tu faccia di tutto per passare inosservata, tenere lontana gli altri.”

“Lo so! Lo so, dannazione! Ma mi esce spontaneo, anche se in fondo, ci sto male, vorrei non essere così…”

“Ed è per questo che è importante che tu vada dalla psicologa della scuola regolarmente, ne avete parlato oggi?”

“No, cerco sempre di evitare di aprirmi troppo con lei…come con gli altri.”

“Ma dimmi un po’, qualcuno dei tuoi compagni di scuola ti ha trattata male? Avete litigato?”

“No no. Anzi” tirò su col naso, prima di continuare “tutti mi trattano bene, anche troppo, considerando che li ignoro sistematicamente.” 

“Così non va bene.” 

“Lo so…”

Quella notte ebbe uno dei suoi incubi ricorrenti, questo in particolare era quello più gettonato: la morte di Billy.

Ma anche la sua vita stava per entrare nella dimensione dell’incubo, perché la polizia arrivò di corsa nel parco caravan: Chrissy Cunningham era morta, ma il lato più stravolgente della faccenda, era che fosse avvenuto IN CASA DI EDDIE!

Dopo essere stata allontanata dagli agenti dalla scena del crimine, Max ritornò sotto il portico di casa sua, affianco a sua madre.

“Dai Max, vieni qui, non sono cose che devi vedere.”

“Secondo te, cosa è successo?”

“Mah, che vuoi che ne sappia? Quel ragazzo è sempre nei guai.”

Max però mezza idea se l’era fatta: la luce era quasi saltata la sera prima. Stava guardando, seduta sul divano e con sua madre addormentata affianco a lei, con una coperta che le aveva messo addosso a mó di letto, “Chi Vuol Essere Milionario?” Sulla tv. 

“Ultima domanda, signor Hemsworth. Se la indovina, lei stasera, potrà dire di essere milionario. Mi dica: agli occhi di quale animale, Lord Byron dedicò una sua famosa poesia?”

“Accidenti…l’ho già sentita nominare…” pensava Max.

La sua attenzione venne portata via dal gioco a premi, dallo sfarfallio della lampadina appesa al soffitto.

“Che topaia…” sussurrò tra sé e sé.

Ma ben presto un altra, ben più inquietante evento, la destò dal torpore serale: urla provenienti dalla strada, Eddie Munson sfreccia via sulla sua auto, terrorizzato in volto. 

Al contrario di quanto potreste aspettarvi, a Max fece venire sonno, essere spettatrice di tutto questo: la depressione fa brutti scherzi e capovolge le nostre reazioni umane a volte. 

Spense le luci, ma gli incubi le fecero visita, e la polizia si fiondò il mattino dopo, in casa di Eddie. Unendo i puntini, realizzò che qualcosa non quadrava. 

Tornò in camera sua, chiamò tutti col walkie talkie, ma solo Dustin rispose, invitandola ad andare a parlarne con lui a casa sua. 

Si vestì in fretta e furia, prendendo con sé solo lo stretto necessario. 

“Mamma, vado da Dustin, ok?” Susan le sorrise a trenta denti, nel sentirle dire questo. Non poteva sapere però, che il motivo era molto più tetro di quanto si aspettasse.

“Ma certo, tesoro. Era l’ora che uscissi un po’!”

E così, Max Mayfield salí sulla sua bicicletta, diretta a casa Henderson: l’inizio della fine. 

   
 
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