V e r s u s
Capitolo IX
Erano lì, entrambi seduti,
immersi in un silenzio ricco di tensione, occhi fissi, aspettando qualcosa di inevitabile.
La notizia dell’imminente
arrivo della signora Grant li aveva lasciati a bocca
asciutta, lievemente accigliati. Un’altra dannata complicanza.
Come se la situazione non
fosse già abbastanza complessa e delicata.
Remus aveva assorbito la
notizia in modo stoico, ma comunque, anche se leggermente, la sua espressione lasciava
trasparire un velo di preoccupazione.
Harry, dal canto suo,
pareva indifferente all’evolversi degli eventi, anche se appena saputo, non era
stato in grado di trattenere un’espressione di stupore che gli aveva fatto
spalancare gli occhi smeraldo.
Il tempo passava silenzioso
e inesorabile, e il momento si avvicinava sempre più, come una condanna. Le
lancette dell’orologio, nel silenzio della stanza, rimbombavano producendo un
eco, un falso rumore come se stessero gridando.
All’improvviso,
tutto sembrò cambiare radicalmente.
Si avvertì un forte rumore, seguitò da uno sbattere di porta
nel corridoio adiacente la stanza. Subito, passi affrettati
si avvicinarono, crescendo di suono; la maniglia della porta scattò, Harry e
Remus si scambiarono un’occhiata fugace e in quel momento la porta si aprì
velocemente.
Entrambi si voltarono, pronti ad affrontare la Signora Grant, ma si
trovarono di fronte alla stessa Guaritrice che li aveva avvertiti prima.
I suoi capelli
erano leggermente arruffati, fuori dalla crocchia che
li sosteneva dietro la nuca, gli occhi spalancati che esprimevano tutto il suo
allarme, le labbra colorate di un rosso accesso, si muovevano velocemente, ma
non emettendo nessun suono comprensibile.
Si bloccò alla
vista di Lupin, che si alzò prontamente andandole incontro.
Prima che il
mago potesse parlare, lei si ricompose in fretta, e
schiarendosi la gola, fece segno di fare silenzio mettendosi un dito davanti
alla bocca.
“Sshh…”disse
scuotendo piano la testa. “E’qui. Il nostro contatto
nell’ospedale babbano l’ha portata. E’…è furiosa, le consiglio di non
contraddirla…” disse annuendo verso Lupin, che corrugò
le sopracciglia.
Remus ancora
non capiva.
“Ma, come fa ad
essere qui? E’ una babbana, come può essere entrata qui?!” disse a mozza fiato.
La donna fece
un sospiro, guardando il pavimento per un attimo; poi rialzando la testa, fece
guizzare gli occhi da Remus ad Harry, che intanto non
aveva proferito parola, seduto ancora tra le morbide lenzuola.
“E’ un incantesimo…quando se ne andrà di qui, crederà che sia un normale ospedale, perché
quello che avrà visto, rientrerà nella sua categoria di normale…non vi dovete
preoccupare di questo… è venuta per il signor Potter e…” disse la donna, ma non
finì che si udì un insistente bussare alla porta.
I tre nella
stanza si guardarono un momento negli occhi, smarriti.
Subito, la
Guaritrice si sistemò il camice, cercò di riordinare i capelli per quanto era
possibile; Lupin, invece si era andato a risiedere vicino ad
Harry, accanto al letto.
La porta si
aprì di scatto, facendo sobbalzare la Guaritrice, che intanto si era fatta da
parte addossandosi alla parete, come se volesse farne parte in quel momento.
Sulla soglia
c’era la signora Grant, con un’espressione accigliata e quanto mai contrariata;
accanto a lei, un uomo grassottello, di bassa statura: il gancio.
Quegli attimi
furono eterni, tutti e cinque rimasero a fissarsi: si avvertiva la tensione
nell’aria, e regnava un silenzio tombale spezzato solo dal respiro affannato
della signora Grant.
Finalmente il
momento di nervosismo terminò con un falso movimento della Guaritrice, che
scivolò verso la porta velocemente, cogliendo la palla al balzo, e lasciò la
stanza, lanciando un’occhiata di soppiatto a Lupin, il quale annuì
impercettibilmente.
L’uomo sulla
soglia della porta, guardò in modo complice la Guaritrice, e voltandosi con
lei, la seguì, lasciandoli definitivamente soli.
A quel punto,
la signora Grant fece un passo avanti, entrando nella piccola stanza asettica e
ben illuminata.
Inaspettatamente,
la bocca di Remus si aprì in un sorriso cordiale, a parere di Harry, il più
finto che avesse; il mago avanzò verso la donna che ostinatamente restava in
silenzio.
“Buongiorno” disse affabile. La signora
Grant rimase impassibile. Sbattendo le palpebre, si decise a parlare.
“Sarò breve” disse a labbra strette. “Sono
stata informata dell’accaduto. Il signor Potter non è più sotto la sua
custodia, in quanto lei non è stato capace di
assicurare la sua incolumità e provvedere alla sua salute. Per legge, il
ragazzo dovrà immediatamente tornare nella nostra comunità”
pronunciò forte e chiara, con occhi fissi davanti a sé.
Remus si mosse,
scomodo.
“Ma…” fece per
ribattere, ma la donna fu più veloce.
“Non cerchi di indurre resistenza: si
ricordi che la legge è dalla mia parte, e credo proprio che lei non voglia
mettersi contro…” finì con uno strano sorrisetto tirato sul volto appuntito.
Remus ingoiò a
vuoto. La situazione era più critica del previsto. La donna sembrava
irremovibile.
“Non stiamo opponendo resistenza” disse una
voce stranamente fredda dietro di loro.
Si voltarono.
Harry era sceso
dal letto, e avanzava verso la signora Grant, i cui occhi furono
attraversati da un lampo di timore.
“E’ meglio così” aggiunse, lanciando un
ultimo sguardo a Lupin. “E’ meglio così…saremo tutti lontani, e sarete al
sicuro da me. Faccio solo del male alle persone che amo; questo sarà un rimedio
più che accettato”.
Nello sguardo
della donna si intuì un lampo di maligna felicità.
“Molto bene signor Potter, per la sua natura, mi aspettavo più difficoltà…”
disse soddisfatta.
Harry strinse i
pugni lungo i fianchi, irrigidendo le braccia, ma non disse niente.
A quel punto,
Remus non si trattenne più.
“No!” esclamò, facendo voltare le altre due
teste verso di lui. “Non lo porterà via…”.
“Sì, Remus, è così che si deve concludere tutto questo” disse Harry febbrilmente.
“No!” ripeté Lupin, cercando di suonare
convincente, ma sapendo anche lui stesso del suo poco potere nell’evitare che
sarebbe accaduto.
“Basta con questa pagliacciata!” ordinò
bruscamente la signora Grant. “Il ragazzo ha manifestato comportamenti
pericolosi, deve essere controllato, per la sua sicurezza, e per quella degli
altri!” urlò tutto ad un tratto, mentre chiazze rosse le coloravano il viso e il
collo.
“Harry ha avuto un problema, ma non è
pericoloso!” fece di rimando Lupin, ben sapendo che non sarebbe riuscito a
trattenere Harry. Ma voleva vendere cara la pelle.
“I suoi zii mi hanno riferito cose su di
lui da far venire i brividi!”.
Lupin spalancò
le braccia in gesto teatrale.
“Ah! Ecco che viene tutto
a galla…”.
“Remus…”.
“Non porterà di nuovo Harry in
quel…posto!”.
“Remus…!”.
“Non glielo permetterò…”
“REMUS!”.
L’uomo tacque,
abbassando lo sguardo, sconfitto.
Harry respirò
profondamente.
“E’ stato deciso così…è voglio che sia
così” disse fermamente. “Sarà meglio per tutti” continuò, ma la voce si spense
in gola, tradendo la sua stessa certezza, che per un momento vacillò.
Senza
permettere agli altri due di replicare, si mosse velocemente, agguantando i
suoi vestiti appoggiati sull’altra sponda del letto e dirigendosi verso il
bagno.
***
Toc.
La porta si
chiuse con uno schiocco dietro le due persone che avevano appena lasciato la
stanza.
Remus si
ritrovò avvolto dal silenzio più assoluto: un silenzio che pareva quasi
rumoroso alle sue orecchie.
Rimase a
fissare la porta chiusa davanti a sé, cercando di riepilogare gli ultimi eventi
che si erano susseguiti così in fretta.
Solo poche ore
prima andava tutto a gonfie vele, anzi, la situazione stava nettamente
migliorando; ora, invece, era nuovamente al punto di partenza.
Si doveva
rassegnare, era poco ma sicuro; doveva tornare da Silente, riferire tutto
(sempre che non lo sapesse già) in modo che ci si potesse mobilitare in fretta
per risolvere quel guaio.
Sbatté le
palpebre per rimettere a fuoco la porta e schiarirsi i pensieri; fece un
respiro profondo, nel tentativo di rilassare i nervi ormai allo stremo.
Non c’era nulla
che potesse fare per cercare di rimediare: tutto quello che era in suo potere
era stato fatto, anche se con scarsi successi. Una cosa gli rimaneva, prima di
mettersi in disparte e lasciar fare agli altri. Riferire quanto accaduto.
Appoggiando le
mani sulle ginocchia e facendo leva, si alzò con fatica dal letto sul quale si
era seduto.
Ripercorse con
sguardo vago e stanco tutta la stanza, come a cercare qualcosa di dimenticato.
Afferrò il mantello leggero dalla spalliera di una sedia consunta e,
indossandolo, realizzò di non avere nulla con sé.
Lasciò la
stanza con passo rassegnato.
Il corridoio
era deserto. La solita infermiera addetta al piano non era in vista; peccato,
l’avrebbe volentieri salutata.
Riprendendosi pian piano, come se camminare gli desse forza,
marciò a passo spedito verso le scale. I rumori delle sue scarpe echeggiavano per
tutti quegli angusti ambiente così dannatamente asettici.
Scese le scale con una fluidità sorprendente, dopodiché fece brevemente mente locale per trovare
l’uscita. Individuò la Reception: accelerò il passo.
Sorpassando
spedito il grosso bancone dove molte Guaritrici si davano da fare a compilare
moduli, lanciò un’occhiata fugace verso di loro, cercando di superare con la vista la gran folla di gente che le accerchiava. Nulla da
fare, l’Infermiera non era nemmeno lì.
Si strinse nelle spalle impercettibilmente, infilando pesantemente
le mani in tasca.
Sarebbe stato per un’altra volta.
Abbassando lo
sguardo, si avvicinò all’uscita, pronto a entrare
velocemente nel mondo babbano, una volta varcata quella soglia.
La luce del
sole lo accecò appena l’aria afosa dell’esterno lo colpì. Sbattendo le palpebre
più volte, cercando di ricomporsi e trovare un equilibrio, si diresse quasi
alla cieca lungo la via principale, dove folle di babbani passeggiavano senza
rendersi conto di quello che accadeva così vicino a loro.
Subito dopo
girò a sinistra, mantenendo sempre lo sguardo basso e le mani nel mantello;
entrò in un piccolo vicolo cieco, completamente vuoto e lontano da sguardi
indiscreti.
Anche quella
volta, come qualche settimana prima, estrasse la bacchetta, la puntò verso un
piccolo sasso per terra e sussurrò parole incomprensibili a qualsiasi persona
che non appartenesse al Mondo Magico.
“Portus” disse piano, ma in tono fermo.
La piccola
pietra crepitò un istante, poi rimase immobile al
suolo grigio.
Remus si avvicinò, e chinandosi, l’afferrò bruscamente, stringendola
nel pugno.
Nel giro di
pochi secondi il vicolo era vuoto.
***
Grimmauld Place
non era una strada particolarmente trafficata, soprattutto in quel periodo
dell’anno, quando i pochi abitanti della via erano in qualche lussuosa località
balneare.
Il mantello
frusciò sfiorando il grezzo marciapiede nello stesso momento in cui i suoi
piedi toccarono il suolo.
Si materializzò proprio nel punto giusto, e facendo qualche passo in
avanti, Remus varcò la soglia del numero dodici.
Immediatamente
avvertì il silenzio sovrano. Le pareti tacevano, l’aria era immobile, l’intera
dimora era addormentata come in un sonno fatato.
I suoi passi
pesanti facevano scricchiolare le assi di legno al suo passaggio, mentre
avanzava verso il grande salone al centro della casa.
Era confuso, doveva ammetterlo.
Non credeva che
quelle mura potessero fargli tanto impressione e
lasciarlo a bocca asciutta.
Senza neanche
riflettere, sentì le sue gambe prendere istintivamente a salire le scale,
ignorando la quasi totale penombra.
Avvertiva il
silenzio infrangersi al suono del suo stesso respiro, diventato stranamente
grave.
La maniglia di
quella maledetta porta luccicò nell’oscurità del primo piano.
Continuò a
camminare, sentendo crescere in lui il desiderio di conoscere la così forte
motivazione che aveva fatto precipitare la situazione in quel modo.
Si fermò
lentamente davanti a quella porta.
Si fermò
lentamente davanti alla stanza che era stata di Sirius, e che ora rappresentava
una spregevole imitazione del passato.
Avvertendo i
primi segni di rimorso, spalancò la porta prima che il rimpianto lo costringesse a lasciarla ancora una volta chiusa.
Trovò
facilmente un punto luce: l’abajour della scrivania.
Tirò la fragile
cordicella, e lo spettacolo che gli si presentò davanti fu tutt’altro che
piacevole.
I fogli che una
volta erano ordinati sullo scrittoio, ora erano sparsi per tutta la sua
superficie e sul pavimento vicino. Una boccetta di inchiostro
nero allargava la sua macchia, imbrattando carta e oscurando parole.
Si voltò.
Accanto al
camino spento, la poltrona era intatta, ricoperta da dita di polvere; il
tavolino vicino era invece, leggermente spostato in un modo innaturale, e
frammenti di una cornice di vetro si sparpagliavano per terra, coprendo una
foto colpevole.
Si avvicinò e,
accoccolandosi, la raccolse.
Sospirò vedendo
il suo volto e quello di Sirius guardarlo leggermente incuriositi; scosse la
testa, come se volesse far intendere di lasciar perdere.
Lasciò cadere
la foto che, oscillando di qua e di là come una foglia staccatasi da un ramo,
si fermò sul tappeto sporco.
Ora era tutto
chiaro. Tutto.
Maledetta foto!
Avrebbe dovuto bruciarla quella sera stessa, quando anche lui era morto insieme
a Sirius.
E invece
no, aveva ceduto e lasciato quella stanza così come lui l’aveva lasciata.
Avrebbe dovuto smantellarla il giorno dopo! Avrebbe chiarito le sue idee,
avrebbe fatto capire a Sirius, perché era sicuro che da qualche parte potesse
sentirlo, quanto lo odiava! Sì…
Lo aveva
lasciato solo con quel compito da svolgere. E per
questo lo odiava.
Da quando si
erano ritrovati, in quella umida e buia stanza della
Stamberga Strillante poco più di due anni prima, Sirius aveva detto che non lo
avrebbe più lasciato, che avrebbero pensato insieme al bene di Harry. E invece non aveva mantenuto la sua promessa! Aveva pensato
bene di andarsene, lasciando a lui la patata bollente…
Un attimo.
Fermi tutti.
Che
diavolo stava dicendo…?
Sospirò ancora,
passandosi una mano magra tra i capelli.
Si era lasciato
prendere ancora dallo sconforto. Chi pensava ad Harry?
Harry, Harry…
sempre e solo Harry…E di lui, Remus, chi si preoccupava, dopo la perdita di
Sirius?
Ecco. Arrivati
al nocciolo della questione.
A lui non doveva pensare nessuno… perché era
un uomo adulto, dannazione!
Sirius…James…
avrebbero mai fatto quel discorso così infantile? No! E
allora anche lui, anche Remus Lupin doveva dimostrare a loro e a se stesso di
valere qualcosa anche da solo, anche quando non c’era nessuno a consolarlo! I
suoi amici avrebbero aiutato Harry a rialzarsi, mentre loro stessi si sarebbero
rialzati da soli. Ed era quello che avrebbe fatto
anche lui.
Non era una
femminuccia!
…Un altro
pensiero, però, si riaffacciò mentre cercava di convincersi.
La realtà venne
a bussare alla porta della sua mente, facendo così sfumare quei momenti di incoerenza e tacita follia.
Tornò al
presente. Basta far la storia con i “se”.
Non avrebbe
potuto mettere in atto comunque quello che si era
prefisso di fare; non poteva. Qualcosa era andato diverso da come doveva
andare.
Harry non era
più con lui.
***
Ciao!
Ecco finito
anche il 9° capitolo… siamo già qui?!
Caspita, non manca molto alla fine… anzi fra pochi giorni posterò
l’ultimo capitolo..!
Ringrazio chi
ha recensito!
Ragazze…
leggendo i vostri commenti mi sono sciolta! *_* Grazie!
Spero che la
storia si veda! Beh… se siete arrivate fin qui, significa che la visualizzate.. che scema^^
A presto!
Valeria^^