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Autore: Tsuki 96    29/03/2024    0 recensioni
Buongiorno, o buona sera, l'importante è che stiate bene. Sicuramente meglio di me.
Mi presento: mi chiamo Lubaba, ho 25 anni, vivo a Trieste, e stavo facendomi gli affaracci miei e proseguendo con la mia normalissima vita finché uno squilibrato non mi ha maledetta! E ora sono costretta a viaggiare tra diverse dimensioni, rischiando la vita... e la sofferenza del mio povero cuore! Riuscirò ad annullare la maledizione e, soprattutto, a non innamorarmi a destra e manca!?
Genere: Fantasy, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Spoiler!
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Dal capitolo precedente…

 

Kaiba sollevò un sopracciglio. Un sopracciglio? Sapevo che aveva due sopracciglia sotto quella lunga frangia!! Forse la teneva ancora così lunga per coprire una fronte spaziosa? Scossi la testa per scacciare quei pensieri.

            - Come vedi sono arrivata qui in modo… sovrannaturale.

            - Ridicolo! C’è una spiegazione scientifica a tutto – ribatté Kaiba.

Abbozzai un sorriso; non potevo aspettarmi nient’altro di meno da colui che era riuscito a sviluppare una tecnologia per viaggiare tramite chissà quale varco spazio-temporale e raggiungere l’Oltretomba per incontrare Atem e sfidarlo…


Un paio di ore dopo…

 

Era sera. Durante questo lasso di tempo, nel farmi cenno di seguirlo, avevo avuto l’occasione di esplorare alcuni angoli dell’enorme appartamento di Kaiba (c’erano così tante porte, e pure una rampa di scale che portava a un ulteriore piano!). Mi ero chiesta come mai il giovane uomo avesse voluto spostarsi in un’altra stanza per chiarire meglio la mia situazione, quando avremmo potuto parlare nel salotto dove mi aveva trovata, ma mi fu spiegato che fosse dovuto alle telecamere di sorveglianza; a quanto pare, mi aveva portato nella zona più privata della sua abitazione, dove c’erano comunque delle telecamere installate in vari angoli, tuttavia i video registrati venivano salvati all’interno di un suo archivio privato, accessibile solo lui.

In qualche modo mi sentii lusingata: ero una specie di ospite speciale, no? Con la differenza che Kaiba trattava tutti nello stesso modo; non importava quanti anni avesse rispetto all’opera originale a cui apparteneva nel mio mondo, Seto Kaiba era un arrogante, testardo, freddo pezzo di...

- Non c’è fine alle sciocchezze che mi stai riferendo – le sue ennesime parole di incredulità mi riportarono alla realtà.

Ormai lo aveva detto in tutte le salse; quante volte mi ero sentita ripetere una frase simile mentre gli raccontavo del mio mondo? Sorseggiai lentamente il tè che avevo davanti; per lo meno era stato sufficientemente cortese da offrirmi qualcosa da bere, o forse non aveva intenzione di lasciarmi disidratare con il rischio di perdere i sensi (stranamente, mi aveva colto un’intensa sensazione di sete).

- Eppure, è così, non ti sto mentendo. Nel mio mondo sei un personaggio di una serie animata. Anzi, di un fumetto – ripetei.

Kaiba si lasciò sfuggire un grugnito nervoso e lo osservai massaggiarsi le tempie; i miei occhi si focalizzarono sulle ciocche brune che gli solleticavano il collo. Assottigliai gli occhi: erano un accenno di barba, quei radi peletti che vedevo lungo la mandibola?

- Ridicolo, semplicemente ridicolo... – lo sentii commentare.

Trattenni uno sbuffo e posai la tazza nel piattino, il cui contenuto era ridotto ormai a meno della metà; peccato, era un ottimo tè!

- Kaiba-san... se non fosse così, come spiegheresti tutto quello che so sul tuo conto? Su Yugi-san, Atem-san, e gli altri?

Lo udii emettere una specie di brontolio infastidito tenendo i denti stretti; i suoi occhi di ghiaccio mi fissarono.

- Basterebbe verificare che tu abbia avuto contatto con una sola persona tra le mie conoscenze, e potrei dimostrarti il motivo più logico e plausibile del perché sai così tanto – rispose.

Inarcai un sopracciglio e incrociai le braccia, scivolando un po’ sulla sedia e squadrandolo a mia volta, sguardo che non approvò a giudicare dal tic all’occhio che lo colse per qualche secondo. Non ero convinta, certo che non lo ero: sapevo di cosa stessi parlando!

- Kaiba-san, prova pure. Vedrai che nessuno mi conosce. Né io ho mai avuto contatto con nessuno di loro – sospirai, appoggiando il gomito sul tavolo e portando la mano sulla mia guancia - Chiedi alla polizia o chi di competenza se esisto: non mi troveranno in nessun archivio anagrafico di nessun paese. Non possiamo continuare a discutere di questo all’infinito. Piuttosto, come torno a casa?

Il silenzio calò su di noi. Kaiba mi guardava impassibile e freddo, io ricambiavo con un’espressione tra il rassegnato e lo speranzoso, incerta che potesse aiutarmi. Non aveva idea che fosse un disegno su carta, figurarsi progettare una macchina per riportarmi nel mio mondo senza sapere come avevo fatto ad arrivare nel suo.

Forse era tutto un sogno? Mi pizzicai di nuovo la mano, giusto in caso: strinsi appena le labbra per non emettere un piccolo gemito di dolore, ignorando l’uomo di fronte a me che scuoteva la testa nel vedermi comportare in modo così infantile.

- Quanti anni hai esattamente, otto? – chiese sarcastico.

- Nu-uh, venticinque.

Colsi un accenno di sorpresa sul suo volto; sgranai gli occhi, temendo che pensasse fossi più vecchia.

- Ti avrei dato a malapena vent’anni – dichiarò Kaiba.

Arrossii, non so se per imbarazzo, irritazione o lusinga; sentirsi dire di dimostrare meno anni poteva essere interpretato come un “sembri una bambina, hai bisogno di aiuto?”, “sembri una mocciosa, ti tratterò da tale” oppure “hai una pelle ancora così bella, complimenti!”.

Sollevai le spalle e approfittai dell’osservazione per scoprire la sua età attuale.

- Nel mio mondo, il fumetto in cui appari, vieni rappresentato come un sedicenne – gli dissi, sorseggiando il resto del tè che si era nel frattempo raffreddato, - e nella serie animata, forse l’ultimo film, mi sembra tu abbia diciannove anni...

Kaiba inarcò un sopracciglio e abbozzò un ghigno non ben identificato.

- Heh, quello era vent’anni fa...

Quasi mi strozzai con l’ultimo sorso di tè e rischiai di sputarglielo in faccia: aveva t r e n t a n o v e anni?!

Dadd- no. Lubaba. No. No.

Mi coprii la bocca con la mano mentre tossivo nella manica, i miei occhi intenti a controllare il suo aspetto: sembrava infastidito dalla mia reazione, o forse era uno sguardo interrogativo? Aveva sempre un’espressione così truce... Possibile che non gli fosse venuta una sola ruga a forza di aggrottare così tanto le sopracciglia?

- P-Pensavo molto di meno. Tipo, trent’anni? – ammisi con un filo di voce, interrotto ancora da un paio di colpi di tosse.

Kaiba abbozzò di nuovo un ghigno, questa volta più riconoscibile: sembrava divertito, forse anche compiaciuto dalla mia osservazione.

- I geni sono una cosa curiosa, non trovi?

Sbattei le palpebre e sorrisi, annuendo; Kaiba aveva mai conosciuto in qualche modo i suoi genitori originali? Ne sapeva qualcosa? Aveva mai provato a cercarli...? Non ricordavo molto a proposito di questo, in ogni caso pensai che fosse ironico e, ciò nonostante, non riuscii a trattenermi.

- Oh, una cosa meravigliosa...! – e iniziai un monologo sui geni nelle varie popolazioni etniche e quanto potessero influire sulla sopravvivenza e sull’adattamento dei singoli individui, sulle risposte ai vari stimoli, e molto altro, quasi dettagliatamente. Quasi, era passato solo poco più di un anno dalla laurea, ma il mio cervello era già un po’ arrugginito.

Mi accorsi solo dopo un bel po’ di tempo che mi stavo dilungando, notando gli occhi spalancati e la postura rigida di Kaiba; eppure, era stato lì ad ascoltarmi tutto il tempo senza interrompermi.

Sogghignò di nuovo e appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita di fronte al suo viso mentre mi esaminava direttamente.

- Hai studiato medicina?

- No-Non proprio. Sono tecnico di laboratorio biomedico da circa un anno – spiegai, arrossendo leggermente.

- Quelli che lavorano nei laboratori di analisi? Allestiscono vetrini, fanno test di identificazione, eccetera? – domandò Kaiba, che curvò le labbra in un altro ghigno al mio assenso, - Interessante. Quanto siete avanti, dal punto di vista tecnologico?

Sgranai gli occhi, prima di lasciarmi sfuggire una risata. In confronto alla tecnologia di cui disponeva in quel mondo...

- Quanto siamo indietro, vorrai dire!

Chissà che non avessero sostituito i tecnici con dei robot, per eseguire le colture in microbiologia, o addirittura tutti i vari processi analitici. Beh, se Kaiba sapeva chi fossero, forse non erano ancora stati del tutto sostituiti.

 

In qualche modo avevamo perso la cognizione del tempo e continuavamo a saltare da un argomento all’altro, seguendo un po’ quel filo logico che caratterizza una persona del ventunesimo secolo quando ha in mano un qualsiasi dispositivo digitale quale computer, tablet o smartphone: inizia a fare ricerche, magari affini ai propri studi, poi trova la notizia di un esperimento per dare alla luce degli ibridi animale-umani, da qui trova un articolo sulla scimmia ragno, che la condurrà a scoprire la top 10 dei ragni più pericolosi, che la porterà a leggere di più sull’Oceania, il continente che ti vuole morto1, che la incuriosirà sui piatti locali, che le farà venire in mente una ricetta in particolare da trovare per preparare il pranzo di quella giornata... Di solito l’inizio e la fine sono sempre quelli, rispettivamente studio e cibo. No?

Parlando dell’età, avevamo accennato alla genetica, mi aveva chiesto dei miei studi e della mia professione, ci eravamo scambiati qualche osservazione in proposito, poi mi aveva parlato dei suoi studi o, meglio, del suo talento e del suo impegno e delle sue invenzioni e delle sue ambizioni... improvvisamente il discorso era caduto su Pegasus, che scoprii non essere così “vecchio” come avevo immaginato.

Infine, l’argomento d’interesse era diventato il gioco di carte stesso che caratterizzava la serie.

- Non sono così difficili le evocazioni Pendulum, cosa non capisci? – chiese Kaiba con quel tono giudicante e sprezzante nei confronti della povera me che si era lamentata.

Scoprendo un po’ troppo tardi che nelle fumetterie si svolgevano i tornei di Yu-Gi-Oh, avevo provato a partecipare: non che mi dispiacesse, seppur fossi quasi l’unica femmina, e incontravo gente simpatica e piacevole, tuttavia, ero una totale frana. Essendomi aggregata un po’ tardi, sapevo giocare solo secondo lo “stile vecchio”: scoprire che erano state introdotte le evocazioni Synchro, XYZ e quella diavoleria dell’evocazione Pendulum, mi aveva sconvolto la vita. E il mio cervello non era riuscito ancora ad abituarsi a quel nuovo modo di giocare, visto anche il poco tempo da dedicare che avevo, tra le lezioni al liceo e all’università prima e il lavoro poi.

- Forse non è tanto capire, quando disprezzare il concetto – finsi solennità nella mia affermazione, per cercare di apparire un po’ più intelligente.

Kaiba mi rivolse uno sguardo di sufficienza; sospirai.

- Non solo Pendulum, ho sempre difficoltà anche con le evocazioni Synchro e XYZ. Se devo essere proprio sincera, mi sembra proprio che sia diventato tutto troooppo articolato. Un turno dura quasi un’ora a forza di attivare carte magie, carte mostro effetto, e fare avanti e indietro dal deck al cimitero e dalla mano al deck – borbottai, appoggiando la guancia su una mano.

L’uomo di fronte a me scosse la testa.

- Come tanti attività ludiche, si parte con qualcosa di semplice, per poi elaborarla al massimo delle sue potenzialità. Perché accontentarsi di semplici evocazioni, attacchi e difesa, carte magie e trappola a sorpresa, quando si possono sfruttare effetti più intricati e usare il cervello per pianificare il gioco? – abbozzò un ghigno, incrociando le braccia al tempo, - Le persone hanno bisogno di stimoli, di sfide, di essere messe alla prova per continuare una qualsiasi attività. Ricercano il senso di appagamento.

Lo fissai battendo le palpebre sorpresa: il suo discorso era sensato; non avevo mai pensato a questo aspetto.

Ciò nonostante, un pensiero mi fece inarcare un sopracciglio.

- Ok, questo si applica alla maggioranza; per quanto riguarda quella minoranza che vuole giocare tranquilla, senza sentirsi frustrata o incapace?

Kaiba corrugò la fronte.

- Personalmente, trovo questa minoranza patetica e semplicemente incompetente. Oggettivamente, al mercato interessa far contenta la maggioranza.

Infilai una mano sotto il velo per massaggiarmi il retro del collo, mentre sospiravo e ponderavo sulle sue parole, ignorando una piccola fitta causata dal suo definirmi indirettamente patetica e incompetente, facendo io stessa parte di quella minoranza in questione.

- Il mercato... Non sono una fan del perbenismo e dell’inclusività gettata a destra e manca, ma non eri quello che voleva insegnare agli alieni come giocare a Yu-, volevo dire, a Duel Monsters?

Kaiba schioccò la lingua, scuotendo la testa.

- I giornalisti hanno estrapolato le mie parole da un altro contesto e creato questa notizia ridicola.

Questa volta fu il mio turno di rivolgergli uno sguardo di sufficienza; Kaiba assottigliò gli occhi nell’ennesima espressione torva e rimanemmo un bel lasso di tempo a fissarci in silenzio.

Mi correggo: eravamo entrambi due arroganti, testardi, freddi (io, fredda?) pezzi di...

- O forse non hai avuto dei buoni istruttori. In piedi, andiamo nella sala di Duel Monsters, ti addestrerò io.

Kaiba improvvisamente si alzò, avviandosi lungo uno dei corridoi collegati a quella stanza; strabuzzai gli occhi nel seguirlo con lo sguardo. Quando si fermò per girarsi e guardarmi male, pronunciando un gelido “Muoviti!”, automaticamente mi sollevai dalla sedia in posizione eretta e affrettai il passo verso di lui, seguendolo mentre proseguiva il suo cammino.

Non so se fossi più sbigottita dalla sua proposta di insegnarmi, o dal fatto che aveva pure una stanza da dedicare al gioco di carte.

Un momento.

Ciò significava che avrei visto i mostri delle carte prender “vita” tramite gli ologrammi?!

Kaiba mi rivolse uno sguardo stranito e seccato nel sentirmi trotterellare dietro di lui con entusiasmo, e scosse la testa.

- Che bambina.

 

 

 

 


Rieccomi! Non era mia intenzione impiegarci così tanto a scrivere il nuovo capitolo, ma ho di nuovo faticato a organizzarmi, o meglio, a rispettare i programmi pianificati... Settimana prossima ho due esami e voglio piangere con tutto gli appunti che ho già da sistemare del secondo semestre.

Ho avuto qualche difficoltà a scrivere questo capitolo; descrivere un personaggio come Kaiba non è così semplice, né tantomento le possibili interazioni con le persone intorno, soprattutto con la nostra protagonista, Lubaba.
Se non lo aveste notate, Kaiba non sa ancora il suo nome e non l'ha ancora chiesto.

Avete mai giocato a Yu-Gi-Oh? Io ho abbozzato la mia esperienza in questo capitolo, rendendola parte dell'esperienza di Lubaba, con la differenza che me la immagino molto più brava di me e soprattutto, piccolo spoiler insignificante, grazie a Kaiba riuscirà a capire come usare i vari tipi di evocazione. Continuerà a detestare l'evocazione Pendulum, però. Quella è proprio terribile.

Grazie a chi sta leggendo, a chi leggerà, e a chi apprezzerà la storia!

A presto!


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