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Autore: whitemushroom    04/04/2024    0 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Nausea?”
Njal fece un mezzo cenno di assenso. Lo stomaco mandava segnali contrastanti, e il riverbero degli ultimi raggi del sole sul vetro del veicolo era davvero molto, molto fastidioso.
Lui e Hector si erano buttati dentro uno degli autobus della linea circolare, per poi cambiare dopo un paio di fermate ed incrociare la linea che li avrebbe portati al suo B&B. Su quest'ultimo erano riusciti a trovare un posto per sedersi, ed il ragazzo fu grato di poter appoggiare un attimo la testa sulla seduta in plastica; l'autobus aveva imboccato una lunghissima serie di curve a strapiombo sul mare, ed i turisti si accalcavano sul lato esterno per scattare foto del promontorio al tramonto. Il brusio dei loro commenti era davvero fastidioso, quasi amplificato, e contava i minuti che lo separavano dalla sua stanza. Teneva il telefono in una mano, in attesa di una qualsiasi vibrazione che segnalasse un messaggio in arrivo, ma l'oggetto rimaneva silenzioso. A giudicare da qualche commento, anche i turisti stavano sperimentando lo stesso disagio.
Pur rivolto verso l'esterno, si sentiva lo sguardo di Hector addosso. L'uomo si era seduto accanto a lui, e a parte controllare la connessione del suo cellulare di tanto in tanto non aveva parlato più dello stretto indispensabile.
Nella testa di Njal vi erano più domande di un quiz universitario, e le risposte multiple senza senso continuavano a rimbalzargli tra le labbra. La cosa buffa era che non sapeva nemmeno cosa chiedere per prima.
L'intera strada dava su uno strapiombo. In basso, sporgendosi, gli ombrelloni colorati tempestavano lo strettissimo arenile, e anche da quell'altezza poteva vedere le sagome degli ultimi bagnanti rientrare e muoversi verso le auto parcheggiate in fila lungo la stretta strada, le stesse che costringevano il bus a rallentare per riuscire a passare.
Lui e Astrid si erano ripromessi di fare un bagno al mare prima di ripartire.
“Martinelli immaginerà che il primo posto dove venirti a cercare è il tuo alloggio” sussurrò Hector. “E, se è abbastanza intelligente, farà perquisire anche il mio. Direi di farci notare il meno possibile, cercare tracce della tua ragazza e poi allontanarci da qui. A meno che tu non abbia un piano…”
“Ti sembra che ne abbia uno?”.
Njal non aveva la benché minima idea di quando finisse il coprifuoco del niente domande, ma preferì focalizzarsi sul proprio stomaco e attendere; per quanto non avesse idea di cosa diamine gli fosse successo, il solo fatto che Hector gli credesse gli dava una fragile sensazione positiva.
Chiunque fosse l'uomo con la maschera a metà, sembrava un fantasma intento ad apparire e scomparire in qualunque suo pensiero. Più cercava di tornare indietro a quella sera e più il suo sorriso diventava ancora più intenso del ricordo di Astrid. Strinse tra le dita il cellulare e le chiavi del Bed, alzandosi di corsa non appena il 5 ebbe terminato la corsa, scaricando i turisti in spiaggia per caricarne almeno il quadruplo. Si recò al proprio alloggio a falcate ampie; l'accesso era privato, ed i padroni dell'alloggio dovevano essere andati via dalla casa vacanze da almeno un'oretta, quindi imboccò il cancelletto senza timore di essere notato. Dietro di lui Hector trotterellava lamentandosi di qualcosa, ma lui aveva solo un pensiero per la testa.
“Astrid, sono io!” disse mentre apriva la porta.
Come parte di lui temeva, non ebbe risposta.
Entrò dentro a tutta velocità. L'appartamento era in ordine, proprio come lo avevano lasciato: nella cucinetta c'erano persino gli integratori di vitamine dei capelli di Astrid proprio vicino al rubinetto dell'acqua, e quando entrò in camera era come se nessuno fosse mai passato di lì. I costumi che avevano comprato in previsione del mare erano ancora nella busta con il loro cartellino, ed entrambi i caricabatterie erano attaccati alle prese. Andò all'armadio e cercò la cassaforte, ma i loro tablet erano ancora lì dentro. L'aria aveva odore di chiuso.
“Niente”.
Lo disse più a se stesso che non al suo compagno. Hector si stava pulendo le scarpe sullo zerbino, ed entrò nell'alloggio quasi in punta di piedi. Si guardò intorno ed accese la luce, e solo in quel momento Njal si accorse che per la preoccupazione nemmeno si era accorto che ormai il sole fosse calato. “Non c'è, Hector. Non è passata per di qui. Quello stronzo deve averla rapita!”
“Maledizione…” disse. Njal lo vide iniziare ad ispezionare la stanza proprio come aveva fatto lui, ma non se la sentì di dirgli che era una mossa inutile. “Mi dispiace, credevo potesse essere qui, e…”
“Che facciamo adesso?”
Il mal di testa e la nausea di poche ore prima sembravano essersi coalizzate: avrebbe dato qualunque cosa per stringere il collo del loro aggressore con le sue stesse mani, e per la rabbia tirò un calcio al comodino. Hector gli venne subito vicino, appoggiandogli la mano sul braccio; fu tentato di mandarlo al diavolo e allontanarlo, ma di nuovo quella strana sensazione di benessere al tocco lo fecero desistere. Si limitò a sbuffare ed a sedersi sul letto, fissando il suo cellulare. “Se solo potessi chiamarla…”
Hector imitò il gesto, avvicinando persino il proprio telefono alla finestra. Emise un suono frustrato, poi si girò. “Non c'è campo, ma possiamo provare con un telefono fisso. Lo so che è una stupidaggine, ma…”
“Chi diamine ha un telefono fisso nel 2019, Hector?”
“Tutti i posti dove la telefonia mobile non prende. Ovvero, almeno metà di questa isola” disse. “Abbiamo qualcosa da perdere?”.
Il ragazzo non se lo fece ripetere e scese insieme a lui.
L'accesso alla sala comune era al piano terra. I titolari, due signori gentili dall'inglese stentato, avevano ripetuto più volte a lui e ad Astrid che potevano servirsi di tutte le merendine che volevano, anche per degli spuntini notturni, e lo sguardo gli cadde sulla dispensa. La sala comune sembrava immacolata, e nessuna voce veniva dagli alloggi vicini; si avvicinò alla scrivania, il posto dove erano stati accolti per fare il check in, ed in effetti un telefono fisso, di quelli che forse avevano i suoi nonni, era posizionato all'angolo del mobile con un paio di penne vicino.
Sollevò la cornetta, e suonava. Digitò il numero di Astrid e attese.
I primi due squilli se li fece trattenendo il fiato, sentendo libero.
Al terzo squillo la sua faccia incontrò l'espressione terra di Hector, quando realizzarono entrambi che un cellulare stava suonando al piano di sopra. Ed era la suoneria di Astrid.
Abbandonò il telefono, saltando gli scalini due a due. Mise le chiavi nella toppa per aprire di nuovo il suo appartamento , con la suoneria che veniva chiaramente da lì dentro, quando Hector lo afferrò per la spalla. “Aspetta” disse “Non sappiamo che cosa sia successo”
“So solo che prima il telefono di Astrid non c'era, Hector! Ti pare che aspetto?”
“Appunto perché prima non c'era. Non ti sto dicendo di non entrare, solo…”
Njal per poco non cacciò un urlo quando dalla tromba delle scale arrivò un frullio di ali che passò proprio vicino alle sue orecchie. Un piccione era apparso da chissà dove, fece un paio di giri e si appoggiò sul pavimento proprio davanti alla porta. Con una calma ai limiti dell’esasperante, Hector socchiuse la porta “... prendiamo qualche precauzione”.
Il telefono continuava a strillare.
Il piccione entrò, e l'uomo chiuse di nuovo la porta.
Njal era attraversato dal bisogno fisico di sfondare la porta e correre, quindi si impose di fissare Hector e qualunque cosa stesse facendo: nonostante la penombra poteva vedere con precisione le pupille dell'altro assottigliarsi ed il suo respiro cambiare ritmo. Se non fosse stato impossibile, avrebbe potuto giurare di sentire persino il suo cuore accelerare. Aveva di nuovo portato una mano al suo ciondolo, e con le labbra aveva mormorato qualcosa. Dopo una decina di secondi la sua faccia cambiò espressione. “Njal, avevi guardato nel bagno, vero?”
“Certo che sì. Che c'è? Che succede?”
“Forse è il caso che entri solo io, non è proprio…”
Le ultime briciole della pazienza di Njal svanirono, interruppe Hector con uno sbuffo e scattò nell'appartamento.
La suoneria continuava a squillare.
Dal bagno uscì il piccione, che volò verso Hector e si perse.
C'erano pozze d'acqua su tutto il pavimento.
Si avvicinò alla vasca da bagno, da cui soltanto una mano ossuta usciva, col telefono di Astrid tra le dita. Tutta la rabbia di qualche istante prima si trasformò in una sensazione di tremore alle gambe, e se non si fosse ritrovato Hector alle spalle forse sarebbe persino indietreggiato. L'altro gli poggiò una mano sull'avambraccio e lo sorpassò. “Non è un bello spettacolo…”
Il ragazzo lo lasciò fare.
Hector si avvicinò alla vasca con un'espressione illeggibile: appoggiò entrambe le mani contro quella che stringeva il telefono, quasi con una carezza affettuosa. Le dita si aprirono, e l'uomo gli porse il telefono. Per avvicinarsi e prenderlo Njal si sporse, mosso dalla curiosità, e quello che vide gli fece gelare il sangue: vi era un uomo dentro la vasca, un signore anziano dal volto tumefatto come se fosse stato a mollo per giorni interi. Le sue iridi morte e lattiscenti erano di un azzurro chiaro, e quando Njal le incontrò girò subito lo sguardo.
Non aveva mai visto un cadavere.
Lo stomaco tornò a contorcersi e si avvicinò al gabinetto. Su di esso, appoggiato, vi era un cappello borsalino anch'esso bagnato. Fece per spostarlo e sollevare la tavoletta, ma qualcosa dentro il suo petto si agitò così tanto che retrasse la mano. Si appoggiò la mano alle costole per placare la sensazione e per voltarsi e rimettere nel bidet, ed in quel momento realizzò la cosa più stupida e più impossibile del mondo.
Il battito del suo cuore era flebile, quasi inesistente.
“Hector…”
Non riuscì a finire la frase. Il telefono continuava a suonare, imperterrito, e il volume della suoneria era persino aumentato. Sul display era indicato solo un numero privato.
Fissò il telefono, poi l'uomo, poi di nuovo il telefono. Infine rispose.
Dall'altra parte la voce di un uomo prese a dire qualcosa. Non era una lingua che Njal conoscesse, ma vi era qualcosa, nelle parole pronunciate, che gli sembrava affine, quasi come se il loro significato si trovasse proprio sulla punta della sua lingua. Provò a interromperlo, ma la voce continuò in maniera costante, con un tono di voce così monocorda da sembrare un messaggio registrato. Qualcosa dentro di lui sembrava sentire addirittura il bisogno di ascoltarla, e solo quando incrociò lo sguardo preoccupato di Hector si accorse con terrore che con le proprie labbra stava seguendo le parole.
Avvicinò il telefono all'uomo, invitandolo ad ascoltare, e nel farlo notò che le proprie mani tremavano. L'altro le prese tra le sue, e con quel gesto avvicinò il display all'orecchio con un'espressione che definire terrorizzata sarebbe stata un eufemismo.
Schizzò fuori dal bagno ancora col telefono in mano e Njal lo seguì. Si ritrovarono a guardare insieme oltre la finestra, solo per portarsi entrambi le mani al petto e allo stomaco per il dolore.
Il cielo era diventato nero. Un nero strano, privo di vita, un colore che non aveva nulla a che spartire con quello della notte. Njal cercò subito un cenno di luna o di stelle, senza trovarle; non era però un'assenza dovuta alle nuvole, o a qualsiasi forma di maltempo. Era un nero che da solo gli riverberava persino nello stomaco, quasi a riflettere ed essere un tutto unico col dolore che stava attraversando sia lui che Hector. La base del collo prese a pulsargli di nuovo, con più violenza di quanto non fosse successo all'ospedale, e quando piegò la testa per implorare un po’ di sollievo vide nel cielo, proprio oltre il tetto del suo alloggio, qualcosa che assorbì qualunque suo pensiero e respiro.
Un enorme sole, nero quanto e più della notte, sorgeva sopra il mare. Non emanava nessuna luce, e nemmeno un riflesso scintillava sopra le onde; si trovava fisso nel cielo come se fosse l'origine stessa di quella oscurità priva di senso, una massa da cui il ragazzo trovò quasi impossibile distogliere lo sguardo. Era come riuscire a fissare il sole con gli occhi, senza filtri, ma ben lontano da come lo aveva visto anni addietro, durante un’eclissi. Lo vedeva, ma ancora di più ebbe l'impressione di sentirlo dentro di sé, quasi come una scarica viva sotto la pelle. L'edificio, la strada, gli stabilimenti, qualunque forma di illuminazione artificiale era sparita. Nonostante le pupille sembravano inchiodate sull’astro nero, parte della sua coscienza fissava con terrore il buio abbattuto sulla costa; non vi erano urla o gente che scappava, ma solo un silenzio anch'esso parte del cielo e della notte intera.
Ritornò alla realtà quando, alle sue spalle, Hector per contorcersi cadde contro una sedia: nonostante fossero immersi nel buio più totale, il ragazzo si accorse di vedere con estrema precisione la faccia dell'uomo perdere colore. Aveva portato le mani dal petto al ciondolo, e una serie di piccole luci di vari colori uscivano da quello strano gioiello; le luci però non riverberavano nella stanza o nell'aria circostante, ma disegnavano solo scariche lungo il corpo del loro proprietario. Njal piantò i piedi a terra, sentendo di nuovo risalire il malessere ed i conati quasi in sintonia con i colori resi ancora più vividi da quel buio. Costrinse le sue gambe a muoversi e rimise in piedi l'uomo. “Ce la fai?”
Hector gli strinse la spalla, appoggiandosi con tutto il suo flebile peso. La strana sensazione di benessere che veniva dalla sua mano sembrava salire e scendere insieme ai colori del ciondolo. Qualunque cosa stesse succedendo, stava affliggendo l'uomo anche più di lui.
Non aveva idea di cosa fare.
Lo tirò verso l'interno, lontano dalla finestra. Dal telefono continuava ad uscire quella voce, e lo lanciò con rabbia dall'altra parte della stanza senza lanciare nemmeno un'occhiata al cadavere nella vasca. Quando provò ad appoggiare Hector sul letto, anche solo per evitare che gli crollasse addosso, l'uomo fece un severo segno di diniego. “Andiamo al parcheggio. Dobbiamo correre”.
“E dove dobbiamo andare?”
“Ci serve una chiesa” ringhiò “E subito”.
Njal decise che non era il caso di discutere. Hector provò a farsi forza ed a affrettarsi verso la porta, ma il ragazzo lo vide ondeggiare così male che lo fece appoggiare alla sua spalla ignorando il martellare incessante della bocca dello stomaco. L'altro pesava ancora meno di quanto sembrasse.
Quando uscirono all'aperto l'intero piazzale era avvolto nell'oscurità. Il negozio di articoli da mare e la boutique avevano le porte spalancate, ma non c'era nessuna luce accesa e nessun movimento. Si sporse per vedere se vi fossero persone sulla scala che portava agli stabilimenti, ma non vi erano sagome o voci. Parte di sé era tentata di fissare ancora una volta il sole nero.
Scendendo dal bus aveva adocchiato una discesa con un parcheggio destinato ai bagnanti, quindi spinse Hector giù per la stradina ignorando il confusionario caleidoscopio che animava il suo pendente. L'uomo mormorò qualcosa tra un respiro e l'altro, e da sopra di loro un battito d'ali scese in picchiata e volò fino al casotto del custode del parcheggio, un piccolo gabbiotto poco distante da entrambi. Njal ed Hector erano arrivati arrancando alla fine della rampa quando il volatile tornò verso di loro, un piccolo gufo con un mazzo di chiavi di una macchina nel becco. Le fece cadere nel palmo di Hector e si librò in aria.
L'uomo procedette stentando verso la macchina più vicina, e la aprì. “Tranquillo, guido io”
“Immagino non sia tua…”
“Io immagino che in questo momento i padroni abbiano ben altri problemi” mormorò, tirando a fatica la portiera “Muoviamoci”.
Il ragazzo strinse le mani della sciarpa, quasi a cercare conforto, poi entrò nel veicolo. Era una macchina vecchissima, ed i suoni che emise all'accensione non promettevano nulla di buono.
“Siamo in tempo per rubarne un'altra?”
“No”.
Fissò l'uomo, ed era terreo. La mano era avvinghiata sul cambio ed aveva l'espressione di stare per svenire da un momento all'altro. “Guido io?” chiese, ricordandosi delle curve a strapiombo dell'isola “Ho preso la patente il mese scorso, se vuoi…”
“Tu guardati intorno e avvisami se c'è qualcosa di strano”.
I suoi occhi si assottigliarono di nuovo, come quando aveva chiamato il piccione al Bed. Mise in moto e uscirono dal parcheggio, risalendo lungo la strada che avevano percorso in autobus.
I fari della macchina avevano qualcosa di strano: nonostante Njal fosse pronto a giurare che fossero accesi, sembravano non essere in grado di illuminare sul serio. Le luci attraversavano il buio della notte in maniera impalpabile, a fatica, quasi come fosse calato un banco di nebbia. L'aria era però tersa e netta, ma i fari non riuscivano in ogni caso ad illuminare più di pochi centimetri: il ragazzo ebbe un sussulto quando Hector spinse il vecchio macinino su per una curva a gomito con estrema precisione, e il gesto lo portò a realizzare un dettaglio a cui non era ancora riuscito a dare voce.
“Hector… lo sai che sto vedendo al buio?” fece. I fari si perdevano in quella strana oscurità, ma le sagome degli alberi, delle macchine parcheggiate e delle case a strapiombo riusciva a distinguerle. Anzi, più le sagome si trovavano vicine alla sorgente luminosa e meno sembravano mettersi a fuoco.
Nonostante l’assenza di luci interne del veicolo, il cenno silenzioso di assenso dell'altro gli arrivò come una coltellata.
Fu quando terminarono la salita panoramica e si buttarono nella strada principale che le notò.
Prima pensò che fosse solo un'impressione, ma vi era qualcosa che si muoveva tra una casa e l'altra. I suoi occhi inquadrarono un movimento strano oltre la prima piazza, ma continuarono ad apparire nonostante la macchina mantenesse la sua andatura. Ci fu un guizzo persino riflesso nello specchietto retrovisore. “Hector, c'è qualcosa che si muove”.
“E ci sta seguendo?”
“Non lo so…”
Si forzò a guardare di nuovo. Non sapeva nemmeno più nemmeno cosa pensare, perché qualunque forma di pensiero gli si stava paralizzando nella testa. Alle loro spalle, lungo la strada che si stavano lasciando indietro, i movimenti presero ad aumentare.
Cercò di dar loro una forma, ma tutto ciò che riuscì a percepire furono quasi delle sensazioni, degli echi che non riusciva a definire con delle parole. Erano nere nel nero, qualcosa che non aveva una sagoma ma si trovava alle loro spalle. Aprì il finestrino per sporgersi e vederle con i propri occhi, ma quando l'aria esterna entrò nell’abitacolo fu colpito da una sensazione di malessere tale che lo rinchiuse di colpo; per un attimo ebbe persino l'impressione che nell'aria stessa vi fosse qualcosa che appartenesse a quelle ombre, guizzi che scuvolavano tutti intorno a loro. Non sapeva nemmeno definire se si trattasse di una sola entità o di numerose, ma quando un movimento saettò davanti ai loro fari cacciò un urlo e si portò le mani alla bocca. Hector non rallentò, e il leggero sobbalzare della vettura come se avesse urtato qualcosa fu sufficiente a farlo raggomitolare nel vecchio sedile.
Il piccolo gufo comparve come per magia a pochi metri da loro, indicando una strada laterale in cui Hector si buttò senza nemmeno rallentare.
“Manca poco” lo sentì sussurrare, osservando con terrore quanto l'altro sembrasse avere difficoltà persino ad ispirare un po’ d'aria. “Manca poco…”
Njal volle credergli, ma dallo specchietto le ombre fecero capolino alle loro spalle, sempre più veloci.
Il sole nero si stagliava sopra di loro.
  
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