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Autore: NyxTNeko    05/04/2024    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 161 - Scommessa -

Castelnuovo, 30 luglio

- In una sola giornata tutti i miei piani sono stati stravolti - aveva proferito Napoleone, non appena si era reso conto della situazione. Wurmser stava dimostrando la sua incredibile abilità bellica e strategica, nonostante l'età piuttosto avanzata. Era riuscito a coglierlo di sorpresa: il giorno prima con gli attacchi di Quasdanovich, il quale dopo aver tenuto sottoscacco circa 600 soldati francesi, in una fortezza, aveva scacciato gli uomini di Sauret da Salò, nonostante i continui cambi di mano della cittadina.

Aveva messo in difficoltà persino un generale eccellente come Masséna, alle tre della mattina, che fu attaccato ripetutamente da numerosi gruppi di soldati austriaci, presso la Madonna della Corona e Rivoli, costringendolo alla ritirata, seguendo il corso dell'Adige, giungendo a Bussolengo. "Riprenderemo domani, o più avanti, quello che avete perso oggi. Nulla è perduto, finché c'è il coraggio" rimembrò quanto aveva riferito al generale nizzardo, una volta saputo della vicenda. Sperava di ritemprare il suo umore e quello dei soldati francesi sotto il suo comando, soprattutto dopo le ingenti perdite che aveva subìto: ben 1600 uomini tra morti, feriti e prigionieri. "Se abbiamo anche la fortuna dalla nostra possiamo ancora vincere" rifletteva, ma non era affatto tranquillo. Una strana paura si stava insidiando nel suo cuore, generandogli una profonda inquietudine.

Brescia

- Certo che il mondo è proprio piccolo - emise Murat nel trovarsi davanti una persona ben nota, occupare un altro letto dell'ospedale, in cui venivano soccorsi i feriti francesi - Chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo rivisti in una situazione del genere, cittadino Lannes - aggiunse con sarcasmo.

Il collega lo guardò un po' dolorante, ringhiando al pari di un animale colpito durante una battuta di caccia, che era sfuggito al cacciatore; era stato fasciato per bene, eppure alcune ferite gli facevano più male delle altre, forse perché avevano riaperto alcune cicatrici - Peccato che tu non sia qui...per una ferita di guerra...ma per una stupida malattia venerea! - gli sputò aggressivo come al suo solito. Proprio non lo sopportava quello stangone riccioluto, con quella sua arietta da don Giovanni - Vuoi...anche le cure delle... infermiere...immagino!

Murat sollevò gli occhi al cielo e si lasciò cadere sul cuscino, quel tipo era davvero impossibile. Si chiedeva come facesse il suo reggimento a sopportarlo; non discuteva del suo coraggio indomabile, al limite del suicidio quasi, di questo non poteva che complimentarsi. Ma il carattere era davvero terribile, da quel che sapeva, aveva persino una moglie, accolta nella sua città natale; "Uno come lui è riuscito a sposarsi, mentre io ancora no, a parte scappatelle qua e là non ho trovato la donna con cui mi piacerebbe dividere il resto della vita" sospirò leggermente, per poi sorridere divertito "Forse non sono adatto alla vita matrimoniale, perché a differenza sua io sono molto più bello e affascinante".

Poco distanti dalla città di Brescia, nascosti dall'ombra, gli austriaci erano in attesa dell'ordine del loro comandante, aveva soltanto riferito di restare celati e accorti agli occhi del nemico - Se tutto andrà come previsto, presto la città sarà sotto il nostro controllo! - sussurrava uno degli uomini, cercando di allontanare un po' di terriccio che stava rovinando l'uniforme bianca.

- Al momento quegli sciocchi dei rivoluzionari francesi hanno la guardia abbassata - rispose un suo compagno in un tedesco perfetto - Non si aspetteranno nulla del genere, quei ladri! - aveva ottenuto delle informazioni circa il comportamento non proprio esemplare degli oltralpe, i lamenti più frequenti erano i furti costanti che si perpetravano. Ovviamente il caporale era consapevole del fatto che la razzia fosse una pratica adoperata in qualsiasi esercito; ma era comunque utile sfruttare il malumore nei confronti del nemico per indebolirlo.

Erano intenzionati più che mai a dare una lezione a quei maledetti che non solo avevano ucciso una principessa e regina austriaca, stavano, persino cercando di conquistare territori, utilizzando il pretesto di voler estendere gli ideali rivoluzionari, al di fuori dei loro confini. Si stavano rivelando una vera minaccia, che dovevano frenare in tempo, sia sui confini italiani, sia lungo quelli del Reno. Non potevano assolutamente permettere che i francesi diventassero troppo potenti, scombussolando i delicati equilibri europei.

Roverbella

- Comandante! Comandante! - gridò una staffetta, piombata terrorizzata nel quartier generale di Bonaparte. Alcune guardie gli stavano sbarrando la strada, per via della furia con il quale l'uomo era entrato nella Villa Gobio, che Napoleone aveva occupato momentaneamente, che era stato il quartier generale austriaco fino a qualche tempo prima - Vi prego... fatemi passare... ho delle informazioni urgenti... per il comandante! - riferiva con un tono molto alto e affannato.

- Fatelo passare! - sentirono dalla stanza del comandante e le guardie lo fecero avanzare, perplesse e preoccupate. Doveva essere accaduto qualcosa di estremamente grave - Allora? Cos'avete da riferirmi, cittadino? - domandò il corso, cercando di non mostrare alcun segno di timore; doveva mostrare autocontrollo, qualsiasi fosse la notizia che gli avrebbe riferito. Quando la staffetta prese parola, gli occhi di Bonaparte si erano spalancati sempre di più: gli austriaci avevano attaccato la guarnigione ubicata a Brescia, assieme agli ospedali - E non è tutto purtroppo, comandante! - aggiunse ingoiando la saliva - Anche vostra moglie ha rischiato la cattura - disse tutto d'un fiato.

- Che cosa? - sobbalzò Napoleone, trovandosi in piedi, tremando - Dov'è ora? Come sta? - gli domandò a raffica; doveva sapere, seppur la colpa lo attanagliasse nel profondo. Era stato lui a dirle di allontanarsi da Milano per andare a Brescia e aspettarlo, seppur lui stesso avesse mancato i giorni che aveva stabilito, stava cercando di organizzarsi per poterla finalmente incontrare. Le aveva garantito la sicurezza della città, forse si era autoconvinto egli stesso di non dover temere attacchi, ingenuamente. E invece non era nemmeno accanto a lei, nel momento del bisogno...

- Vostra moglie ora è al sicuro, comandante, probabilmente starà ritornando a Milano - lo rassicurò dicendo anche - E a parte lo spavento, sta bene, non dovete preoccuparvi, così come pure gli uomini attaccati all'ospedale, per fortuna non ci sono state vittime gravi

Si fermò quando vide un'ombra scendere sul viso del comandante - Wurmser la pagherà per quelle lacrime! - sentenziò infine, tra i denti, dimostrando una rabbia che non possedeva. "Ma come? La mia paura è giustificata, il nemico ha davvero intenzione di accerchiarci, procedendo verso sud, dopo aver occupato temporaneamente i territori presenti ad ovest e a nord, rispetto a noi". Per la prima volta Bonaparte si sentì spiazzato, quel Wurmser lo stava mettendo seriamente alle strette, aveva molte idee da poter tramutare in piani strategici "Però questa volta, non posso completamente agire da solo...ho bisogno di consultarmi, Joséphine, fatti forza, al momento non posso proprio abbandonare le mie armate".

L'ombra si dissipò e con voce calma, guardando fissò l'uomo che si trovava di fronte, disse - Diramate a tutti i generali di divisione la notizia di un consiglio di guerra che si svolgerà nel pomeriggio! - puntò il dito in direzione della porta - Agli ordini - e la staffetta si allontanò al pari di un fulmine, dopo essersi messa in posizione. Rimasto solo, Napoleone poté emettere un lungo sospiro e crollare sulla sedia. "È l'unica soluzione che posso adottare, una volta conosciuta l'intenzione delle mie armate e controllate le carte, agirò di conseguenza" si coprì il volto con le mani, liberando l'inquietudine che lo opprimeva, avrebbe voluto soltanto urlare "Non devo cedere all'istinto, ora più che mai devo mantenere il controllo".

Augereau fu tra i primi ad arrivare al quartier generale, anche perché era stato il comandante stesso, qualche giorno prima, a riferirgli di fermarsi proprio a Roverbella: 'Ogni minuto è prezioso' aveva iniziato il dispaccio 'il nemico ha sfondato la nostra linea in tre punti: è padrone di due punti importanti, la Corona e Rivoli' era stato breve e coinciso come li stava abituando 'Vedrete che le nostre comunicazioni con Milano e Verona sono state tagliate. Aspettate nuovi ordini a Roverbella; verrò di persona'. Probabilmente Bonaparte stava pensando a questa riunione già da un paio di giorni, ma aveva voluto attendere ancora, prima di convincersi totalmente, pensava, nel mentre camminava lungo il corridoio.

- Eccovi generale - disse Bonaparte alzatosi in piedi, dirigendosi verso Augereau, questi lo fissava dall'alto, vi era una notevole differenza di statura e di stazza tra i due, nonostante la magrezza che li accomunava; aveva compreso, però, che l'autorità non fosse sempre una questione di fisicità, quanto di forza d'animo, di carisma e quel piccolo generale corso ne aveva in abbondanza. Non riusciva a fissarlo negli occhi, quella sensazione di schiacciamento la ricordava ancora benissimo, seppur non la provasse come la prima volta. Ed era un bene.

- Ho seguito le vostre istruzioni, comandante - rispose rapidamente l'ufficiale, restando in posizione - Avevo percepito l'urgenza del vostro messaggio e vi ho aspettato, in questo modo la divisione affidata ha potuto riposare e recuperare le energie sufficienti per riprendere la marcia e i combattimenti! - disse irruente come al suo solito.

- Riposo, generale - ordinò Napoleone, con le mani dietro le schiena - Dovrete aspettare ancora un po', non tutti i vostri colleghi si trovano vicino al quartier generale e conosco la vostra impazienza - riferì, sotto questo aspetto erano davvero simili, ma stavolta Bonaparte era intenzionato a prendersi tutto il tempo che gli sarebbe servito. Era comunque colpito dall'energia di Augereau, soprattutto dopo gli stancanti spostamenti, a cui aveva sottoposto lui e i suoi uomini nelle ultime settimane: avevano percorso parecchie miglia in 55 ore, tra marce e contromarce. Si sentì un po' sollevato nel vederlo tanto volitivo - Seguitemi cittadino Augereau, non è qui che ci sarà la riunione

In poche ore tutti i divisionali arrivarono nella tenda e occuparono i posti, riuniti attorno alla scrivania, vi erano un paio di cartine, sempre piene di spilli e segni di matita e di compasso. Si guardavano tra loro e si poteva scorgere una profonda angoscia, mista a stanchezza e paura. In molti di loro, specialmente gli ufficiali più anziani, i continui spostamenti assieme agli ultimi attacchi del nemico, cominciavano a pesare. Poi volsero lo sguardo verso il comandante, che era seduto, a braccia conserte, in atteggiamento che si poteva dire, quasi, contemplativo, aveva gli occhi chiusi e un'espressione concentrata.

Poteva sembrare che stesse dormendo; ciò stava ad indicare che quei pochi mesi di guerra erano stati sufficienti per far comprendere, pur in minima parte, la complessità del loro giovanissimo comandante. Un greve silenzio aleggiava nella tenda, persino i respiri sembravano essere bloccati in uno spazio immobile e immutabile. Stavano tutti aspettando che Bonaparte iniziasse a parlare e riferisse la sua decisione, però, ciò che disse, dopo altri interminabili minuti, fu semplicemente - Ora che siete giunti qui, cittadini generali, vi esorto ad esporvi apertamente, non fatevi alcuna remore, ascolterò anche le vostre perplessità e i vostri timori - aveva aperto gli occhi grigi, fissandoli uno per uno, era serissimo - In situazioni come queste bisogna essere franchi!

Erano state quelle affermazioni dirette e chiare a sbloccare quella bolla e uno dopo l'altro i generali esprimevano la loro idea, compreso l'intrepido Masséna - Comandante, anche io sono del parere che dovremo preparare una ritirata oltre il Po, momentanea sia chiaro - confermò il parere di gran parte dei suoi colleghi, pur essendo un uomo coraggioso e intrepido, l'attacco ricevuto dal nemico gli aveva fatto mettere i piedi per terra, oltre ad averlo destabilizzato un po'. Gli austriaci di Wurmser e dei suoi divisionali, in particolare Quasdanovich, si stavano dimostrando veramente caparbi, determinati a sconfiggerli una volta per tutte. E il nizzardo stava pensando che fosse meglio agire così, aveva avuto anche la conferma da quasi tutti i suoi colleghi. Aveva temuto che fosse il solo ad aver contemplato questa soluzione, per quanto gli fosse sgradevole.

I suoi occhi scuri si posarono sul comandante Bonaparte, il quale stava ascoltando ognuno di loro, senza tuttavia, proferire parola, annuiva di tanto in tanto. "Come devo interpretare questo suo atteggiamento?" si chiedeva dubbioso; quel ragazzo sapeva essere davvero enigmatico certe volte. I suoi pensieri vennero interrotti da Augereau che lo aveva afferrato per il colletto, gridandogli - Anche voi volete arrendervi?! Non vi facevo così codardo, cittadino! - era furente al pari di un toro - La ritirata non farà altro che dare vantaggio al nemico, così avrà tutto il tempo per riprendersi e sferrarci un attacco ancora più potente! - lasciò la presa, ma non placò la sua ira.

- Ragionate! Non possiamo continuare così! Abbiamo bisogno di tempo, non intendo abbandonare la lotta! - replicò il nizzardo, Augereau aveva avuto la reazione che si sarebbe aspettato dal comandante - Inoltre non dovreste darmi del codardo, ho sempre agito come un qualsiasi generale in difficoltà, come voi...

Augereau però non voleva sentire ragioni, seppur in minoranza, non aveva alcuna intenzione di ritirarsi. Sbattè i pugni sulla scrivania, facendo saltare le carte e gli strumenti da lavoro, tanto era grande la sua rabbia e non risparmiò insulti e bestemmie nei confronti dei suoi colleghi. Il desiderio di scagliarsi contro ognuno di loro era molto forte, ma sapeva che il comandante non avrebbe accettato una rissa. E se si fosse arrabbiato sul serio avrebbe potuto buttare tutti i progetti all'aria.

- Il consiglio di guerra è terminato - emise Bonaparte, dimostrando un perfetto autocontrollo; anche il tono di voce era pacato, nonostante non scandisse alla perfezione le parole, assieme al suo pesante accento corso che non lo abbandonava - Vi comunicherò stasera la mia decisione, ora potete andare, spero solamente di non dover intervenire a placare le vostre risse - ci tenne a precisare, rivolgendo loro un'eloquente occhiata: accettava che discutessero fra loro, ma sempre in modo civile. Non poteva tollerare che degli ufficiali di quel calibro si riducessero a litigare come dei semplici ragazzi o degli ubriaconi nelle osterie.

In pochissimo tempo la tenda si svuotò e Napoleone poté tirare un lungo e profondo respiro: di certo non immaginava quel tipo di reazione da parte dei suoi sottoposti. Erano spaventati dalla svolta degli eventi, persino lui si era sentito spaesato, non erano da rimproverare. Erano pur sempre esseri umani - Devo consultare le carte però, prima di decidere, devo avere bene in mente la situazione, soltanto così saprò effettivamente cosa fare - e mandò a chiamare il suo cartografio di fiducia, Louis Albert Bacler d'Albe. Questi giunse rapidamente, conoscendo l'impazienza del comandante, ne aveva avuto la prova già ai tempi di Tolone, quando Bonaparte non era altro che uno sconosciuto capitano di provincia.

Aveva portato con sé una nuova cartina dell'Italia settentrionale che Napoleone gli aveva commissionato. Il corso restava sempre senza parole nell'avere quelle splendide carte, d'Albe era un abile pittore, gli aveva realizzato dei dipinti somiglianti, dimostrando un'abilità straordinaria, i dettagli erano il suo punto di forza. Per questo le distanze, i paesi, le città, le catene montuose, le colline, le pianure, erano riprodotte con una precisione senza pari. E per un uomo pignolo, quasi maniacale come Bonaparte, una persona del genere non poteva che suscitare stima e rispetto incondizionati - Ecco qua, queste sono le attuali posizioni delle armate, comandante - disse il cartografo sistemando gli spilli, facendo avanzare alcuni e indietreggiarne altri.

- Vi ringrazio, cittadino d'Albe - emise con gentilezza Napoleone, era davvero grato di quanto stava facendo per la Rivoluzione. E si immerse in quelle carte, assieme ai libri, che sfogliava per controllare i cambiamenti che il tempo aveva apportato in quelle zone. Doveva studiare qualsiasi cosa, rivolgendo una maggiore attenzione, a costo di privarsi completamente del riposo, toccava a lui compiere lo sforzo sovrumano, prima di poterlo affidare ai suoi uomini.

Luigi, che era a conoscenza della situazione, dato che il fratello gli aveva confidato le sue preoccupazioni, osservava i generali che attendevano nuovamente la convocazione con nervosismo. Rivolse lo sguardo nella direzione della tenda di Napoleone, domandandosi cosa avesse in mente di fare, era una delle rare volte in cui lo vedeva in crisi; stranamente non aveva ceduto alla rabbia. "È rimasto sempre lucido, che sappia già cosa fare? Forse vuole capire se ciò che in mente sia fattibile, soprattutto dopo aver constatato il morale dei suoi". E infatti era in occasioni come queste che al comandante, di solito, venivano i colpi di genio, capaci di ribaltare qualsiasi previsione.

Sopraggiunto il buio, Bonaparte convocò nuovamente i generali di divisione; questi erano rimasti in ansia per tutto il pomeriggio e avevano pregato quasi che Napoleone prendesse la decisione più saggia e giusta - Cittadini generali, so che la maggior parte di voi desidera più di ogni altra cosa la ritirata e per un po' di tempo anche io avevo pensato che fosse la soluzione adatta al momento - iniziò con voce ferma, negli occhi grigi era ripresa a brillare quella luce che ben conoscevano - Ma poi raffreddando la mente e riflettendo sulle carte, ho compreso che non possiamo mostrare il fianco, dopo uno smarrimento provvisorio - aveva preso a camminare a grandi passi, leggermente curvo in avanti.

- Quindi si riprenderà la guerra contro Wurmser? - domandò retorico il nizzardo, stringendo leggermente il tricorno, seguendo con le scure iridi, la sottile e nervosa figura del comandante, era ancora più agitata di prima.

- Sì, cittadino generale - emise Napoleone, si fermò e lo fissò intensamente - La ritirata deve essere contemplata solo dopo aver dato il massimo e provato ogni possibilità, solo dopo aver compreso che la vittoria non è più raggiungibile - aggiunse convinto, poggiò la mano sulla scrivania e la fece scivolare lungo la ruvida superficie.

- Questo è parlare! - esclamò entusiasta Augereau, a braccia conserte, gonfiando il petto. Non vedeva l'ora di mettersi nuovamente all'opera e farla pagare a quei maledetti austriaci. Avrebbero ricevuto lo stesso trattamento, o forse peggiore, dei piemontesi. Mettersi contro la Rivoluzione sarebbe stato il loro errore più grande - Allora diteci il vostro piano, cittadino comandante, siamo tutti orecchi - e lanciò un'occhiata al suo collega nizzardo, che annuì concentrato.

- Più che un piano, una scommessa direi - ci tenne a precisare Bonaparte, era concentrato sulla mappa, segnata e coperta da piccoli buchi dovuti agli spilli: il grosso dell'esercito avrebbe puntato a sud di Lonato, assestando il colpo alle armate austriache guidate da Quasdanovich, che stavano premendo sull'ala sinistra francese. Doveva evitare che si ricongiungesse con Wurmser e per questo era disposto a rinunciare a Mantova.

Aveva bisogno di uomini, perciò avrebbe dato l'ordine a Sérurier di abbandonare l'assedio e con esso ben 179 cannoni e mortai, oltre a dover gettar nel lago tutte le munizioni. "So quanto sarà difficile per gli uomini del generale Sérurier, però le guerre moderne si vincono sui campi di battaglia, il tempo delle fortezze e degli assalti è finito ormai". Era stata una scelta sofferta anche per lui, dopo tutta la fatica che ci avevano messo per ottenere quella città. Avrebbe rivolto nuovamente la sua attenzione su Mantova una volta risolta la situazione, almeno così sperava, se il piano fosse andato a buon fine.

- Il termine più corretto da usare sarebbe un azzardo vero e proprio, comandante - disse Berthier, stupito al pari di tutti, non si aspettavano di certo una decisione tanto drastica. Aveva compreso che Napoleone stava per giocarsi il tutto per tutto con questa sua trovata.

Lo vide sorridere divertito e replicare - Secondo Plutarco, Giulio Cesare fu un incallito giocatore e assieme a lui il suo fedele Marco Antonio - prese a bruciare quell'ambizione apparentemente affievolita poco prima, al pari di una fiamma inestinguibile - Tuttavia noi non punteremo somme di denaro o proprietà, ma la riuscita dell'intera campagna e le nostre stesse vite, cittadini! - aveva accettato la sfida ed era determinato più che mai a vincerla.

 

   
 
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