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Autore: Milly_Sunshine    05/04/2024    0 recensioni
Questo non è assolutamente un ennesimo racconto di Milly Sunshine ambientato nel mondo dell'automobilismo. Anzi, sì. :-)))) Ci ha provato a non scriverlo, ma l'ha fatto lo stesso! /// In un generico scenario early-80s, su un generico circuito cittadino degli Stati Uniti, sta per concludersi il campionato di Formula 1. Due compagni di squadra, molto diversi l'uno dall'altro, uno visto come un campione innato, l'altro come colui che si è messo in mezzo tra lui e i suoi sogni di gloria, sono entrambi di fronte all'occasione della loro vita: uno dei due diventerà campione del mondo. Entrambi sono focalizzati sullo stesso obiettivo, ma un grave incidente che capita nel primo giro di gara e provoca una lunga sospensione della corsa cambia almeno in parte le prospettive di entrambi in attesa dello scontro finale. In sintesi: molta introspezione a cui l'automobilismo fa da contorno.
Genere: Angst, Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutta la gente che contava stava intorno a Delacroix. I meccanici inneggiavano a lui, circondandolo. Doveva essere passata meno di mezz'ora da quando Valerio l'aveva superato per la seconda posizione. Già in circostanze normali, sarebbe stato un risultato memorabile raggiungere il podio dopo essere partito dalla corsia dei box, ma il fatto che potesse significare la vittoria del titolo era quel qualcosa in più che non aveva mai assaporato, fino a quel momento.
Quel giorno, in America, era stato a un passo dallo scrivere una pagina importante della propria storia personale, per poi ritrovarsi a poche tornate dalla conclusione con una gomma che si afflosciava lentamente. Era stata la gara più lunga della sua vita, metaforicamente, e non era scontato, per lui che aveva preso parte anche a numerose corse di durata in passato.
Non aveva avuto tempo per riflettere, né tantomeno per rendersi conto che era stata tutta un'illusione. Il suo sogno se n'era andato talmente in fretta da non lasciarlo nemmeno metabolizzare. Aveva saputo fin dal primo istante, quando si era avviato all'uscita della corsia dei box, che non sarebbe stato facile, ma a posteriori si rendeva conto di non avere mai pensato di potere arrivare così vicino al successo.
Qualcosa era cambiato, dentro di lui, dopo avere visto Karl Graber e i rottami della monoposto che quel giovane sventurato aveva faticosamente portato sulla griglia. Aveva sempre saputo che il tempo poteva essere limitato, ma vedere davanti ai propri occhi una scena così devastante aveva fatto scattare una molla. "Devo diventare campione del mondo" si era detto, "E devo farlo oggi, perché tra un anno potrei non esserci più".
Aveva lottato con tutte le proprie forze contro le avversità che, chiaramente, non volevano il suo nome scritto nell'albo d'oro. Ci aveva provato in tutti i modi e il suo intenso duello con il compagno di scuderia provava che in tanti si erano sbagliati sul suo conto. Lo dipingevano come un ragazzo freddo, viziato, poco empatico e, soprattutto, incapace di diventare un nome di spessore dell'automobilismo internazionale. Lo sminuivano perché colpevole di non essere un catalizzatore di folle come lo era invece Delacroix, come se il suo scopo ultimo dovesse essere il diventare come lui.
In tanti dovevano essere contenti del successo di Xavier, che veniva festeggiato come un eroe, e Valerio non era sicuro che lo sarebbero stati altrettanto, se fosse stato al posto suo. Anche dentro alla squadra, in molti dovevano avere provato una certa soddisfazione, quando l'avevano visto rallentare, ma non importava. Non gli interessava essere amabile, simpatico e adorabile tanto quanto lo era Xavier, quello che contava era il risultato finale, che parlava contro di lui, ma che non diceva l'intera verità.
Valerio sospettava che qualcuno l'avrebbe tacciato di non averci provato abbastanza, di avere gettato la spugna fin troppo facilmente, ma non gli interessava nemmeno quello. Quando aveva percepito la foratura ci aveva pensato, di provarci fino all'ultimo, ma si era reso conto in fretta di non potere fare alcunché. Aveva lasciato andare Delacroix senza opporre resistenza e poi, prima della fine della gara, altri due piloti. Era stato il gran premio più importante della sua vita, voleva almeno arrivare al traguardo, anche se sarebbe stato un finale amaro.
Quando tutto terminò, nessuno gli chiese come si sentisse. Fu una fortuna, perché non era sicuro di riuscire a rispondere a una simile domanda. Si sentiva stordito e spaesato, nelle ultime tre ore si erano susseguiti una serie di accadimenti che non avrebbe immaginato di vivere tutti racchiusi nello stesso tempo, e ancora non si erano conclusi.
Gli parve quasi di vedere l'atmosfera cambiare di punto in bianco, il che era forse un'esagerazione, ma certo non era esagerato affermare di avere visto lo sguardo di Delacroix mutare una volta per tutte. Se prima Xavier si era lasciato andare, all'improvviso si fece cupo, lo sguardo vuoto di chi sapeva che ogni speranza era perduta.
Era inevitabile che quell'istante arrivasse, Valerio non aveva avuto dubbi, anche se di era sforzato di illudersi. Nessuno doveva essere particolarmente stupito, né l'accaduto avrebbe cambiato alcunché. Karl Graber era morto per le conseguenze dell'incidente e si sarebbe dedotto che in fondo era un esordiente, e neanche di quelli più promettenti, che aveva fatto un errore e questo gli era stato fatale. Funzionava così, la colpa era sempre di chi moriva, oppure veniva appioppata ad altri, ma si puntava sempre il dito contro una persona specifica, o al massimo più di una, mai contro le condizioni di sicurezza molto meno accettabili di quanto venissero descritte.
Non erano più gli anni '50, e nemmeno gli anni '60 o '70, non era più l'epoca in cui le monoposto andavano a fuoco facilmente e in cui i cadaveri venivano coperti da un telo e lasciati nelle vie di fuga. I progressi c'erano stati, era innegabile. Eppure nonostante fosse stato fatto tanto, non c'era mai una vera e propria presa di coscienza, non c'era mai la concreta volontà di evitare di cercare rischi maggiori; quindi ecco entrare in calendario circuiti non adatti alle vetture che vi gareggiavano ed ecco ignorare problematiche risapute, almeno finché non era troppo tardi, finché il Karl Graber di turno non pagava con la vita il prezzo di un mondo che non funzionava e, in quei pochi istanti prima di voltare pagina e di dimenticarsene, qualcuno pensava per un attimo a lui.
Xavier aveva lo sguardo di chi non avrebbe dimenticato Graber, di chi avrebbe continuato a ritenere che c'era qualcosa che non andava. Valerio condivideva la stessa visione; anche se l'avevano dimenticato, negli ultimi tempi, avevano molto in comune. Era molto probabile che, in quei frangenti, Delacroix non desiderasse altro che allontanarsi da tutto e da tutti. Infatti, quasi senza essere notato, riuscì ad approfittare del trambusto che aveva intorno per dileguarsi.
Valerio lo trovò da solo, seduto su un muretto, che fissava il vuoto. Non avrebbe voluto disturbarlo, ma una voce dentro di sé lo esortò ad avvicinarsi. Prima ancora di averci davvero riflettuto, si ritrovò a sedersi accanto al compagno di scuderia, che rimase in silenzio.
Fu Valerio il primo a parlare: «Mi dispiace.»
«Per cosa?» chiese l'altro, in tono piatto.
«Per quello che è successo» rispose Valerio. «Hai fatto una grande stagione, non meritavi che la tua vittoria avvenisse in un giorno così triste.»
«L'ultima volta in cui ho parlato con Karl è stato ieri» gli confidò Xavier. «Mi ha detto, testualmente, che non dovevo lasciarmi scoraggiare, perché vincono sempre i migliori, e allora non c'era dubbio che sarei riuscito a batterti con facilità. Si sbagliava di grosso. Non è stata una vittoria facile. Più di una volta ho pensato di non farcela. Non me lo aspettavo. Quando ho saputo che partivi dietro a tutti ho pensato che fosse ormai fatta, che mi bastasse soltanto portare la macchina fino al traguardo, cercando di risparmiarla al massimo per evitare brutte sorprese... e invece sei stato tu la sorpresa. Che abbiano ragione quelli che dicono che sei capace di estraniarti totalmente dalla realtà? Dopo quello che hai visto...»
Valerio obiettò: «È stato proprio quello che ho visto a spingermi a fare quello che ho fatto. Prima della ripartenza non riuscivo a pensare ad altro se non a Graber. Mi sono detto che non volevo morire prima di avere vinto il mondiale e, dato che potrei morire in qualunque momento, allora dovevo assolutamente vincerlo, questo mondiale. Avrebbe potuto essere la mia unica occasione, non volevo buttarla via. Ho già sprecato troppo tempo, ho già dato troppe volte l'impressione di non valere abbastanza. Sono consapevole di non essere come te, di non essere quello che tutti amano e che tutti vorrebbero vedere vincere, quello che ritengono il migliore per diritto divino. Non importa. Conosco i miei limiti e sono pronto a spingermi più in là che posso per superarli. Sento che avrei meritato di vincere questo campionato tanto quanto te e non sarai tu o nessun altro a farmi cambiare parere.»
Xavier rimase in silenzio a lungo, prima di affermare: «Meritare o non meritare di vincere il titolo è solo un discorso da bar. Spesso il risultato finale non dipende da noi. Non avrei avuto alcuna possibilità di superarti, alla fine della gara, se tu non avessi avuto un problema. Meriti e demeriti sono opinioni soggettive. La verità è che spesso le cose succedono e basta.»
Sembrava un'altra persona, sembrava avere messo da parte i discorsi di quella mattina. Valerio avrebbe fatto meglio a mordersi la lingua e a tacere, ma le parole gli uscirono senza che potesse trattenerle: «L'hai detto tu, che se avessi vinto il titolo non sarebbe stato meritato, perché non sono all'altezza.»
Xavier non replicò. Con la coda dell'occhio a Valerio parve di vederlo arrossire, ma poteva essere un impressione: Delacroix era accaldato, il suo volto era già paonazzo.
Valerio gli batté una mano su una spalla, esclamando: «Stai tranquillo, non è necessario che ti rimangi quello che hai detto. Non mi aspetto delle scuse.»
Xavier si girò a guardarlo.
«Infatti fai benissimo, perché non ho intenzione di scusarmi.» Si lasciò andare a un mezzo sorriso. «L'hai detto tu stesso che sai di non valere tanto quanto me, non sono nessuno per contraddirti.»
«Ho detto che non sono come te» precisò Valerio, «Non che sono un pilota inutile e incapace come mi hai descritto stamattina. C'è un abisso tra le due cose, a meno che tu non sia convinto di essere appena uno scalino al di sopra della mediocrità.»
«Parli sul serio?»
«Perché, tu parlavi sul serio stamattina? Credo che tu, ormai, abbia visto chi sono davvero.» Valerio saltò giù dal muretto. «Se non l'hai capito adesso, lo capirai quanto prima. Ci sarà un altro campionato, ci saranno altre occasioni. Non sono mai stato vicino alla gloria tanto quanto oggi, ma ci sarò ancora più vicino, prima o poi. Goditi questo successo, per quel tanto che ti è possibile, perché non intendo permetterti di ripeterti tanto facilmente.»
Anche Xavier scese dal muretto.
«Karl mi ha detto che avrei potuto batterti senza difficoltà. È quello che succederà: ti batterò senza difficoltà, quando tornerà il momento. Glielo devo.»
La morte di Graber fu, a suo modo, devastante per Xavier. A Valerio, nei mesi successivi, parve di avere a che fare con un'altra persona, con la quale però stava rinascendo la stessa alchimia di un tempo, come se fossero due lati della stessa medaglia. Gli eventi del finale di stagione spezzarono di colpo tutte le tensioni, come se quanto accaduto tra di loro durante quel campionato sembrasse insignificante in confronto a tutto il resto.
Anche la vita di Xavier lontano dai circuiti mutò: all'improvviso perse totalmente l'interesse per le donne che non fossero sua moglie Gabrielle, che definiva il grande amore della sua vita. Purtroppo non servì per mantenere saldo il loro matrimonio, dato che la signora Delacroix trovò per caso una lettera scritta parecchi mesi prima da una delle amanti del marito.
Valerio fu stupito dalla perseveranza con cui Xavier fece il possibile per riconquistare Gabrielle e fu ancora più stupito quando la donna cedette e accettò di riaccoglierlo nella propria vita.
Come pilota, Xavier apparve più determinato e assetato di vittorie. Il numero 1 che svettava sul musetto della monoposto non gli bastava, voleva dimostrare al mondo, a se stesso e a Karl Graber di potere essere di più di ciò che era stato fino a quel momento. Non fu facile per Valerio mantenere il suo passo e, se da un lato la Vertigo non era più in una situazione così dominante come nella stagione precedente, dall'altro anche il confronto interno sembrava andare in un'unica direzione. Verso metà stagione le cose migliorarono, ma proprio allora Xavier fu vittima di un pesante infortunio. Non riuscì a ripetersi né allora, né mai più.
Approfittando di un finale di stagione straordinariamente positivo, Valerio coronò il proprio sogno e riuscì nell’impresa fallita l’anno precedente. Come prevedeva, il suo titolo mondiale non venne acclamato tanto quello del compagno di squadra, il cui ritorno in pista dopo l’incidente era atteso come non mai. Delacroix tornò al volante durante i test invernali, circondato da quell’entusiasmo che veniva riservato solo a lui. Nonostante fossero passati anni da allora, Valerio ricordava il modo in cui era stato accolto: Xavier aveva un’aura che in pochi altri sarebbe stata replicata e, a distanza di tanto tempo, era ancora nel cuore degli appassionati. Era durato poco dopo il ritorno, era bastato un cedimento meccanico in un tratto ad alta velocità per provocare un’uscita di pista che non lasciava scampo. Delacroix se n’era andato ben più in fretta di Karl Graber e, proprio perché era Delacroix, veniva ricordato mentre Graber era divenuto una sorta di fantasma di cui in pochi parlavano.
Il nome di quel giovane pilota dimenticato uscì dal nulla, quasi per caso, un giorno in cui il titolo mondiale sarebbe stato nuovamente assegnato in occasione dell’ultimo gran premio della stagione. Dopo la fine della propria carriera di pilota, Valerio divenne la seconda voce occasionale delle telecronache sulla televisione italiana. Ogni tanto, prima di andare in onda, scambiava qualche parola con Angelo Giuliani, il quale spesso accennava a vecchi aneddoti.
«È bello, finalmente» osservò quel giorno, «Che il campionato finisca su una vera pista e non su una di quelle brutte approssimazioni che costumavano in America non troppi anni fa.»
A Valerio sfuggì un sorriso.
«Ho fatto tutto il possibile per vincerci un mondiale, su uno di quei circuiti.»
«Me lo ricordo bene» rispose Giuliani, «E del resto come dimenticare? Quella gara fu davvero terribile, con l’incidente del povero Graber...»
«Lo vidi accadere davanti a me» rievocò Valerio. «Ho assistito a tanti brutti momenti, ma non ci si abitua mai. È un vero peccato che nessuno parli più di lui. Finirà dimenticato definitivamente e nemmeno i veri appassionati di automobilismo lo menzioneranno mai, tra venti o trent’anni.»
«Chi lo sa, io mi sento fiducioso» replicò Giuliani. «Non fraintendermi, come dico sempre, credo che verrà il momento in cui i nostri futuri colleghi saranno costretti a piegarsi alle logiche “da bar” per tenere alta l’attenzione. Tuttavia, proprio per questo, chi ha una vera passione cercherà di informarsi a modo proprio, a non dimenticare. D’altronde, quando andranno a riscoprire le storie dei loro idoli passati, si imbatteranno in nomi che non significano niente, per loro. Voglio sperare che cerchino di approfondire, di scoprire quali storie si nascondono dietro a ogni nome.»
Per Valerio, quel discorso non aveva molto senso. Non riusciva a immaginarsi le nuove generazioni fare ricerche sul passato, solo perché doveva esserci stato qualcos’altro, oltre a Xavier Delacroix. Cercò quindi di tornare sul discorso iniziale: «Fu una gara difficile, ma a ripensarci al giorno d’oggi fu forse quella in cui, più che in ogni altra occasione, non mi lasciai andare di fronte alle difficoltà. Diedi davvero il meglio di me stesso e, anche se fu il mio compagno di scuderia a diventare campione del mondo, sentii che prima o poi sarebbe venuto il mio momento.» Omise di aggiungere “se fossi vissuto a lungo abbastanza”, non era il caso, dato che era stato proprio Delacroix a morire poco più di un anno dopo. «Quando venne il mio momento, realizzai che non importava dove stesse succedendo, quello che contava era esserci, viverlo. Non importava se il circuito fosse una vera pista o un tracciato discutibile, non importava se quello che consideravo il mio avversario più temibile ci fosse o non ci fosse...»
Valerio avvertì un fremito che lo scuoteva, come spesso succedeva quando parlava di Xavier. A peggiorare la situazione, Giuliani gli chiese: «Com’era averlo come compagno di squadra?»
«Un’esperienza irripetibile.»
«Fu molto difficile per te confrontarti con la sua popolarità?»
Valerio abbassò lo sguardo. C’era una sola possibile risposta.
«Non lo sarebbe stato, se per lo stesso Xavier non fosse stato così difficile vivere la propria popolarità. Sembrava che il mondo intero si fosse accordato per eleggerlo a unico eroe. Forse sarebbe stato meglio se non fosse mai successo, meglio per tutti.»
«E dopo la sua morte?» volle sapere Giuliani. «Fu difficile, per te, sapere di non potere rappresentare quello che rappresentava lui?»
C’era una sola risposta possibile: «Quando muore qualcuno, è sempre difficile, non essere all’altezza, ma vivere con la consapevolezza della morte altrui. Non c’è stato un solo giorno in cui non abbia pensato a Xavier e ai giorni in cui eravamo compagni di squadra alla Vertigo. Accadeva quando ancora mi illudevo di avere un grande futuro davanti, così come quando, a poco a poco, tutto ha iniziato ad andare a rotoli e mi sono ritrovato al volante di una monoposto con la quale era difficile perfino fare punti. Accadeva quando ho capito che non sarei più stato all’altezza dei migliori e che la mia carriera era finita. Succede ancora oggi, a volte, che mi chieda che cosa ne sarebbe stato di Xavier, se fosse ancora qui con noi. È inevitabile. E alla fine no, non è per niente difficile l’idea di non essere un’icona. Forse in molti si sono già dimenticati di me, ma non importa. I ricordi hanno un peso.»
Angelo Giuliani annuì, ma non disse altro. Rimase in silenzio a lungo, prima di ricordargli che di lì a dieci minuti sarebbe iniziata la diretta. Una pagina della storia dell’automobilismo era pronta per essere scritta ma, per quanto memorabile fosse, Valerio sapeva che non l’avrebbe mai considerata memorabile quanto la propria.


*** FINE ***

   
 
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