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Autore: aubrunhair    06/04/2024    11 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
Sbuffò.

Non capiva niente di ciò che le persone tutt’intorno dicevano. Per la verità, la maggior parte di esse non aprivano bocca se non in alcuni precisi momenti. Tutte insieme, poi tacevano.

Di loro vedeva solo schiene e nuche davanti a sé. Giacche scure come la sua, cappellini scuri, abiti neri. Ovunque, tranne al proprio fianco.

Ogni tanto si alzavano e allora non riusciva a scorgere neanche più le luci delle candele in fondo.

C’erano delle signore, a qualche metro di distanza, che avevano in mano una collana. A bassa voce ripetevano cose facendone scorrere le perle.

Sedeva in mezzo a gente che non conosceva, ad eccezione di chi era subito accanto e dietro. Solo due su chissà quanti.

Una voce roca proveniente da non capiva dove ripeteva frasi senza senso, tutte con lo stesso tono. Una cantilena che avrebbe dato sonno a chiunque.

Sbuffò ancora.

Un colpetto gentile diede una spinta delicata al suo braccio.

Smise di sbuffare subito. Nonostante l’argento vivo addosso, era diligente nelle correzioni.

Alzò gli occhi verso l’unica cosa alla sua portata: il soffitto. Le fiammelle delle candele non illuminavano fin là sopra, al massimo rischiaravano. Le ombre oscuravano la volta e rendevano tetri i volti delle statue e dei grandi quadri appesi alle pareti. Forse si sarebbero mosse tutte quelle persone immobili, sofferenti e tristi.

Si spostò un pochino più a destra, per farsi proteggere.

Il suo sguardo si posò poco più avanti, sempre in alto. La luce dall’esterno rendeva nitide le figure sul vetro. Com’erano lunghe e alte e colorate! Loro sapeva chi fossero. Quello con la barba che stava in centro era Gesù, poi c’era Maria vestita di blu e dall’altra parte… no, dall’altra parte non riconosceva chi fosse. Ma gli altri due sì. Glielo aveva insegnato la nonna.

C’era un odore forte lì dentro. Non lo aveva mai sentito fino a quel momento. Pungeva il naso, voleva starnutire.

La gente tutt’intorno si alzò di nuovo e venne a trovarsi in una penombra che incuteva timore da là sotto.

Riuscì a trovare di nuovo i visi sofferenti delle statue e dei quadri. Erano ancora più paurosi adesso che li vedeva a pezzi e se lo sentiva dentro che si sarebbero mossi, avrebbero dato la caccia a chiunque e nessuno li avrebbe salvati.

Si alzò, ma pensò di essere ancora di più in basso. Afferrò la manica della giacca di chi aveva accanto, il suo unico appiglio. Forse l’avrebbe tratto in salvo.

Invece accarezzò i suoi capelli e basta, senza dare uno sguardo. Nessuno si stava accorgendo che il buio inghiottiva e quelle facce cupe avrebbero avuto di che mangiare?

Trasalì al suono imperioso dell’organo a canne, mentre tutti ricominciavano a ripetere nenie incomprensibili e rimanevano in piedi e quella voce ignota li anticipava e chissà dov’era e perché.

Serrò gli occhi e si aggrappò alla gamba vicino a sé. Strinse più forte che poté, sbattendo i piedi sul pavimento di marmo lucido.

Avrebbe iniziato a piangere se quella mano non fosse tornata tra i suoi capelli e non si fosse poi fermata sulla sua spalla.

Ci impiegò ancora troppo tempo per i suoi gusti, ma la messa infine si concluse. Frans aveva paura dei luoghi troppo affollati. E del buio. Si dà il caso che la chiesa dove si era appena conclusa la funzione in suffragio della marchesa De Brambéry fosse sia troppo affollata che troppo buia.

Non avevano potuto lasciarlo a casa. Secondo il generale era già grande abbastanza per cominciare a presenziare almeno a questi eventi “di famiglia”. Il suo contributo si limitava a doverci essere, poteva farlo.

Tre anni lo scorso agosto.

E poi un soldato deve imparare fin da piccolo l’arte della pazienza! E lui lo sarebbe diventato un giorno.

Gli era stato annunciato il pomeriggio prima che li avrebbe accompagnati. Ultimamente Oscar tornava a palazzo un po’ più tardi rispetto ad André. Ma quella volta era rientrata con quella notizia e allora Frans le aveva perdonato subito il ritardo. Non aveva accennato una protesta. Perché andare con loro due era bello per lui.

L’aveva presa come un’occasione speciale. Non sapeva neanche chi fosse la marchesa né cosa fosse una messa, figuriamoci un suffragio! Ma finché poteva farsi prendere per mano da uno dei due (o da entrambi) e camminare al loro fianco andava bene tutto.

- Dovrai comportarti bene, è molto importante.

- E poi?

- E poi non potrai fare i capricci quando sarai stanco.

- Uffa…

- Dovrai rimanere composto e seguire quello che fanno tutti gli altri.

A quelle indicazioni la prospettiva aveva perso un po’ di emozione. Non avrebbe potuto fare niente!

Frans aveva ascoltato Oscar seduto (o meglio, sprofondato) sul suo letto. Lo faceva sembrare più piccolo di quanto non fosse. L’aveva aspettata mentre si cambiava e toglieva l’uniforme, dietro il paravento. E quando ne era uscita, si era messo in piedi e aveva alzato le braccia per essere preso in braccio e riportato fuori dalla camera.

L’afferrò di nuovo quella mano. Stretta. Non la lasciò più mentre si avviavano tutti e tre verso il sagrato, circondati da altra gente.

Si sentiva osservato e la cosa non gli piaceva.

- Oscar, andiamo a casa? Ti prego! - La supplicò sull’orlo del capriccio (nonostante…), se non fosse stato per la prontezza con cui venne sollevato.

- Stiamo andando, vedi? Non devi avere paura: è tutto finito.

Oscar voleva che imparasse ad affrontarli certi comprensibili timori e voleva che lo facesse insieme a lei. Era al suo fianco per questo.

Attraversarono la navata centrale e in un attimo furono fuori. La luce del giorno era accecante dopo oltre un’ora nella penombra della chiesa. Frans si coprì gli occhi con la mano finché non si abituò di nuovo al sole.

La gente defluiva lenta giù dalle scale. Alcuni si fermavano a scambiare due parole in attesa delle proprie carrozze. E gli sembravano tutti ancora più tetri adesso nei loro indumenti scuri, le parrucche sui toni del grigio e il viso incipriato per apparire ancora più chiaro.

Lui guardava e non capiva. Perché adesso erano felici? Perché erano tutti vestiti di nero mentre lei aveva soltanto quella fascia al braccio?

Una donna con i capelli lunghi scuri e l’abito dello stesso colore discese la scalinata, a qualche metro di distanza. Pochi passi dietro, un uomo in divisa da ufficiale. Bisbigliavano. Si voltò nella loro direzione. Un brivido li colse quando gli sguardi si incrociarono.

Riconobbero subito lui. - È Nicolas De La Motte, quello. - Disse André. – L’altra dev’essere sua moglie, non ricordo il suo nome… Ma è strano vederli qui, non sono mai venuti negli anni passati.

Li osservò seria Oscar. - C’è qualcosa di inquietante in loro.

L’amico annuì.

Era strano davvero. Da quando madame era morta non si erano fatti vedere alle messe in suo ricordo. Perché mai proprio quell’anno? Per quanto ne sapevano, peraltro, abitavano ancora nel suo palazzo. Forse avevano riscoperto una certa riconoscenza. O forse…

Scesero di nuovo sulla piazza, la carrozza li aspettava dall’altra parte della strada. Si accorsero che la donna vestita di nero si stava avvicinando, da sola. Lo strascico volava rasoterra sul pavimento di pietra impolverato.

Quando li raggiunse, si esibì in un vistoso inchino. Un sorriso glaciale si aprì sul suo volto.

- Buongiorno, madamigella. È un vero piacere poter fare la vostra conoscenza.

Si accorse che Oscar la osservava senza alcuna espressione. Teneva in braccio il bambino, ritraendolo un poco. Non tradiva alcuna emozione.

-Sono Jeanne Valois. Ma immagino che sarete più familiare con mio marito, il capitano Nicolas De La Motte.

La sua voce suadente pareva voler ipnotizzare chi l’ascoltava. Fece un altro passo in avanti. Le si fermò esattamente davanti e la guardò negli occhi.

- Molto piacere, madame. - L’altra tentò di essere il più concisa possibile. Meno tempo passavano insieme, meglio era.

- Volevo ringraziarvi per aver presenziato alla messa. Ho saputo che non siete mai mancata in questi anni.

- La marchesa era un’amica di mia madre. Ora, con permesso, dovremmo andare. Arrivederci.

Jeanne si spostò per lasciarla passare. I suoi occhi si spostarono per un istante sul piccolo, che ricambiò. La notò subito la macchiolina sullo zigomo. Così simile al neo che campeggiava sul proprio.

- Confido di incontrarci ancora, colonnello.

Ma Oscar le aveva già dato le spalle.

La donna in abito nero li guardò allontanarsi. Sentì la presenza del marito accanto a sé. Non gli rivolse neanche un’occhiata, ma sentenziò: -Invia quella lettera, Nicolas.



Salirono i due gradini che portavano alle sedute. Frans insistette per poterci provare da solo ma il primo era troppo alto e finì per essere sollevato fino all’ultimo.

La porta si chiuse e il cocchiere fece partire i cavalli. Attraversarono Parigi, un ingorgo di vie grandi e vicoli stretti e povertà.

Il bambino cercava di allungarsi verso la finestrella pur rimanendo seduto accanto alla madre, ma non c’era niente da fare. Non ci arrivava.

- È una mattinata difficile per te che hai le gambe corte, vero? Prima in chiesa vedevi solo il soffitto, adesso soltanto il cielo.

André amava provocare il suo amico, il cui pensiero fisso del momento era dimostrare di essere grande come chi lo circondava.

- No, non è vero! - Frans ci cadeva sempre. E discutere sul nulla era il suo forte. Soprattutto con lui. Si aggrappò alla spalla della giacca di Oscar per reggersi, poi si alzò sul sedile tra le rimostranze degli altri due. - Lo vedi? Sono come te!

- No, non lo sei comunque. Per favore, siediti composto. - Lei gli parlava sempre in tono diretto anche se amorevole. Non credeva ci fossero altri modi per potergli far capire le cose.

E infatti la maggior parte delle volte funzionava, come quella. Il bambino scese e si spostò sulle sue gambe mentre faceva una smorfia all’uomo davanti a sé. Perché comunque voleva averla vinta, a ogni costo…

- A quanto ho sentito il cardinale De Rohan sta facendo di tutto pur di tornare a Versailles, sai?

La buttò lì la notizia André. Come se fosse qualcosa di poco rilevante. Invece Oscar se ne interessò anche se non voleva darlo a vedere, che i pettegolezzi la infastidivano. Molti, però, erano corretti. Purtroppo.

- Dubito che sua Maestà accetti di riaverlo intorno. – rispose lei. – È stata entusiasta e ingenua nel passato, ma non scorda gli insegnamenti di sua madre.

L’amico annuì. Scostò la tendina e vide Notre Dame passare alla sua destra. La carrozza si fermò per far passare qualcuno e da lontano riconobbe delle figure note. Aggrottò la fronte, stranito.

Di nuovo quei due. Non erano da soli, però. Stavano parlando con qualcuno mentre entravano nella cattedrale. Guardò meglio.

La sua curiosità verso l’esterno catturò quella del bambino. In un momento gli si buttò addosso e pretese di poterlo emulare. Di nuovo in piedi sul sedile, ma almeno sorretto. I cavalli ripartirono.

- Parli del diavolo… - Commentò André. Cercò di dividere l’attenzione tra le tre persone ormai puntini sul sagrato e Frans che voleva scendere.

- Chi hai visto?

-Il cardinale stava entrando a Notre Dame con Jeanne e Nicolas. Erano insieme anche dopo il funerale della marchesa, se non sbaglio.

Oscar non riusciva a togliersi dalla testa l’impressione che aveva avuto di quella donna. E lo sguardo che aveva riservato a suo figlio. Gelido, tagliente.

- Sì, mi ricordo. Dobbiamo prestare molta attenzione, d’ora in poi.

- Un’altra cosa, però, mi è sembrata insolita. - André notava sempre il dettaglio, in tutto. Anche nelle parole degli sconosciuti. - Jeanne non si è presentata con il cognome del marito.

- Valois ha origini più prestigiose. Dev’essere una discendente della famiglia precedente ai Borboni sul trono di Francia.

- Sempre che sia il suo vero cognome.

Oscar alzò gli occhi sul suo volto. - Cosa intendi dire?

- Girano voci, ma voglio essere sicuro che siano attendibili prima di riferirtele. Sarebbe inutile, altrimenti…

Lo conosceva bene quel mezzo sorriso che le offriva. Lo conosceva e sapeva che poteva fidarsi. Non doveva neanche esplicitarlo il permesso di scoprire di più.

Il discorso si concluse lì.

Per il resto del viaggio fino a palazzo ci pensò Frans a intrattenerli. L’abitudine di farsi sentire non gli era mai passata. Anzi, era aumentata. Da che aveva iniziato a balbettare quel nome difficile, un paio d’anni prima. Davanti a loro due e li aveva sorpresi. Che stavano aspettando da tempo quel momento e finalmente era arrivato. Un po’ distratto, mentre giocava con un cuscino sul tappeto. L’aveva appena sentita quella parola e gli interessava. Ci aveva provato un paio di volte a dirlo. E loro lo avevano portato dalla nonna, per farglielo ripetere. Una sola sillaba, per la verità; l’ultima. Avevano deciso che contava come intera.

Ma adesso aveva a disposizione sempre più termini e li usava tutti. Cambiava argomento in fretta, era difficile stargli dietro. Solo il generale riusciva a conquistare il suo silenzio con uno sguardo. Era timore di tornare in castigo, imparava in fretta certe cose.

Tra i suoi argomenti preferiti c’erano i quadri appesi nel corridoio del piano nobile. Poteva passare ore a osservarli e inventarsi le storie dei loro protagonisti. Poi le riportava a chi lo ascoltava. O chiunque trovasse e non lo mandava altrove. E se dimenticava qualcosa, se la inventava su due piedi.

Oscar provò a inserirsi nel suo discorso. - Sai, è probabile che il generale ti chieda di posare per un ritratto, un giorno. - Gli spostò i riccioli biondi da davanti agli occhi.

Il generale. Non poteva chiamarlo in altro modo davanti al bambino: doveva imparare a farlo anche lui.

- Cosa significa… posare?

A volte gli sembrava complicato parlare con gli adulti, ma loro due si prendevano il tempo per spiegargli le cose.

- Significa farti fare un ritratto come quelli che ti piacciono tanto. - Aggiunse André.

- Davvero? - Il suo viso si illuminò. Già non vedeva l’ora.

- Prima dovrai imparare a stare seduto fermo e avere pazienza.

Rimase deluso dalla risposta di sua madre. C’erano già troppe cose che richiedevano di annoiarsi.

- Lo sai, è lo stesso motivo per cui non ce ne sono di suoi in casa. - Commentò l’altro, come a rivelargli un segreto, per attirare l’attenzione del piccolo. - Non ha pazienza e non riesce a stare seduta ferma.

Risero entrambi loro due, mentre lei alzava gli occhi al cielo.

Frans decise finalmente di non alzarsi più in piedi. Che tanto lo riportavano sul sedile ogni volta. Rimase accanto a Oscar, la teneva per mano.

E ricominciò anche il suo monologo. Altri mille discorsi intrecciati, incastrati come le pietre in una parete rocciosa. Ma la nonna lo diceva sempre: se smettesse, ci sarebbe da preoccuparsi.

Sapevano perché si comportasse così. Capitavano anche intere giornate in cui non aveva molta altra compagnia a parte la servitù. Che era ancora troppo piccolo per le lezioni di scherma e per cavalcare seriamente. Pertanto, quando uno dei due o tutti e due erano con lui, sfruttava ogni istante per recuperare.

E quantomeno loro lo lasciavano libero di esprimersi. Perché era un bambino solare e divertente, regalava sorrisi a chiunque. Anche se Marie avrebbe detto piuttosto che regalava spaventi, ma il sangue nelle sue vene è quello…

 
 
Note: la datazione dei fatti qui prende un po’ la sua strada. Ho cercato di unire gli eventi del canon secondo questa timeline (https://ladyoscar.forumfree.it/?t=77832319) , la mia idea per l’alternate universe e la storia reale. Se vi sembra particolare, sapete perché. Grazie!
   
 
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