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Autore: BabaYagaIsBack    08/04/2024    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"No compromise as I fight to break the cycle
And bring an end (to this suffering)
I'm a shadow, a black out, a storm in the background
(One man's whisper is another's scream)
Forsaken, I walk the night alone
No sanctuary
No place for me to call my home"

Break the Cycle, Motionless in white


C'erano state alcune grida e diverse bestemmie.

C'erano stati fiati mozzati e cuori in frantumi nel giro di pochissimi istanti.
C'era stata una sedia riversa a terra, poi un tavolo e per poco una porta sfondata in qualche stanza della casa a cui i suoi occhi non poterono accedere, non subito almeno.

C'erano state tante cose in quella manciata di minuti, ma non lacrime. Non da parte delle Chimere, quantomeno. A differenza loro, lui non era riuscito a guardare Alexandria e Levi negli occhi senza piegarsi in avanti e vomitare. Sul selciato innanzi alla casa aveva rigurgitato tutto ciò che aveva nello stomaco e le lacrime si erano mischiate con lo schifo. Non era servito altro. O forse si erano guardati negli occhi, loro e Zenas, e il tutto era stato chiaro.
Levi era rientrato in silenzio. Per qualche istante non si erano uditi altro che i conati di Noah, poi era arrivata la rabbia. Per ogni oggetto rotto, un'imprecazione. Per ogni imprecazione, un verso furioso.

Alex era rimasta tremante sotto il portico per poco, lo sguardo perso in qualche punto indefinito vicino alla chiazza di vomito. All'Hagufah era sembrato che lei fosse sul punto di piangere, invece aveva scosso veemente la testa e aveva dato loro le spalle.

Tirandosi su, il primo pensiero di Noah era stato quello di inseguire lei e il fratello, ma Zenas aveva scosso il capo e sussurrato un semplice "sbrighiamoci". Sanguinava da una spalla e aveva il viso segnato da sudore e sporco, i vestiti rovinati. Barcollando lo aveva preceduto in casa e lui aveva confusamente seguito i suoi passi, uno dopo l'altro senza riuscire a mettere insieme un pensiero di senso compiuto. Cos'era successo? Si chiese. Come avevano fatto, dall'essere in vantaggio, a ritrovarsi in quella situazione? Non riusciva a capire. In qualche modo gli sembrava essere vittima di un incubo, di un trip sbagliato. Quasi per trovar sostegno, si aggrappò allo stipite dell'ingresso. Avevano davvero lasciato indietro Colette e Nikolaij? Con che coraggio? Per quale motivo? Non avrebbero forse dovuto...?
Incurante del lerciume e del sangue rappreso che lo ricoprivano, Akràv si lasciò cadere sul divano, esausto. Un sospiro gli si riversò fuori dalle labbra seguito da un verso dolorante. Noah lo vide socchiudere gli occhi e deglutire con forza, il pomo d'adamo a percorrere su e giù la gola. Levi gli stava seduto di fronte, le mani a tirare indietro i capelli e gli occhiali da sole distrutti ai suoi piedi. Sembrava davvero un brutto trip, perché nessuno avrebbe mai reagito a quel modo; nessuno, davanti a ciò che era accaduto loro, si sarebbe semplicemente seduto in salotto - eppure eccoli lì. Tesi, certo, ma non abbastanza, decretò.
«Che state facendo?» chiese loro in un sussurro e continuando a tenersi alla parete, un po' com'era accaduto la prima volta che aveva messo piede in quell'edificio. Le dita di Levi si strinsero, tirando maggiormente i capelli. «Che diamin-» Alexandria spuntò dalla cucina con in mano un catino d'acqua calda e tra i denti un panno. Noah la fissò avvicinarsi al fratello, sederglisi accanto ed esaminare la ferita in completo silenzio. Con attenzione gli sfiorò la zona intorno al foro d'entrata di quello che pareva essere un vero e proprio proiettile, poi rialzarsi e sparire ancora una volta chissà dove. Nessuno osava dire nulla, quando in realtà ci sarebbero state mille cose da urlare - e più guardava le Chimere, meno gli sembrò che qualcuna di loro l'avrebbe fatto.
Titubante provò a staccarsi dalla parete, muovere un passo, ma la figura svelta di Z'èv gli corse davanti tagliandogli la strada per tornare da Zenas. Stavolta tra le mani stringeva una scatola di alluminio dall'aspetto estremamente datato.
Con dolcezza fece piegare il fratello e con altrettanta premura gli sfilò la giacca di jeans, poi la maglia. Aveva i muscoli delle spalle ancora tesi, la colonna vertebrale innaturalmente in rilievo accanto alla cicatrice recante il Sigillo. Alex prese a pulirgli la ferita con il panno imbevuto d'acqua del catino, rossa già alla seconda immersione. Lo fece in silenzio, come in un film muto.
Noah li fissò tutti, incapace di spiegarsi il loro atteggiamento. Non si guardavano in faccia, non mostravano più dell'ombra di una qualsiasi emozione - sembravano arrabbiate, ma non digrignavano i denti né gridavano; sembravano tristi, ma i loro occhi non erano lucidi né i loro corpi erano sconquassati dal pianto - e la cosa lo alienò. Come potevano comportarsi a quel modo? Come potevano fingere che non fosse accaduto qualcosa di terribile?
«P-perché non... non dite nulla?» Finalmente riuscì a muovere un passo verso il salotto. Sentiva le gambe deboli e il cuore troppo vicino alla gabbia toracica, gonfio. A rispondergli arrivò il cigolio della cassettina di latta. Alexandria tirò fuori una pinza chirurgica e un bisturi che lanciarono verso di lui dei bagliori sinistri. Sembravano nuovi e recenti, preparati ad hoc per l'occasione.
Lo sguardo di Noah baluginò verso Levi, immobile. Tutta la furia di poco prima svanita, un soffio di vento che aveva scosso il suo animo per poi tornare alla quiete. Quasi dubitò vi fosse stato.
Lo schiocco della lingua di Alexandria costrinse l'Hagufah a distogliere l'attenzione da Nakhaš, riportandola su di lei e Zenas. La scorse storcere la bocca, fare delle valutazioni tra sé e sé prendendo le misure con la lama del bisturi, poi sbuffare.
«Eykhe zeh nareeh? (come ti sembra?)» la domanda dell'uomo fu poco più di un sussurro profondo, calmo come nulla avrebbe dovuto essere in quel momento.
«Patir. (gestibile)» gli rispose la sorella con un altro sussurro, gli occhi fissi sul foro e le labbra strette in una linea dura priva di emozione.
Davanti a quella scena i pugni di Noah si strinsero lungo i fianchi, le unghie gli ferirono i palmi e le nocche sbiancarono. Lo stavano forse prendendo in giro?
La punta del bisturi sfiorò la pelle. Zenas non emise alcun verso, il suo viso non tradì alcun dolore - chissà se lo sentiva. Chissà se c'era qualcosa di più forte, come i sensi di colpa, a distrarlo.
«Yesh nezeq, akhòt? (ci sono danni, sorella?)»
Alexandria allontanò l'arma. Osservò il lavoro fatto come se si trattasse di un dipinto, soppesando con incredibile placidità il proprio operato. Nulla sembrava metterle fretta. Non aveva urgenza né paura, solo... vuoto. All'Hagufah sarebbe piaciuto leggere i loro stati d'animo, capire se il loro atteggiamento nascondesse qualcosa di simile al suo dolore, al suo timore, al groppo in gola che sentiva essere sempre più soffocante - ma era troppo teso per riuscire a farlo, troppo in collera con loro.
«Lo nareeh kem- (Non semb-)»
«Lo nireah lekhe?(Non ti sembra?)» La interruppe, urlando in quella lingua che improvvisamente sembrò appartenergli da sempre. Alex parve sussultare, ma non osò alzare lo sguardo su di lui. «Uh?!» la incalzò. Noah sentiva la mascella serrata, i denti schiacciati gli uni sugli altri, le unghie sempre più vicine al tagliare la carne: «Ideb et akhinu, Z'év (abbiamo perso i nostri fratelli). Eykhe et qoret lezeh? (come lo definiresti questo?)» I suoi occhi fecero nuovamente il giro dei presenti, studiandoli. Sembravano feriti nell'animo, eppure non a sufficienza. Non quanto si sentiva lui. «Ta'aneh li! (rispondimi!)» intimò ancora, e in un istante Levi balzò in piedi, gli si parò davanti e l'afferrò per il colletto della maglia. Erano così vicini che l'Hagufah riuscì a vedere distintamente l'insolita trama delle sue iridi, l'attaccatura delle ciglia e la texture della pelle. Lo erano come tante volte prima, eppure, al contempo, come pochissime.
«Tafessiqi! (smettila!)» sibilò con altrettanta imperiosità e rabbia: «Smettila, akh.» ma Noah non si fece intimorire. Su quelle gambe deboli cercò di restare saldo, di sfidare Nakhaš, di impedirgli di zittirlo - perché innanzi a ciò che era successo non avrebbero potuto fermarlo.
«Perché dovrei?» ringhiò: «Per permettervi d'ignorare ciò che è successo? Per fingere che non abbiamo abbandonato Colette e Niko-» l'impatto col muro gli rimbombò nella schiena, in mezzo alle scapole, mozzandogli il fiato. Il fiato di Levi a sfiorargli la punta del naso, il suono dei loro cuori così nitido ed egualmente veloce da sembrare quello di un'unica persona. Se Noah avesse ricordato come respirare, forse avrebbe inalato il sentore pesante e umido della rabbia.
«Tu non hai idea, Noah.» Nakhaš sottolineò il suo nome con forza, lo impresse nella sua mente come se per un istante gli fosse sfuggito. Voleva evidenziare qualcosa, una differenza che l'Hagufah sentì tagliargli le labbra e la lingua come il bordo di un foglio di carta.
Si guardarono con un livore non proprio sconosciuto e al tempo stesso con un senso di comprensione che non si sarebbe potuto dire da dove venisse. Qualcosa di lontano echeggiò tra di loro, ma non a sufficienza da permettere a Noah di capire cosa fosse.

«Però io ero lì.»
Le narici di Levi si allargarono, la cicatrice sul suo zigomo parve spiegazzare maggiormente la pelle lungo i bordi. Forse l'avrebbe colpito. O forse avrebbe abbandonato quello stupido battibecco con il suo solito fare.

«E nonostante questo, non hai potuto far nulla. Zenas, non avrebbe potuto far nulla.» I loro corpi si fecero distanti, le dita della Chimera abbandonarono l'orlo della maglia per tornare lungo il fianco. L'Hagufah scoprì nuovamente la freschezza dell'aria nei polmoni e, oltre a quello, il sapore amaro del sangue sulla lingua. Se la stava mordendo, perché in fin dei conti Levi aveva ragione. Non aveva fatto niente per impedire che Colette e Nikolaij venissero presi. «Quanti erano?»
Noah corrugò le sopracciglia. Le sue labbra si schiusero per dare una risposta, poi tornarono a toccarsi. Tanti, avrebbe risposto.
Gli occhi di Nakhaš lo percorsero dalla testa alle ginocchia, poi nuovamente risalirono sul viso: «E quanti di voi avrebbero potuto opporsi?» chiese ancora, senza dargli tregua. «Anche se foste rimasti, se aveste combattuto, avreste avuto la certezza di tornare qui tutti insieme?»

Dal fondo della stanza, più precisamente dalla zona in cui si trovava il divano, la voce roca di Zenas si levò in risposta: «Avrei potuto tentare di portar via Niko, quantomeno.»
Levi si morse il labbro e un sospiro grave gli uscì dalle narici: «Lo avresti salvato?»
«Avrei potu-»
«Non ti ho chiesto se c'era una possibilità, akh, ti ho chiesto se ci saresti riuscito senza mettere a repentaglio il Re.» Il silenzio calò come un sipario sugli attori. Rimasero tutti immobili, tesi, fin quando Nakhaš non si passò una mano sul viso nel tentativo, forse, di portar via una sensazione spiacevole. «Abbiamo già percorso questa strada» soffiò tornando verso la poltrona: «e la meta non è piaciuta a nessuno di noi.»
Con la coda dell'occhio Noah vide Alexandria stringere la presa sul bisturi, spostare lo sguardo e inspirare con forza.
«Invece questa?» con le mani giunte davanti al corpo, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo fisso sul fratello, Akràv parve sfidarlo. «Ci piace la meta a cui stiamo andando incontro? In tutta onestà, a me no. Per niente.»
Levi parve trattenere una risata nervosa: «Abbiamo altra scelta?»
Staccandosi dal muro, in uno slancio, dalla bocca di Noah uscì un "" che catturò l'attenzione di tutti, anche solo per qualche istante. Stavolta, le labbra della Chimera non riuscirono a restar ferme, tenendosi in un sorriso tutt'altro che confortante.
«E quale? Andare a salvarli?» I loro sguardi si incrociarono, il cuore di Noah balzò in gola impedendogli di parlare, anche se era ovvia la risposta che avrebbe dato. «Quattro stronzi contro... quanti? Quanti sono gli adepti del Cultus? Nemmeno lo sappiamo.»
«Non molti, questo è certo» la risposta di Alex arrivò timida, non più di un sussurro che fece raggelare Levi. Il modo in cui i suoi occhi si riempirono di stupore, le labbra si schiusero e il corpo sembrò diventare di pietra fu eloquente. Da lei non si sarebbe aspettato alcuna presa di posizione, eppure...
«Dimmi che scherzi.»
«Levi, pensaci» nel volgersi verso di lui, Noah notò come la luce le sfiorò il viso, mettendo in risalto quelli che sembrarono brividi sulle sue guance scavate: «Di alchimisti, di veri alchimisti, ne nascono una manciata ogni decade e noi in tutto questo tempo abbiamo continuato a ucciderli. Non possono essere tanti.»
Per qualche secondo nessuno osò proferir parola. C'erano solo loro due, occhi negli occhi, lontani da quel salotto a cercare di capirsi - poi, arrendendosi, Levi scosse il capo e allontanò lo sguardo dalla sorella: «Ma sono comunque più di noi.» Anche Alexandria parve capitolare. La sua bocca si serrò in una linea dura e come se nulla fosse tornò alla ferita di Zenas.«Ma con un piano» Noah avvertì l'urgenza di non far cadere il discorso, di osare fin tanto che vi era il fantasma di un'approvazione da parte di almeno due delle Chimere, ma il pugno con cui Nakhaš colpì il bracciolo della poltrona lo zittì ancora. «Quale piano?» lo imbeccò: «Siamo in minoranza, deboli e nemmeno conosciamo la planimetria della loro sede.» Non si guardarono, ma all'Hagufah parve di essere come un bimbo rimproverato dai propri genitori. «Non siamo su un campo di battaglia, qui è tutt'altra cosa.» Fece una piccola pausa e ancora una volta si passò la mano sul viso: «Inoltre, a quest'ora mi auguro siano entrambi già morti.»

Noah si sentì mancare.
«C-c-che stai... che stai d-dicendo?» Non capiva. Aveva davvero detto quelle parole? Come poteva sperare che i suoi fratelli, la sua famiglia, fossero morti? Quale mostro avrebbe mai osato dire una cosa del genere?
Il suono metallico del bisturi sul tavolino lo fece sussultare, ma non a sufficienza da fargli distogliere lo sguardo dal profilo tagliente di Levi - a quello ci pensò la voce di Alex.
«Quello che nessuno vorrebbe dire, ma che forse pensiamo tutti.» fino a quel giorno, Noah non aveva mai pensato che i suoi occhi potessero sgranarsi tanto da fargli male: «Meglio che si siano già tolti la vita, piuttosto che concedere a quei fanatici la possibilità di renderli cavie.»
L'aria sembrò diventare densa e non passare più per le narici. Il vuoto allo stomaco divenne una voragine, un buco nero che provò a inghiottire ogni sensazione.
«È- è questo che succede? Voi... voi vi-vi ammazzate?»
«È quello che cerchiamo di fare prima di essere presi.»

Non voleva crederci. Fino a quel momento non si era posto il dubbio se le Chimere avessero un piano alternativo alla cattura, dopotutto nessuna di loro era mai stata presa - o almeno nessuna di quelle con cui lui era entrato in contatto o di cui si ricordasse qualcosa - e l'idea che Colette e Nikolaij potessero essere già morti...

«C-come... come facciamo a sapere ch-che siano-» nemmeno sforzandosi riuscì a finire la frase, ma non fu difficile capire cosa volesse intendere.
«Non possiamo.» Alex si piegò con le pinze sulla schiena del fratello, penetrò nel foro allargato con il bisturi ed estrasse un ammasso informe grande quanto un bottone: «O perlomeno, noi non possiamo.» I suoi occhi lo sfiorarono giusto per un istante, come a sott'intendere qualcosa - e a dispetto di tante alte volte, Noah comprese. Le Chimere non erano collegate l'un l'altra, ma ognuna lo era a lui e, forse, poteva percepire più dei loro stati d'animo. Certo, era una cosa rara e vaga, eppure ci riusciva, quindi avrebbe potuto capire se Colette e Nikolaij erano ancora vivi. Forse, quando una sua creatura moriva, lui lo sentiva.
«Quindi ci sono buone p-possibilità che siano ancora... qui
Levi lanciò prima un'occhiata alla sorella, poi si rivolse a lui: «Non lo sappiamo. Ergo, non rischieremo altre vite per un'impresa folle.»
«Ma io so che sono vivi!» Una speranza, più che una bugia; di certo, non la verità. In fin dei conti chi avrebbe potuto obiettare se lui era il solo ad avere quel legame con le sue creature? Nessuno poteva sapere dove iniziassero o finissero le sue menzogne in una circostanza del genere - e mentire, dopotutto, era il pane quotidiano delle Chimere, giusto?
«No!» L'urlo di Nakhaš fu un tuono nel salotto. Un brivido freddo e inaspettato. Perché proprio lui si stava tirando indietro? Perché la Prima tra le Chimere si stava ribellando a quel modo? «Non rischierò la tua vita, akh! E nemmeno la loro! Abbiamo fatto un giuramento, abbiamo sacrificato ogni cosa per onorarlo, quindi la tua incolumità viene prima di tutto e se possiamo salvarci in pochi sarà sempre meglio che nessuno.»

Per la prima volta da quando le Chimere erano rientrate nella sua esistenza, Noah si sentì sull'orlo del pianto. Come poteva lui, la sua vita, essere più importante di qualsiasi altra? Come poteva Levi accettare una cosa del genere?

Poi, dal nulla, Akràv aprì bocca. «Io però non ci riesco» sbottò: «Non riesco a togliermi dalla testa la faccia di Wòréb mentre la lasciavo lì. E nemmeno quella di Akhbar. Ho già perso Niketas, Levi... non posso andare avanti abbandonando la mia famiglia.» 

«E cosa vuoi fare? Andare a riprenderti due cumuli di cenere? Hai giurato, akh. Io c'ero e ci sono sempre stato. Ti ho visto fare cose inimmaginabili in onore di quelle parole.»
«Lo so. Lo ricordo.» Lo sguardo scuro e profondo di Zenas incontrò prima il viso del fratello, poi quello dell'Hagufah. Stava parlando a lui e al contempo a Levi. Stava implorando, in qualche modo contorto: «Ma se il mio Re mi concederà questo capriccio, se mi farà grazia di poterci quantomeno provare, io andrò a reclamare la Quarta e la Settima Chimera. Non infrangerò alcun giuramento, non lo coinvolgerò ed egli sarà salvo.»

Doveva solo farlo, pensò Noah. Doveva semplicemente dirgli che era libero di fare ciò che più riteneva opportuno; ma Akràv era ancora ferito, debole, non poteva darlo così ingenuamente in pasto al nemico. Un conto era muoversi come un gruppo, un altro lasciarlo andare da solo.

«E nella sua clemenza,» Alexandria poggiò tutti gli attrezzi nel catino d'acqua per togliere il sangue dall'acciaio, poi si lasciò cadere sullo schienale del divano: «sono certa che Sua Maestà mi permetterà di andare con lui.» Il sangue sembrò defluire dal viso di tutti.
«Alex-» iniziò Zenas, voltandosi per guardarla.
«Perché?» soffiò Nakhaš, visibilmente in disaccordo.
Lei si passò una mano sulla fronte spostando i capelli e lasciando sulla pelle piccole strisce rosse. Sembrava stanca e Noah avvertì tutta la sua fragilità venire a galla. Nella sua testa aveva già distrutto quella famiglia una volta, non avrebbe permesso che accadesse di nuovo. E soprattutto non lo avrebbe fatto restando ferma. «Tu cosa vuoi fare, Levi? Continuare a fuggire, nasconderci, fingere di essere chi non siamo nella speranza che Noah torni a essere Salomone?» parlò piano, con un tono leggermente crepato: «E se non succedesse?» Nakhaš sospirò, il viso contrito a causa di una battaglia interiore che l'Hagufah non riuscì a capire. «Pensaci. Colette e Niko non saranno la parola fine a questa storia. Finché l'ultima di noi sarà viva e loro anche, non saremmo mai al sicuro.» Come a cercare sostegno, Alexandria posò una mano sulla schiena di Zenas. Non lo guardò, piuttosto volse lo sguardo oltre la finestra, dove il tramonto stava ormai virando nella sera: «Noah può essere libero. Lo era prima di noi e potrà esserlo anche dopo. Ma noi? Difficile dirlo. Ora abbiamo una scusa e l'occasione per mettere fine a tutto questo. Se non vincendo, quantomeno impedendo anche a loro di farlo. Morte le Chimere e perso il Re, non avranno più nulla.»
«Quindi sei pronta a morire, a perdere tutto per davvero?»
«Non lo ero nemmeno la prima volta, o sbaglio? Abbi fiducia in me, Levi. Io l'ho avuta in te mesi fa.» un sorriso mesto le tese le labbra. Levi rimase immobile a guardarla mentre lei continuava a scrutare l'orizzonte, poi si passò entrambe le mani sul viso. Rimase in quella posizione per alcuni secondi, poi riemerse come liberandosi da una melma invisibile: «Ci serviranno delle armi e dei documenti falsi.»
Noah sussultò. Sì, ce l'avevano fatta, sarebbero andati a riprendersi Nikolaij e Colette!
«Quindi il quartier generale del Cultus è fuori dall'Europa? Quanto ci metteremo per arrivare?»
Zenas scosse la testa; doveva aver colto qualcosa che a lui, invece, era sfuggito.
«No, la loro sede non è molto lontana da qui, ma tu devi sparire. Nessun Noah Dietrich per qualche anno.»
«In che senso?»
Levi si alzò, la mascella tesa e lo sguardo severo: «Hai sentito Alex, no? Tu puoi essere libero, ma soprattutto salvo.»
Un peso parve schiacciarlo a terra, soffocarlo. 
«No» biascicò afferrandosi la maglia con una mano. «No, scordatevelo.»
Nuovamente, Nakhaš tornò a torreggiare davanti a lui. Avvolto in quel suo cardigan da nonno, d'improvviso parve incredibilmente minaccioso. Le sue spalle apparvero più grandi di come erano sempre parse sotto la fantasia a rombi, le pupille sembrarono più taglienti che mai, eppure Noah tentò di resistergli. «Noi andiamo. Tu ti metti al sicuro.»
«Questa è la nostra guerra! Noi siamo-» ma s'interruppe, incapace di trovare le parole giuste per proseguire. In effetti lui non sarebbe stato di alcun aiuto, anche se lo desiderava con tutto se stesso. Non lo era stato poco prima e non lo sarebbe stato durante un attacco diretto. Si morse la lingua, spostando lo sguardo a terra.
Nakhaš gli poggiò una mano sulla spalla. Era grande, forte, callosa persino. Gli anelli che portava alle dita cozzarono contro il suo trapezio provando a lasciare il segno: «La sede del Cultus non è il posto per te, akh. Ciò che accadrà lì è qualcosa che hai dimenticato ed è meglio che resti tale.»
Il cuore di Noah accelerò, i suoi occhi balzarono sul viso della Chimera: «E qual è il posto per me?» gli chiese a bruciapelo, scrollandosi di dosso la sua presa. «Dimmelo, perché non lo era il luogo dove sono nato e men che meno Vienna.» 
«Noah...» Zenas lo stava fissando, ma non sembrava convinto. Forse avrebbe voluto persuaderlo, ma nonostante ciò non fu in grado di aggiungere altro.
«Voi siete ciò a cui appartengo. Ovunque andrete io sarò al vostro fianco, non vi libererete di me. Volete salvare Niko e Colette? Bene, lo faremo insieme perché, volente o nolente, loro sono parte della mia famiglia.»
«Tu non verrai.» Insistette Levi.

Un angolo della bocca dell'Hagufah si sollevò, rivelando un sorriso sghembo: «Fermami.»
«Non mi sfidare, akh. Non sei mai stato al mio livello.»
Il sorriso gli si allargò maggiormente e un passo si mosse involontario verso la Chimera. «Forse non fisicamente, ma fidati» distogliendo lo sguardo da Nakhaš per qualche istante si rivolse anche a Zenas e Alexandria: «se provate a lasciarmi indietro inizierò a girare per tutta la Francia parlando di voi, raccontando delle conoscenze alchemiche che ho ottenuto. Il Cultus non c'impiegherà molto a trovarmi.»
«Non lo faresti.»
Noah avanzò di un altro passo. L'espressione beffarda a fronteggiare la sicurezza di Levi: «Vuoi scommettere? Eppure dovresti conoscermi. Ho fatto di peggio e per molto meno in passato, no?» ancora una volta provò a osare, a mentire. Non ricordava affatto se ci fossero state situazioni del genere, ma qualcosa, forse un barlume di logica, gli fece credere che in più di mille anni di vita, almeno una volta, doveva essere successo.
Le narici di Levi si allargarono, il suo sguardo serpentino scivolò lungo ogni tratto del suo viso alla ricerca di un brivido, di uno spiraglio - Noah rimase immobile. Non avrebbe permesso a nulla di separarlo da loro.

 

   
 
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