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Autore: Europa91    08/04/2024    0 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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XXII Stagione - Après le déluge




 

«Aussitôt que l’idée du Déluge se fut rassise,

un lièvre s'arrêta dans les sainfoins et les clochettes mouvantes

et dit sa prière à l’arc-en-ciel à travers la toile de l’araignée »*

Illuminations - A.Rimbaud





 

Wonderland 

-Parigi-


Dal giorno del litigio Arthur si era incontrato raramente Hugo e solo attraverso canali ufficiali. Aveva accettato di prendere parte alla missione riguardante il Fauno così come l’onere di addestrare Black. Il prigioniero salvato da quel laboratorio di ricerca, l’asso nella manica che Victor sperava di utilizzare per ribaltare le sorti di una guerra nei suoi pensieri sempre più incombente.

Arthur Rimbaud non sarebbe venuto meno ai propri doveri, la sua era una questione puramente personale. Hugo non aveva fatto altro che mentirgli, si era preso gioco di lui. Sapeva ciò che provava per Baudelaire eppure lo aveva punito per aver trasgredito alle proprie regole. Tutta quella farsa alla fine si era poi conclusa nel peggiore dei modi ovvero con la morte di Charles. 

Nonostante i numerosi tentativi di riappacificazione effettuati dal leader dei Poètes, in quei mesi Rimbaud aveva continuato ad ignorarlo. Le loro conversazioni si erano limitate all’ambito lavorativo, mutando di colpo e assumendo toni sempre più freddi e impersonali. In molti avevano notato questo cambio d’atteggiamento, primo fra tutti Mallarmé anche se il povero impiegato si era guardato bene dal commentare. Il rapporto tra Hugo e il figlio adottivo era sempre stato abbastanza burrascoso soprattutto dopo il volontario allontanamento di Dumas, l’unico in grado di divincolarsi tra i due fuochi e uscirne illeso.

Solitamente i loro diverbi si risolvevano nel giro di qualche settimana, questa volta però Arthur non sembrava intenzionato a cedere. Erano mesi che quella situazione perdurava ma nessuna delle due parti pareva disposta ad arrendersi o capitolare.

All’improvviso un rumore catturò l’attenzione del futuro leader dei Poètes.

Osservò con fare annoiato il proprio cellulare prima di decidersi a rispondere. 

Alexandre Dumas

Era l’ambasciatore migliore del quale Victor poteva servirsi in quella loro personale guerra fredda. Si scambiò una veloce occhiata con Stendhal, seduto al tavolo accanto.

«Vic vuole invitarti a cena» furono le prime parole che lo raggiunsero, accompagnate da un sospiro «domani sera» aggiunse dopo una manciata di secondi. Probabilmente anche Lex era stanco di quella situazione o della testardaggine perpetrata dai due uomini.

«Non sono dell’umore» tagliò corto il più giovane, iniziando a giocherellare distrattamente con la propria sciarpa.

«Hai forse litigato anche con Black?» il silenzio che seguì quella domanda fornì già di per sé una risposta.

«Andiamo Arthur, per quanto ancora intendi punirlo?» fu allora che Rimbaud esplose,

«Come prego? Ti ricordo che Victor non mi ha nemmeno chiesto scusa. Non ha fatto nulla. Charles è morto, capisci quanto sia grave?! Sono state proprio le decisioni di Victor a determinare la sua sorte»

«Voleva accompagnarti a vedere il suo corpo» Rimbaud stentava a credere alle proprie orecchie. Era incredibile come Dumas cercasse sempre di giustificare i comportamenti di Hugo, anche quando si trovava palesemente nel torto, come in quell’occasione.

«Quei resti carbonizzati potrebbero appartenere a chiunque ma penso che tu lo sappia meglio di me, è fin troppo semplice con le nostre Abilità manomettere delle prove o un DNA» fece una pausa prima di aggiungere «Non intendo abbandonarmi ad altre sciocche fantasie, per quanto mi riguarda Charles Baudelaire è morto»

Deve esserlo

Preferiva pensarla in quel modo piuttosto che illudersi del contrario. Arthur Rimbaud non avrebbe ceduto ad una simile utopia. Era un convinto realista.

Qualche stagione prima, anche Dumas aveva finto la propria morte per poi tornare sui propri passi. Era una sorta di cliché nel loro mondo, l’ennesima strategia da adoperare per confondere il nemico. Hugo gli aveva insegnato a dubitare di tutto e tutti, a non prendere certe informazioni troppo sul serio. Ed era stato proprio quell’uomo il primo a tradirlo. Per un solo istante, Rimbaud era stato sfiorato dall’idea che quella non fosse altro che l’ennesima lezione della quale però avrebbe fatto volentieri a meno. 

Si era innamorato di Charles, era stato quello il suo primo ed unico errore. 

Baudelaire si era trasformato in un punto debole e una spia non può averne. I suoi sentimenti lo avevano reso cieco, tanto da aver creduto ad ogni parola che aveva abbandonato le labbra di Hugo. 

«Un motivo in più per accettare l’invito di Victor» la voce di Dumas dall’altro capo del telefono lo riportò bruscamente alla realtà «Ha detto che puoi portare anche Black» aggiunse dopo una breve pausa.

Rimbaud sospirò rassegnato. Molto probabilmente Hugo stava ascoltando l’intera conversazione. 

Riusciva quasi a immaginarselo, seduto accanto a Dumas mentre gli suggeriva quali parole adottare, con un sorriso machiavellico a dipingergli il volto.

«Sembra disperato» si lasciò scappare con una punta d’ironia 

«Arthur» lo ammonì stancamente il numero due dell’intelligence francese,

«Ok. Verrò a questa cena e porterò anche Paul»

Sempre che per allora sia tornato a parlarmi

Concluse nella propria mente, per poi riagganciare.

Stendhal gli regalò un’occhiata confusa, poco prima di accendersi l’ennesima sigaretta.

«Fine delle ostilità?» si azzardò a domandare. Rimbaud scosse leggermente il capo,

«Diciamo che abbiamo stabilito una tregua. Era Lex. A quanto pare Hugo mi ha invitato per cena. Domani sera»

«E porterai anche il biondino?» 

«A Paul non piace Victor»

«Mi domando il perchè»

«Se non ti dispiace Henry ora me ne torno a casa, sperando che almeno a lui sia passata» il capo della sezione interrogatori si limitò ad annuire, spegnendo la sigaretta che teneva tra le mani.

«Le faccende familiari sono sempre complicate» fu il suo unico commento.

Per un istante il suo pensiero tornò su Mathilde, ma il suo volto venne presto sostituito da quello sorridente di Charles.

«Dannato moccioso impertinente» sussurrò tra sé.

 

***

 

Quello stesso momento

-Quartier Generale dei Poètes Maudits-

-stanze private di Victor Hugo-


«Ha accettato» rispose tranquillamente Dumas appoggiando il proprio cellulare sul comodino. Hugo sbuffò contro il suo petto, prima di iniziare ad accarezzarlo. Non era previsto che andassero a letto insieme, avevano avuto un piccolo diverbio, l’ennesimo, riguardo quella famosa guerra che presto avrebbe coinvolto il continente europeo.

Le loro posizioni erano sempre state agli antipodi ed era difficile trovare un punto d’incontro. Col passare delle stagioni, Lex aveva imparato come il sesso fosse un ottimo espediente per calmare Victor o farsi ascoltare da lui. Era quel tipo di compromesso che sembrava soddisfare entrambe le parti. Quando la tensione si faceva insostenibile veniva sostituita dalla passione, consumata sulla prima superficie disponibile ma anche nei luoghi più disparati. 

Quello che c’era tra loro non era un gioco, non lo era mai stato. Era un legame consolidato nel tempo e che durava da quasi quarant’anni. Come tutte le coppie avevano affrontato i loro alti e bassi, rimanendo insieme a dispetto delle avversità. Dumas aveva finto la propria morte preferendo agire nell’ombra, ma bastava una sola parola o un cenno di Hugo perché tornasse al suo fianco. Avevano commesso entrambi degli errori, di cui avrebbero pagato lo scotto per il resto delle proprie esistenze, eppure quando erano insieme nulla sembrava avere importanza. 

Le dita di Hugo percorsero lentamente il fianco di Dumas soffermandosi su una cicatrice. Quel tocco freddo fece sussultare entrambi, anche se per motivi differenti.

«Quindi porterà anche Black?» domandò distrattamente il leader dei Poètes accoccolandosi meglio contro la sua spalla e interrompendo quel contatto.

«Non avrei dovuto invitarlo?» Victor gli sorrise serafico

«A volte tendo a dimenticarmi di come tu sia un abile manipolatore, usare quell’arma per ottenere l’attenzione di Arthur, così da arrivare a fargli abbassare la guardia»

«Sarà merito della tua influenza» mormorò con fare lascivo prima di afferrarlo per la vita. L’espressione sul viso di Hugo non mutò, si era preparato ad una mossa simile, l’aveva prevista. Alzò le braccia cingendogli le spalle e facendo avvicinare maggiormente i loro visi.

«Ti ricordo che sei l’unico a non esserti mai piegato alla mia influenza» sussurrò contro il suo orecchio

«Questo perchè ho sempre saputo come prenderti» sorrisero entrambi

«Allora fallo Alexandre»

Quando Victor Hugo pronunciava il suo nome per intero non era mai un buon segno.

 

***

 

Sempre in quel momento

-Champs Élysées-

 

Paul Verlaine aveva continuato a divincolarsi tra la folla raggiungendo una delle vie principali della capitale. Era ancora furente per la discussione avvenuta pochi istanti prima con Rimbaud e per quella sua non risposta. Sentirlo parlare di Baudelaire lo aveva innervosito, così come il successivo discorso sulla guerra e il volerlo proteggere da un ipotetico conflitto. 

Era un essere umano geneticamente modificato, un’arma creata per situazioni simili. Avrebbe dato la vita per proteggere Arthur ma quello stolto come sempre era arrivato a fraintendere le sue parole o intenzioni.

Nemmeno Verlaine riusciva a definire ciò che provava verso il partner. Era un sentimento ancora acerbo, immaturo, difficile da spiegare.

Rimbaud lo aveva liberato da quel laboratorio, gli aveva dato una nuova ragione per vivere, uno scopo. Arthur gli era rimasto accanto per tutti quei mesi insegnandogli ogni cosa. Dal prendere la metro ad allacciarsi le scarpe.

Verlaine però era un'arma potenziata al solo scopo di uccidere. Aveva del talento nel farlo, per questo il mondo dell’intelligence lo aveva accolto a braccia aperte. Rimbaud era il solo a credere nella sua umanità e per un istante era arrivato ad odiarlo. 

Arthur lo riteneva una persona migliore di quanto non fosse. Si era sforzato di comprendere quel senso di solitudine che da sempre albergava all’interno del suo animo. Verlaine era arrivato al punto di detestare quello sguardo tranquillo, così come il tono della sua voce. Sentiva di non meritare tutte quelle attenzioni con le quali il partner lo viziava e avvolgeva. Era un abominio, un essere la cui esistenza semplicemente sfidava le leggi di Dio e dell’intero creato.

Paul stava facendo del proprio meglio nel provare a gestire quella miriade di nuove emozioni. Non era facile, soprattutto perché una parte di lui non riusciva a scrollarsi di dosso l’immagine del mostro senza anima con la quale fin troppo spesso era stato identificato.

Le parole del Fauno gli tornarono alla mente, insieme al ricordo dei suoi esperimenti. Non appena socchiudeva gli occhi, Verlaine rivedeva se stesso in quel laboratorio. Le notti trascorse in una cella umida e buia. La fioca luce della luna come unico conforto o compagnia. Poi, all’improvviso, una speranza riflessa nello sguardo ambrato di Arthur. Le sue braccia che lo afferravano e liberavano da quella prigione insieme alla promessa di una vita migliore. 

Per Verlaine, Rimbaud rappresentava semplicemente tutto. Per questo motivo le sue parole lo avevano ferito. Non riusciva a comprendere i suoi comportamenti ed era facile che venissero fraintesi. Avevano già discusso in passato ma mai su di un argomento tanto delicato come i rispettivi sentimenti.

Fu in quel momento che il cellulare nelle sue tasche prese a vibrare. Rispose senza esitazione. Non più che un paio di persone conoscevano quel numero ma solo di una desiderava sentire la voce.

«Perdonami» non capitava spesso che fosse Rimbaud a fare il primo passo. Anche se le loro discussioni non duravano mai per più di qualche ora, entrambi erano uomini profondamente orgogliosi. 

«Hai solo questo da dire?» Paul non voleva essere brusco ma nemmeno cedere troppo facilmente. Si stava comportando per l’ennesima volta come un moccioso capriccioso ma poco importava, Rimbaud lo aveva ferito e per questo doveva pagare. Era bravo nel portare rancore.

«Ho esagerato» proseguì il partner abbassando leggermente il proprio tono di voce,

«Prima, non mi hai risposto. Cosa sono io per te Arthur?» Dimmelo 

«Vorresti davvero saperlo attraverso un telefono?» lo provocò. Verlaine però non si scompose. 

«Quello che vorrei è avere una risposta» così da mettermi l’animo in pace

Dall’altro capo della linea Rimbaud annuì.

«Le regole di Hugo. Sono dei precetti che hanno finito per influenzare molte decisioni che ho preso nel corso della mia vita. Una su tutte: una spia non deve avere legami o provare sentimenti» sperò con tutto il cuore che Paul capisse il suo ragionamento e che lo assecondasse,

«È stato Victor Hugo ad affidarmi alle tue cure» si limitò a fargli notare. Rimbaud prese un lungo respiro, imponendosi di mantenere la calma.

«Dobbiamo parlare, devo spiegarti molte cose» era meglio discuterne di persona e non attraverso un telefono.

«Non ho bisogno di sentire le tue scuse» ma come sempre Verlaine aveva frainteso le sue intenzioni

«Paul, desidero raccontarti di Charles. Di come la sua morte abbia cambiato ogni cosa»

«Non voglio saperne nulla di quella storia» il solo udire quel nome lo innervosiva, così come il tono con cui Arthur lo pronunciava. 

Non avrebbe sopportato il racconto di Rimbaud e di un altro uomo. Già scoprire dell’esistenza di Baudelaire si era rivelato un colpo difficile da digerire. Verlaine aveva sempre saputo che Arthur possedeva un passato, una vita prima del loro incontro. Era perfettamente normale eppure ogni volta che vi si faceva un qualche riferimento, una dolorosa sensazione attraversava il suo petto, privandolo del respiro.

«Ti stai facendo un'idea sbagliata» lo ammonì il partner, intuendo quali pensieri avessero iniziato ad agitarsi nella sua mente.

«Amavi quel Baudelaire?»

Non voleva essere tanto diretto ma non era riuscito a trattenersi, quelle parole avevano abbandonato le sue labbra prima che potesse rendersene conto. 

Rimbaud esitò ma alla fine rispose.

«Si»

A quel punto Verlaine riagganció. Non aveva bisogno di sentire altro. 

Provò un dolore acuto all’altezza del petto, diverso da ogni tipo di tortura che avesse mai sperimentato fino a quel momento.

Raggiunse l’arco di Trionfo decidendo di recarsi fino alla sua sommità. Aveva bisogno di riflettere, schiarirsi le idee. 

Forse doveva prendere spunto dalle famose regole di Hugo e soffocare quell’attrazione che aveva iniziato a provare nei confronti di Rimbaud. 

Verlaine non avrebbe mai pensato di sperimentare un simile sentimento, Arthur però aveva da sempre rappresentato un’eccezione. Sin da quel giorno in laboratorio, quando i loro destini avevano finito con l’intersecarsi, aveva compreso come il moro non fosse una persona qualunque.

Il cellulare riprese a vibrare. Questa volta era un messaggio:

Dove sei?

Venne sfiorato dall’idea di ignorarlo. 

Paul ho bisogno di vederti. Dobbiamo parlare. Ti prego rispondi

Un sorriso nacque spontaneamente sulle sue labbra. Era quasi divertente. Vedere come Arthur Rimbaud, il futuro leader dei Poètes Maudits, potesse arrivare a perdere tutta la propria compostezza era uno spettacolo al quale mai avrebbe pensato di potere assistere.

Cosa devo fare per farmi perdonare?

Alla fine si arrese. 

Arco di Trionfo. Sarò a casa tra una decina di minuti. Porta una bottiglia di Merlot.

Rimbaud era il solo capace di farlo vacillare o sentire in quel modo. Un istante prima era convinto di odiarlo mentre quello dopo, eccolo correre da lui. Osservò per un’ultima volta le auto sfrecciare lungo l’etoile così come i passanti intenti a scattare fotografie al monumento. L’ipotesi di una guerra imminente lo raggiunse facendolo rabbrividire. Quella quotidianità si sarebbe presto trasformata in un ricordo dai contorni sbiaditi. Imprecò sottovoce prima di incamminarsi verso la propria abitazione. L’appartamento che condivideva con Arthur. Il primo e unico luogo che avesse mai chiamato “casa”.

Avrebbe combattuto ma solo per Rimbaud. Per lui e per quella vita che gli aveva donato, quella quotidianità alla quale non si sentiva disposto a rinunciare.

 

***

 

Realtà originale

-Londra-

 

Alexandre Dumas stava osservando distrattamente lo schermo del proprio pc. Ripensava alla conversazione avuta con Hugo ma anche alle mosse di Black. Sia lui che il leader dei Poètes avevano sottovalutato il legame che univa il Re degli Assassini a Rimbaud. Si interrogò su quando fossero diventati tanto ciechi da non accorgersi di ciò che accadeva davanti ai loro occhi. Ogni altro pensiero venne sostituito da una voce femminile, seguita da un profumo inconfondibile.

«Che espressione malinconica my dear, non ti si addice» Agatha Christie gli sorrise prima di accomodarsi accanto a lui. Non aveva bisogno di essere annunciata, si trovavano pur sempre nella capitale inglese, nel suo territorio.

«Cosa vuoi Mary*?» rispose cercando di mantenere la calma. La donna a capo della Torre dell’Orologio non mostrò alcun segno di turbamento. Si era aspettata una reazione simile, conosceva Dumas ormai da molti anni, così come anche il leader dell’intelligence francese.

«Sappiamo che sei in contatto con Hugo» sussurrò tra il divertito e il malizioso.

«La vostra rete di spionaggio è davvero incredibile» fu l’unico commento del ex Poète

«Non sono qui per scherzare Alex ma per avvisarti» i toni si fecero improvvisamente più seri

«Black formalmente è ancora un agente francese» gli fece notare seccato

«Che però ha ucciso alcuni membri della mia Organizzazione, oltre ad aver contribuito alla fuga di un nostro ex cavaliere dal carcere di massima sicurezza di Meursault»

«Per questo il suo è un caso di competenza dell’Europole» ma la donna non lo lasciò terminare,

«Sappiamo entrambi che quell’Agenzia è solo una facciata e che al minimo cenno da parte di Victor tornerai da lui»

«Allora non capisco il senso di questa conversazione né il motivo della tua visita»

«Volevo solo ricordarti che posseggo i mezzi per ferirti e che posso usarli anche contro il tuo caro Hugo» aveva lei il coltello dalla parte del manico. Era quella consapevolezza che negli ultimi quindici anni aveva guidato le sue azioni e che gli aveva impedito di tornare a Parigi, da Victor.

«Intendo inviare Adam Frankenstein, l’androide del Dr. Wollstonecraft. Ho già dato disposizioni al riguardo» si limitò a rispondere il francese

«Credevo volessi recarti di persona»

«Ufficialmente Alexandre Dumas è morto»

«Mi chiedo se qualcuno ci abbia mai davvero creduto. Sei sempre stato bravo a raccontarti delle favole Alex, così come a ferire Victor»

«Tu non sai nulla»

«So quanto basta»

L’amore è la più egoistica delle passioni

Ed era stato per via del proprio egoismo che ora si trovava in quella situazione.

«Sono il leader dell’Europole, non sono più un Poète Maudit» la donna gli sorrise,

«Ma sei ancora il marito di Victor Hugo» non avrebbe mai potuto scordarlo, era stato uno dei giorni più belli della sua vita. Victor era splendido, qualsiasi altro aggettivo sarebbe stato riduttivo. In quel momento il sorriso del leader dei Poètes era talmente luminoso da arrivare ad oscurare persino la luce del sole. 

Quasi tutte le promesse che si erano scambiati in quella mattina autunnale erano state infrante si trovò a pensare con una punta di amarezza. 

«É una vecchia storia che appartiene ad una stagione ormai passata» si limitò a commentare nonostante la sua mente si fosse persa in quel mare di ricordi. 

«Non mentirmi, ci conosciamo da così tanti anni, sei il solo che Hugo abbia mai ascoltato» e amato

«Per questo me ne sono andato, ero il suo punto debole»

«Ma non l’unico» aggiunse con fare malizioso «Ho appreso della morte di suo figlio. Arthur Rimbaud»

«Le notizie viaggiano veloci nel nostro mondo» la donna rispose con una scrollata di spalle.

«Conoscevo Arthur, era davvero in gamba, non posso credere che qualcuno l’abbia sconfitto»

Dumas chinò il capo, ripensando ai file su Arahabaki che Victor gli aveva inoltrato. Era stato quel ragazzino, Nakahara Chuuya, il Dio della Distruzione che per anni avevano cercato. Lui e un altro moccioso giapponese avevano sconfitto l’ex spia più potente d’Europa. Una storia difficile da credere, anche nel loro ambiente.

«Sai, un buon consiglio viene sicuramente sempre ignorato, ma non c’è ragione per non darlo, resta fuori da questa storia Alex» proseguì la donna a capo dell’intelligence inglese.

«Non posso farlo»

«Sapevo che avresti risposto così»

«Il mio destino è legato a quello di Victor»

«Hugo sta andando incontro alla propria rovina. Non possiamo impedirlo. Inoltre, sappiamo entrambi cosa è nascosto in Giappone» si guardarono negli occhi, 

«Il Libro» non serviva aggiungere altro,

«La sua protezione è ciò che ha permesso la formazione del nostro gruppo»

«Lo rammento molto bene»

«Allora fa in modo di ricordarlo anche a lui» sussurrò prima di allontanarsi.

Dumas strinse i pugni, prima di prendere la propria decisione:

«Devo recarmi in Francia. Immediatamente»

 

***

 

Wonderland

-Parigi-

 

Rimbaud continuava ad osservare il proprio cellulare, leggendo e rileggendo il messaggio di Verlaine. Poche righe che tuttavia erano in grado di riassumere lo stato d’animo in cui versavano entrambi.

Arthur aveva maturato la propria decisione, avrebbe raccontato al partner di Charles. Era l’unico modo per risolvere quel diverbio, spiegare a Paul le ragioni che lo avevano portato a reagire in quel modo, ad evitare di rispondere ad una domanda troppo pericolosa per due agenti segreti.

Venne invaso dall’ennesimo brivido di freddo trovandosi a ripensare a quei mesi trascorsi in compagnia del biondo. Tante piccole parentesi di quotidianità che avevano ben presto trasformato la natura del loro rapporto portandoli in quella situazione.

 

***

 

Ricordo di Rimbaud

 

Rammentò la prima notte trascorsa in compagnia di Black. 

Dopo quel primo burrascoso risveglio, il biondo si era affrettato a tornare nel proprio letto per poi infilarsi sotto le coperte senza dire una parola. Arthur ne aveva studiato ogni movimento, pronto a soccorrerlo in caso di bisogno. Paul, così aveva deciso di ribattezzare il suo nuovo amico, era ridotto pelle ed ossa, se ne era accorto quando aveva mediato le numerose ferite che ne percorrevano il corpo. In quell’occasione, Rimbaud aveva tracciato con cura i contorni di ciascuna, odiando il Fauno per la sua follia. Gli risultava incredibile credere che Black fosse sopravvisuto ad una tale tortura. Sin dal primo istante, Paul gli parso come un essere dotato di una bellezza eterea, quasi ultraterrena. Era al pari di un angelo al quale Dio, invidioso, aveva strappato le ali, condannandolo ad un’esistenza mortale.

Non fu che una sensazione passeggera ma Rimbaud si sentì sollevato nel sapere di avere ucciso quello scienziato anche se forse la morte era stata una punizione troppo clemente per i peccati perpetrati da quel mostro. Arthur avrebbe dovuto torturarlo di più, farlo soffrire almeno la metà di quanto lui avesse fatto con Paul, ma nemmeno allora sentiva che sarebbe stato soddisfatto. 

Hugo gli aveva concesso carta bianca e lui aveva agito di conseguenza. Quell’uomo era un mostro e non gli avrebbe accordato il lusso di vivere un secondo di più. Arthur era riuscito a recuperarne la ricerca ed era a quella che l’intelligence e il Governo francese erano interessati. 

Osservò le scartoffie abbandonate alla rinfusa sulla scrivania. Aveva già provveduto ad inviare al Quartier Generale i file in formato digitale, mancavano solo pochi documenti da scansionare e inoltrare. Qualcosa gli suggeriva che quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno. Gli capitava spesso al termine di una missione, soprattutto quando finiva con l’utilizzare per troppo tempo Illuminations. 

O quando uccideva qualcuno.

Alle spie è concesso di uccidere legalmente. Quando prendiamo una vita lo facciamo nell’interesse del nostro Paese.

La voce di Hugo risuonò nella propria testa. Era incredibile come quegli insegnamenti fossero così radicati in lui, tanto da non potervisi opporre.

Ripensò per un istante a Black e al potere distruttivo racchiuso in quel fragile corpo. A come la sua Abilità fosse cresciuta, in seguito a quegli esperimenti disumani.

Avrebbe dovuto domare quella forza, partendo dal suo utilizzatore, quello stesso ragazzo che dormiva nella stanza accanto. Finì di sistemare quei documenti per poi tornare al suo capezzale. Rimase a fissarlo per diversi minuti non riuscendo ad impedirsi di sorridere.

In quel frangente Paul appariva così tranquillo e per nulla minaccioso. Gli sistemò meglio le coperte, controllando che il suo respiro continuasse a rimanere calmo e regolare. Ancora una volta, Arthur si sorprese del proprio comportamento così come di tutte quelle premure.

Rammentò di come Hugo avesse fatto lo stesso con lui tanti anni prima. Allora Rimbaud non era altro che un bambino con la testa piena di sogni e promesse di gloria. Era stato grazie a quelle fantasie che aveva finito col trasformarsi nello specchio dei sogni infranti del proprio superiore. Arthur Rimbaud avrebbe ereditato lo scettro del comando ma a quale prezzo? Aveva condannato Charles per un trono che non aveva mai realmente desiderato. Erano stati i suoi sentimenti a condurre l’amico alla morte. Hugo non era il solo responsabile, le scelte di entrambi avevano deciso il fato di Baudelaire. Rimbaud lo sapeva perfettamente, per questo si sarebbe impegnato a non fallire mai più, a diventare la spia che Victor aveva sempre sognato.

Fu in quel momento che si sentì afferrare per la vita e si trovò con il volto premuto contro un cuscino. Avvenne tutto fin troppo rapidamente perché potesse impedirlo.

«Paul, che stai facendo?» riuscì a mormorare incredulo. Non si era accorto di nulla. Non aveva avvertito nessun movimento sospetto. Black possedeva dei riflessi spaventosi.

«Dove mi trovo? Arthur?»

Si guardarono negli occhi. Paul appariva confuso e spaventato, come durante il loro primo incontro. Rimbaud si trovò a sorridere paragonandolo nella propria mente ad un bambino fin troppo cresciuto,

«Va tutto bene, sono qui» rispose afferrando una delle sue mani, in un impacciato quanto maldestro tentativo di conforto

«Mi dispiace, ho aperto gli occhi e ti ho scambiato per quell’uomo»

«Ti ripeto che va tutto bene, non è successo nulla» Verlaine però stava tremando.

Rimbaud non ci pensò troppo, lo strinse maggiormente a sé coinvolgendolo in un abbraccio scomposto. La resistenza del biondo non durò che qualche secondo. Dopo l’incredulità e lo stupore si lasciò cullare da quel calore. Era una sensazione completamente nuova, che non aveva mai sperimentato. 

Rimasero in quella posizione per diversi minuti.

«Va meglio?» domandò il moro, accarezzandogli la schiena.

«Sei caldo» fu la sola risposta che ottenne e che faticò ad interpretare

«Ed è un male? indagò giusto per esserene sicuro,

«No è piacevole, credo» Rimbaud tornò a sorridergli dolcemente

«Non devi avere fretta» sussurrò contro il suo orecchio

A quelle parole però Paul si imbronciò,

«Hai detto tu che mi renderai una spia»

«Si ma prima di quello ti insegnerò a comportarti come un essere umano, hai una vita intera da recuperare»

«Credi veramente che io possa diventare umano?»

«Lo sei già, non devi fare nulla» sperò con tutto il cuore che quelle parole potessero servire, che Black le accettasse. Il biondo abbassò lo sguardo.

«Mi dispiace per prima, ecco io non so davvero come comportarmi in questi casi»

Per un istante Arthur venne sfiorato dal desiderio di baciarlo. Quel pensiero lo investì come un fulmine a ciel sereno.

«È stata tutta colpa mia» furono le prime parole che riuscì ad articolare «Ti ho praticamente imposto un nome e preteso che tu accettassi le mie condizioni, anzi quelle del mio Governo. Non ne avevo il diritto. Ho sbagliato, non sono tagliato per il compito che mi è stato affidato»

Lo aveva pensato sin dal principio. Non sarebbe mai stato un buon insegnante per Black. Nel corso della propria vita non aveva fatto altro che infrangere i preziosi comandamenti di Hugo.

«Non voglio nessun altro» quella risposta lo spiazzò

«Non credo che tu sia nella posizione per avanzare una qualche richiesta» si divertì a fargli notare, immaginando Paul mentre sfidava i dettami di Hugo.

«E nemmeno tu in quella di rifiutare, o forse mi sbaglio?» Arthur scoppiò a ridere. Quel suono riempí l’aria sciogliendo ogni tensione.

In effetti Paul aveva ragione. Non sarebbe mai potuto andare contro un ordine diretto di Victor. Non lo aveva fatto nemmeno per Charles.

«A volte per accettare i cambiamenti ci vuole del tempo e io tendo a dimenticarlo» il suo pensiero tornò inevitabilmente su Baudelaire ma anche sulla propria lite con Hugo,

«Sai, in fondo mi piace Paul, cioè penso sia migliore di Black» le successive parole del biondo, così come il suo volto sorridente, lo strapparono da qualsiasi altro pensiero, 

«Era il mio nome» si trovò a confessare quasi senza accorgersene sistemandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio 

«Non credo di aver capito» Arthur gli accarezzò distrattamente una guancia,

«Un tempo io mi chiamavo Paul Verlaine»

«Continuo a non comprendere»

«Quando ho scelto questa vita ho dovuto abbandonare il mio passato, compresa la mia vecchia identità. Come da oggi tu farai con Black»

«E chi ti ha dato il nome di Arthur?» la curiosità di Paul era simile a quella di un bambino e parecchio contagiosa. La cosa stupì anche Rimbaud. Era da così tanto che non si concedeva una conversazione così leggera, spontanea.

Per una volta non vi erano trappole, parole in codice o segreti di Stato ma solo una sfilza di domande in attesa di risposta.

«L’uomo che mi ha cresciuto, Victor Hugo» non riuscì ad evitare di storcere il naso al solo pronunciarne il nome e ovviamente Verlaine se ne accorse.

«Che tipo è?»

«Ѐ il leader dei Poètes Maudits, l’uomo che comanda l’intelligence francese. Lo conoscerai molto presto, scommetto che non appena rientreremo a Parigi lo troveremo a bussare alla nostra porta» fece una pausa, ricordandosi all’improvviso un dettaglio che fino a quel momento aveva trascurato.

«Dovrai vivere da me» sussurrò 

«Immagino di si, è forse un problema?» Rimbaud scosse la testa,

«Certo che no ma temo di avere solo un letto»

«Possiamo dormire insieme» Arthur rimase senza parole non riuscendo a capire se quella fosse una domanda o una soluzione al problema. Vedendo la confusione attraversare quelle iridi ambrate Paul si affrettò ad aggiungere,

«Ad essere sincero, vorrei che tu dormissi accanto a me anche questa notte»

Rimbaud annuì. Verlaine poteva avere di nuovo qualche incubo, attivare la propria Abilità. Sapeva che non erano altro che scuse. Non sarebbe mai riuscito ad abbandonare il compagno, non in quel momento. Black era vulnerabile, necessitava della sua supervisione.

Quanto sei diventato bravo a mentire a te stesso

La voce di Baudelaire lo raggiunse provocandogli l’ennesimo brivido di freddo, Paul però se ne accorse, scostò di poco le coperte in un chiaro invito ad accomodarsi.

«Tanto hai finito con quei documenti» si limitò a fargli notare,

Rimbaud annuì iniziando a togliersi gli stivali.

«Non ho mai dormito con qualcuno» la sincerità di Verlaine era un’arma a doppio taglio, fin troppo pericolosa per la situazione nella quale si trovavano. Il moro non smise si sorridergli,

«Quando ero piccolo fuggivo nel cuore della notte e mi intrufolavo nel letto di Victor» ricordò con una punta di nostalgia,

«Fu solo per un periodo, i primi tempi all’intelligence» si affrettò ad aggiungere, anche se probabilmente il compagno non ci avrebbe trovato nulla di imbarazzante,

«Quanti anni avevi quando sei diventato un Poète?»

«Sette, no otto anni»

«Eri solo un bambino»

«Volevo diventare qualcuno e possedevo un’Abilità, con il mio potere avrei potuto realizzare tutti i miei sogni»

«E lo hai fatto?» 

No e ho finito col perdere l’amico più caro che avessi

«Non ancora» non avrebbe mai potuto rivelare a Paul la verità sul proprio passato. Una parte di Rimbaud si vergognava delle proprie azioni, della propria codardia e di come non avesse lottato per difendere l’uomo che amava. Aveva anteposto i suoi doveri di spia ai sentimenti, come gli era stato insegnato.

«Prego che un giorno tu possa riuscirci, anzi ti aiuterò nel farlo» per un attimo fu certo di essersersi immaginato quella risposta, ma gli bastò incrociare lo sguardo di Paul per ricredersi,

«Fino a ventiquattro ore fa te ne stavi rinchiuso in un laboratorio» gli fece notare ma senza cattiveria

«Ora però sono il tuo partner e se non erro il mio compito è di supportarti» Arthur sorrise, Paul gli regalava una leggerezza che credeva di aver dimenticato. Terminò di spogliarsi per poi coricarsi accanto al biondo.

Inizialmente Verlaine studiò ogni movimento con sospetto ma poi sembrò accettare la sua presenza. Andò ad accoccolarsi contro la sua spalla come un cucciolo indifeso. Rimbaud dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo. Paul non era Charles e non lo conosceva che da poche ore eppure la sua sola presenza era in grado di affievolire quella sensazione di gelo che da sempre accompagnava il suo animo. 

Si mosse leggermente ma in questo modo la testa di Black finì pericolosamente vicino alla propria. Il biondo aprì un occhio,

«Tu non dormi?» domandò con fare assonnato,

«Tra poco»

«I mostri non hanno mai incubi. Erano le parole di quell’uomo. Se gli esseri umani sono i soli in grado di sognare allora significa che io lo sono?»

«Ѐ questo che ti tormenta?»

«Riesci a pensare Rimbaud, a come il fatto di non essere umano possa influenzare qualcuno? Sapere che la propria nascita non è opera di Dio ma solo il risultato di una serie di calcoli. Ѐ come trovarsi in un burrone oscuro, più della notte stessa ed essere incapaci di vedere la luce della luna. Nessuna speranza o capacità di salvezza. Io mi sentivo così prima di incontrarti»

«Tu sei umano, perché dubiti così tanto di te stesso?»

«Perché non sono mai stato trattato come tale ma come un esperimento. Tu sei il primo e il solo a non avermi considerato un mostro senz’anima»

«Dici davvero un mare di sciocchezze» sbottò prima di abbracciarlo,

«Arthur»

«Ora dormi, devi essere in forze. Domani inizieremo il tuo addestramento»

 

***

 

Rimbaud sorrise riemergendo da quel ricordo risalente ormai ad un anno prima. Da quel giorno molte cose erano cambiate ma non il sentimento che provava verso il biondo. Paul aveva dimostrato un carattere e una testardaggine simili ai suoi, per questo finivano inevitabilmente con lo scontrarsi. Arthur avrebbe preferito continuare a celare il proprio passato così come la storia con Charles. Era stata la prospettiva di perdere Verlaine che lo aveva portato a cedere. 

Sentì un leggero bussare ma non fece in tempo ad aprire che la porta si spalancò davanti ai suoi occhi. Paul non disse nulla ma si precipitò fra le sue braccia.

Si guardarono negli occhi prima di scambiarsi un lungo bacio che da troppo tempo entrambi avevano finto di non desiderare.





 

*Mary. Il vero nome di Agatha Christie è “Agatha Mary Clarissa Christie, Lady Mallowan” c’è un motivo se Dumas la chiama Mary ma si scoprirà non so quando, probabilmente nello spin off sul loro passato. Questo dettaglio era già uscito nella “Mort des Amants” e ci tenevo a spiegarlo. 

 

*Non appena l’idea di diluvio si fu placata, una lepre si fermò fra il trifoglio e le campanule ondeggianti e disse la sua preghiera all’arcobaleno attraverso la tela del ragno.

 
  
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