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Autore: Enchalott    11/04/2024    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’erede dell’Irravin
 
Danyal contemplava il viso del suo principe come non ne fosse pago. Solo gli occhi bruni colmi di lacrime rievocavano il ragazzino gracile e impaurito che mesi prima aveva accompagnato al tempio di Azalee.
«Mi hanno detto che eri morto!» esalò Shaeta, gettandogli le braccia al collo.
L’impatto lo sbilanciò. Era alto quanto lui, le spalle vigorose, la stretta sicura, mentre dolcezza e spontaneità erano quelle di sempre. Non poté fare a meno di notare la spada cinta al fianco: obbligarlo a portare l’uniforme scarlatta era forse uno sfregio, lasciargli un’arma risultava singolare.
«L’ho creduto anch’io» mormorò commosso «Siete un uomo ormai, la prigionia non vi ha intaccato.»
«Oh» arrossì il ragazzo «Una volta imparato, non è poi tanto dura.»
«Siete indulgente. Biasimatemi invece, siete stato catturato per la mia debolezza.»
Shaeta aveva riscontrato di primo acchito la rigidità dei movimenti del suo mentore. Gli strinse la destra e la reazione fu impercettibile. La pena nel cuore deflagrò, come se la responsabilità delle sue condizioni gli ricadesse addosso.
«Sei ammirevole, Danyal. Non sei capitolato, queste ferite dimostrano che hai difeso la città in prima fila, indefesso. Quando lo sconforto tornava a visitarmi, ricordare i tuoi insegnamenti mi ha spinto a non mollare. Non udrai rimproveri, ti devo la vita.»
«Aver sconfitto Mahati con uno spregevole inganno non è motivo di vanto» si schermì l’altro «Se almeno fossi trapassato, avrei potuto domandargli venia nelle dimore del Custode.»
All’affermazione discrepante, Shaeta aggrottò la fronte.
«Il Kharnot è vivo.»
Danyal sbarrò gli occhi incredulo, l’espressione di chi sentiva franare la terra sotto i piedi. Emise un gemito e cedette. Il più giovane lo sostenne di peso, addossandolo al tronco di una quercia per evitare che si accasciasse nel fango.
«Dell’acqua, presto!» gridò, angosciato dal suo improvviso pallore.
I soldati in uniforme grigia sguainarono le lame, ostili.
«Che diavolo hai fatto, lurido demone!?»
«L’ha ferito con gli artigli!»
«Una stregoneria! Ammazziamolo prima che nuoccia ancora!»
Shaeta sfoderò d’istinto e si mise in difesa. Dalla bocca uscì un ansito, mentre fronteggiava gli sguardi minacciosi dei suoi concittadini. Arretrò, sollevando la sinistra in un silenzioso tentativo di conciliazione.
Non posso incrociare con loro, sono Minkari! Perché fanno così, che l’uniforme li stia confondendo?
Mostrarsi remissivo non funzionò: lo strinsero a tenaglia, impedendogli la ritirata. Gettò un’occhiata a Dasmi, che tratteneva Nuskan, indifferente al precipitare degli eventi.
Figuriamoci se quella si degna!
Seguitò a indietreggiare senza perdere di vista Danyal, che era scivolato tra le radici dei karūgi e pareva incosciente.
Dannazione!
«Getta la spada, bastardo!»
Gli uomini lo incalzarono adirati e l’intimidazione si tradusse in un vorticoso mulinare di lame che lo rasentò. Shaeta colse il lampo selvaggio negli occhi del vradak, che in un respiro si liberò dalla blanda costrizione e balzò in avanti in una scia di rami spezzati e cespugli divelti. Lo strepito distolse gli uomini, che congelarono alla vista dell’animale inferocito.
«Nae! Anase, iwadar! Anase
Al severo richiamo, il predatore si arrestò a rostro spalancato, levando al cielo uno strido insoddisfatto. Shaeta tirò il fiato, agguantandolo e tirandolo indietro.
Ancora mezzo fars e…
«Almeno una cosa semplice! Una!» ringhiò alla compagna.
Quella ribatté con un’ingiuria, lo raggiunse e afferrò i finimenti come se gli stesse accordando un enorme privilegio.
Tsk! E ora? Come minimo penseranno che li abbia salvati per mostrare il mio potere.
«F-fermi!» la voce affaticata di Danyal s’incastrò nella tensione che saturava l’aria.
«Ma generale, quel Khai ha provato a…»
«Imbecilli! Non riconoscete l’erede al trono!?»
I soldati si guardarono diffidenti. Esaminarono il ragazzo, borbottando che i tratti differivano da quelli di un demone ma che non poteva essere un mezzosangue. La parola traditore serpeggiò di bocca in bocca.
«Sono desolato» sospirò Shaeta «Non valgo un terzo del sovrano che dovrebbe guidare l’Irravin, è logico che non mi riconosciate come tale… non mi riferisco all’aspetto fisico. Non pretendo fiducia o deferenza, mi sono nascosto come un codardo, vi ho abbandonati e ora indosso i colori del nemico. Però non sono uno spergiuro, non ho dimenticato il mio sangue» strinse la stoffa all’altezza del cuore «L’uniforme e la spada rappresentano una possibilità, l’alleanza che mi sono impegnato a onorare. Farò quanto in mio potere affinché ciascuno sia felice e, se il mio meglio non bastasse, mirerò più in alto. Lo giuro sul nome della nostra dea.»
Danyal si sentì toccato dalla perorazione appassionata: si levò e sorrise, fiero del giovane uomo che l’aveva pronunciata.
«Vostro padre non ha mai avanzato termini di speranza. Io credo in voi, altezza.»
Gli altri intenerirono alle parole del generale, ma gli sguardi che posarono sul pur legittimo successore erano inscalfibili pietre.
«I Khai mentono e incantano, hanno avuto gioco facile su un adolescente. Il principe non è in sé, che abbia menzionato un’intesa ne è la prova. Non lasciate che l’affetto vi inganni, comandante, piuttosto reclamate il trono, vi appoggeremo con la vita.»
«Ardite intentare un colpo di Stato davanti al futuro sovrano?! Sul mio cadavere! Non mi restano molte energie, ma assicuro che non vi lascerò impuniti! Inginocchiatevi e implorate perdono! Sperate sia sufficiente a cancellare questa vergogna!»
I soldati ammutolirono mortificati, ma le espressioni di rifiuto non variarono e non si piegarono come richiesto. Shaeta non si perse d’animo.
«Lascia, Danyal, hanno ragione. Sei il loro baluardo, non avrebbero potuto sceglierne uno più solido. Eppure l’esistenza di Minkar dipende dal mio indossare la corona che mi spetta per eredità, perciò al momento non la cederò neppure alla persona ammiro sopra ogni altra. Quando la guerra sarà finita e le clausole del patto con Mahati diverranno una garanzia efficace, se il popolo mi riterrà inadatto, abdicherò a favore di una guida degna del titolo.»
«Altezza, non…»
«Vi chiedo inoltre di non dimenticare mia madre» continuò rivolto ai soldati «Confido sia viva, le vostre parole oltraggiano lei, non me.»
Quelli abbassarono il capo, concordi almeno sull’ultima affermazione.
«La cerchiamo da mesi» riportò il generale «Ho sperato che il disgelo fornisse indizi probanti, purtroppo senza esito» aggiunse dopo un sintetico resoconto.
«Il fuggitivo è Eskandar» rivelò Shaeta con rinnovata apprensione «Non è a Mardan e manca dall’accampamento da fine autunno. A quanto ne so, è scaltro, ha la pelle dura e la presenza della regina certo lo avvantaggia. Se c’è una probabilità, l’hai già congetturata prendendo la via per la Selva degli Spiriti.»
I soldati stormirono a quel nome e si spesero in gesti apotropaici.
Dasmi scoppiò a ridere.
«Patetico! Guerrieri che piagnucolano come infanti e si beano nell’illusione! La vostra Amshula è polvere, il generale Eskandar è un Khai del sangue, non fa prigionieri!»
I Minkari trasalirono nel sentirsi apostrofare nell’idioma locale, poi reagirono indignati.
«Oh davvero?» li dileggiò lei «Anni di ostilità e l’assidua quanto sgradita compagnia del vostro erede, suggeriscono che potrei affrontarvi tutti senza scalfirmi un artiglio!»
Quelli misero mano alle spade, pronti a difendere l’onore.
«Fermi!» s’impose Shaeta «Qui nessuno sfiderà nessuno!»
«Non prendo ordini da te, shitai!» ringhiò la guerriera.
«Preferisci una lezione a terra, stavolta!?» la ostacolò lui.
«Ti hanno detto che fai schifo e che preferirebbero come re un moribondo! Perché li difendi!?»
«Sono la mia gente, guai se li minacci! E non parlare così del mio mentore!»
«Se brami una disfatta pubblica, lieta di favorirti! Oltre a memorizzare le gerarchie, risolverai le questioni dinastiche!»
«Quando vuoi! Non mi fai paura!»
Le lame s’incrociarono davanti agli sguardi stupefatti degli astanti. Lo scambio era avvenuto in lingua khai, avevano compreso il vocabolo indicante la sottomissione e l’irritazione delle parti in causa, nient’altro. Era invece chiaro che il principe stava impedendo alla compagna di mettere in atto la precedente avvisaglia.
Danyal seguì i movimenti sciolti del ragazzo, lo stile peculiare che coniugava le basi apprese da lui alle mosse imparate dal nemico. Ne constatò la sicurezza, l’estrema concentrazione con cui portava i colpi senza scoprirsi, quella di cui difettava quando si esercitava tra le mura della capitale. Vederlo padrone dello scontro lo commosse: una lacrima gli scese lungo lo zigomo, emblema di un’emozione ineffabile.
È lui il mio signore, il mio unico sovrano, quello di cui l’Irravin ha bisogno.
Anche gli uomini assistettero sbigottiti: la velocità del duello era tale che non sempre riuscivano a cogliere le singole mosse. Le lame dei contendenti si trasformavano in esplosioni di luce azzurra e il clangore degli incroci saturava la foresta.
Shaeta andò fuori guardia e la donna avanzò un affondo: la spada trapassò l’aria, gettandola nell’incredulità. Lo vide portare l’arma dietro la spalla destra per lasciarla cadere e, quando comprese la strategia, se la ritrovò puntata di sinistra alla gola.
«E questa da chi l’hai copiata!?» abbaiò, scattando all’indietro appena in tempo.
«Da Valka, da chi se no?»
«Assurdo! Quell’idiota non combatte così bene!»
«Mi hai appena rivolto un complimento?»
Dasmi avanzò come un ariete impegnandolo in un’altra sequenza, ma la spada le fu strappata da un affondo e volò a una ventina di fars, conficcandosi tra i rovi. Lo fissò esterrefatta, paonazza per lo smacco, priva di spunti per adirarsi.
Shaeta rinfoderò, inchinandosi con sottile ironia. Poi si voltò per placare gli animi dei conterranei ma constatò che non ce n’era bisogno: lo fissavano ad occhi sgranati in un impasto d’ammirazione e stupore. Uno dopo l’altro piegarono le ginocchia e, in un silenzio d’assordante solennità, gli resero sincero omaggio.
Sostenendosi a un ramo, Danyal si apprestò al medesimo ossequio.
«Non lo permetto!» il principe lo strinse forte «Mi dicevi di non piangere e ora tu…»
«Il mio cuore trabocca di letizia, mio signore, questi occhi hanno visto la nostra sola speranza. Nessuno vi metterà in dubbio, il merito non è dato dalla trasmissione del sangue bensì dal vostro valore.»
«Ehm, ho avuto fortuna. Dasmi è abile ma oggi non era in forma.»
«Non è perché avete battuto quella Khai, è perché non l’avete uccisa nonostante l’odio scorra impetuoso tra le nostre stirpi, l’avete punzecchiata come si fa con un rivale alla pari, senza presunzione. Non siete prigioniero sebbene vi trattengano, una lezione di cui dovremmo fare tesoro.»
«I-io non odio né lei né i Khai, forse qualcuno mi è antipatico ma funziona così anche tra parenti e… non è una stregoneria!»
Il generale gli carezzò il capo con immenso affetto.
«Già. È un miracolo.»
Dasmi ringhiò un’imprecazione, sputò a terra risentita e recuperò la spada.
«Cosa pensi di fare, tu?!» l’aggredì un soldato «Hai perso, sei nostra prigioniera!»
«Provateci, sudici muusi! Stavolta il ragazzino non vi caverà il tehar dalla fiamma!»
«Basta!» intervenne di nuovo Shaeta «Lo scontro è stato amichevole, il fine non era tanto prevalere quanto placare i bollenti spiriti di ciascuno.»
«Iwahat?» masticò la guerriera «Sciocchezze! Non esistono scontri del genere!»
Lui la fulminò con lo sguardo, ottenendone uno identico in cambio.
«Altezza, i demoni non grazierebbero uno sconfitto» obiettarono i Minkari.
«Siamo diversi o sbaglio? La clemenza minkari è svanita nella guerra?»
Gli uomini si guardarono incerti, poi tornarono alla carica.
«No, ma costei è odiosa! Non ha fatto che insultarci da quando ha aperto bocca!»
«Etarmah!» sbottò Dasmi «Avete insolentito il vostro ipotetico re, addirittura lo state contestando! Mi fate pena! Se foste Khai, le vostre teste si troverebbero altrove!»
«Come osi, demone femmina! Chi ti credi di essere!?»
«La guardiana del caro principino. La sua inutile vita dipende da una mia parola.»
«Bugiarda! Lui è più forte, ti ha battuta!»
«Già! Seguici senza fare storie o…»
«Finitela! È la mia donna!» esplose Shaeta.
Occhi verdi, occhi scuri su di lui. Furenti, meravigliati, svagati. Impedì alla ragazza di negare e si schiarì la voce, avvampando.
«Me ne occupo io, chiaro?» tagliò corto.
«Allora sarà nostra ospite alla capitale» conciliò Danyal.
Il principe avvertì una stretta al petto, ma radunò il coraggio per esprimersi.
«Non tornerò a Minkar. Ho dato la mia parola a Mahati e la onorerò. Completerò la formazione presso i Khai, poi me la vedrò a tu per tu con lui. Al momento non mi trovo nelle condizioni per intercedere a favore di una tregua, sapere che il mio popolo langue mi getta nello sconforto. Ma conosco chi potrebbe aiutarmi nella diplomazia o quantomeno a non rendermi ridicolo davanti al Kharnot
Il generale trasalì, domandandosi se avesse agganci tra le fila degli hanran.
Riuscirebbe dove io ho fallito, tuttavia si troverebbe in costante pericolo. No, gli dei ce ne scampino. La collaborazione con Elefter è affar mio nel bene e nel male.
«Capisco, tuttavia rientrando privereste i demoni di una risorsa spendibile in caso di difficoltà.»
«Li hai mai visti mediare davanti a una sconfitta? No, Danyal, te lo assicuro. Inoltre mia madre pagherebbe la defezione in mia vece. Un voltafaccia è deleterio oltre che immorale.»
«La troveremo, non la lasceremo alla mercé del nemico.»
«Le congetture sono un terreno insidioso. Non è un atto di sfiducia nei tuoi riguardi, in questi mesi ho perfezionato l’arte della spada, ho stretto i denti davanti alle ferite e al disprezzo, ho persino montato un vradak! Però resta molto da fare. Gli schiavi minkari non hanno che me. Vivono di regole estranee, talora subiscono intollerabili atti di prevaricazione e, anche se vengono risparmiati, portano catene invisibili. Si sentirebbero abbandonati. Non ripeterò la stessa scena di quando sono partito per il tempio, rimarrò in mezzo a loro.»
«Eravate contrario, non sminuitevi» argomentò Danyal.
«Una fiacca opposizione la mia. Non sono quello di allora, pretendo l’incombenza di ogni vita del regno e inizierò proteggendo chi, a causa mia, ha perduto la libertà. Perciò ti affido un’altra volta la città e la regina. So che sono ingiusto a caricarti di un simile onere, ma contare su di te è come vegliare di persona.»
L’uomo inalò il fiato: frammenti di catene mentali e buio si sovrapposero alla realtà descritta dal ragazzo.
Ho giurato. Mai più.
«La vostra fiducia mi onora» mormorò «Ma lasciarvi così…»
«Mi hai insegnato che camminare sulle proprie gambe costa fatica, questa è una delle erte a cui mi hai preparato. Vale per entrambi, non è così? Vanto la prerogativa di averti avuto accanto nel percorso, ho risparmiato le forze sostenendomi a te, perciò non sono stanco. Riafferrerò il tuo braccio come compagno, non come fardello.»
«Voi…» esalò Danyal commosso «Sarà un privilegio, altezza.»
 
Il sole basso all’orizzonte indicava l’approssimarsi del tramonto. Lo sperone roccioso scelto per il decollo era lontano, ma i due giovani non accusavano fatica.
Nuskan volava sopra di loro senza perderli di vista e pareva divertirsi un mondo. L’ombra decussata si proiettava sui tratti erbosi, interrompendo la luminosità calante e intimando un impaurito silenzio agli animali della foresta.
Shaeta era ancora scosso dall’incontro: la gioia di aver rivisto il suo mentore si univa alla tranquillità del saperlo alla difesa della capitale. Innanzi a lui si era imposto di inghiottire l’inquietudine, a costo apparire un freddo egoista; una volta solo però, la coscienza del suo precario stato di salute lo percuoteva come un tamtam.
«Se l’aria affranta è una posa per scansare la discussione, sappi che non funziona» borbottò Dasmi all’improvviso.
«Di che parli?» ribatté sovrappensiero.
«Tsk, fai pure il finto tonto!»
«Stai ancora rimuginando sul duello? Rassegnati, ti ho disarmata e non mi scuserò.»
«Chi se ne importa di chi ha vinto!»
Il principe sollevò il capo, sorpreso dalla dichiarazione poco marziale. Lo sguardo verde chiaro della ragazza emanava altro oltre alla rabbia: annaspò per capire.
«Sei un idiota!» gridò lei, scorgendo la sua confusione «Valka era già abbastanza per me, invece ha eletto un successore stupido come lui!»
«Oh, ci risiamo! Potresti spiegarti anziché spalare sterco!?»
Dasmi si arrestò al margine della radura, le fronde gettavano ombre irregolari sul suo incarnato avorio e sulle guance arrossate dal furore.
«Perché hai detto a tuo padre che siamo amanti!?»
I contorni persero la nitidezza. Shaeta sentì i timpani esplodere, i suoni affievolirsi come se l’affermazione fosse frutto di uno stato allucinatorio.
«Mio… cosa?» balbettò a occhi sbarrati.
La guerriera lo afferrò per il bavero, scrollandolo con estrema stizza.
«Come ti sei permesso!? Non avevo bisogno di essere difesa, avrei battuto quei rifiuti in un millesimo! L’idea che ora pensino che tu ed io…»
Il principe le afferrò il polso e lo strinse finché non la sentì sussultare. La stoffa gli ricadde aperta sul petto quando lei mollò la presa con un gemito.
«Ripeti cos’hai detto.»
Dasmi lo fissò, frizionando l’arto dolorante: le iridi brune, scintillanti come gemme tra le palpebre assottigliate, erano lucide. Congelò nell’avvertire per lui timore e rispetto, quindi lo accontentò per reagire alla sensazione estranea.
«Detesto che Danyal mi creda la tua…»
«Lui non è mio padre.»
«Non è il marito di Amshula, piuttosto» sogghignò lei velenosa.
«Non è mio padre!»
«Rilassati, moccioso! Non mi interessano gli accoppiamenti della corte minkari! Il nocciolo è che…»
«Piantala di blaterare! Mia madre amava il re, io sono figlio loro! Non ti permetterò di screditarla per il gusto di darmi del bastardo illegittimo!»
La guerriera restò immobile per qualche secondo, sconcertata dalla sua reazione.
«La tua dannata corona potrebbe finire a un maiale, per quanto me ne importa!» esplose poi «Sei figlio di Namta quanto lo sono io! Sei cieco o cosa!?»
«Non me ne frega niente della corona! Assomiglio a mia madre, l’hai mai vista? Non la conosci! Non avrebbe mai commesso adulterio, con Danyal poi, che è sempre stato leale, integerrimo! Non superare il limite, te lo sconsiglio!»
«Altrimenti cosa!? Cosa, ragazzino, eri nel loro letto sedici anni fa!? Se pensi che abbia mirato a infangare la tua famiglia, sei fuori strada! Sei il ritratto di quell’uomo!»
«Per te siamo tutti uguali! Inferiori, squallidi! Adesso ti picchi di notare le analogie?»
«Lungi da me, guardare un maschio della tua specie è come interessarsi a un insetto! Ma hai il suo stesso odore, il medesimo sangue! Non l’ho percepito con intenzionalità, se la cosa ti offende, veditela con lui!»
Shaeta la fissò come stordito, rammentando quanto illustratogli mesi prima da Valka.
 
«Il nostro olfatto, alla pari dell’istinto daamakha, non fallisce mai. Percepiamo le emanazioni come lettere su una pagina, esse raccontano una storia individuale scevra da fraintendimenti. Con l’acqua possiamo eliminare dal nostro corpo un’avventura carnale, un viaggio, un incontro, non il nostro retaggio.»
«Quindi siete sempre sicuri dei vostri genitori e dei vostri discendenti?»
«Ehn. E delle emozioni di chi ci circonda.»
«Non ritenete scorretto intrufolarvi nel vissuto altrui?»
«Lo sarebbe, se ne provassimo di interdette o disdicevoli» aveva sorriso il reikan «Se qualcuno avvertisse la mia fierezza o la mia collera, non sarebbe un problema.»
«Allora… no, niente. Scusa.»
«Nessuno scrupolo con me.»
«Significa che Dasmi ha percepito i tuoi sentimenti?»
Valka lo aveva guardato come se fosse appena stato centrato da un dardo.
«Ho già chiarito che un Khai non ama. Di certo sa che sono disgustato e adirato, è molto abile con gli odori, le femmine di solito sono più percettive.»
 
«È una… bugia» sussurrò sconvolto.
«Perché dovrei mentirti?» replicò Dasmi risentita «Non ti interessa il trono e, a quanto constatato, sei legato a Danyal a prescindere. Se anche l’Irravin apprendesse che non sei il successore, sfiderei chiunque a trovarne uno con i tuoi attributi. Lo hanno detto anche i soldatini pavidi e sfrontati di prima.»
Shaeta restò in silenzio, scuotendo la testa a scacciare quella realtà, senza cogliere il secondo apprezzamento della giornata.
«Se venissi a sapere che Raslan non è mio padre, indagherei» seguitò lei «Non mi seccherebbe se fossi figlia di un reikan d’alto rango, mentre se scoprissi che si tratta di un popolano andrei su tutte le furie. Ma questo vale per me, credo. Il tuo generale è un netto miglioramento rispetto a Namta.»
Il principe sedette nell’erba, tutt’altro che ammansito.
«Forse tu non domanderesti a Taygeta il perché o ti limiteresti a darle della folle. Ma io… io non posso credere, mi rifiuto di credere che mia madre sia stata infedele! Ho la certezza della sua integrità e così… così non capisco, non…» abbassò la fronte sulle ginocchia.
La giovane alzò gli occhi spazientita, poi si accovacciò accanto a lui. 
«Chiediti cosa porterebbe un’incorruttibile donna minkari a darsi a un altro, anziché frignare. Oppure corri dietro a tuo padre e interrogalo senza pietà.»
Shaeta fu tentato accogliere il suggerimento, poi paventò l’insanabile rottura affettiva e il magone ingigantì.
«Non lo so. Vorrei solo che ritrattassi.»
«Scordatelo, non mi rimangerò la verità! E poi vederti con la coda tra le gambe è una discreta soddisfazione, sai? Ti comporti da recluta quando tieni la lama nel fodero!»
«Brava, cita i proverbi! Ti rendi conto della notizia? Non ho un ghiacciolo al posto del cuore! Aggiungerei “come te”, se non ti avessi vista piangere!»
Si pentì subito di aver scaricato le proprie ansie su di lei e si scusò.
Dasmi incassò la stoccata poiché il traslato contribuì a chiarirle quanto entrambi, per ragioni diverse, fossero vulnerabili. Contrariamente al solito, non si adirò: che lui mostrasse un punto debole nonostante la determinazione la fece sentire meno sola.
«Hai delle conoscenze tra le shitai della tua gente, potrebbero illuminarti.»
«No. Qualunque giustificazione adducessero, la riterrei avulsa da mia madre. Eviterei di accomunare le esperienze.»
«Etarmah. Esistono circostanze inevitabili o inattese, valide per chiunque. Magari ha provato ahaki per il generale, più giovane e coraggioso del sovrano.»
«Piuttosto che cedere a una passione fedifraga si sarebbe chiusa nel santuario di Amathira! Inoltre continui a dimenticare la probità di Danyal!»
«Che è un maschio e mi pare fatto di carne. Può essersi vendicata di uno sgarbo o di una scappatella di Namta?»
«Assolutamente no!»
«Questo no, l’altro no, dunque l’hanno costretta!»
«Sei pazza!» ruggì lui balzando in piedi «Significherebbe che Danyal l’ha drogata o violata o…» le parole congelarono sulle labbra.
“Qualche anno fa sono sparite alcune ragazze. Hanno oltrepassato le mura della reggia e non ne sono mai uscite. Il re ha garantito che se ne sarebbe occupato, ma non ne è venuto a capo… si vocifera di strani riti all’interno delle sue stanze private, sacrifici… le scomparse si sono fermate dopo che ha preso moglie… sul matrimonio corrono dicerie raccapriccianti…”
Il racconto di Evlare affiorò alla memoria con atroce tempismo. Si sentì rivoltare lo stomaco e portò una mano alla bocca nel tentativo di bloccare i conati.
Non è possibile! Danyal non è complice e neppure mia madre… dèi immortali, come sono venuto al mondo!?
«Shaeta» la voce di Dasmi aveva una sfumatura quasi rassicurante «Se qualcuno avesse ricattato entrambi per un fine che non immagini? I Minkari si piegano se i loro affetti vengono minacciati, lo sai anche tu.»
Lui la fissò esterrefatto. L’ipotesi non lo sgravava dello sconforto, ma assolveva i suoi genitori, li trasformava da carnefici a vittime. Incredibile che provenisse da una Khai. Si passò la manica sugli occhi, asciugando le lacrime, e raddrizzò la schiena.
«Rientriamo all’accampamento, voglio parlare con una persona.»
«Non pronunciare i tuoi iyoshi in mia presenza, non sei il mio superiore.»
Il principe abbozzò un sorriso all’udire che era tornata alla solita asprezza.
«Kan’sha» replicò.
«Per cosa? Non credere che ti stia consolando, è solo per ribadire che ho ragione!»
«Lo so» concesse lui «Ma è la prima volta che mi chiami per nome.»
   
 
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