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Autore: blackjessamine    13/04/2024    4 recensioni
Homer è sempre stato così tante cose da non avere nemmeno il tempo di interrogarsi su una definizione di sé.
Ole ha sempre sentito di appartenere a così poche cose da non poter essere definito in alcun modo.
Entrambi, però, si trovano a camminare al passo di uno specchio che riflette la medesima immagine.
[Storia partecipante alla sfida "Challenge a tempo" organizzata da rya_2 sul forum "Ferisce la Penna"]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Surya Namaskara'
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Prompt: “If you weren’t my friend I wouldn’t know who I was, she said” – Sally Rooney, “Beautiful World, Where Are You




 

Appartenere




 

Homer è sempre stato tante cose.

Figlio, viaggiatore, cittadino del mondo.
Studente curioso, bambino felice, oggetto d’ammirazione.

Mente brillante, risata troppo facile, il punto di fuga di tutti gli sguardi in una stanza.

È sempre stato il passo lieve che non ha paura di perdersi, perché non esistono strade sbagliate quando il mondo intero è casa tua.

È sempre stato una scrollata di spalle e la ricerca di una nuova prospettiva davanti agli ostacoli, perché il mondo è troppo grande per sprecare la vita a guardarlo da una sola angolazione.

È sempre stato un viaggio senza programmi, l’occasione colta al volo, il salto nel vuoto che si trasforma in volo.

 

“Quanto ti manca?”
“Almeno tredici centimetri”.

“È perché scrivi troppo piccolo, alla McGrannitt servirà una lente d’ingrandimento per decifrarti”.

“È perché misurare i temi in centimetri è stupido”.

Silenzio.

Ombre che tremano sotto la fiamma delle candele.

Lunghi minuti riempiti dal raspare della penna sulla pergamena.

Silenzio.

Piedi che affondano nel tappeto della Sala Comune.
Dita che si sfiorano.

“Basta, mi sono rotto, la McGrannitt se ne farà una ragione”.

“Possiamo finirlo domani”.

“E la partita?”
“Ti interessa?”
“No, ma se tu vuoi andare…”
“Non mi piace il Quidditch”.

“Non ha senso il Quidditch”.

“Di sicuro ne ha meno che misurare i temi in centimetri”.

“Decisamente”.

“Andiamo a dormire?”
“Andiamo”.

 

Ole non si è mai sentito abbastanza.

Figlio, sì, ma incapace di riempire la vita di suo padre.

Mago mediocre.

Babbano  incompleto.

Tassorosso senza nessuno a cui essere leale, presenza silenziosa, ascoltatore inascoltato.

È sempre stato la testa china su un libro solo per avere qualcosa da fare, il primo scompartimento dell’Espresso di Hogwarts ad essere occupato da chi teme di dover chiedere di potersi sedere, la profonda consapevolezza di ogni crepa nella voce.

 

“Guarda che il purè ce l’hai lì sotto il naso”.

“Ma il tuo è più buono”.

“Ma l’ho preso da quella ciotola!”
Spalle scrollate.

Forchetta che si allunga a rubare cibo direttamente dal piatto.

“Domani da Mielandia mi faccio perdonare”.

“Con un grappolo di scarafaggi?”
“Pensavo con un pacco formato famiglia di Bacchette di Liquirizia”.

“Che  schifo, la liquirizia…”
“Vedi, voi inglesi non avete proprio gusto in cucina”.

“Però sappiamo scegliere le cucchiaiate di purè migliori”.

Purè che rischia di soffocare le risate.

Gomiti puntati nelle costole.

Forchette che duellano nei piatti.

 

Homer è sempre stato così tante cose da non avere nemmeno il tempo di interrogarsi su una definizione di sé.

Ole ha sempre sentito di appartenere a così poche cose da non poter essere definito in alcun modo.

 

Entrambi, però, si trovano a camminare al passo di uno specchio che riflette la medesima immagine.

 

Io sono suo amico.

 
   
 
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