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Autore: GladiaDelmarre    15/04/2024    9 recensioni
“Ho presenziato al processo di Mastro Galilei, ecco cosa c’è che non va, Aziraphale”, sbuffò Crowley.
“Ebbene?”
“Ebbene? Sai che lo hanno fatto abiurare? Lo hanno costretto a rinnegare tutto il suo lavoro. Un vecchio di settant’anni, Aziraphale, ne è uscito distrutto. Quel poveraccio ha passato una vita a studiare, finalmente era arrivato a un buon risultato, corretto inoltre, e quegli imbecilli dei domenicani gli hanno fatto rimangiare tutto!”
***
Una piccola OS, che parte dalla foto di un anello.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Roma, 22 Giugno 1633

 

Stava andando tutto storto. Tutto.

Non che fosse una novità, ma gli eventi dell’ultimo centinaio di anni avevano lasciato su Crowley una specie di costante prurito quando sentiva parlare del cristianesimo, e in particolare dei cattolici. Almeno i protestanti si facevano un po’ più gli affari loro: erano sicuramente meno arrabbiati, o così gli sembrava. I cattolici erano orribili.

 

Seduto su un panchetto in fondo alla sala del Santo Uffizio a Roma, Crowley si stava torcendo le mani dalla rabbia. Aveva fatto del suo meglio (o del suo peggio) per cercare di dare a Galileo l’imbeccata giusta e fargli finalmente mettere in dubbio quell’orrendo, arretrato sistema tolemaico. Secondo il suo modesto parere era stato indegno da parte degli esseri umani tornare così tanto indietro nel pensiero critico; un’altra delle colpe del cristianesimo, impossibile pensarla diversamente. Con il lavoro di Galileo avrebbero adesso potuto raggiungere una ben più moderna concezione eliocentrica del cosmo, ma la sua visione era stata totalmente rigettata dai teologi cristiani. No, ci mancherebbe, come evitare di pensare che la Terra fosse al centro dell’universo? Pur ammettendo che gli esseri umani fossero il culmine della creazione divina (e Crowley aveva per la verità tutta una serie di dubbi in merito), era innegabile che fossero anche immensamente presuntuosi ed ego riferiti. Adesso che finalmente qualcuno ci era arrivato da solo (quasi da solo) con i propri ragionamenti a screditare il geocentrismo, come fare a rinnegare la verità in modo tanto sfacciato? 

 

Crowley aveva dovuto ingoiare parecchi rospi durante tutti i secoli bui, con l’oscurantismo della religione e via dicendo, però sembrava che finalmente si aprissero degli spiragli nella mente di quegli omuncoli. Almeno in quella di qualcuno. 

Purtroppo non era abbastanza.

 

Ci aveva sperato già una trentina di anni prima, ma non era finita molto bene per il suo amico Giordano Bruno, denunciato e incarcerato insieme ad altri con l’accusa di aver pronunciato  bestemmie contro la Chiesa, e inoltre per aver sostenuto tesi sovversive sullo spazio e la cosmologia. Alcuni di quei tizi a cui si era accompagnato un po’ se lo meritavano, se doveva essere del tutto sincero: frate Celestino, per dire, era uno squilibrato, e Crowley era rimasto a guardarlo scavarsi la fossa con le proprie stesse mani, senza poter fare granché per aiutarlo. Giordano Bruno invece era proprio un tipo simpatico, un tantino invasato a onor del vero, però vederlo morire sul rogo non era stato proprio il miglior momento dell’anno 1600. 

Il diciassettesimo secolo dunque non era iniziato esattamente sotto i migliori auspici, nonostante l’Inferno gli avesse dato un bell’encomio per aver sparso in giro odio e discordia. Cosa che non aveva fatto in realtà, ma non era la prima volta che l’inferno lo premiava per avvenimenti in cui lui c’entrava poco e niente: gli esseri umani erano in realtà bravissimi a odiarsi a vicenda e a sterminarsi da soli.

 

Crowley era rimasto in disparte per un po’ di tempo, ma quando aveva conosciuto Mastro Galilei aveva finalmente creduto di trovare qualcuno che potesse capeggiare una vera e propria rivoluzione contro la visione antiquata dell’universo che la Chiesa si ostinava a portare avanti. Era un tipo intelligente, intuitivo, e meno portato agli eccessi di quanto non fosse stato Bruno. Poteva davvero dare una svolta alla situazione. Sfortunatamente però uno zelantissimo e insopportabile frate domenicano aveva denunciato il povero Galileo di avere rapporti con i tedeschi (protestanti per la maggior parte, dunque eretici) e addirittura con lo scomunicato Paolo Sarpi. Dio ce ne scampi! 

Ormai da parecchi anni, quindi, andavano avanti istruttorie e inchieste sul lavoro di Galileo, e sebbene lui avesse continuato con i suoi studi, il peso delle accuse aveva influito molto sulla sua salute. 

 

E così, in quel caldo giorno di giugno, Crowley aveva guardato con i suoi stessi occhi quel consesso di cardinali ottusi e antiquati gettare fango sulla dignità e sull’intelligenza di quel pover’uomo. Gli prudevano le mani. Se solo avesse potuto si sarebbe schierato in sua difesa, ma non era un periodo semplice per un demone, perché sfortunatamente tanti uomini in quei tempi possedevano la Vera Fede e lo riconoscevano per quel che era davvero, e lui non ne poteva più di essere apostrofato come ‘strega’. Aveva smesso del tutto di presentarsi in abiti femminili proprio per quel motivo. Non si sarebbe riuscito a tenere quel corpo altrimenti, perché prima o poi sarebbero riusciti a catturarlo e ad ammazzarlo, e lui non aveva nessuna voglia di firmare tutte le carte e seguire le pratiche burocratiche giù all’Inferno per ottenere un nuovo corpo. Tra le altre cose, ormai si era affezionato a quello: e se fosse finito ad assomigliare a Dagon? O a Ligur? Inaccettabile. No, doveva tenerselo stretto e continuare a inghiottire bocconi amari.

 

“Io Galileo, figlio di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali [...] sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e che si muova.  [...] Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633”.

 

Purtroppo era fatta: Galileo aveva abiurato. Era pur vero che c’era stata una frasetta finale, mormorata a mezza bocca, un ‘e pur si muove’ che però era risultato solo come una puntualizzazione sterile e permalosa di un vecchio ormai sfiancato dagli interminabili processi e dalle accuse che aveva subito per buona parte della sua vita. A ben pensarci però, Galileo avrebbe potuto benissimo tenere il punto. Quanto gli rimaneva da vivere? Cinque anni? Dieci? Poteva almeno diventare un martire per la verità, e invece anche quella minuscola vittoria era stata negata al povero Crowley.

 

Scosse la testa, sconfitto. Sgattaiolò via dalla sala del Santo Uffizio, chiudendosi alle spalle tutta quella ipocrisia e stupidità. 

 

Camminò tra i vicoli di Roma fino a Campo de Fiori, e lì si appoggiò per qualche minuto con le spalle a un muro, guardando verso il centro della piazza. Proprio lì, anni addietro, era stato eretto il patibolo su cui era morto Giordano Bruno. Se non avesse abiurato, quello sarebbe stato il posto dove sarebbe morto anche Galileo. In fondo poteva davvero biasimarlo? A nessuno poteva garbare molto il pensiero di morire arso vivo. Anche i dannati giù all’Inferno non è che se la godessero troppo in mezzo alle fiamme. 

 

Sospirò. 

Poi, strisciando i piedi sul selciato della piazza, si spostò in una taverna che aveva dei tavoli all’aperto. Si fece portare una brocca di vino. 

 

Probabilmente avrebbe dovuto aspettare ancora qualche centinaio di anni prima che si verificasse una vera e propria rivoluzione illuminata. Sarebbe successo, ne era certo, ma non ancora. Questo piccolo pensiero consolatorio non riusciva comunque a far scemare la sua rabbia contro la Chiesa, sempre pronta ad ammazzare senza pensarci due volte chiunque osasse mettere in discussione anche il più sciocco dei suoi dettami. No, non gli piaceva per niente quella gentaglia che in nome di Dio non faceva altro che accoppare gente a ogni piè sospinto. Come se non bastasse Dio da sola, dopo il diluvio e Sodoma e Gomorra e altre decine di eccidi sparsi. Poi c’erano state le crociate, e l’inquisizione, e le centinaia e centinaia di accuse di eresia magari fatte solo per ripicca tra un ordine religioso e l’altro, tra un singolo uomo e l’altro. Una vergogna. Gli esseri umani non avevano proprio bisogno dei demoni, c’erano già i religiosi di ogni confessione disposti a eliminarsi tra di loro per il buon nome del proprio dio. 

 

Bevve un bicchiere di rosso dopo l’altro, borbottando tra sé e sé, fino a finire tutta la caraffa. 

Quando stava per ordinare la seconda, vide dalla parte opposta della piazza una figura conosciuta. Riccioli d’oro pallido e un abito di stoffa color crema, sfarzoso ed elegante, con un ampio colletto a gorgiera. Non poteva essere altri che Aziraphale. Era qualche anno che non si incontravano, ma comunque era a conoscenza del fatto che si recasse piuttosto spesso in Italia, in questa o quella città a seconda delle evenienze. 

 

Si sbracciò per farsi notare. A quel punto aveva già bevuto abbastanza per non far troppo caso alle apparenze. 

 

Aziraphale non si accorse immediatamente della sua presenza, almeno finché lui non urlò un ‘Ohi angelo!’.

A quel punto si voltò, e Crowley lo vide illuminarsi di uno di quei sorrisi che gli vedeva spesso in volto quando si incontravano. Era una delle ragioni per cui Crowley amava tanto quei ritrovi inaspettati (che fossero o meno pianificati dal demone, dovevano essere sempre visti come casuali da Aziraphale). Gli sorrideva ogni volta, radioso e gentile, e si fermava sempre a scambiare due chiacchiere. 

 

Venne a sedersi sulla panca di fronte a lui, aggiustando il corto mantello foderato di azzurro dietro alle spalle. Crowley aveva notato che portava degli stivali di cuoio, invece che i soliti scarpini eleganti. Gli piacevano decisamente di più. 

 

“Beh, che si dice?” chiese Aziraphale, mentre faceva un gesto all’oste per farsi portare altro vino. 

 

“Uno schifo, angelo, un vero schifo” si era lagnato Crowley di rimando.

 

Dopo qualche istante arrivò una cameriera graziosa e cicciottella con un ampio grembiule macchiato di grasso e chissà cos’altro, e mise loro davanti una caraffa colma di rosso e due bicchieri. Poi, fece l’occhiolino ad Aziraphale, con un sorriso provocante.

 

“Se hai voglia di divertirti, zuccherino, chiedi di Giovanna dopo cena… Una lira e mezzo e non andrai più da nessun altra. Camera sei, mi raccomando” gli disse con fare civettuolo.

 

“Non credo proprio che sia il caso, mia cara” balbettò Aziraphale, mentre Crowley ridacchiava sotto i baffi. Quando qualcuno o qualcuna faceva apprezzamenti su di lui, Aziraphale o non recepiva il messaggio sottinteso e rispondeva in modo del tutto inappropriato, oppure, come in quel caso, arrossiva fino alle orecchie. Crowley un po’ li capiva quei poveracci che restavano abbagliati dai suoi sorrisi radiosi, però non era modo quello di proporsi, nemmeno fossero in un lupanare. Aggrottò le sopracciglia, mentre l’angelo davanti a lui assumeva l’aria più colpevole che gli fosse mai capitato di vedere, nemmeno fosse stato lui a offrirsi alla ragazza. Beh, in parte era colpa sua. Era bello da far invidia al sole stesso, e per la maggior parte del tempo terribilmente inconsapevole, cosa che non faceva altro che aumentare il suo fascino.

 

“Sciò” disse Crowley, con un gesto seccato delle mani magre ed eleganti “Lascia il vino e va’ via”. Lei se ne andò ancheggiando vistosamente.

 

Aziraphale era ancora visibilmente in difficoltà. Tossicchiò, cercando di darsi un contegno.

 

“Dicevi?” accennò con voce flebile.

 

Crowley non aveva molta voglia di punzecchiarlo su quell’argomento, e preferiva dimenticare le profferte della cameriera. Quindi, magnanimamente, lo aiutò a levarsi d’impaccio. 

 

“Dicevo che è uno schifo. Speriamo in un futuro migliore, angelo”.

 

Quindi versò il vino e alzò il bicchiere di coccio sbreccato. Aziraphale lo alzò a sua volta, toccando appena il suo in un sordo acciottolio. 

 

“Mi vuoi spiegare? Cosa c’è che non va?”

 

“Ho presenziato al processo di Mastro Galilei, ecco cosa c’è che non va, Aziraphale”, sbuffò Crowley.

 

“Ebbene?”

 

“Ebbene? Sai che lo hanno fatto abiurare? Lo hanno costretto a rinnegare tutto il suo lavoro. Un vecchio di settant’anni, Aziraphale, ne è uscito distrutto. Quel poveraccio ha passato una vita a studiare, finalmente era arrivato a un buon risultato, corretto inoltre, e quegli imbecilli dei domenicani gli hanno fatto rimangiare tutto!” esclamò, battendo un pugno sul tavolo. 

Più di un avventore si voltò nella loro direzione.

 

“Fai attenzione, Crowley, sai benissimo che i domenicani hanno moltissimo potere in questo periodo. È inutile che ti ci fai il sangue amaro. Inoltre la Chiesa ha le sue buone ragioni, quando condanna le eresie. Gli esseri umani non sono un granché quando pensano con la loro testa, quindi tenerli un po’ per le briglie forse non è così tanto sbagliato. Almeno per ora”.

 

“Ma che accidenti vai blaterando, angelo, sei forse impazzito?”

 

Crowley era rimasto a bocca aperta al discorso di Aziraphale, e la sua indignazione era andata in crescendo di pari passo con le sue parole.

 

“Dico solo che faresti molto meglio a non impicciarti di questioni che non ti riguardano” aveva continuato lui, ostinato.

 

Certo, erano parte di due fazioni opposte. Nemici giurati, se così vogliamo. Ma questa faccenda delle eresie era pura follia, Aziraphale doveva saperlo.

 

“A parte il fatto che, se vogliamo metterla così, ogni questione sulla Terra mi riguarda, essendo il rappresentante dell’Inferno in loco” aveva iniziato, irrigidendo le spalle. 

“Comunque sai bene che sono contro la Chiesa per partito preso”.

 

“Così come io devo essere a favore, essendo un angelo. Il Papa è il rappresentante di Dio in Terra, secondo gli umani. Quindi io, tecnicamente, sono sempre dalla sua parte”.

 

Aziraphale aveva perso ogni sfumatura benevola nel tono di voce e lo guardava freddamente. 

 

“Ma non ti rendi conto delle idiozie che sostiene la Chiesa?” 

Crowley si era infervorato.

“Hanno fatto piazza pulita dei Catari a suo tempo, quei poveracci che non volevano altro che essere… beh, poveri, in effetti. E poi se la sono presa coi Valdesi. Non parliamo degli Ebrei, sono perseguitati da quando il Cristianesimo ha preso piede. E Cristo era Ebreo! Una follia, fatta e finita. E le crociate? E l’inquisizione? No angelo, non puoi proprio sostenere…”

 

“Finiscila!” aveva esclamato Aziraphale, irritato.

“È inutile rivangare tutte queste cose, Crowley. Gli esseri umani sono imperfetti, lo sai. A suo modo, anche la Chiesa quindi”.

 

“Imperfetta mi pare davvero un eufemismo”, aveva borbottato il demone, seccato.

 

Per un po’ avevano bevuto in silenzio, entrambi infastiditi dal discorso dell’altro, ma nessuno dei due ancora pronto ad abbandonare il campo. 

 

“Passi le eresie, angelo. Il tempo mi darà ragione, e bisognerà che la Chiesa faccia ammenda”.

 

“Baggianate” lo interruppe Aziraphale. Crowley non si lasciò fermare, però, e continuò senza curarsi di lui.

 

“Ma che vogliamo dire delle sciocchezze che dicono sull’universo, angelo? Sul fatto che la Terra sia al centro di tutto il cosmo? Che il sole giri attorno alla Terra? Ho visto i disegni di Tolomeo, quel fesso. Insensati. Assurdi. Come puoi giustificare anche questo?”

 

Il suo tono era accorato. Aziraphale davvero non poteva davvero negare anche questo.

 

L’angelo davanti a lui aveva assunto in quel momento un’espressione indecifrabile. Sembrava triste, forse nostalgico, forse arrabbiato, o un misto di tutte quelle cose insieme. 

 

Nel frattempo era calata la sera, doveva essere quasi l’ora nona, e la luce azzurrina stava rapidamente scemando in un buio bluastro. Qui e lì, sui palazzi che bordavano la piazza, erano state posizionate delle torce. Sarebbe stata quasi l’ora di andar via, raramente le taverne restavano aperte fino a tardi, ma la conversazione non era ancora terminata, quindi l’oste avrebbe aspettato.

 

“Niente da controbattere, angelo?” aveva incalzato Crowley.

 

“Lasciamo stare questo argomento, Crowley, non ho proprio voglia di parlare di stelle e di cosmologia”. 

 

“Preferisci parlare della caccia alle streghe, quindi? O della Santa Inquisizione?” sibilò lui di rimando.

 

“Basta Crowley, basta!”.

 

Aziraphale era davvero arrabbiato adesso. Raramente lo aveva visto così. Solitamente i loro battibecchi restavano tali, e finivano sempre con una risata, o magari anche con un po’ di broncio, ma raramente uno dei due arrivava davvero ad alzare la voce. Poi Aziraphale sospirò, prendendosi la testa tra le mani.

 

“Sinceramente non so perché te la prendi tanto a cuore, Crowley. Sono esseri umani. Le cose si evolveranno in qualche modo. Noi siamo qui per osservare, e di tanto in tanto dare loro una spintarella qui e lì, ognuno nel proprio modo”.

 

“Beh, ma stiamo parlando delle stelle, Aziraphale. Le stelle! L’universo! E nebulose, e buchi neri, pianeti, comete… Di cosa dovrei prendermela a cuore, se non questo?” 

Come poteva non capire, Aziraphale, che era l’unica questione davvero importante per lui? Doveva saperlo. Aveva allungato una mano, sfiorando quella dell’altro, che l’aveva ritirata subito dopo come se gli avesse bruciato la pelle. 

 

“Ma che ne vuoi sapere, tu. Le hai abbandonate, le stelle”.

Aziraphale gli aveva rivolto uno sguardo pieno di amarezza. 

 

“Sei forse impazzito? Non ho abbandonato proprio niente!”

 

“Lo hai fatto! Ti sei ribellato, no? Figuriamoci se ti ricordi, sei un demone da troppo tempo per essere ancora… beh, quello”.

 

Crowley rimase immobile, come congelato dalle sue ultime parole. 

Dopo un tempo che a entrambi parve lunghissimo rispose a voce bassa, con parole ferme e immensamente tristi.

 

“Mi ricordo”.

 

“Ti ricordi… cosa?” aveva domandato Aziraphale, ancora arrabbiato.

 

“Mi ricordo di me. Di noi. Eri con me, quando ho dato il via a tutto. Perché credi che me la prenda tanto per questa faccenda? Perché è tutto sbagliato. Perché è una memoria pura e meravigliosa sporcata da pensieri idioti di questi esseri così arretrati”.

 

Lo aveva detto tutto d’un fiato, senza alzare mai gli occhi su Aziraphale.

E poi aveva continuato.

 

“Pensi che io possa dimenticare quello che ero? Che le mie ali sono state bianche, un tempo? Che i miei occhi non erano gialli, prima, ma castani? Pensi che io possa dimenticare che queste sono le mie stelle? Le ho amate, e le amo ancora. Anche se sono un demone, un Caduto, imperdonabile”.

 

Poi lo aveva finalmente guardato, e Crowley non poteva saperlo, ma mai Aziraphale lo aveva creduto tanto bello come in quella notte di giugno, a Campo de Fiori, mentre parlava accoratamente delle sue stelle.

 

“Ma cosa credi che si provi a pensare che tutto quello che hai creato un giorno esploderà e finirà nel nulla, perché così vuole quella lassù? E che tutto esiste solo in funzione di questi umani, che si ostinano a non volerne nemmeno comprendere la bellezza? Mi spezza il cuore, seppure ne ho uno ancora”.

 

Aveva scosso la testa, tristemente, mentre cercava di trattenere il groppo che aveva in gola.

Poi si era alzato.

 

“Arrivederci, Aziraphale”.

 

Gli aveva voltato le spalle ed era andato via senza nemmeno dargli la possibilità di replicare. Non aveva voglia più di starlo a sentire. Aziraphale non poteva fare niente per rimediare, in quel momento. Certo, gli sarebbe passata presto o tardi. Gli passava sempre. Ma non quella sera. Quella sera voleva continuare a bere da qualche altra parte, da solo, e magari ubriacarsi fino a che qualcuno non lo avesse cacciato fuori a calci, e magari continuare la notte tra le braccia di un’altra Giovanna. 

O magari no, perché in realtà non riusciva nemmeno a pensarci. 

 

***

 

Londra, Luglio 1687

 

Erano solo pochi giorni che era stato pubblicato il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, ma Crowley era riuscito fortunosamente a procurarsene una copia. Non era semplice di quei tempi, perché i libri erano costosissimi e rari. Nonostante fosse un demone, aveva dovuto corrompere ben più di una persona per ottenerlo. Adesso il grosso tomo era appoggiato sulla sua scrivania, e Crowley ne sfogliava le pagine affascinato. 

 

Finalmente, disse tra sé e sé, qualcuno ha scritto una cosa decente sull’argomento.

 

Questo Newton sembrava proprio un tipo in gamba, e anche Halley, che lo aveva aiutato nella pubblicazione. Che la Chiesa ancora non accettasse questa come verità gli importava relativamente a quel punto. Quello che contava davvero era che il libro esistesse e che nessuno fosse ucciso in quanto sostenitore della teoria. 

 

Finalmente, ripeté.

 

Stese le lunghe gambe sotto lo scrittoio, mentre scivolava sulla sedia in una posizione che chiunque altro a parte lui probabilmente avrebbe trovato scomoda. Crowley prendeva la colonna vertebrale più come una specie di consiglio che come un dictatus

 

Proprio in quel momento aveva sentito bussare alla porta. 

 

Sbuffò, annoiato. Chi accidenti poteva essere a quell’ora di notte?

 

Si mosse lentamente, prendendosi tutto il tempo che voleva. In fondo se qualcuno bussa di notte alla tua porta è plausibile che tu ci metta un po’ di tempo per arrivare.

 

Quando finalmente girò la chiave nella serratura del pesante portone in legno massiccio non trovò nessuno ad attenderlo. Forse ci aveva messo troppo tempo. Forse era stato uno scherzo, possibile? Stava quasi per richiudere la porta, quando notò una bustina di carta per terra. La raccolse. Era di pergamena bianca, chiusa con un sigillo in ceralacca che rappresentava un triangolo con la punta rovesciata in basso, delle fiamme sulla sommità, e delle piume che bordavano la fascia inferiore. La bustina era molto più pesante di quanto si sarebbe aspettato.

 

La aprì stracciando la carta, piuttosto che rompere il sigillo. Dallo strappo cadde qualcosa di metallo, che tintinnò in terra e rotolò sotto a una poltrona. Maledicendo Satana, Crowley si inginocchiò per raccogliere quell’affare.

 

Un anello. Una fascetta d’oro pallido, con tante stelle a sei punte in rilievo sulla superficie. Lo rigirò tra le dita, notando un’iscrizione al suo interno. 

 

“Many are the stars I see, yet in my eye no star like thee”.


***



 

Un momento imprecisato post Secondo Avvento, Soho

 

Aziraphale lo stava baciando, per la prima volta dopo quel disgraziatissimo e disperato tentativo che aveva fatto Crowley tanto tempo addietro.

Lo aveva stretto tra le braccia, lo aveva stretto su di sé, e le sue mani erano calde e forti, il suo alito dolce, profumato, come se al suo interno l’angelo fosse fatto di miele e di fiori. E forse lo era, dopotutto. Le sue labbra erano decise, non come in quel triste frangente in cui era rimaste titubanti e quasi inerti. Ora si muovevano morbide sulle sue, umide di desiderio e di passione. Non era mai stato così, prima, con nessun altro. Non voleva baciare mai più altri che lui. Non voleva che finisse mai. 

 

Gli sfuggì un minuscolo gemito quando Aziraphale, staccatosi dalla sua bocca, si era spostato a leccare la sua mascella, e poi appena più giù, sul collo teso e sensibile. La sua voce risuonò appena nella sua gola, vibrando sulle belle labbra di Aziraphale, che si stiracchiarono in un sorriso appena accennato.

 

“Mio adorato” aveva detto, in un sussurro, “Posso?”

 

Aveva annuito, freneticamente, senza riuscire a parlare, e quel poco di fiato che gli era rimasto gli morì incastrato nei polmoni nel momento in cui aveva sentito le dita di Aziraphale sul colletto della sua camicia slacciare i primi due o tre bottoni.

 

Polpastrelli incandescenti che tracciavano brevi percorsi su di lui, seguendo le sue linee spezzate, i suoi contorni taglienti, sulla pelle nuda del suo petto magro. Voleva farlo anche lui, voleva affondare le mani fino a riempirle di tutta quella bellezza. E così le aveva poste sui suoi fianchi, insinuandole sotto la stoffa della camicia fino a toccare la sua pelle, morbida come un fiore di magnolia, carnoso e perfetto, bianco come il latte e sfumato nel più pallido e tenero dei rosa.

 

“Crowley…” aveva sussurrato Aziraphale.

 

Si era immediatamente fermato, timoroso di aver fatto troppo, di aver chiesto troppo, quasi troppo spaventato per guardarlo.

 

E poi aveva visto Aziraphale tenere tra le dita la catenella d’oro che aveva celato sotto ai suoi abiti per tanto tempo, quella a cui era appeso l’anello con le stelle, proprio nel punto in cui, qualche centimetro più in profondità, era nascosto il suo cuore. 

 

“Lo avevi trovato, allora. E lo hai ancora, dopo oltre… Trecentocinquanta anni. Ma perché…?”

 

Crowley lo guardò tristemente, aggrottando le sopracciglia, creando una miriade di linee sulla sua fronte scoperta.

 

“Perché non te l’ho mai detto?”

 

Aziraphale aveva annuito, rimanendo in silenzio.

 

“Cosa potevo fare, Aziraphale? Dirti che ti amavo? Che ti desideravo? E rischiare di farti cadere con me? Non potevo”.

 

“Avremmo combattuto insieme…”

 

“Non erano maturi i tempi. Non sarebbe stato giusto, e non sarebbe andata bene, lo sai. È stato meglio così”.

 

“E tu, per tutti questi anni…”

 

Crowley lo aveva guardato di nuovo, stavolta con occhi sicuri, lucidi e splendenti.

 

“Non ho mai smesso di amarti, no. Dal primo momento”.

 

“Dall’Eden?”

 

“Dalle stelle, Aziraphale”.



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Note: questa storia parte da una foto che è passata sul gruppetto Whatsapp TSO (vi bacio tutte) <3
La foto in questione è questa... potevo forse esimermi?



 
   
 
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